Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 34469 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 34469 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
avverso l’ordinanza del 01/03/2025 del Tribunale di Palermo in funzione di giu-
COGNOME NOME nato a CARINI (PA) il DATA_NASCITA dice del riesame;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentite le conclusioni del AVV_NOTAIO, che si è riportata alla requisitoria in atti ed ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; sentito il difensore dell’imputato, AVV_NOTAIO, che si è riportata ai motivi di gravame e ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME è stato sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere, disposta dal G.I.P. del Tribunale di Palermo il 13 febbraio 2025, in relazione al delitto di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (art. 74, d.P.R. 309/1990), aggravato ai sensi dell’art. 416-bis.1, comma 1, cod. pen..
L’accusa lo individua come partecipe di un’articolata organizzazione dedita allo spaccio a Carini, facente capo a COGNOME NOME e COGNOME NOME. Il suo ruolo sarebbe consistito nello stabile approvvigionamento di stupefacente destinato al dettaglio, avendo ottenuto l’autorizzazione ad approvvigionarsi da
fornitori diversi da quelli tradizionali. L’ordinanza genetica ha fondato il giudizio indiziario su: conversazioni del luglio 2021 (nelle quali il COGNOME viene menzionato nel contesto della riorganizzazione delle piazze di spaccio); captazioni del gennaio 2023 (da cui emerge il suo intento di approvvigionarsi da canali alternativi, assentito dal COGNOME); la corresponsione di 500 euro al COGNOME, ritenuta indice dell’adesione consapevole alle regole della consorteria. Sono state ritenute sussistenti le esigenze cautelari di cui all’art. 274, lett. a) e c), cod. proc. pen., in ragione della posizione non marginale del COGNOME all’interno del sodalizio.
Il Tribunale di Palermo, in sede di riesame (ordinanza 1° marzo 2025), ha confermato il provvedimento, ritenendo l’ordinanza genetica sufficientemente motivata e valorizzando l’aggravante di cui all’art. 416 -bis .1 cod. pen., data l’utilizzazione sistematica della forza intimidatrice mafiosa nella gestione delle piazze e nell’imposizione di contributi economici.
Avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame la difesa ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i seguenti motivi:
3.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per il reato associativo.
La difesa lamenta che l’ordinanza genetica abbia omesso di esaminare le censure difensive, limitandosi ad una trasposizione delle informative di reato.
Sostiene che il quadro indiziario sarebbe fondato esclusivamente su poche intercettazioni tra terzi, dal contenuto neutro e non riscontrate da elementi ad essi estranei (quali, ad esempio, videoriprese dei contatti del ricorrente con gli altri sodali e soprattutto con i vertici dell’associazione), talvolta riferite a un generico “NOME“, non necessariamente identificabile con il ricorrente.
Si contesta l’attribuzione di condotte dal luglio 2021, sebbene le uniche captazioni che riguardino il COGNOME siano del gennaio 2023. In merito, sarebbe illogica la giustificazione del ritardo investigativo a carico del ricorrente – ovvero il riferimento alla concentrazione delle indagini sui vertici – atteso che anche in tal caso avrebbe dovuto emergere il ruolo del ricorrente, in assunto (secondo l’accusa) contatto con essi.
Si assume che alcune conversazioni dimostrerebbero l’estraneità al sodalizio del COGNOME, ovvero che il predetto agisse in piena autonomia nell’attività di spaccio di droga (tanto da aver cercato canali più convenienti e suscitato lamentele dei vertici) o che, comunque, non fosse elemento da tenere in considerazione (parte ricorrente menziona l’intercettazione del 12 gennaio 2023, tra il COGNOME e il COGNOME, in cui il COGNOME avrebbe sminuito il ruolo del COGNOME, affermando la propria autorità).
Si contesta la valorizzazione di un incontro programmato, ma mai avvenuto
(il 20 gennaio 2023) e l’assenza di riscontri oggettivi, concludendo che mancherebbe -in definitiva -la prova dell ‘ affectio societatis del ricorrente.
3.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’aggravante di cui all’art. 416bis .1, comma 1, cod. pen., la cui gravità indiziaria sarebbe stata desunta sulla base di una illogica motivazione.
In particolare, parte ricorrente lamenta che l’affermazione sul versamento del contributo di 500,00 euro al sodalizio (per ottenerne l’autorizzazione allo spaccio di droga) derivi da una conversazione in cui si parla genericamente di un ‘NOMENOME, senza alcun riscontro oggettivo che si tratti proprio del COGNOME.
Si assume che il provvedimento impugnato abbia omesso di motivare in ordine alla sussistenza del dolo specifico di agevolazione dell’associazione mafiosa, elemento indispensabile per la configurabilità della circostanza, e si richiama la giurisprudenza relativa agli elementi che integrano l’aggravante de qua .
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è in parte infondato, in altra parte radicalmente inammissibile, chiedendo, nella sostanza, una rivalutazione del giudizio di merito.
1.1. La censura con cui si deduce la nullità per motivazione apparente è certamente infondata.
Secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, la motivazione dell’ordinanza cautelare può essere redatta per relationem richiamando il contenuto dell’istanza del Pubblico Ministero, a condizione che il giudice dia conto di avere preso cognizione delle risultanze investigative e ne esponga, anche sinteticamente, la propria valutazione, mostrando di aver tenuto conto -ove vi siano -anche delle deduzioni difensive (Sez. 6, n. 57529 del 29/11/2017, Desiderato, Rv. 272205-01; Sez. 3, n. 2257 del 18/10/2016, dep. 2017, P.m. in proc. Burani, Rv. 268800-01).
In generale, la dichiarazione di nullità va limitata ai casi in cui la motivazione manchi del tutto o si risolva in clausole di stile tali da impedire di individuare la ratio decidendi (Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216664-01; Sez. 2, n. 55199 del 29/05/2018, Rv. 274252-01; Sez. 6, n. 53420 del 04/11/2014, Rv. 261839-01): in altri termini, quando vi sia un acritico rimando ad altra motivazione, senza che emergano le ragioni per cui le tesi difensive contrapposte non siano state accolte e, dunque, la motivazione del primo giudice manchi del tutto.
Anzi, è stato ribadito, pur dopo le modifiche apportate dalla legge 16 aprile 2015, n. 47 all’art. 309, comma 9, cod. proc. pen., il potere-dovere del Tribunale,
quale giudice del riesame, di integrare le insufficienze motivazionali del provvedimento impugnato, salvo i casi di motivazione mancante sotto il profilo grafico o del tutto apparente, quale quella in cui il primo giudice si sia limitato ad una sterile rassegna delle fonti di prova a carico dell’indagato, in assenza di qualsiasi riferimento contenutistico e di enucleazione degli specifici elementi indizianti (così Sez. 5, n. 643 del 06/12/2017, dep. 2018, Pohl, Rv. 271925-01 e Sez. 3, n. 19700 del 06/02/2018, Rv. 272875-01, la quale, ad esempio, ha ritenuto che in sede di riesame possa integrarsi la motivazione in ordine alle esigenze cautelari di particolare rilevanza di cui al comma quarto dell’art. 275 cod. proc. pen., trattandosi di una insufficienza incidente solo sulla scelta della misura, non sull’ an , non rientrante nel divieto di cui all’art. 309, comma 9, cod. proc. pen.).
In definitiva, la dichiarazione di nullità presuppone l’assoluta mancanza di autonoma valutazione nel provvedimento impugnato, che non ricorre, nella specie, per quanto già evidenziato nel provvedimento impugnato e di seguito ulteriormente precisato.
1.2. Va, tuttavia, preliminarmente ribadito che, ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., è possibile, in questa sede, esaminare il rapporto tra motivazione e decisione, non certo tra prove e decisione, essendo la valutazione del compendio probatorio riservata al giudice di merito: non potendosi, dunque, chiedere l’adesione a un’ipotesi alternativa, ancorché plausibile come quella sposata nel provvedimento impugnato. Sono, pertanto, ammissibili solo censure per omissioni motivazionali, contraddizioni o illogicità manifeste e decisive: laddove, cioè, la ricostruzione proposta dal ricorrente sia inconfutabile e l’unica plausibile (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944-01; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205621-01; Sez. 1, n. 45331 del 17/02/2023, Rv. 285504-01; Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, Rv. 278609-01), e non rappresenti solo un’ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza (Sez. 6, n. 2972 del 04/12/2020, dep. 2021, Rv. 280589-02).
Anche il travisamento della prova -la valorizzazione di un dato inesistente o l’omessa valutazione di uno esistente, in quanto il relativo contenuto testuale (“significante”), e non la sua interpretazione (“significato”), sia erroneamente riportato -può essere oggetto di valutazione in questa sede solo se comprometta in modo decisivo la tenuta logica della motivazione (Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, Rv. 281085-01; Sez. 3, n. 2039 del 02/02/2018, dep. 2019, Rv. 274816-07; Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Rv. 249035-01).
La deduzione di vizi motivazionali asseritamente decisivi è, poi, radicalmente inammissibile, per genericità, ove si alleghino stralci di prove, non trascritte o allegate per intero o almeno indicate nella loro collocazione all’interno del fascicolo,
non potendo la Corte, per il principio di autosufficienza del ricorso, accedere all’integrale lettura degli atti processuali per individuare il tenore di quelli richiamati in ricorso (Sez. 4, n. 3937 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 280384-01; Sez. 2, Sentenza n. 20677 del 11/04/2017, COGNOME, Rv. 270071-01; Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263601-01).
A pena di inammissibilità, parte ricorrente deve, dunque: a) trascrivere, allegare o indicare l’atto processuale cui fa riferimento; b) individuare, al suo interno, il dato probatorio di interesse, dare la prova della sua certa verità e spiegare perché sia radicalmente incompatibile con il provvedimento impugnato e ne comprometta, in modo decisivo, la tenuta logica (Sez. 3, n. 2039 del 02/02/2018, dep. 2019, Rv. 274816-07; Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, Rv. 281085-01; Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Rv. 249035-01).
Per l’affermazione di siffatti principi, anche in materia cautelare, si vedano Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Rv. 215828-01, Sez. 3, n. 7268 del 24/01/2019, Rv. 275851-01 e Sez. 2, n. 9212 del 02/02/2017, Rv. 269438-01, circa l’incensurabilità della valutaz ione della gravità indiziaria, nonché Sez. 3, n. 7268 del 24/01/2019, Rv. 275851-01 e Sez. 6, n. 17314 del 20/04/2011, Rv. 25009301, circa l’incensurabilità della valutazione delle esigenze cautelari e sulla adeguatezza della misura.
Ed ancora, va chiarito che il contenuto di intercettazioni, da cui emergano chiari (e credibili) elementi d’accusa nei confronti di un terzo soggetto, può costituire fonte probatoria diretta ed esclusiva della colpevolezza di questi o avere natura indiziaria (richiedendo, in tal caso, i requisiti di gravità, precisione e concordanza, in conformità del disposto dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen.), senza che abbisogni di riscontri ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., fatto salvo l’obbligo del giudice di valutare il significato delle conversazioni intercettate secondo criteri di linearità logica (Sez. 3, n. 10683 del 07/11/2023, dep. 2024, Rv. 286150-04; Sez. 5, n. 40061 del 12/07/2019, Rv. 278314-02; Sez. 5, n. 27569 del 08/04/2025, non massimata).
Inoltre, l’interpretazione del linguaggio usato nelle intercettazioni costituisce questione di fatto, sindacabile soltanto nei limiti della manifesta illogicità o del travisamento della prova, cioè dell’indicazione di un contenuto diverso da quello reale, che sia anche decisivo. Come già affermato, infatti, in sede di legittimità è possibile prospettare un’interpretazione del significato di un’intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza di travisamento della prova, ossia nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, dep. 2018, Rv. 272558-01).
1.3. Nel caso di specie, la generica indicazione di meri stralci di prove non consente, in radice, alcuna valutazione di fondatezza del vizio dedotto.
Tanto più, poi, che, con motivazione in sé esente da vizi, i giudici di merito sono concordi nell’affermare il ruolo attivo all’interno del sodalizio RAGIONE_SOCIALE, desumendo la sua partecipazione ad esso da una serie di elementi convergenti.
1.4. Invero, il Giudice per le indagini preliminari ha valorizzato principalmente alcune intercettazioni ambientali in cui soggetti terzi parlavano del COGNOME, identificandolo come dedito all’organizzazione dell’attività di spaccio di droga all’interno del sodalizio, occupandosi stabilmente del suo acquisto, venendo autorizzato a farlo da soggetti diversi da quelli indicati dai vertici del sodalizio, infine, intrattenendo rapporti illeciti con altri sodali, tra cui COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Un elemento centrale -rimarcato già dal Giudice per le indagini preliminari -è che il COGNOME avrebbe ottenuto dai capi dell’associazione (in particolare da NOME COGNOME) l’autorizzazione a rifornirsi di sostanza stupefacente da soggetti diversi da quelli all’uopo in precedenza indicati dal vertice associativo. Questa circostanza, lungi dal dimostrare la sua autonomia (come vorrebbe -con inammissibile rilettura del dato -parte ricorrente), è stata congruamente interpretata dal Giudice per le indagini preliminari come prova del suo legame con il sodalizio e i suoi vertici: poiché una simile deroga non poteva che essere concessa a un affiliato di fiducia.
L’ordinanza genetica ha evidenziato , ancora, gli stabili rapporti illeciti del ricorrente con altri membri del gruppo, in particolare con COGNOME NOME e COGNOME NOME, e la circostanza (emersa da alcune conversazioni del luglio 2021, precisamente del 7 e 8 luglio 2021, cui avevano preso parte anche COGNOME, COGNOME e NOME ) secondo cui v’era un controllo capillare del clan sul mercato della droga a Carini, nel quale era coinvolto il ricorrente (pagine 231 e seguenti dell’ordinanza di custod ia cautelare in carcere), ivi menzionato espressamente anche per cognome (pagina 234). Anzi, la stessa ordinanza genetica evidenzia che, contrariamente a quanto ipotizzato in un primo momento dagli inquirenti (circa l’allontanamento del COGNOME dal sodalizio), questi era collocato al suo interno e, come detto, con la supervisione del COGNOMECOGNOME si era attivato per aprire nuovi canali di approvvigionamento più convenienti.
Il Giudice per le indagini preliminari menziona pure -sempre in modo logico -un’ulteriore intercettazione, del 12 gennaio 2023 (pagine 258 e seguenti), in cui COGNOME riferisce al NOME di un pagamento di 500,00 euro che il COGNOME gli aveva fatto (p. 260 ordinanza genetica).
Un’altra conversazione del 3 gennaio 2023 tra COGNOME e COGNOME
confermava -a dire dell’ordinanza genetica (pagine 252 -256) – che l’iniziativa del COGNOME (che ivi viene indicato indifferentemente per cognome o anche solo per nome) di rivolgersi ad altri fornitori era nota, e che il COGNOME fosse inizialmente contrario, anche perché l’abbandono dei vecchi canali di rifornimento era, a suo dire, rischioso, rendendo l’organizzazione dello spaccio più facilmente individuabile dalle Forze dell’ordine (‘tutti in galera andiamo a finire’, ave va detto il COGNOME).
In sintesi, il Giudice per le indagini preliminari, lungi dall’operare un mero richiamo agli atti di indagine, ha ritenuto che la condotta del COGNOME, sebbene talvolta non gradita, proprio per questo doveva ritenersi pienamente inserita nelle dinamiche del sodalizio, dal quale dipendeva e a cui riconosceva emolumenti di supporto, dimostrando così la sua stabile partecipazione. Tale valutazione, neppure totalmente coincidente con quella degli organi inquirenti (come detto, la stessa ordinanza genetica evidenzia che, contrariamente a quanto ipotizzato dagli investigatori, non era emersa l’ iniziale volontà di allontanamento del COGNOME dal sodalizio), non sarebbe stata, in ogni caso, sol per questo, mancante.
Correttamente, dunque, il Tribunale collegiale ha poi concluso nel senso che l’ordinanza genetica, pur adottando la tecnica del rinvio per relationem all’informativa di reato e alla richiesta del Pubblico Ministero, aveva proceduto a una personale disamina critica degli elementi investigativi.
1.5. Né la motivazione del Tribunale, in funzione di giudice del riesame, può poi, ritenersi manifestamente illogica, contraddittoria o meramente apparente.
In aderenza alle affermazioni del Giudice per le indagini preliminari, per il detto giudice del riesame la partecipazione al sodalizio del COGNOME si desumeva dai seguenti elementi:
-nel luglio 2021, il COGNOME era citato espressamente per cognome in alcune conversazioni relative al traffico di droga che vedevano intercettati COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME, in un contesto di riorganizzazione dello spaccio di stupefacenti a Carini, in cui viene menzionato come una “pedina da spostare nello scacchiere delle piazze di spaccio” a seguito dell’allontanamento di un altro spacciatore, mentre il COGNOME si impegnava a parlargli di questo nuovo assetto (pagina 15 ordinanza riesame, riprendendo l’ordinanza genetica alle pagine 234 -235);
-a oltre un anno di distanza, il COGNOME (anche in questo caso indicato talvolta per cognome) continuava a operare nel mercato carinese in sinergia con il NOME, tanto che, dalle intercettazioni del 3 e 12 gennaio 2023, era emerso il suo intento di rivolgersi a fornitori di droga
diversi e più convenienti rispetto a quelli indicati dal sodalizio mafioso, autorizzato dal COGNOME tramite l’intermediazione del COGNOME.
Sulla base di tali dati, il giudice del riesame ha ritenuto corretto confermare l’inserimento del COGNOME in modo stabile e consapevole nell’organizzazione criminale per il traffico di stupefacenti, di cui conosceva l’articolazione e accettava le regole, tanto che, come detto, nelle captazioni del gennaio 2023 emergeva la sua consapevolezza di dover ottenere l’autorizzazione dei vertici mafiosi (e, in particolare, del COGNOME) per rifornirsi da soggetti diversi da quelli in origine aventi detto ruolo e da aver provveduto al versamento di denaro (500,00 euro) a suo favore (come dedotto dal COGNOME).
Tali elementi, coordinati tra loro, sono stati ritenuti indicativi di una affectio societatis e di una non occasionale adesione al sodalizio criminoso e alle sue sorti, con l’immanente coscienza e volontà dell’autore di farne parte e di contribuire al suo illecito sviluppo (in conformità alla giurisprudenza di questa Corte: Sez. 6, n. 44102 del 21/10/2008, Cannizzo, Rv. 242397-01): valutazione che non può dirsi affetta da vizi motivazionali.
In definitiva, questa parte della censura difensiva sollecita, nella sostanza, una diversa lettura del compendio indiziario, inammissibilmente basata -come detto -su stralci di prove, riportate in ricorso, comunque inibita in sede di legittimità.
1.6. Da quanto precede, risulta inammissibile, per il duplice ordine di ragioni richiamato, anche il tentativo di parte ricorrente di far dubitare che il ‘NOME‘ indicato nelle intercettazioni fosse proprio l’odierno ricorrente.
Si tratta, ancora una volta, di un apprezzamento di fatto adeguatamente motivato sulla base dei dati richiamati.
Ed invero, il provvedimento impugnato evidenzia che nella conversazione del 7 luglio 2021, il COGNOME viene esplicitamente menzionato come una “pedina da spostare nello scacchiere delle piazze di spaccio di Carini”. In particolare, nella trascrizione a pagina 233 e 234 dell’ordinanza (e riportata dal Riesame), NOME afferma: “con COGNOME ci posso parlare io”. Questo dialogo, come detto, si inserisce nel contesto di un riordino dello spaccio di stupefacenti a Carini e dell’allontanamento di un altro spacciatore, sicché il NOME si impegnava a parlare col COGNOME di questo nuovo assetto. Nella conversazione del 3 gennaio 2023, in un colloquio tra il COGNOME ed il COGNOME, quest’ultimo riferiva che l’idea di rivolgersi a nuovi canali di rifornimento di droga fosse comune al COGNOME ed al COGNOME, menzionando quest’ultimo espressamente per cognome.
Infine, sebbene nella conversazione del 12 gennaio 2023 si parlasse genericamente di “NOMENOME, il Tribunale collegiale ha ritenuto che questi fosse
proprio il COGNOME, considerandone il tenore, atteso che in essa si evidenziava la richiesta del COGNOME (fatta, evidentemente, anche per conto di altri, parlando egli al plurale: ‘allora possiamo andare noi?’, ‘NOME‘… tu mi stai dicendo a me a posto… possiamo andare’) di rifornirsi da canali diversi da quello palermitano sin lì utilizzato, considerato che era emersa, in precedenza, la ferma richiesta del COGNOME in tal senso. Considerazione, anche questa, del tutto logica.
1.7. Il mancato incontro del 20/1/2023 non ha, poi, alcun rilievo decisivo. L’ordinanza non fonda su quell’episodio l’esistenza del vincolo, come detto: laddove, poi, la stessa difesa ammette (a p. 6 del ricorso in esame) che l’incontro non si svolse per ragioni di salute, dato neutro rispetto alle dette restanti circostanze.
1.8. Né, infine, ha alcun rilievo la circostanza che gran parte degli elementi d’accusa emergano da conversazioni tra terze persone , in ragione della giurisprudenza sopra richiamata.
Quanto al secondo motivo, va detto anzitutto che l’aggravante di cui all’art. 416 -bis .1 cod. pen., nelle due differenti forme dell’impiego del metodo mafioso nella commissione del reato e della finalità di agevolare, con il delitto posto in essere, l’attività dell’associazione per delinquere di stampo mafioso, è configurabile anche con riferimento al reato associativo di cui all’art. 74 del D.P.R. n. 309 del 1990 (Sez. 6, n. 9956 del 17/06/2016, dep. 2017, Accurso, Rv. 26971501; Sez. 1, n. 45335 del 14/07/2023, COGNOME, Rv. 285719-02).
In secondo luogo, si sono già dette le ragioni per le quali, correttamente, i giudici di merito hanno individuato nel ‘NOME‘ di cui si parlava con riferimento al versamento di 500,00 euro e al mutamento dei fornitori della droga, l’odierno ricorrente.
Quanto ai principi di giurisprudenza genericamente invocati da parte ricorrente, si conferma come questa Corte abbia più volte chiarito che, ai fini dell’integrazione dell’aggravante della finalità di agevolazione mafiosa, è necessario il dolo specifico, consistente nella consapevolezza dell’agente che la propria condotta contribuisce a conservare o rafforzare l’associazione mafiosa e tale consapevolezza può essere desunta da elementi di fatto obiettivi e sintomatici (Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278734-01).
Nel caso di specie, il Tribunale -con valutazione che non risulta altrimenti censurata -ha, in ogni caso, logicamente desunto il dolo specifico dalla consapevolezza del COGNOME di operare alle direttive del COGNOME NOME e del COGNOME NOME, già definitivamente condannati per il delitto di associazione di tipo mafioso, e di dover contribuire economicamente al sostentamento della
consorteria, tanto da aver versato ad essa la somma di 500,00 euro (come desunto dal richiamato colloquio tra il COGNOME e il COGNOME).
Si tratta di elementi gravemente indiziari, idonei a desumere la finalità agevolatrice del sodalizio mafioso nel cui ambito si operava lo spaccio.
A tal fine, il giudice del riesame ha opportunamente richiamato anche le modalità di gestione delle piazze di spaccio, mediante autorizzazioni, la detta imposizione di tributi agli spacciatori e le punizioni per chi (come NOME) non rispettava le regole e non versava il dovuto al sodalizio, che vedeva ai suoi vertici, come detto, soggetti già condannati per associazione di stampo mafioso.
Tali elementi -come evidenziato, in realtà non contestati col motivo di ricorso in esame -sono certamente idonei a configurare i gravi indizi della sussistenza della detta agevolazione della consorteria mafiosa.
La motivazione sul punto, pertanto, non è né illogica, né apparente, ma si fonda su un’analisi razionale e coerente degli elementi indiziari acquisiti, conforme ai principi di diritto richiamati dallo stesso ricorrente.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. , alla declaratoria di rigetto, segue la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Trattandosi di provvedimento da cui non consegue la rimessione in libertà del detenuto, una sua copia va trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario perché provveda a quanto stabilito dal comma 1bis dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen. (ai sensi del comma 1ter del medesimo articolo).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così è deciso, 29/09/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME