Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 22260 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 22260 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Bari il 31/07/1969
avverso l’ordinanza emessa il 23/10/2023 dal Tribunale del riesame di Bari
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
L’individuazione del ricorrente si riteneva ulteriormente corroborata dall’annotazione di servizio redatta il 10 settembre 2022, alle ore 14, a distanza di meno di un’ora dall’agguato mafioso, con cui si dava atto che il ricorrente si era presentato presso la Stazione dei Carabinieri di Valenzano, ubicata in INDIRIZZO dove adempiva ai suoi obblighi di sorvegliato speciale, con un abbigliamento analogo a quello descritto dai coniugi COGNOME, tra l’altro costituito da una maglietta bianca con delle scritte colorate stampate o comunque apposte sopra di essa.
In questa cornice, si riteneva corretta la qualificazione giuridica dei fatti reato contestati a COGNOME e il riconoscimento dell’aggravante mafiosa, ascrittagli ex art. 416-bis.1 cod. pen., che derivava dalle modalità, che presentavano connotazioni tipicamente belliche, con cui era stato eseguito l’agguato in danno del soggetto non ancora identificato, in conseguenza del quale era stato ferito NOME COGNOME; agguato verificatosi, all’ora di pranzo, per le strade del centro barese e con . l’inseguimento dell’obiettivo dell’attentato da parte del ricorrente.
Si ritenevano, infine, sussistenti le esigenze cautelari indispensabili al mantenimento del regime detentivo carcerario patito da NOME COGNOME, rilevanti ai sensi dell’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., per effetto dell’elevato disvalore dei comportamenti criminosi contestati al ricorrente e della loro riconducibilità a un più vasto ambito delinquenziale, collegato all’ambiente della criminalità organizzata barese, nel cui contesto l’attentato, proprio alla luce dell richiamate connotazioni belliche, era stato eseguito.
Avverso questa ordinanza NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME ricorreva per cassazione, articolando due censure difensive.
Con il primo motivo si deduceva la violazione di legge dell’ordinanza impugnata, conseguente al fatto che l’individuazione fotografica di NOME COGNOME svolta da NOME COGNOME ritenuta decisiva per il riconoscimento dell’indagato, era caratterizzata da incongruità identificative tali da rendere priv di valenza indiziaria l’atto processuale, non avendo la persona offesa identificato con certezza il ricorrente nel sicario che aveva esploso i colpi di pistola che lo avevano ferito accidentalmente, essendosi, al contrario, limitata a parlare di una generica somiglianza. Ne conseguiva che le indicazioni fornite da COGNOME alle Forze dell’ordine, per le connotazioni di incertezza che le caratterizzavano, erano intrinsecamente inidonee a consentire l’identificazione del ricorrente quale autore dell’attentato mafioso in esame.
Con il secondo motivo si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, conseguenti al fatto che il Tribunale del
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riesame di Bari, a fronte delle specifiche censure difensive, non si era soffermato in termini congrui sulla sussistenza degli elementi costitutivi dell’aggravante mafiosa contestata a NOME COGNOME, ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen., non risultando provato, che i comportamenti criminosi del ricorrente, quand’anche si ritenessero dimostrati, fossero collegati, direttamente o indirettamente, alla sfera di operatività di un’organizzazione mafiosa, peraltro nemmeno compiutamente identificata.
Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso proposto da NOME COGNOME è infondato.
2. Deve ritenersi infondato il primo motivo di ricorso, con cui si deduceva la violazione di legge dell’ordinanza impugnata, conseguente al fatto che l’individuazione fotografica di NOME COGNOME svolta da NOME COGNOME era caratterizzato da incongruità identificative tali da rendere privo di valenza indiziaria l’atto processuale, non avendo la persona offesa identificato in termini certi il ricorrente nell’attentatore che aveva esploso i colpi di pistola che avevano ferito accidentalmente, essendosi limitata a parlare di una generica somiglianza.
Occorre premettere che il compendio probatorio acquisito nel corso delle indagini preliminari nei confronti di NOME COGNOME in relazione al tentato omicidio di NOME COGNOME, si caratterizza per le sue connotazioni indiziarie, alla stregua delle quali occorre valutare i temi censori introdotti dalla difesa de ricorrente. Ne consegue che, nel caso in esame, assume rilievo decisivo il procedimento logico attraverso cui da talune premesse si era giunti ad affermare l’esistenza di ulteriori fatti alla stregua di canoni di probabilità e nel rispetto regole di comune esperienza.
Tali affermazioni impongono una valutazione del compendio probatorio acquisito nei confronti di COGNOME nel rispetto dei principi sul processo indiziario, per inquadrare i quali occorre richiamare l’orientamento ermeneutico consolidato in seno alla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in queste ipotesi, il giudic cautelare deve compiere una duplice operazione, atteso che, dapprima, gli è fatto obbligo di procedere alla valutazione dell’elemento indiziario singolarmente considerato, per stabilire se presenti o meno il requisito della precisione e per vagliarne l’attitudine dimostrativa; successivamente, occorre procedere a un esame complessivo degli elementi indiziari acquisiti (Sez. 1, n. 26455 del
26/3/2013, COGNOME, Rv. 255677 – 01; Sez. 1, n. 13671 del 26/11/1998, COGNOME, Rv. 212026 – 01), allo scopo di appurare se i margini di ambiguità, correlati a ciascuno di essi, possano essere superati in una visione unitaria, in modo da consentire l’attribuzione del fatto illecito all’indagato, pur in assenza di pro dirette, sulla base di un complesso di dati, che saldandosi logicamente, conducano necessariamente a un giudizio di gravità indiziaria (Sez. 2, n. 2548 del 19/12/2014, COGNOME, Rv. 262280 – 01; Sez. 1, n. 30448 del 19/06/2010, COGNOME, Rv. 248384 – 01).
Né potrebbe essere diversamente, atteso che, secondo quanto affermato da questa Corte in tema di valutazione della prova indiziaria, il giudice cautelare non può «limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi, né procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma deve, preliminarmente, valutare i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza e l’intrin valenza dimostrativa e, successivamente, procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la relativa ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato con un alto grado di credibilità razionale, sussistente anc qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana» (Sez. 1, n. 20461 del 12/04/2016, COGNOME, Rv. 266941 – 01).
2.1. In questa cornice ermeneutica, l’assunto difensivo appare smentito dalle emergenze indiziarie, atteso che l’individuazione fotografica effettuata da NOME COGNOME che effettivamente presentava connotazioni di ambiguità, non veniva valutata isolatamente, ma nel contesto degli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari, univocamente convergenti nei confronti del ricorrente.
Si consideri, in proposito, che all’identificazione di NOME COGNOME si giungeva attraverso un percorso investigativo articolato, che muoveva dalle dichiarazioni dei coniugi COGNOME, che, nell’immediatezza dei fatti, fornivano gl ultimi tre numeri della targa dell’autovettura Lancia Musa, che componevano la sequenza numerica 849, che consentivano di individuare il veicolo utilizzato dall’attentatore, grazie alle immagini del sistema di videosorveglianza installato nei pressi del luogo del delitto – la INDIRIZZO Valenzano -, che riprendeva il passaggio di un veicolo, recante la targa TARGA_VEICOLO della stessa tipologia di quella descritta dai predetti coniugi.
Le telecamere, in particolare, subito dopo l’agguato riprendevano il mezzo dirigersi da INDIRIZZO a INDIRIZZO fino a giungere in INDIRIZZO che è una strada molto vicina all’abitazione del ricorrente, dove il veicolo veniva
parcheggiato. Dopo trentatré minuti, le telecamere riprendevano il veicolo percorrere, a ritroso, la INDIRIZZO, il INDIRIZZO, la INDIRIZZO e la INDIRIZZO, dove il mezzo veniva parcheggiato davanti alla Stazione dei Carabinieri, all’interno della quale COGNOME si tratteneva per alcuni minuti.
L’autovettura Lancia Musa, individuata con le descritte modalità, a sua volta, risultava intestato al fratello dell’indagato, NOME COGNOME che, assunto a sommarie informazioni, riferiva che il veicolo era abitualmente utilizzato dal congiunto per recarsi sul luogo di lavoro, dove veniva accompagnato da altri soggetti; accompagnamento necessitato dal fatto che il ricorrente era sprovvisto di patente di guida.
In questo contesto, devono essere inserite le dichiarazioni rese da NOME COGNOME di cui si impone berla contestualizzazione con il compendio indiziario, atteso che la vittima descriveva l’attentatore come un uomo dell’approssimativa età di 45-50 anni, che indossava una maglietta bianca con delle scritte colorate stampigliate, che riteneva somigliante all’indagato, del quale venivano esibite alcune riproduzioni fotografiche.
Tale descrizione, a sua volta, si riteneva confermata dall’annotazione di servizio redatta il 10 settembre 2022, alle ore 14, dai Carabinieri della Stazione di Valenzano, a distanza di meno di un’ora dall’agguato, nella quale si dava atto che il ricorrente si era presentato presso l’uffizio di polizia per adempiere ai suo obblighi di sorvegliato speciale, con un abbigliamento analogo a quello descritto da NOME COGNOME, costituito da una maglietta bianca con delle scritte colorate stampigliate o comunque apposte sopra di essa.
Nel caso di specie, dunque, si imponeva una lettura unitaria e omogenea del compendio indiziario acquisito nel corso delle indagini preliminari nei confronti di NOME COGNOME, compiendo un’operazione di ermeneutica processuale di segno esattamente inverso a quella – tendente alla valutazione atomistica e frazionata degli indizi posti a fondamento dell’ordinanza cautelare genetica emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari il 27 settembre 2019 prospettata dalla difesa della ricorrente.
Queste conclusioni, del resto, si impongono alla luce del risalente arresto delle Sezioni Unite, che occorre ribadire ulteriormente, secondo cui: «L’indizio è un fatto certo dal quale, per interferenza logica basata su regole di esperienza consolidate ed affidabili, si perviene alla dimostrazione del fatto incerto da provare secondo lo schema del cosiddetto sillogismo giudiziario. È possibile che da un fatto accertato sia logicamente desumibile una sola conseguenza, ma di norma il fatto indiziante è significativo di una pluralità di fatti non noti ed in caso può pervenirsi al superamento della relativa ambiguità indicativa dei singoli indizi applicando la regola metodologica fissata nell’art. 192, comma secondo,
cod. proc. pen. Peraltro l’apprezzamento unitario degli indizi per la verifica della confluenza verso un’univocità indicativa che dia la certezza logica dell’esistenza del fatto da provare, costituisce un’operazione logica che presuppone la previa valutazione di ciascuno singolarmente, onde saggiarne la valenza qualitative individuale. Acquisita la valenza indicativa sia pure di portata possibilistica non univoca – di ciascun indizio deve allora passarsi al momento metodologico successivo dell’esame globale ed unitario, attraverso il quale la relativa ambiguità indicativa di ciascun elemento probatorio può risolversi, perché nella valutazione complessiva ciascun indizio si somma e si integra con gli altri, di tal che l’insieme può assumere quel pregnante ed univoco significato dimostrativo che consente di ritenere conseguita la prova logica del fatto; prova logica che non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto alla prova diretta (o storica), quando sia conseguita con la rigorosità metodologica che giustifica e sostanzia il principio del cosiddetto libero convincimento del giudice» (Sez. U. n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, Rv. 19123C) – 01).
2.2. Le considerazioni esposte di ribadire l’infondatezza del primo motivo di ricorso.
Parimenti infondato deve ritenersi il secondo motivo di ricorso, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, conseguenti al fatto che il Tribunale del riesame di Bari, a fronte delle specifiche censure difensive, non si era soffermato in termini congrui sulla sussistenza degli elementi costitutivi dell’aggravante mafiosa contestata a NOME COGNOME, ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen., non risultando dimostrato che i comportamenti criminosi del ricorrente, quand’anche si ritenessero provati, sul piano indiziario, fossero collegati, direttamente o indirettamente, alla sfera di operatività di un’organizzazione mafiosa, peraltro nemmeno compiutamente identificata.
Osserva il Collegio che il Tribunale del riesame di Bari riteneva corretta · la qualificazione giuridica dei fatti di reato contestati a NOME COGNOME e i riconoscimento dell’aggravante mafiosa di cui all’art. 416-bis cod. pen., che derivava dalle modalità, che presentavano connotazioni tipicamente belliche, con era stato eseguito in danno del soggetto non ancora identificato, in conseguenza del quale era stato ferito NOME COGNOME.
Queste conclusioni, secondo quanto correttamente affermato dal Tribunale del riesame di Bari a pagina undici dell’ordinanza impugnata, discendevano dal contesto, tipicamente mafioso, nel quale l’agguato oggetto di vaglio si concretizzava, avendo agito COGNOME «a bordo un veicolo di media cilindrata, a
volto scoperto, in pieno giorno, in una strada di un quartiere affollato, con assoluta incuranza di porre in pericolo la vita altrui ».
Questi, incontroversi, elementi indiziari devono ritenersi idonei a fare ritenere sussistente l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., essendo evidente che le modalità con cui veniva eseguito l’attentato controverso nel centro cittadino di Valenzano, appaiono evidentemente riconducibili a una metodologia tipica delle organizzazioni mafiose, come rilevato dal Tribunale del riesame di Bari, nei termini che si sono richiamati. A conferma della correttezza del riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 7 decreto-legge n. 152 del 1991, così come sussunta nell’art. 416-bis.1 cod. pen., non si può che richiamare la giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui: «Ai fini della configurabilità della circostanza aggravante prevista dall’art. 7 del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, conv. in L. 12 luglio 1991, n. 203, è necessario accertare e porre in evidenza sia i concreti tratti esteriori del comportamento criminoso dell’agente, che devono essere connotati dall’efficacia intimidatrice e dalla forza di pressione tipiche degli assetti organizzativi mafiosi; sia anche la diretta incidenza agevolatrice di tale comportamento sulle attività proprie del sodalizio criminale, tanto da risultare oggettivamente funzionale a queste ultime» (Sez. 6, n. 8674 del 24/01/2014, COGNOME, Rv. 258808 – 01; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 5, n. 44903 del 13709/2017, COGNOME, Rv. 271062 – 01).
Né potrebbe essere diversamente, atteso che l’aggravante del metodo mafioso di cui all’art. 7 decreto-legge n. 152 del 1991, correttamente riconosciuta dal Tribunale del riesame di Bari, si connota per le modalità con cui il delitto viene eseguito, atteso che tale circostanza «nella forma dell’aver commesso il fatto avvalendosi del cd. “metodo mafioso”, è configurabile nel caso di condotte che presentano un nesso eziologico immediato rispetto all’azione criminosa, in quanto logicamente funzionali alla più pronta e agevole perpetrazione del crimine, non essendo pertanto integrata dalla sola connotazione mafiosa dell’azione o dalla mera ostentazione, evidente e provocatoria, dei comportamenti di tale organizzazione» (Sez. 1, n. 26399 del 28/02/2018, Barba, Rv. 273365 – 01).
Queste ragioni impongono di ribadire l’infondatezza del secondo motivo di ricorso.
Le considerazioni esposte impongono conclusivamente il rigetto del ricorso proposto da NOME COGNOME con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
RITENUTO IN FATTO
Con provvedimento del 23 ottobre 2023 il Tribunale del riesame di Bari confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari nei confronti di NOME COGNOME il 27 settembre 2019, in relazione all’agguato mafioso posto in essere nei confronti di un soggetto non identificato il 9 ottobre 2022, nel corso del quale veniva ferito accidentalmente NOME COGNOME
I fatti di reato, verificatisi a Valenzano, in INDIRIZZO intorno alle 13.25 del 9 ottobre 2022, nei pressi del circolo privato denominato “RAGIONE_SOCIALE” all’epoca dei fatti e attualmente denominato “Dal Divino by Maradona”, gestito da NOME COGNOME, venivano ricostruiti grazie alle dichiarazioni rese da NOME COGNOME e dalla moglie, NOME COGNOME che, come detto, venivano coinvolti nell’agguato accidentalmente, mentre si trovavano a bordo dell’autovettura Audi TARGA_VEICOLO, targata TARGA_VEICOLO, su cui viaggiavano, che era posizionata dietro l’autovettura Lancia Musa, da cui scendeva il sicario per sparare contro l’obiettivo dell’attentato, allo stato, rimas privo di identificazione. Dopo essere sceso dall’autovettura Audi A4, in particolare, il sicario esplodeva tre colpi di una pistola calibro 7.65, uno dei qua attingeva NOME COGNOME nella regione temporale sinistra, costringendo la vittima, in compagnia della moglie, a recarsi presso l’Ospedale “Di Venere” di Bari Carbonara, dove le veniva estratto un frammento di ogiva dall’area corporale attinta da uno degli spari del ricorrente.
Sentiti nell’immediatezza dei fatti, i coniugi COGNOME fornivano tre numeri della targa dell’autovettura Lancia Musa, sopra citata, componenti la sequenza numerica 849, che consentivano di individuare il mezzo utilizzato dal sicario, attraverso le immagini del sistema di videosorveglianza installato nei pressi del luogo del delitto, che riprendeva il passaggio di un veicolo, recante la targa TARGA_VEICOLO, della tipologia indicata dai già menzionati consorti. Il mezzo, infatti, risultava intestato al fratello dell’indagato, NOME COGNOME pur essendo, come riferito dallo stesso intestatario, abitualmente utilizzato dal congiunto per recars sul luogo di lavoro, accompagnato da altri soggetti, essendo il ricorrente sprovvisto di patente di guida.
Deve, al contempo, evidenziarsi che NOME COGNOME descriveva l’attentatore come un uomo dell’approssimativa età di 45-50 anni, che indossava una maglietta bianca con delle scritte colorate stampigliate, che riteneva somigliante all’indagato, del quale venivano fatte vedere alcune immagini fotografiche.
Consegue a tali statuizioni processuali, a cura della cancelleria, la trasmissione di copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai
1
sensi dell’art. 94, comma
-ter, disp. att., cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
1 -ter
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma cod. proc. pen.
Così deciso il 17 aprile 2024.