Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10207 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10207 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a AFRAGOLA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/06/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi;
lette le conclusioni del difensore della parte civile COGNOME NOME, AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del grado;
lette le conclusioni del difensore della parte civile COGNOME NOME, AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del grado;
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 27 giugno, per quanto qui di interesse, confermava la pronuncia del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli che COGNOME ritenuto COGNOME NOME dei reati di cui ai capi a) (artt. 110, 112 co.1 n.1, 353 e 416-bis.1 cod.pen.), nell’ambito del quale andavano ricondotti i fatti contestati sub alinea 2, 3 e 4, prima parte del capo b) (56, 81 co.2, 110. 112 co.1 n.1, 629 co.2, 416-bis.1 cod. pen. e COGNOME NOME dei reti di cui ai capi a), (come sopra precisato), c) (art. 81 co.2, 110 cod. pen., 10 12 e 14 L.497/74 e 416-bis.1 cod. pen, d) (art. 81 co.2, 110 cod. pen., 10-12 e 14 L.497/74 e 416-bis.1 cod. pen), e) ( artt. 81 co.2, 110. 353, 416-bis. cod. pen). e f) e f) (artt.56, 81 co.2, 110. 112 co.1 n.1, 629 co.2, 416-bis.1 cod. pen.).
Il capo a) si riferiva alla turbativa d’asta nella procedura esecutiva relativa a quattro lotti aventi ad oggetto beni del debitore esecutato COGNOME NOME, in occasione della quale COGNOME NOME ed altri coimputati tentavano di impedire la partecipazione all’asta di COGNOME NOME contattando, tra l’altro, COGNOME, legittimato a presenziare all’asta in quanto debitore esecutato, in modo che questi riferisse a NOME la presenza, a scopo intimidatorio, di COGNOME NOME e degli altri componenti del gruppo; il capo b) alla tentata estorsione ai danni di COGNOME NOME e COGNOME NOME; i capi c) e d) alla detenzione di armi; il capo e) al tentativo di impedire la partecipazione all’asta di soggetti interessati all’acquist deì beni sottoposti a procedura esecutiva di beni di spettanza al gruppo ricollegabile a COGNOME NOME; il capo f) alla tentata estorsione nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME, che COGNOMEno partecipato all’asta relativa a beni del debitore esecutato COGNOME NOME.
1.1 Avverso la sentenza ricorre per cassazione il difensore di COGNOME NOME, lamentando l’erronea qualificazione giuridica in ordine alla sussistenza dell’ipotesi di cui all’art. 416 comma 4 cod. pen., rilevando che non era sufficiente affermare che COGNOME fosse a conoscenza dello spessore criminale dei soggetti coinvolti per ritenere integrata l’aggravante de qua dovendosi ritenere in considerazione il presupposto secondo cui COGNOME partecipava all’asta solo nel proprio interesse personale, ossia quello di rientrare in possesso dei propri beni; COGNOME, al momento del rifiuto di NOME di interloquire con COGNOME, si era limitato a riferire a COGNOME che NOME non voleva parlare, senza porre in essere alcun tipo di minaccia o altra pressione; era quindi evidente che COGNOME non COGNOME in alcun modo approfittato della forza intimidatrice della presunta associazione; il difensore osserva che per poter rinvenire gli elementi costitutivi
del delitto in contestazione era indispensabile rinvenire con certezza la consapevolezza da parte del soggetto di far parte dell’associazione e di apportare attraverso la sua opera un contributo materiale alla realizzazione di quelli che sembrano essere i fini criminosi individuati e perseguiti dalla stessa associazione; il metodo mafioso doveva consistere in un comportamento oggettivamente idoneo ad esercitare sulla vittima del reato la particolare coercizione psicologica evocata dalla norma incriminata in una condotta specificamente evocativa della forza intimidatrice derivante dal vincolo associativo.
1.2 Il difensore lamenta l’erronea applicazione di legge in ordine al mancato riconoscimento dell’art. 62-bis cod. pen., non essendo stata tenuta in considerazione l’incensuratezza dell’imputato, nonché il SUO mancato e stabile inserimento in ambienti dediti alla perpetrazione di reati di varia natura: COGNOME si era sempre contraddistinto per uno stile di vita privo di rilievo giuridico e eventi in contestazione rappresentavano soltanto la volontà di rientrare in possesso dei suoi beni.
Propone ricorso l’AVV_NOTAIO nell’interesse cli COGNOME NOME.
2.1 II difensore chiede l’annullamento della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen., lamentando l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 629 e 353 cod. pen. e il travisamento della prova captativa rispetto al mancato assorbimento della condotta di cui al capo f) nel capo a) della rubrica; in particolare, nei motivi appello non era stato chiesto l’assorbimento della condotta estorsiva nel reato di cui all’art. 353 cod. pen., in quanto la richiesta atteneva alla riconducibilità de condotta posta in essere dagli imputati nel reato di turbativa d’asta quale sua mera prosecuzione, con conseguente insussistenza dell’illecito ex alt. 629 cod. pen. per mancanza dell’elemento costitutivo, rappresentato, nel caso de quo, dal danno patrimoniale.
Il difensore premette che la Corte di appello COGNOME ritenuto che “chiusa l’aggiudicazione dell’asta, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME imposero ai NOME COGNOME il pagamento di una tangente di 20000 euro come forma di ‘ristoro’ per la perdita della gara”, assunto che sarebbe stato dimostrato da una conversazione intercettata (progr. N.4431) avvenuta presso il garage, che avrebbe attribuito la paternità dei soldi di cui si discorreva alla quota versata dal frat COGNOME a titolo estorsivo; tuttavia la Corte di appello dimenticava che: a) le somme di cui si parlava non coincidevano; b) non vi era riferimento ai NOME COGNOME; non vi era riscontro che dimostrasse l’effettiva dazione del denaro; d) le persone offese COGNOMEno negato qualsiasi richiesta estorsiva; d) lo stesso COGNOME COGNOME
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riconosciuto che al termine dell’asta si era recato presso la concessionaria di RAGIONE_SOCIALE per chiedere la restituzione del terreno a COGNOME.
Inoltre, la Corte di appello -prosegue il difensore- COGNOME completamente obliterato le incongruenze contenute nel decreto di sequestro; d’altra parte, era illogica e contraddittoria la ragione per la quale il giudice, sulla base del medesime risultanze e dello stesso modus operandi attribuito agli imputati, COGNOME ritenuto di riqualificare il delitto sub a) nella ipotesi di cui all’art. 353 cod. di non replicare tale inferenza rispetto ai fatti in parola, mancando per questi ultimi il quid pluris proprio del reato di estorsione, fatto discendere da un totale travisamento della prova: l’impressione era che si confondesse l’estorsione tentata con il segmento di condotta che integrava il reato previsto e punito dall’art. 353 cod. pen.
2.2 II difensore deduce l’erronea applicazione dell’art. 353 cod. pen. in quanto la Corte di appello, con una motivazione del tutto apparente, COGNOME completamente disatteso le censure mosse dalla difesa in merito alla riqualificazione giuridica in relazione all’art. 353 cod. pen.: nessuna motivazione era stata resa in ordine alla mancanza di accordi clandestini diretti a condizionare la normale presentazione delle aste, essendo stato apoditticamente affermato che all’esecutato aggiudicatario era stato arrecato un danno economico consistente, in virtù dei rilanci strumentali al solo fine di far lievitare il prezzo di vendita; il g impugnato COGNOME travisato il contenuto delle conversazioni intercettate in riferimento alla valutazione sull’allontanamento delle persone, avvenuto con violenza, quale elemento costitutivo del reato, visto che il contenuto della conversazione intercettata al progr. 7502 del 3.12.2020 rendeva evidente come non fosse stata posta in essere alcuna forma di violenza, potendo la condotta rientrare tutt’al più nell’alveo dell’ipotesi delittuosa di cui all’art. 354 cod. COGNOME errato la Corte di appello nel ritenere che la turbativa d’asta potesse verificarsi per il tramite di rilanci puramente strumentali.
2.3 Il difensore eccepisce la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione sotto il profilo del metodo mafioso: il dato decisivo individuato a carico del ricorrente era stato quello della imposizione del proprio predominio nel settore delle aste immobiliari su un determinato territorio quale tipica manifestazione del metodo mafioso; sul punto, occorreva sottolineare che il predominio di COGNOME nelle aste immobiliari non emergeva dal compendio probatorio in atti, che COGNOME NOME era stato assolto dalla imputazione di partecipazione al clan COGNOME.
2.4 II difensore eccepisce la manifesta illogicità della motivazione ed il travisamento della prova in relazione al reato di cui al capo cl): la responsabilità
del ricorrente per detenzione di armi era stata ritenuta sulla base di un conversazione intercettata tra COGNOME NOME e COGNOME NOME, il cui significato era travisato, visto che dalla stessa emergeva che COGNOME NOME neppure conosceva luogo di deposito dell’arma, difettando quindi la consapevolezza del re consumato dal figlio.
2.5 Relativamente al reato di cui al capo a) il difensore osserva c presunto contatto tra COGNOME e NOME non si era mai c:oncretizzato, per i propositi degli imputati erano rimati tali e non COGNOMEno determinato il risultato che, solo idealmente, si erano prefissati; si chiedeva quindi a questa Co valutare la inidoneità degli atti eventualmente compiuti ad integrare il mome consumativo del reato.
2.6 Quanto al reato di cui al capo c), il difensore censurava la manif illogicità della motivazione nella misura in cui la Corte di appello COGNOME ri “logicamente ineccepibile il collegamento I:ra azione intimidatoria in danno COGNOME con l’esplosione di 5 colpi di arma da fuoco all’indirizzo dell abitazione” con la frase “tutto a posto” che COGNOME COGNOME pronunciato quind minuti dopo tale episodio; sulla scorta di una diversa intercettazion 30/11/2020 i giudici COGNOMEno individuato una responsabilità di COGNOME NOME p gli spari del 26/11/2020, conclusione che si prestava ad evidenti contraddizi inoltre, da altra conversazione (del 25/11/2020) era emerso il disinteresse di a sparare.
2.7 II difensore eccepisce l’omessa e manifesta illogicità della motivazion relazione agli artt. 62-bis e 133 cod. pen.
2.8 II difensore lamenta la manifesta illogicità della motivazione in relaz alla dosimetria della pena inflitta ed alla sua eccessiva quantificazione
Propone ricorso per cassazione l’AVV_NOTAIO nell’interesse di NOME.
3.1 Il difensore lamenta l’illogicità della motivazione in ordine sussistenza del delitto di ciu al capo d), visto che già nell’atto di appello rappresentata l’impossibilità di addivenire ad una sentenza di condanna in asse di qualsivoglia tipologia di arma definibile “13 botte” (termine utilizzato conversazione del 10.12.2020).
3.2 II difensore chiede l’annullamento della sentenza per manca motivazione in ordine al reato di cui al capo f): già nell’atto di appell evidenziata l’equivocità delle conversazioni poste a fondamento della vicen processuale in uno alla incongruenza della somma estorta, rispetto a qua
emergeva dalle conversazioni, ma nulla COGNOME motivato sul punto la Corte di appello.
3.3 Il difensore lamenta il diniego della concessione delle attenuanti generiche, che avrebbero potuto essere concesse per poter meglio graduare la pena rispetto ai fatti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME deve essere dichiarato inammissibile.
1.1 Premesso che non vi sono motivi sulla responsabilità di COGNOME e che il primo motivo di ricorso, sebbene si contesti l’aggravante di cui all’art. 416 comma 4 cod. pen., è evidentemente relativo a quella di cui all’art. 416-bis.1 cod, pen. , si deve rilevare che la motivazione contenuta alle pagg.56 e 57 della sentenza impugnata è congrua e coerente con le risultanze processuali: la Corte di appello ha infatti dato atto che COGNOME NOME e COGNOME NOME erano a conoscenza delle modalità operative degli imputati, che miravano ad imporsi nel settore delle vendite giudiziarie aventi ad oggetto gli immobili situati ad Afragola e zone limitrofe e che COGNOME NOME, vicino al clan COGNOME, era noto in quanto “allontanava” le persone dalle aste, e tale circostanza era nota a COGNOME, tanto che egli cercava di dissuadere NOME NOME dal partecipare all’asta proprio evocando la presenza di “NOME” (soprannome di COGNOME NOME), di cui NOME conosceva la caratura criminale.
Pertanto, è stata correttamente applicata la giurisprudenza di questa Corte, costante nel sostenere che l’art. 7 del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito in legge 12 luglio 1991, n. 203 (ora 416-bis.1 cod. pen.), configura due ipotesi di circostanze aggravanti: nel caso qui di inl:eresse, la prima è relativa al reato commesso dal soggetto, appartenente o meno all’associazione di cui all’art. 416bis cod. pen., che si avvale del metodo mafioso, ai fini della cui integrazione non è necessaria la prova l’esistenza della associazione criminosa’ essendo sufficiente l’aver ingenerato nella vittima la consapevolezza che l’agente appartenga a tale associazione (vedi Sez.2, Sentenza n.49090 del 04/12/2015 Rv. 265515); “Ai fini della configurabilità dell’aggravante dell’utilizzazione del “metodo mafioso”, prevista dall’art. 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152 (conv. in I. 12 luglio 1991, n. 203), non è necessario che sia stata dimostrata o contestata l’esistenza di un’associazione per delinquere, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia richiamino alla mente ed alla sensibilità del soggetto passivo la forza intimidatrice
tipicamente mafiosa del vincolo associativo.” (Sez.2, Sentenza n. 16053 del 25/03/2015 Rv. 263525).
La “natio” sottostante al citato art. 7 (ora art. 416-bis.1 cod.pen.), non è solo quella di punire più severamente coloro che commettono reati con il fine di agevolare le associazioni mafiose, ma essenzialmente quella di contrastare in maniera più decisa, data la loro maggiore pericolosità e determinazione criminosa, l’atteggiamento di coloro che, partecipi o non di reati associativi, utilizzino metod mafiosi, cioè si comportino come mafiosi oppure ostentino, in maniera evidente e provocatoria, una condotta idonea ad esercitare sui soggetti passivi quella particolare coartazione e quella conseguente intimidazione che sono proprie delle organizzazioni della specie considerata.
Ora, traslando detti principi nel caso in esame appare di tutta evidenza che le modalità delle azioni descritte, come evidenziato dai giudici di merito, portano a dover ravvisare la sussistenza dell’aggravante.
1.2 Quanto al secondo motivo di ricorso, la Corte di appello ha evidenziato la gravità dei fatti, commessi con metodologia camorristica da più persone riunite, per cui la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, essendo giustificata da motivazione esente da manifesta illogicità’ è insindacabile in cassazione (vedi Cass., Sez. 5, Sentenza n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli Rv. 271269 – 01)
Il ricorso proposto dall’AVV_NOTAIO nell’interesse di COGNOME NOME deve essere dichiarato inammissibile.
2.1 II primo motivo di ricorso propone una inammissibile rivalutazione del contenuto delle conversazioni intercettate: sul punto, si deve ribadire che in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolez della motivazione con cui esse sono recepite (vedi Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME e altri, Rv. 268389).
Nel caso in esame, la Corte di appello ha valorizzato una prima conversazione (progr. 4305 del 10/12/2020) in cui COGNOME NOME afferma di avere “chiuso” con i COGNOME a 20.000,00 euro, quella del 14/12/2020 in cui COGNOME riferisce a COGNOME NOME che stava andando a fare “quel servizio”, la successiva in cui COGNOME chiamava COGNOME NOME dicendogli che era “fuori da lui” e quella intervenuta dopo tre quarti d’ora dalla quale si evinceva che COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME stavano contando soldi ricevuti, traendo quindi la conclusione che quelli
fossero i soldi appena ricevuti da COGNOME; è stata quindi correttamente applicata la giurisprudenza di questa Corte secondo cui “è ammissibile il concorso formale tra i reati di estorsione e di turbata libertà degli incanti, in quanto le due norme hanno differente obiettività giuridica. (Nella fattispecie la RAGIONE_SOCIALEC. ha ravvisato tale concor nella condotta dell’imputato che, unico concorrente in un’asta giudiziaria immobiliare, risultato aggiudicatario provvisorio, COGNOME costretto il debitore esecutato a consegnargli una somma di denaro in cambio della rinuncia alla aggiudicazione definitiva)”, posto che vi è stato un quid pluris rispetto alla turbativa d’asta, rappresentato dalla minaccia per ottenere una somma di denaro successivamente alla avvenuta aggiudicazione dell’immobile; del tutto irrilevante è quanto contenuto nel decreto di sequestro preventivo del 6 aprile 2021, inidoneo a stabilire un qualsiasi tipo di giudicato; quanto alla eccepita contraddittorietà dell motivazione rispetto alla tentata estorsione di cui al capo b), ritenuta assorbita nel reato di cui all’art. 353 cod. pen., è sufficiente osservare che tale conclusione è stata motivata in quanto si è ritenuto che i COGNOME, a differenza dei COGNOME, non abbiano mai ricevuto alcuna richiesta estorsiva (si veda la motivazione a pag.31 della sentenza di primo grado).
2.2 Quanto al secondo motivo di ricorso, premesso che “il delitto di cui all’art. 353 cod. pen. è reato di pericolo concreto che si configura quando le condotte di tipo collusivo, violento o decettivo si siano manifestate in una minaccia concreta per la libera concorrenza, determinando un rischio di alterazione del corso degli incanti” (Sez.6, n. 12333 del 01/03/2023, Valentino, Rv. 284572), la Corte di appello ha evidenziato che l’imputato COGNOME provocato l’allontanamento di tutti gli aspiranti concorrenti, ad eccezione del debitore esecutato, per cui già tale comportamento integrava il reato; del tutto irrilevante diventa quindi la questione se l’aver fatto lievitare il prezzo di acquisto con offerte strumentali incida o meno sulla sussistenza del reato.
2.3 Relativamente alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., richiamate le considerazioni già espresse, la motivazione contenuta a pag.57 della sentenza impugnata dà atto che tutti gli imputati facevano riferimento alla notorietà criminale proprio di COGNOME (“NOME“), collegato al clan COGNOME, evocando quindi nelle persone offese l’impressione di avere a che fare con una vera e propria associazione criminale, indipendentemente dall’esistenza della stessa (e quindi anche di condanne intervenute per associazione mafiosa).
2.4 Anche per il quarto motivo di ricorso si deve ribadire che è inammissibile nella presente sede fornire una spiegazione del contenuto di intercettazioni telefoniche alternativo a quella operata dai giudici di merito: il motivo è inoltr
generico, in quanto COGNOME NOME non è stato condannato per la detenzione dell’arma di cui si parla nella conversazione intercettata riportata in ricorso, ma per la “13 botte”, sulla quale non vi è alcuna censura.
2.5 II quinto motivo di ricorso si traduce in una inammissibile motivo di merito: se è vero che non vi è stato alcuni contatto tra COGNOME NOME e COGNOME NOME, è anche vero che NOME era presente tra le persone che COGNOMEno cercato di impedire a NOME di partecipare alla gara e COGNOME poi cercato di impedirla con le minacce inviate tramite COGNOME; sul punto si richiama la natura del reato di pericolo di cui all’art. 353 cod. pen.
2.6 Per il sesto motivo di ricorso, vale quanto già prima ribadito in merito alla interpretazione del contenuto delle intercettazioni telefoniche; peraltro, i chiaro riferimento contenuto nella conversazione intercettata del 30/11/2020 in cui COGNOME NOME afferma di “avere sparato venerdì nel portone a Frattamaggiore” (erano stati esplosi 5 colpi di pistola contro il portone dell’abitazione dei COGNOME situata a Frattamaggiore) rende superflua ogni ulteriore considerazione.
2.7 Del tutto generiche, infine, sono le considerazioni sulla mancata concessione delle attenuanti generiche e sulla dosimetria della pena contenute negli ultimi due motivi di ricorso, che non si confrontano in alcun modo con la motivazione della Corte di appello contenuta alle pagine 58 e 59 della sentenza impugnata.
Il ricorso proposto dall’AVV_NOTAIO nell’interesse di COGNOME NOME deve essere dichiarato inammissibile.
3.1 Mentre per il secondo e terzo motivo di ricorso devono essere richiamate le considerazioni già espresse a proposito delle analoghe censure sollevate con il ricorso dell’AVV_NOTAIO, il primo motivo di ricorso non si confronta assolutamente con la motivazione della Corte di appello, contenuta a pag.42 della sentenza impugnata, nella quale si evidenzia che nella conversazione del 10/12/2020 si parla espressamente di armi da sparo e che “13 botte” si riferiva evidentemente ai colpi del relativo caricatore in dotazione.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibili i ricorsi, le parti private che li hanno proposti, devono essere condannate al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di € 3.000,00 così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
Devono essere rigettate le richieste di rifusione delle spese proposte dalle parti civili, dovendosi ribadire che “in tema di diritto alla rifusione delle spese
parte civile nel giudizio di merito, la disposizione di cui all’art. 541, comma 1, cod. proc. pen. presuppone che il giudice vaiuti la qualità della partecipazione al processo della parte civile, avendo quest’ultima l’onere di coltivare le proprie pretese fornendo un fattivo contributo alla dialettica del contraddittorio, sicché non può esservi condanna dell’imputato alla rifusione delle spese in favore della parte civile quando il difensore non abbia svolto alcuna attività e si sia limitato depositare telematicamente conclusioni scritte e nota spese” (Sez.5, n. 1144 del 07/11/2023, dep. 10/01/2024, D.,Rv. 285598)
P.Q.MI.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Rigetta la richiesta di rifusione delle spese processuali depositata dalle parti civil NOME NOME e NOME NOME. Così deciso il 13/02/2024