Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 19870 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 19870 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 07/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Torre del Greco il 25/07/1990 COGNOME NOMECOGNOME nato a Torre del Greco il 26/07/1993 NOMECOGNOME nato a Napoli il 06/03/1984 NOMECOGNOME nato a Napoli, il 07/09/1981 NOME COGNOME nato a Napoli, il 04/08/1976 NOME COGNOME nato a Napoli, il 04/09/1973 NOMECOGNOME nato a Napoli il 01/01/1997 NOME NOMECOGNOME nato a Napoli il 22/04/1995 NOME COGNOME nato a Napoli 03/12/1985
avverso la sentenza del 06/05/2024 della Corte d’appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio alla Corte d’appello di Napoli per le posizioni di NOME Salvatore e di Napoli Umberto; il rigetto del ricorso di NOME e l’inammissibilità dei restanti ricorsi;
udite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME in difesa di COGNOME, NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udite le conclusioni dell’avv. COGNOME in difesa di NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi.
udite le conclusioni dell’avv. COGNOME del foro di Napoli in difesa di Fiume Patrizio che ha chiesto l’accoglimento del ricorso; e udite le conclusioni dell’avv. COGNOME Antonio, in sostituzione, dell’avv. COGNOME in difesa di COGNOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
I ricorsi proposti dagli imputati hanno ad oggetto la sentenza con la quale la Corte di appello di Napoli, in data 6/5/2024, ha affermato la responsabilità penale degli odierni ricorrenti per i reati a loro contestati ai capi d’imputazione da A) a G).
Il convincimento dei giudici di merito risulta basato sul compendio probatorio costituito dagli esiti di una complessa indagine compiuta dalla Squadra mobile di Napoli e dal nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza di Avellino, che ha consentito di accertare due distinte vicende illecite che hanno entrambe visto quale partecipe NOME COGNOME nipote di COGNOME NOME, capo dell’omonimo sodalizio camorristico operante in Pomigliano d’arco, Castello di cisterna e zone limitrofe, nonché cognato di COGNOME NOME, esponente apicale del clan camorristico COGNOME.
La prima vicenda è compendiata nelle imputazioni di cui ai capi A) e B), riferiti rispettivamente alla cessione di un’ingente quantitativo di TLE di contrabbando da parte di COGNOME NOME, COGNOME Salvatore e NOME COGNOME, nel mese di ottobre 2020, in favore di NOME NOME e COGNOME NOME, e al tentativo di estorsione esperito nei giorni successivi dal COGNOME NOME, COGNOME Salvatore, NOME COGNOME, in concorso con COGNOME NOME, fratello di NOME, nonché con NOME, Chivasso NOME e NOME, ai danni dei medesimi COGNOME e COGNOME, ai fini dell’ottenimento del corrispettivo del carico di TLE ceduto e poi sequestrato dalla polizia giudiziaria.
La seconda vicenda, invece, vede imputati NOME COGNOME unitamente al figlio NOME e ai sodali NOME COGNOME NOME Bruno e COGNOME NOME, neo collaboratore di giustizia, dei delitti di partecipazione ad un’associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico operante in Volla, Brusciano e zone limitrofe nell’anno 2021, nonché di una serie di reati fine in materia di
stupefacenti perpetrati dai medesimi imputati in concorso anche con NOME, moglie del COGNOME.
2.La posizione degli imputati è sintetizzabile nei seguenti termini.
2.1.NOME COGNOME in primo grado è stato riconosciuto responsabile dei reati contestati ai capi: B), qualificato come ipotesi ex artt. 110, 56 629, comma 2, in relazione all’articolo 628, comma 3, n. 1, 416 bis 1. cod. pen.; C), escluse le aggravanti di cui agli art. 99 e 74, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990; D) E) F) G), esclusa la contestata recidiva, e, per l’effetto, condannato alla pena di anni venti di reclusione.
In grado d’appello dichiarava di rinunciare al motivo di appello sub 1) limitatamente alla richiesta di assoluzione dal reato associativo, fermi i restanti motivi di gravame. La Corte territoriale confermava la pena stabilita dal giudice di prime cure.
2.2.NOME NOME in primo grado è stato ritenuto responsabile dei reati contestati ai capi C), esclusa l’aggravante dell’articolo 74, comma 4, d.P.R n. 309 del 1990, e G) e, per l’effetto, condannato alla pena di anni nove e mesi quattro di reclusione. La Corte d’appello confermava la pena stabilita dal giudice di prime cure.
2.3.NOME COGNOME in primo grado è stato condannato per il reato di cui al capo C) d’imputazione, esclusa la contestata aggravante di cui all’art. 74, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990.
In sede d’appello dichiarava di rinunciare al motivo di gravame indicato sub 1), fermi i restanti motivi di gravame sub 2) e 3) relativi alla concessione delle attenuanti generiche e alla esclusione dell’aggravante di cui all’articolo 416-bis cod. pen.
In grado d’appello la pena nei suoi confronti veniva rideterminata, previo riconoscimento delle attenuanti generiche, in anni cinque, mesi undici e giorni tre di reclusione
2.3.Di COGNOME NOME in primo grado è stato riconosciuto colpevole del capo B), riqualificato come ipotesi tentata, e condannato alla pena di anni quattro, mesi quattro di reclusione ed euro 2.000,00 di multa.
In grado d’appello, dopo aver ammesso tutti gli addebiti e rinunciato a tutti i motivi diversi dalla richiesta di rideterminazione della pena, avanzava proposta di concordato che veniva accolta con conseguente condanna alla pena di anni tre, mesi quattro di reclusione ed euro 1.200,00 di multa.
2.4.NOME COGNOME in primo grado è stato riconosciuto colpevole dei capi A), escluse le aggravanti, e B), quest’ultimo riqualificato come ipotesi tentata, e, per l’effetto, esclusa la recidiva, veniva condannato alla pena di anni quattro, mesi dieci di reclusione ed euro 2.200,00 di multa.
In secondo grado, previa ammissione degli addebiti e rinuncia a tutti i motivi di appello diversi dalla richiesta di riduzione della pena, NOME COGNOME avanzava proposta di concordato, che veniva accolta, con conseguente condanna alla pena di anni tre, mesi cinque e giorni dieci di reclusione ed euro 1.400,00 di multa.
2.5.NOME COGNOME in primo grado è stato riconosciuto colpevole dei capi A), esclusa l’aggravante, e B), qualificato come ipotesi tentata, e condannato alla pena di anni cinque mesi otto di reclusione ed euro 2.600,00 di multa.
In grado d’appello dichiarava di rinunciare a tutti i motivi diversi dalla richiesta di rideterminazione della pena ed avanzava proposta di concordato che veniva accettata, con conseguente condanna alla pena finale di anni quattro di reclusione ed euro 2.600,00 di multa, così determinata: pena base anni quattro di reclusione ed euro 2.800,00 di multa, ritenuto più grave il reato di cui al capo B), aumentata ad anni quattro e mesi sei di reclusione ed euro 3.200,00 di multa per l’aggravante di cui all’art. 416 bis 1. cod. pen; ulteriormente aumentata ad anni cinque mesi tre di reclusione ed euro 3.500,00 di multa per la continuazione con il capo C), ad anni sei di reclusione ed euro 3.900,00 di multa per la continuazione con il capo A), ridotta per il rito nella misura sopra indicata.
2.6.Di Napoli Umberto in primo grado veniva riconosciuto colpevole del capo A), riqualificato il fatto come ipotesi tentata e, escluse le aggravanti e la recidiva contestata, condannato, per l’effetto, alla pena di anni sei e mesi due di reclusione ed euro 3.200,00 di multa. In grado d’appello, dopo aver reso spontanee dichiarazioni ammissive dei fatti, e rinunciato a tutti i motivi diversi dalla richiesta di rideterminazione della pena, avanzava proposta di concordato, che veniva accolta, con conseguente condanna alla pena finale di anni quattro, mesi sei di reclusione ed euro 3.000,00 di multa.
La pena veniva determinata nei termini indicati nella proposta di concordato depositata dal difensore all’udienza del 16 ottobre 2023: pena base per il delitto di cui al capo B) anni quattro mesi sei, considerata la riduzione per il tentativo ed iI risarcimento del danno effettuato ed accettato da entrambe le persone offese “unitamente ad un’eventuale confessione piena da effettuare in appello”, aumento di anni 2 e mesi tre, ex art. 63, comma 4, cod. pen. e per i reati già in continuazione interna (mesi nove più mesi sei, più anni uno); pena finale: anni sei e mesi nove, ridotti per il rito ad anni quattro e mesi sei ed euro 3.000,00 di multa.
2.7.In primo grado NOME NOMECOGNOME ritenuta responsabile del reato di cui al capo F), veniva condannata alla pena di anni cinque, mesi quattro di reclusione ed euro 24.000,00 di multa. In secondo grado, dichiarava di rinunciare a tutti i motivi d’appello ad eccezione dei motivi relativi alla concessione delle circostanze attenuanti generiche e alla determinazione della pena. La pena concordata
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veniva accettata con conseguente condanna ad anni tre mesi sei di reclusione e euro 16.000 di multa così determinata: per il reato di cui al capo F), ritenuto più grave, anni sei di reclusione ed euro 27.000,00 di multa, aumentata per l’aggravante di cui all’articolo 416-bis 1., cod. pen., ad anni otto di reclusione ed euro 36.000 di multa, ridotta in considerazione della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle aggravanti, ad anni cinque e mesi quattro di reclusione e 24.000,00 di multa, ridotta per il rito alla pena sopraindicata.
2.8. NOME in primo grado è stato condannato per il reato di cui al capo B), riqualificato come tentativo di estorsione ed estorsione consumata, e condannato alla pena finale di anni sette mesi quattro ed euro 4000,00 di multa. Pena confermata in grado d’appello.
3.Avverso tale sentenza, gli imputati, hanno presentato i seguenti ricorsi.
Il ricorso presentato dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME si articola in un unico motivo in cui si lamenta il vizio di motivazione con riferimento al riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 416 bis 1., cod. pen., per i reati contestati ai capi da C) a G), relativi alla gestione illecita di stupefacenti.
Ad avviso della difesa, la decisione impugnata, così come la decisione di prime cure, fonda la sussistenza dell’aggravante sulla base di deduzioni non agganciate a dati fattuali, fornendo a supporto della stessa una motivazione apparente poiché priva di qualsivoglia indicazione degli elementi probatori deponenti in tal senso.
In particolare, si censura che la Corte d’appello abbia desunto la sussistenza della circostanza in parola dall’essere NOME COGNOME per quanto risultante dalle affermazioni dei collaboratori di giustizia, un “esponente del rango del clan camorristico COGNOME“, omettendo, non solo di indicare analiticamente le dichiarazioni dei collaboratori deponenti in tal senso, ma anche di sottoporle a vaglio critico.
Si osserva, inoltre, che il ruolo attribuito dalla Corte territoriale ai ricorre sarebbe totalmente eccentrico rispetto alle risultanze degli atti del processo, non risultando che NOME COGNOME sia stato condannato nell’ambito della decisione – depositata in atti dall’ufficio di procura – relativa al processo ex art. 416 bi cod. pen. celebratosi a carico di COGNOME COGNOMEaltri, né, tantomeno, che nel processo per cui è ricorso sussista a carico del NOME COGNOME una simile imputazione.
La Corte territoriale sostiene che all’indomani dell’arresto del predetto COGNOME, il NOME COGNOME avrebbe assunto il pieno controllo del traffico degli
stupefacenti nel territorio di Pomigliano d’Arco, imponendo a tutti i gestori delle piazze locali di rifornirsi dal proprio gruppo, tale affermazione, ad avviso della difesa, sarebbe del tutto illogica in quanto non sorretta da alcun argomento che illustri l’asserito nesso causale intercorrente tra l’arresto del COGNOME e l’incaric assunto dal NOME COGNOME
La sentenza è altresì illogica in relazione alla posizione dei ricorrenti NOME Giuseppe e NOME COGNOME giacchè il riconoscimento dell’aggravante in parola viene giustificata secondo l’assunto “non potevano non sapere” e, quindi, senza alcuna argomentazione concreta.
La decisione, inoltre, omette qualsivoglia approfondimento in relazione all’elemento soggettivo degli agenti, trascurando ogni verifica sulla loro volontà consapevole di agire nell’interesse di un clan.
5.11 ricorso presentato dall’avv. NOME COGNOME nell’interesse di COGNOME NOME e NOME COGNOME è articolato nelle seguenti doglianze.
5.1.Nel primo motivo di ricorso, relativo al capo B), si deduce il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 56 e 69 cod. pen., per avere la Corte d’appello erroneamente inquadrato la condotta in contestazione nella fattispecie di tentata estorsione, e non in quella di violenza privata di cui all’art. 610 cod. pen., sulla base di una motivazione apparente.
I giudici territoriali avrebbero avallato una ricostruzione giuridica non coerente con i fatti oggettivi, posto che la pressione esercitata da di NOME NOME e NOME COGNOME nei confronti del COGNOME era finalizzata a ottenere il pagamento del corrispettivo della transazione illecita avente ad oggetto il carico di T.L.E. Pertanto i giudici territoriali avrebbero dovuto assolvere gli imputati cui non era addebitabile alcuna condotta violenta o, in subordine, derubricare l’accusa nel reato previsto dall’art. 610 cod. pen.
5.2.Nel secondo motivo di ricorso, riferito al capo b), si deduce il vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416 bis 1. cod. pen.
L’aggravante è stata contestata nella duplice variante oggettiva e soggettiva, ovvero per avere i ricorrenti posto in essere il fatto di cui al capo in oggetto avvalendosi della forza di intimidazione scaturente dalla consapevolezza dell’esistenza di una organizzazione criminale di tipo mafioso facente capo a COGNOME, gravitante nell’area di Secondigliano, e al fine di agevolarla.
Ad avviso della difesa, invece, la condotta dei ricorrenti non sarebbe stata sospinta da dinamiche mafiose ma dalla necessità di tutelare la posizione di COGNOME NOME da eventuali denunce del COGNOME dopo la perdita dell’ingente
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carico di contrabbando di oli, e costituisce “frutto di una autonoma iniziativa cui non aderisce neppure di Napoli Umberto che se ne manifesta seccato come si evince dalla conversazione ambientale in atti”.
La condotta, dunque, non sarebbe stata sorretta da l’intenzionalità del dolo richiesta dalla norma.
6.11 ricorso presentato dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME è affidato ad un unico motivo in cui si deduce l’errata determinazione della pena concordata in appello, in quanto commisurata anche in relazione al capo C) della rubrica, non contestato al ricorrente.
7.11 ricorso presentato dagli avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME nell’interesse di COGNOME Umberto è articolato in un unico motivo in cui si deduce il vizio di violazione di legge.
I giudici d’appello avrebbero errato poiché nel rideterminare la pena inflitta al di Napoli per i capi A) e B) non avrebbero indicato le pene inflitte per i rispettivi capi di imputazione, ma semplicemente la pena finale di anni quattro mesi sei senza alcuna specificazione relativa alle modalità di calcolo della stessa.
8.11 ricorso presentato dall’avv.ta NOME COGNOME nell’interesse di NOME NOME, è articolato in un unico motivo in cui si lamenta la violazione di legge relativamente all’omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti nella massima estensione. La Corte d’appello avrebbe ignorato i significativi elementi emersi nel corso del procedimento che avrebbero dovuto indurre a formulare un diverso giudizio in ordine alla personalità dell’imputata; si evidenzia che la ricorrente, avendo deciso di aderire al programma speciale di protezione, come moglie di un collaboratore di giustizia, ha dimostrato di voler condividere una condotta di vita completamente avulsa dall’ambiente criminale originario e volto al rispetto delle regole e del vivere civile.
9.11 ricorso presentato dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME nell’interesse di Fiume Patrizio è articolato in due motivi.
9.1.Nel primo si lamenta il vizio di violazione di legge e di motivazione per avere la Corte d’appello reputato utilizzabili le dichiarazioni spontanee rese da NOME NOME ai sensi dell’art. 374 cod. proc pen., in cui si faceva riferimento a tale “NOME“, sebbene non precedute né dalla contestazione in forma chiara e precisa del reato a lui contestato nè dagli avvisi ex art. 64 comma 3 cod. proc. pen.
9.2.Nel secondo motivo di ricorso si lamenta il vizio di violazione di legge e di motivazione in relazione all’omessa valutazione della doglianza con la quale, in sede d’appello, si censurava la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME – in cui si censura la ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416 bis 1., cod. pen., riconosciuta per i reati di cu ai capi d’imputazione da C) a G) relativi alla gestione illecita di stupefacenti – è inammissibile poiché volto a prospettare una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Sez. U, n. 6402 del 2/07/1997, COGNOME, Rv. 207944).
In presenza di una motivazione non manifestamente illogica, come nella specie, risulta, infatti, preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli eleme di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5456 del 4/11/2020, F., Rv.280601-1; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482).
La Corte d’appello ha adeguatamente ed esaustivamente illustrato le ragioni poste a fondamento del riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 416 bis 1., cod. pen., che, come noto, riguarda il caso in cui l’agente abbia commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis, cod. pen., ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo; la ratio di tale aggravante è quella di contrastare in maniera più decisa, stante la loro maggiore pericolosità, l’atteggiamento di coloro che, facciano o meno parte di un’associazione di stampo mafioso, si comportino, comunque, “da mafiosi”, e di di sanzionare l’attività agevolativa rispetto l’attività dell’associazione quale gruppo sopraindividuale, come si desume dal dato testuale della previsione legislativa: invero, l’art. 416-bis.1, cod. pen., prevede l’aggravante con riferimento ai «delitti commessi al fine di agevolare le associazion previste ». restando esclusa dall’ambito
dell’aggravante l’agevolazione del singolo esponente dell’associazione di tipo mafioso.
Le Sezioni Unite hanno affermato che, sotto la forma della natura agevolatrice l’aggravante ha natura soggettiva inerendo ai motivi a delinquere, e si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe. Sez. U. n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278734 – 01.
Tanto premesso, deve rilevarsi che, a differenza di quanto sostenuto dalla difesa, la Corte di appello, con motivazione adeguata e immune da illogicità evidenti, ha ricostruito i fatti, spiegando le ragioni poste a fondamento del riconoscimento dell’aggravante contestata per tutti e tre gli imputati, anche tramite consentiti richiami alla sentenza di primo grado, da considerare parte integrante di quella impugnata attesa la concorde analisi e valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni (cfr. in tal senso, tra le altre, Sez. 3, n. 44418 del 6/07/2013, COGNOME, Rv. 2574595; Sez. 2, n. 5606 dell’8/2/2007, Conversa e altro, Rv. 236181; Sez. 1, n. 8868 dell’8/8/2000, COGNOME, Rv. 216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, COGNOME, Rv. 209145).
I giudici d’appello, infatti, hanno richiamato le considerazioni espresse nella decisione di primo grado in cui sono descritti compiutamente i plurimi elementi dai quali desumere la posizione apicale di NOME COGNOME in seno al clan camorristico guidato dallo zio COGNOME NOME, alias “NOME‘ canotto”, (operante in Pomigliano d’arco, Volla e altre zone limitrofe) nonché i rapporti di collaborazione criminale personalmente intrattenuti con esponenti del clan camorristico COGNOME, tra i quali il cognato COGNOME COGNOME e il ruolo svolto dai ricorrenti NOME COGNOME e NOME COGNOME (cfr. pag. 43 e ss. della decisione di primo grado).
I giudici di merito ricostruiscono il ruolo camorristico di NOME COGNOME, in primo luogo, facendo riferimento alle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia COGNOME Pasquale, COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME tutti concordi nell’attribuire al NOME COGNOME il ruolo di esponente apicale della citata criminalità organizzata di Pomigliano d’arco e soprattutto dalle dichiarazioni rese dal neo collaboratore di giustizia COGNOME NOME.
Quest’ultimo, in paticolare, affermava di aver fatto parte del clan camorristico COGNOME, e che detto clan, dopo l’arresto del capo NOME COGNOME, risultato guidato dai nipoti NOME COGNOME e NOME COGNOME. Confermava altresì di aver posto in essere numerosi delitti sotto la guida del predetto NOME, perpetrando per conto del citato sodalizio criminale attività estorsive e numerose violazioni in materia di stupefacenti; confessava di aver preso parte
all’organizzazione deputata al traffico di cocaina gestita e organizzata dal medesimo NOME COGNOME, operante nel territorio di Pomigliano d’arco e zone limitrofe, provvedendo settimanalmente all’approvvigionamento di cocaina presso plurimi fornitori nonché al rifornimento di diverse piazze di spaccio locali; indicava tra gli stabili fornitori del gruppo l’imputato COGNOME COGNOME presso il quale confermava di essersi recato diverse volte, e in particolare in data 03/05/2021, per acquistare un carico di cocaina al prezzo di euro 32.000 su incarico di NOME COGNOME e previa intermediazione di NOME Giovanni (braccio destro del COGNOME); rappresentava di rifornire settimanalmente di cocaina il coimputato NOME COGNOME, gestore di una piazza di spaccio ubicata nel Comune di Volla, soggetto, tra l’altro, sempre pronto a mettere la propria abitazione a disposizione del gruppo, ed in particolare di NOME COGNOME al quale era legato anche da un rapporto di amicizia, per incontri “riservati”; confermava, inoltre, di aver avuto in un’occasione da NOME Giuseppe, figlio di NOME, la somma di euro 7.000 per l’acquisto di un carico di cocaina e che, in altre occasioni, il medesimo NOME aveva concorso, quale intermediario, alla perpetrazione di una condotta estorsiva materialmente realizzata poi da esso collaboratore unitamente a NOME Salvatore.
Il motivo d’appello non si confronta né confuta tali dichiarazioni, considerate, invece, attendibili e riscontrate in entrambi i gradi di giudizio, né si confronta con le ulteriori argomentazioni poste a sostegno del giudizio di colpevolezza, in cui si valorizzano i risultati delle intercettazioni telefoniche ed ambientali eseguite a carico di NOME COGNOME e dei propri congiunti, dalle quali si è tratto conferma dell’esistenza di un’organizzazione dedita al traffico di cocaina, legata al clan camorristico COGNOME di Pomigliano d’Arco guidata dal predetto imputato ed operante in Volla e in zone limitrofe.
5. I motivi proposti nell’interesse di COGNOME NOME e NOME COGNOME sono inammissibili poiché vertono su temi per i quali vi è stata rinuncia all’udienza del 16 ottobre 2023, con conseguente concordato tra le parti ai sensi dell’art. 599 bis, cod. proc. pen.
Giova, infatti ricordare che, in tema di concordato in appello, è ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ai sensi dell’art. 599-bis, cod. proc. pen., solo qualora con esso si deducano motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento di cui all’art. 129, cod. proc. pen., e, altresì, a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nella
illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovver diversa da quella prevista dalla legge (cfr. Sez. 1, n. 50710 del 10/11/2023, COGNOME, Rv. 285655; Sez. 6, n. 23614 del 18/5/2022, COGNOME Rv. 283284; nonché Sez. 2, n. 22002 del 10/4/2019, COGNOME, Rv. 276102). Ne consegue che è inammissibile il ricorso per cassazione relativo a questioni, anche rilevabili d’ufficio, alle quali l’interessato abbia rinunciato in funzione dell’accordo sulla pena in appello, in quanto il potere dispositivo riconosciuto alla parte dall’art. 599 bis cod. proc. pen., non solo limita la cognizione del giudice di secondo grado, ma ha effetti preclusivi sull’intero svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità, analogamente a quanto avviene nella rinuncia all’impugnazione (Sez. 5, n. 29243 del 04/06/2018, Casero, Rv. 273194 – 01).
6. Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è fondato e merita accoglimento.
La sanzione irrogata dalla Corte d’appello si risolve in una pena illegale atteso che il ricorrente non risponde del capo C) e che per tale capo è stato previsto un aumento di mesi nove di reclusione ed euro trecento di multa a titolo di continuazione.
La pena è stata, infatti, così determinata: pena base anni quattro di reclusione ed euro 2800 di multa, ritenuto più grave il reato di cui al capo B), aumentata ad anni quattro e mesi sei di reclusione ed euro 3.200,00 di multa per l’aggravante di cui all’articolo 416 bis 1. cod. pen; ulteriormente aumentata ad anni cinque, mesi tre di reclusione ed euro 3500 di multa per la continuazione con il capo C) (con aumento di mesi nove ed euro 300,00 di multa), ulteriormente aumentata ad anni sei di reclusione ed euro 3.900,00 di multa per la continuazione con il capo A) (con aumento di mesi nove ed euro 400,00 di multa), ridotta per il rito nella misura sopra indicata.
La decisione deve, quindi essere annullata nei confronti di NOME limitatamente al reato di cui al capo C) della rubrica, con eliminazione della relativa pena.
Questa Corte può provvedere direttamente alla rideterminazione della pena ai sensi dell’art. 620, comma 1, lett. I), cod. proc. pen, in quanto il richiamo evocato dalla norma alle “statuizioni” del giudice di merito consente alla Corte di cassazione di operare, quando, come nella specie, le argomentazioni e gli accertamenti di fatto esposti nella motivazione del giudice di merito consentano alla Corte di esercitare la propria “discrezionalità vincolata”, senza necessità di svolgere ulteriori accertamenti, che sarebbero incompatibili con il giudizio di legittimità e imporrebbero il giudizio di rinvio. (Sez. U., n. 3464 del 30/11/2017, COGNOME).
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La pena è dunque rideterminata in anni tre mesi sei di reclusione ed euro 2.400,00 di multa così calcolata: pena base anni quattro di reclusione ed euro 2.800,00 di multa, ritenuto più grave il reato di cui al capo B), aumentata ad anni quattro e mesi sei di reclusione ed euro 3.200,00 di multa per l’aggravante di cui all’articolo 416 bis 1., cod. pen; ulteriormente aumentata ad anni cinque mesi tre di reclusione ed euro 3.900,00 di multa, ridotta per il rito nella misura sopra indicata.
7.11 ricorso presentato dagli avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME nell’interesse di COGNOME NOME è infondato posto che la Corte d’appello, nella determinazione della pena ai sensi dell’art. 599 bis, cod. proc. pen., recepisce il calcolo proposto dal difensore.
Va ricordato l’orientamento reiteratamente affermato nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità, e condiviso dal Collegio, secondo il quale nel procedimento di cui all’art. 599-bis cod. proc. pen., le parti sono libere di determinare l’entità della pena finale, senza che il giudice possa sindacare il trattamento sanzionatorio stabilito all’esito del concordato, se non con riguardo alla congruità della pena finale. In altri termini, ciò che conta è la pena finale che le parti sottopongono al giudice affinché ne valuti la congruità, a nulla rilevando se nella sua determinazione siano stati compiuti errori di calcolo, per cui, una volta recepita dal giudice la pena concordata, la sua entità non potrà più essere contestata, se non nei casi di pena illegale. Dunque, nelle ipotesi di «concordato in appello ex art. 599-bis cod. proc. pen., le parti non sono vincolate a criteri di determinazione della pena, con la conseguenza che il giudice può sindacare esclusivamente la congruità della pena finale concordata, senza che rilevino eventuali errori di calcolo nei passaggi intermedi» (Sezione 6, n. 23614 del 2022 cit.).
8.11 GLYPH motivo GLYPH di GLYPH ricorso GLYPH presentato GLYPH dall’avv.ta COGNOME NOME COGNOME COGNOME nell’interesse di NOME NOME è manifestamente infondato in quanto, come in precedenza precisato, l’imputata nell’udienza d’appello del 25 gennaio 2024 ha avanzato proposta di concordato; la proposta è stata accettata con conseguente statuizione della pena finale, che ha interessato anche le circostanze attenuanti generiche, atteso che la pena è stata concordata in ad anni tre mesi sei di reclusione e euro 16.000,00 di multa così determinata: ritenuto più grave il reato di cui al capo F) anni sei di reclusione ed euro 27.000,00 di multa, aumentata per l’aggravante di cui all’articolo 416-bis 1., cod. pen., ad anni otto di reclusione ed euro 36.000,00 di multa, ridotta in considerazione della prevalenza delle
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circostanze attenuanti generiche sulle aggravanti, ad anni cinque e mesi quattro di reclusione e 24.000,00 di multa ridotta per il rito alla pena sopraindicata.
Valgono per la posizione di NOME NOME le considerazioni già fatte in ordine ai limiti dell’impugnabilità della sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc. pen.
Il ricorso presentato degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME nell’interesse di Fiume Patrizio è inammissibile.
9.1.11 primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
COGNOME NOME in data 21/10/2020 innanzi al Pm della DDA di Napoli alla presenza del proprio difensore, avv. NOME COGNOME nell’ambito del fascicolo numero 308730/2020 mod. 45, ha reso spontanee dichiarazioni auto ed etero accusatorie su condotte al momento ignote all’Ufficio di Procura (il suo e il coinvolgimento di altri soggetti in un traffico internazionale di TLE e le condotte estorsive poste in essere nei suoi confronti).
Tali dichiarazioni sono state trasfuse in verbale ai sensi dell’art. 374 cod. proc. pen.
A seguito delle spontanee dichiarazioni rese dal COGNOME veniva tempestivamente iscritto, in data 21/10/2020, il procedimento a modello 21 nei confronti di Chivasso NOME, COGNOME Salvatore, COGNOME Umberto, e COGNOME NOME; in data 29/10/2020 veniva aggiornata l’iscrizione anche nei confronti di NOME COGNOME.
A seguito dell’iscrizione, in data 22/10/2020, il personale della squadra mobile di Napoli, su delega dei Pm titolari del procedimento, procedeva al formale interrogatorio di NOME NOMECOGNOME che confermava totalmente le spontanee dichiarazioni rese.
La conferma delle dichiarazioni auto accusatore ed etero accusatorie rende pertanto priva privo di ogni fondamento la censura relativa al mancato rispetto dell’articolo 374 cod. proc. pen.
In ogni caso, anche a ritenere fondata la prospettazione difensiva, le dichiarazioni in oggetto sarebbero comunque utilizzabili alla luce degli insegnamenti di questa Corte che, da un lato, ha affermato che le dichiarazioni aventi contenuto anche autoindiziante rese innanzi alla polizia giudiziaria da persona non sottoposta ad indagini – quando ancora non sussistano elementi per ritenere la medesima indagabile – non sono utilizzabili contro chi le ha rese, ma sono pienamente utilizzabili contro i terzi, atteso che la qualità di teste-parte offesa del reato in relazione al quale si indaga, prevale rispetto a quella di possibile coindagato in reato connesso (Sez. 2, n. 23594 del 11/06/2020, Trapani, Rv. 279804; Sez. 2, n. 5823 del 26/11/2020, Rv. 280640); dall’altro ha chiarito che, in tema di giudizio abbreviato, le dichiarazioni rese nella fase di
indagini preliminari da persona indagata per un procedimento connesso o collegato sono utilizzabili ai fini della decisione ancorché non precedute dall’avviso di cui all’art. 64, comma 3, lett. c), cod. proc. pen., posto che l’inutilizzabilità derivante dall’inosservanza delle garanzie riservate all’indagato di reato connesso o collegato è limitata alle sole dichiarazioni rese nella qualità di testimone in dibattimento, presentando natura “fisiologica”, non rilevabile, pertanto, a differenza di quella “patologica”, in sede di giudizio abbreviato. (Sez. 2, n. 28583 del 18/06/2021, Costantino, Rv. 281807 – 01).
9.2.Anche il secondo motivo di ricorso, in cui si censura la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, è manifestamente infondato.
La Corte di legittimità è ferma nel ritenere che il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche non costituisca un diritto dell’imputato, conseguente all’assenza di elementi negativi, ma richieda elementi di segno positivo (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489; Sez. 3, n. 24128 del 18/3/2021, COGNOME, Rv. 281590); inoltre, stante la ratio della disposizione di cui all’art. 62-bis cod. pen., al giudice di merito non è richiesto di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 2 n. 3896 del 20/1/2016, Rv. 265826; Sez. 4 n. 23679 del 23/4/2013, Rv. 256201), rientrando la stessa concessione di esse nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (Sez. 6 n. 41365 del 28/10/2010, Straface, Rv. 248737), non essendo neppure necessario esaminare tutti i parametri di cui all’art. 133 cod. pen., ma sufficiente specificare a quale si sia inteso far riferimento (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269; Sez. 1 n. 33506 del 7/7/2010, P.G. in proc. COGNOME, Rv. 247959; ancora Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, COGNOME, Rv 242419, la cui massima è stata così redatta: «la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell’art. 62-bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purché non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato»). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La Corte d’appello, con ragionamento non manifestamente illogico, e pertanto non censurabile in questa sede, ha giustificato il diniego delle circostanze attenuanti generiche in ragione della mancanza di elementi positivi di
valutazione, peraltro neppure specificamente indicati dalla difesa, della estrema gravità della condotta posta in essere da COGNOME e della spiccata capacità
delinquenziale dell’odierno ricorrente, desumibile anche dai suoi precedenti penali.
10.Per tutti questi motivi la sentenza deve essere annullata senza rinvio nei confronti di NOME limitatamente al reato di cui al capo C) della
rubrica, con eliminazione della relativa pena e con conseguente rideternninazione
B), della pena finale, relativamente ai residui reati di cui ai capi A) e
con la diminuente del rito, in anni tre e mesi sei di reclusione ed euro 2.400,00 di
multa.
Devono, invece, essere dichiarati inammissibili i ricorsi di NOME COGNOME
Daniele Giuseppe, NOME COGNOME COGNOME NOME, NOME COGNOME Di Napoli
NOME NOME e NOMECOGNOME con condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
PQM
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di NOME Salvatore limitatamente al reato di cui al capo C) della rubrica ed elimina la relativa pena. Ridetermina la pena finale nei confronti di NOME Salvatore relativamente ai residui reati di cui ai capi A e B), con la diminuente del rito in anni tre e mesi sei di reclusione ed euro 2.400,00 di multa. Dichiara inammissibili i ricorsi di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, COGNOME Alessandro, NOME COGNOME, COGNOME NOME, NOME NOME e NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, in data 7/03/2025
Il Consigliere estensore
GLYPH
Il Presidente