Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 2722 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 2722 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 10/12/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso; sentito per il ricorrente, il difensore, avvocato NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del riesame di Catanzaro, con provvedimento del 6 giugno 2024, ha confermato l’ordinanza emessa il 17 aprile 2024 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro nei confronti di NOME COGNOME anche con riferimento all’adeguatezza della misura della custodia cautelare in carcere.
NOME COGNOME sulla scorta delle risultanze costituite da numerose intercettazioni, è stato ritenuto gravemente indiziato dei delitti di cui al capo
(art. 74, comma 1, 80, comma 2 d.P.R. n. 309/1990 aggravato ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen.) nonché di ulteriori reati in materia di stupefacenti (art. 73, d.P.R. 309 cit), che non sono stati oggetto di contestazione dinanzi al Tribunale. In particolare il ricorrente è stato individuato come capo del gruppo CaputoRAGIONE_SOCIALEPresta, operante in Mendicino, paese dell’hinterland cosentino. Le attività di spaccio del ricorrente sono state ritenute riconducibili al “sistema” di organizzazione del traffico della città di Cosenza e paesi limitrofi, suddivisi in varie piazze di spacci con precisi obblighi di acquisto dello stupefacente e obbligo del versamento di un regalo, proporzionato ai guadagni, in una cassa comune (la cd. bacinella), i cui proventi erano utilizzati per l’acquisto della droga e per far fronte ad altre esigenze del sodalizio ndranghetista COGNOME–COGNOME: da qui la contestazione dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa.
2.Con i motivi di ricorso di seguito sintetizzati ai sensi dell’articolo 173 disp att. cod. proc. pen. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazion il ricorrente chiede l’annullamento dell’ordinanza del Tribunale del riesame e denuncia:
2.1. violazione di legge e vizio di motivazione sulla ritenuta sussistenza della condotta di partecipazione qualificata al reato associativo di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 cit. sulla scorta dell’erroneo apprezzamento di circostanze inidonee a denotare la sussistenza del reato associativo che richiede, rispetto al concorso nel reato continuato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 cit. la prova della esistenza di una struttura organizzativa e, con riferimento al peculiare rapporto fornitore/acquirente, la dimostrazione che la volontà dei contraenti abbia superato la soglia del rapporto sinallagmatico contrattuale approdando ad un legame che riconduce il contributo del singolo al progetto associativo.
Sul primo aspetto l’ordinanza impugnata ha ricostruito il ruolo dell’indagato nell’associazione, in carenza di elementi indiziari idonei a coinvolgerlo nell’attività di tipo ndranghetista e a dimostrare l’elemento psicologico del reato, vieppiù erronea perché i dichiaranti, nell’illustrare il cd. “sistema Cosenza”, con riferimento al divieto di operare sottobanco, descrivevano un’attività riferibile al mero rifornimento di droga, piuttosto che all’attività di smercio in cui era impegnato, in via autonoma, il ricorrente; non sono stati acquisiti a suo carico gravi indizi d colpevolezza né sulla contribuzione alla cd. bacinella né altri elementi che lo coinvolgano nelle trattative per l’acquisto della droga o in altre fasi delle attività approvvigionamento della droga o la disponibilità di ingenti somme di denaro.
Anche con riferimento al suo ruolo di stabile acquirente di droga il Tribunale non ha esaminato l’aspetto che, sul piano esegetico, rileva ai fini della ricostruzione della condotta partecipativa che è quello della indispensabilità dell’apporto. Il
Tribunale, a tal riguardo, ha travisato elementi incontrovertibili che si evincono dall’ordinanza di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere adottata a carico del ricorrente per semplici reati in materia di stupefacenti (art. 73, d.P.R. n. 309 cit.) che ne denotano come sia avulso da qualsivoglia consorteria: il legame associativo si sarebbe, dunque, dissolto nel giro di poco tempo.
Il Tribunale ha erroneamente valorizzato il contenuto di una conversazione, dell’8 febbraio 2021, intercorsa tra NOME COGNOME e NOME COGNOME che fanno riferimento alla capacità dell’indagato di acquisire ingenti quantitativi di droga ricavandone considerevoli guadagni: affermazioni smentite dai reati fine ascritti al COGNOME e che lo vedono coinvolto nella cessione di pochi grammi di droga (da 0,2 a 2 gr.) per irrisori importi, anche di 5 euro. Né il ricorrente era in grado d controllare i suoi stessi presunti sottoposti che preferivano acquistare eroina da tale NOME e non cocaina dal COGNOME;
2.2. violazione di legge e carenza di motivazione sulla configurabilità e sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. in relazione al reato associativo di cui al capo 1, non essendo indicati elementi idonei a comprovare la volontà agevolatrice del clan COGNOME, ricalcata sulla mera responsabilità del reato associativo di cui al capo 1 e in assenza di elementi significativi della finalità agevolatrice, che deve essere oggetto di autonoma ricostruzione;
2.3. violazione di legge (in relazione all’art. 274 cod. proc. pen.) e carenza di motivazione per la ritenuta sussistenza di esigenze cautelari e della adeguatezza della sola misura della custodia cautelare in carcere a prevenire il pericolo di reiterazione: i reati ascritti al ricorrente sono risalenti nel tempo; l’indagato anche reciso il legame sentimentale con NOME COGNOME e già dal 7 dicembre 2022, quando gli veniva concessa la misura della detenzione alternativa per altra condanna, l’indagato non faceva ritorno nel comune di Mendicino e, durante la esecuzione della misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza non ne veniva constatato alcun contatto con soggetti pregiudicati. L’organizzazione è stata, infine, smantellata con l’esecuzione della misura del presente procedimento e, pertanto, la misura di massimo rigore è eccessiva in relazione alle esigenze cautelari che devono essere connotate da requisiti di attualità e concretezza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2.11 primo motivo di ricorso, nonostante la sua ampia disamina, è inficiato dalla genericità delle prospettazioni difensive che sono svolte in fatto e
meramente reiterative di questioni già esaminate e risolte, facendo corretta applicazione dei principi in diritto, dall’ordinanza impugnata che ha descritto l’articolato sistema di organizzazione del traffico di droga in Cosenza e paesi limitrofi, ricostruito attraverso le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustiz sistema che il ricorrente riduce ad un segmento – quello dell’imposizione nell’acquisto dello stupefacente, trascurando il complessivo contesto in cui la regola si colloca.
Rilevano (a pag. 5 dell’ordinanza impugnata) i giudici del riesame che il cd. sistema si fondava su una rigida spartizione dei territori e dei quartieri all’interno dei quali operavano i pusher; che ogni gruppo poteva approvvigionarsi da un canale di rifornimento anche in via autonoma essendo, però, tenuto a praticare il prezzo di acquisto agli altri gruppi che ne facessero richiesta; che i proventi dell’attività illecita confluivano in un’unica cassa comune, utilizzata per l’acquisto della droga. L’associazione dedita al traffico di droga risultava, peraltro, servente all’associazione di stampo ndranghtista, operante in Cosenza e nel suo territorio e alla esistenza di una consorteria COGNOME, che operava come perno del sistema stesso, e già riconosciuta come esistente anche in altri procedimenti.
Rileva il Tribunale che i collaboratori di giustizia, attraverso dichiarazioni convergenti e di assoluto rilievo, ne hanno descritto il funzionamento come incentrato sulla regolamentazione del traffico di sostanze stupefacenti, rimesso ai singoli gruppi accreditati e tendenzialmente corrispondenti alle rispettive articolazioni criminali ndranghetiste attive sul territorio di riferimento.
Le attività criminose di commercio della droga venivano, in sostanza, svolte seguendo anche una rigida suddivisione dei territori e dei quartieri.
L’elemento valorizzato per inferire la riconducibilità dei vari gruppi ad un unico e variegato contesto associativo, è costituito dalla spartizione a monte della distribuzione sulle piazze di spaccio delle diverse tipologie di sostanze stupefacenti: per lo spaccio di eroina deteneva il monopolio il gruppo dei “Banana” mentre gli altri gruppi si occupano dello smercio delle altre sostanze. La sinergia tra i vari gruppi emergeva anche dal dato che se un gruppo si fosse rifornito da un proprio fornitore, nell’ottica di una collaborazione, doveva cedere agli altri gruppi, a loro richiesta, la sostanza stupefacente allo stesso pezzo a cui era stata acquistata. I proventi delle attività di spaccio confluivano, poi, nella bacinell comune per essere suddivisi tra i gruppi degli “italiani” e quello degli “zingari”.
Il ricorrente è stato individuato come capo del gruppo operante in Mendicino e l’ordinanza impugnata descrive gli elementi a suo carico (alle pagg. 30 e seguenti) richiamando non solo le dichiarazioni rese dal collaboratore NOME COGNOME ma, soprattutto, le risultanze delle operazioni di intercettazioni telefoniche che ne registrano la piena e rilevante attività in materia di spaccio, svolta presso
l’abitaizone della coppia COGNOME, direttamente dall’indagato e con l’aiuto della compagna (NOME COGNOME che, mentre il COGNOME era detenuto in carcere, proseguiva l’attività riportandogliene il resoconto. Il ricorrente si avvaleva anche dell’aiuto di altri vari addetti allo smercio di droga, in particolare NOME COGNOME NOME COGNOME.
Il Tribunale ha valorizzato proprio una conversazione tra i predetti a proposito del rilevante giro di affari gestito dal COGNOME, “giro” di cui il ricorso offre versione molto riduttiva che trascura la capillarità e reiterazione delle condotte di spaccio, anche di piccoli quantitativi – al ricorrente sono contestati plurimi episodi di cessione che non hanno formato oggetto dell’impugnazione cautelare- ma sempre riconducibili alla “centrale” di smercio allestita dall’indagato.
Il descritto ruolo del COGNOME smentisce la pretesa autonomia dell’attività di spaccio, sviluppata dalle argomentazioni innanzi sintetizzate, attività che, secondo le dichiarazioni dei collaboratori, non poteva essere svolta se non con consenso dell’associazione ndranghetista e con le descritte modalità operative che, come si è detto, sono sì gestite in autonomia, per quanto concerne lo spaccio sul territorio di riferimento, ma governate, a monte, dal sistema di rifornimento, divisione in piazze e destinazione dei proventi.
Correttamente, ai fini del qualificato contributo del ricorrente al reato associativo, il Tribunale ha sottolineato la convergenza del ruolo del COGNOME con quello degli altri componenti e la convergenza di interessi reciproci che ne sorregge l’adesione al programma del sodalizio e la funzionalità e strumentalità dell’attività svolta a favore del clan ndranghetista.
3.Alla stregua di tali rilievi è manifestamente infondato il motivo di ricorso che contesta la ritenuta sussistenza, a carico del COGNOME, dell’aggravante della finalità agevolativa.
L’ordinanza impugnata, muovendo dal principio secondo cui tale aggravante ha natura soggettiva inerendo ai motivi a delinquere e si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe (Sez. U – n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278734), ha ritenuto sussistente l’aggravante dell’agevolazione sulla scorta della funzionalità e strumentalità dell’attività svolta a favore del clan ndranghetista e nel cui contesto, per le ragioni indicate al punto che precede, si inseriva.
4.Quanto alle esigenze cautelari, secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi
compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonché del tribunale del riesame ed essendo, invece, circoscritto all’esame dell’atto impugnato al fine di verificare la sussistenza dell’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 2, n. 9212 del 02/02/2017, Rv. 269438; Sez. 2, n. 18713 del 18/01/2023).
Nel caso di specie, con motivazione logica ed immune da vizi, il Tribunale ha evidenziato che il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quello per cui si procede emerge dalla personalità dell’imputato, che ha eletto a luogo di spaccio la propria abitazione anche mentre si trovava detenuto in regime di arresti domiciliari e che si è servito della compagna utilizzandola anche mentre era detenuto in carcere per proseguire l’attività illecita.
Il requisito dell’attualità è stato desunto dal fatto che il reato è stato posto i essere in epoca recente, mentre quello della proporzionalità dall’assenza di effetto deterrente delle precedenti condanne per reati sempre in materia di stupefacenti.
5.Consegue alla inammissibilità del ricorso la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché, trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa, al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in euro tremila. La Cancelleria è delegata agli adempimenti di cui al dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna A* ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art.94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 10 dicembre 2024
La Consigliera relatrice
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