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Aggravante mafiosa: la presunzione cautelare regge

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un indagato contro l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per reati di armi aggravati da finalità mafiosa. La difesa sosteneva che il lavoro svolto nel Nord Italia e il tempo trascorso avessero attenuato le esigenze cautelari. La Corte ha ribadito la validità della ‘doppia presunzione cautelare’ prevista per questi reati, secondo cui il carcere è la misura adeguata a meno che non si dimostri una rescissione definitiva dei legami con l’ambiente criminale, prova che nel caso di specie non è stata fornita.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Aggravante Mafiosa e Presunzione Cautelare: Quando il Carcere è Inevitabile

La recente sentenza della Corte di Cassazione, numero 19951 del 2024, riafferma un principio cardine nella lotta alla criminalità organizzata: la forza della presunzione cautelare per i reati connotati dall’aggravante mafiosa. Questo caso offre uno spunto cruciale per comprendere perché, in determinate circostanze, la custodia in carcere diventa una misura quasi automatica e difficilmente superabile, anche in presenza di elementi che potrebbero suggerire un ridimensionamento della pericolosità sociale dell’indagato.

I Fatti del Caso: Un Tentativo di Superare il Passato

La vicenda giudiziaria ha origine da un’ordinanza del Tribunale della Libertà che confermava la custodia in carcere per un individuo indagato per detenzione e porto d’armi, reati aggravati dall’aver agito per agevolare un’associazione mafiosa, ai sensi dell’art. 416-bis.1 del codice penale.

La difesa aveva presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la misura carceraria fosse eccessiva. A sostegno della sua tesi, evidenziava come l’indagato avesse intrapreso un’attività lavorativa stabile nel Nord Italia, lontano dal contesto territoriale di origine, e che fosse trascorso un significativo lasso di tempo dai fatti contestati. Questi elementi, secondo il ricorrente, avrebbero dovuto portare a una valutazione diversa del pericolo di recidiva, rendendo sproporzionata la detenzione in carcere.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto completamente le argomentazioni difensive, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno chiarito che la valutazione del Tribunale della Libertà era corretta e in linea con i principi consolidati in materia. La decisione si fonda interamente sulla cosiddetta “doppia presunzione relativa” prevista dall’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale.

Il Principio della Doppia Presunzione Cautelare

Per i reati di eccezionale gravità, tra cui quelli aggravati dalla finalità mafiosa, la legge stabilisce una doppia presunzione. In primo luogo, si presume l’esistenza di esigenze cautelari (come il pericolo di reiterazione del reato). In secondo luogo, si presume che la custodia in carcere sia l’unica misura idonea a fronteggiare tali esigenze.

Questa presunzione non è assoluta, ma “relativa”, il che significa che può essere superata. Tuttavia, la prova contraria è estremamente rigorosa: l’indagato deve fornire elementi concreti e inequivocabili che dimostrino di aver stabilmente e definitivamente reciso ogni legame con l’organizzazione criminale di riferimento.

Le Motivazioni: La Forza della Presunzione Legale

La Corte ha sottolineato che, in assenza di prove sulla rescissione dei legami con l’ambiente criminale, il giudice non è tenuto a motivare specificamente sulla sussistenza delle esigenze cautelari. La presunzione legale opera in modo quasi automatico. Elementi come la distanza geografica o lo svolgimento di un’attività lavorativa, seppur positivi, non sono considerati sufficienti a vincere questa presunzione. Nel caso specifico, il Tribunale aveva comunque motivato, evidenziando la capacità criminale dell’indagato e il concreto e attuale pericolo di recidiva, ritenendo così inadeguata qualsiasi misura alternativa al carcere.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa pronuncia consolida un orientamento giurisprudenziale severo ma necessario nel contrasto ai reati di stampo mafioso. Dimostra che il reinserimento sociale e lavorativo, pur essendo un percorso auspicabile, non è di per sé sufficiente a neutralizzare la pericolosità sociale presunta dalla legge quando si tratta di criminalità organizzata. Per ottenere una misura meno afflittiva del carcere, è indispensabile fornire la prova di un distacco netto, completo e irreversibile dal proprio passato criminale, un onere probatorio particolarmente difficile da assolvere.

Per quali reati si applica la presunzione di adeguatezza della custodia in carcere?
Secondo la sentenza, questa presunzione opera per i delitti, anche tentati, aggravati dalla cosiddetta ‘agevolazione mafiosa’ ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen., e per le altre gravi fattispecie previste dall’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale.

È possibile superare la presunzione cautelare che impone il carcere per i reati con aggravante mafiosa?
Sì, la presunzione è relativa e può essere superata, ma solo quando dagli elementi a disposizione del giudice emerge che l’indagato ha stabilmente e definitivamente reciso i suoi legami con l’organizzazione criminosa. La semplice assenza di contatti recenti non è sufficiente.

Il lavoro e la distanza geografica dal contesto criminale di origine sono sufficienti a dimostrare l’assenza di pericolosità sociale?
No. La sentenza chiarisce che elementi come lo svolgimento di un’attività lavorativa, anche in una zona geografica diversa e distante da quella di origine, non sono di per sé sufficienti a vincere la presunzione di pericolosità e adeguatezza della custodia in carcere.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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