Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 24973 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 24973 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 01/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a AGRIGENTO il 14/04/1983
avverso l’ordinanza del 27/01/2025 del TRIB. LIBERTA’ di Palermo udita la relazione svolta dal Cons. NOME COGNOME letta la requisitoria scritta del PG, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’o rdinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Palermo, quale giudice del riesame, ha parzialmente riformato l’ordinanza emessa il 08/01/2025 dal GIP presso lo stesso Tribunale nei confronti di NOME COGNOME gravemente indiziato in ordine al reato previsto dagli artt. 110 cod.pen., 2, 4 e 7, l. n. 895/1967 e 416bis. 1 cod.pen., disponendo la sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari.
Il Tribunale ha premesso l’esposizione della ricostruzione del fatto operata in sede di ordinanza applicativa, rilevando come il procedimento traesse origine da una complessa attività investigativa relativa alle dinamiche operative delle famiglie mafiose di Agrigento Villaseta e di Porto Empedocle.
Ha esposto che, a seguito di tali attività di indagine, era emerso il ruolo di primo piano rivestito da NOME COGNOME, il quale aveva continuato a gestire le dinamiche del sodalizio anche dopo l’intervenuta scarcerazione seguita a una condanna definitiva per il reato di cui all’art.416 -bis cod.pen.; ha esposto che, sulla base delle intercettazioni telefoniche, era emerso il concorso dell’odierno ricorrente con lo stesso COGNOME e con il nipote di quest’ultimo NOME COGNOME nel
reato contestato al capo 14) dell’ incolpazione provvisoria; in particolare, ha esposto che, dalle captazioni eseguite il 10 febbraio 2024, si evinceva che i tre soggetti suddetti avevano trasportato a bordo di una vettura condotta dall’odierno ricorrente un’arma comune da sparo, la quale era stata utilizzata -lo stesso giorno – dal Licata per colpire alcuni cartelli stradali; ha esposto, che dal suddetto materiale d’indagine, emergeva la piena consapevolezza del ricorrente di quanto trasportato all’interno del mezzo.
In relazione alle contestazioni difensive, ha ritenuto che non vi fosse dubbio in ordine all’identificazione dell’odierno ricorrente e tanto sulla base del riconoscimento vocale operato dagli agenti di polizia giudiziaria e dagli elementi in base ai quali risultava che il COGNOME era stato prelevato e poi riaccompagnato presso il suo effettivo indirizzo di residenza.
Il Tribunale ha poi ritenuto che doveva ritenersi correttamente contestata la finalità di agevolazione di un sodalizio mafioso, atteso che il reperimento del trasporto dell’arma da fuoco era propedeutico al rafforzamento dell’intera associazione.
In punto di esigenze cautelari ha rilevato che vigeva in materia la doppia presunzione stabilita nell’articolo 275, terzo comma, cod.proc.pen.; ritenendo, peraltro, che il ruolo marginale rivestito dal ricorrente all’interno dell’intera operazione inducesse a ritenere idoneo l’attenuato presidio degli arresti domiciliari, da eseguirsi con applicazione di dispositivi elettronici di controllo.
Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME tramite il proprio difensore, articolando tre motivi di impugnazione.
Con il primo motivo ha dedotto -ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen. -il vizio di motivazione in relazione all’art.292 cod.proc.pen. e all’art.273 cod.proc.pen., con riferimento agli artt. 4 e 7 della l. n.895/1967.
Ha riassunto gli elementi di fatto posti dal Tribunale alla base del giudizio sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e ha argomentato che le frasi ritenute dal Collegio come sintomatiche della consapevolezza del trasporto dell’arma fossero, in realtà, di non univoca interpretazione, potendosi i riferimenti ritenuti dal Tribunale come operati all’arma stessa (con particolare riferimento all’espressione ‘posala’ profferita dall’COGNOME all’indirizzo COGNOME) anche, in realtà, avere quale oggetto la sostanza stupefacente di cui, in base alla stessa intercettazione, il ricorrente era in possesso; ritenendo illogico che, una volta nascosta l’arma sotto il sedile, la stessa potesse agevolmente essere estratta dal luogo in cui era stata allocata per poi essere riposta dal COGNOME dopo il monito ricevuto dall’COGNOME.
Con il secondo motivo ha dedotto -ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen. -il vizio di motivazione in relazione agli artt. 292 e 273 cod.proc.pen., con riferimento all’art.416 -bis. 1 cod.pen..
Ha contestato la valutazione operata dal Tribunale in punto di sussistenza della finalità di agevolazione dell’associazione mafiosa, ritenendo non dimostrata la conoscenza della finalità della condotta assunta dal Licata; ritenendo non potesse desumersi alcuna messa a disposizione del ricorrente in favore di Cosa Nostra né la consapevolezza circa la finalità agevolatrice perseguita dal partecipe; ha quindi dedotto che il Tribunale avrebbe meramente diluito la sussistenza dell’aggravante sulla base del solo contesto ambientale.
Con il terzo motivo ha dedotto -ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen. -il vizio di motivazione in relazione agli artt. 292 e 274 cod.proc.pen..
Ha dedotto che il Tribunale non avrebbe evidenziato gli elementi di concretezza e attualità delle esigenze cautelari; atteso che il COGNOME non risultava gravato da precedenti penali relativi a reati di particolare allarme sociale ed emergendo dalle conversazioni intercettate che lo stesso non aveva avuto la disponibilità materiale dell’arma; esponendo come, altresì , il ricorrente svolgesse regolare attività lavorativa retribuita.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, nella quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Va premesso che -per consolidata giurisprudenza di questa Corte -il provvedimento emesso dal giudice procedente e quello di conferma emesso dal Tribunale del riesame si integrano tra di loro reciprocamente, in modo che le eventuali carenze di motivazione dell’uno possono essere sanate con le argomentazioni utilizzate dall’altro (Sez. 6, n. 48649 del 06/11/2014, COGNOME, Rv. 261085; Sez. 3, n. 8669 del 15/12/2015, COGNOME, Rv. 266765).
Con il primo motivo di doglianza, il ricorrente ha contestato -sotto il profilo del difetto di motivazione -la valutazione del Tribunale in punto di gravi indizi di colpevolezza in relazione al capo 14) dell’imputazione provvisoria, in particolare censurando la complessiva interpretazione degli elementi emergenti dalle conversazioni captate il 10/02/2024.
Va quindi premesso che questa Corte è ferma nel ritenere che, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione con il quale si lamenti l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone e sviluppa censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 6, n. 11194 dell’8/3/2012, Lupo, Rv. 252178); rilevando che, nel caso in cui si censuri la motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013, Rv. 255460; Sez. 4, n. 37878 del 6/7/2007, COGNOME, Rv. 237475); spettando dunque a questa Corte di legittimità il solo compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi del diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.
Il controllo di logicità, peraltro, deve rimanere interno al provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate; in altri termini, è consentito in questa sede esclusivamente verificare se le argomentazioni spese sono congrue rispetto al fine giustificativo del provvedimento impugnato; se, cioè, in quest’ultimo, siano o meno presenti due requisiti, l’uno di carattere positivo e l’altro negativo, e cioè l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative su cui si fonda e l’assenza di illogicità evidenti, risultanti cioè prima facie dal testo del provvedimento impugnato.
Peraltro, in relazione alle concrete modalità di svolgimento del procedimento incidentale di riesame, deve ricordarsi che il Tribunale, sia pure con motivazione sintetica, deve dare ad ogni deduzione difensiva puntuale risposta, incorrendo in caso contrario, nel vizio, rilevabile in sede di legittimità, di violazione di legge per carenza di motivazione (Sez. 5, n. 45520 del 15/07/2014, COGNOME, Rv. 260765; Sez. 6, n. 31362 del 08/07/2015, COGNOME, Rv. 264938); tenendo
altresì presente che è ravvisabile il vizio di omessa motivazione quando dal provvedimento, considerato nella sua interezza, non risultino le ragioni del convincimento del giudice su punti rilevanti per il giudizio e non anche quando i motivi per il superamento delle tesi difensive su una determinata questione siano per implicito desumibili dalle argomentazioni adottate per risolverne altra (Sez. 3, n. 15980 del 16/04/2020, COGNOME, Rv. 278944).
4. D’altra parte, in specifico riferimento alle argomentazione difensive inerenti al significato delle conversazioni captate, va ricordato che -per giurisprudenza costante di questa Corte -in materia di intercettazioni costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016 , COGNOME, Rv. 268389; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337); e che, ancora più specificamente, quando il provvedimento impugnato abbia interpretato fatti comunicativi, l’individuazione del contesto in cui si è svolto il colloquio e dei riferimenti personali in esso contenuti, onde ricostruire il significato di un’affermazione e identificare le persone alle quali abbiano fatto riferimento i colloquianti, costituisce attività propria del giudizio di merito, censurabile in sede di legittimità solo quando si sia fondata su criteri inaccettabili o abbia applicato tali criteri in modo scorretto (Sez. 1, n. 25939 del 29/04/2024, L., Rv. 286599).
Nel caso di specie, deve quindi ritenersi che l’interpretazione complessiva del compendio probatorio operata da parte del giudice del riesame si sottragga alla censura spiegata dal ricorrente.
In particolare, non appare censurabile sotto il profilo dell’illogicità alla luce dei criteri predetti -la valutazione in forza del quale il riferimento operato (alle ore 15.16 del 10/02/2024), nell’esortazione rivolta al COGNOME da parte dell’COGNOME, (con la frase ‘ posala COGNOME…non si può sapere mai’ ) non potesse che avere quale oggetto l’arma precedentemente acquisita; e il cui successivo uso, da parte del Licata, alle ore 19,32 -con una prova espletatasi mediante il tiro contro alcuni segnali stradali -è stato pure acclarato sulla base delle conversazioni captate.
Sul punto, deve ritenersi che la versione alternativa prospettata dall’indagato in base alla quale il riferimento dell’COGNOME sarebbe stato operato a sostanza stupefacente deduttivamente trasportata dal COGNOME per il proprio uso personale -sia frutto di una mera operazione interpretativa congetturale non idonea a connotare di illogicità la complessiva lettura operata dal Tribunale.
Il quale, sulla base del complessivo senso delle conversazioni captate e della sicura acquisizione dell’arma avvenuta alla predetta data, ha ritenuto perfezionato un compendio indiziario munito del requisito della gravità, precisione e concordanza in ordine alla piena consapevolezza, in capo al COGNOME (conducente del mezzo che aveva condotto il Licata nel luogo in cui era avvenuta la consegna dell’arma), del porto illegale dell’arma stessa.
5. In ordine al secondo motivo, attinente alla sussistenza dell’aggravante prevista dall’art.416 -bis. 1 cod.pen., va preliminarmente rilevato che sussiste l’interesse dell’indagato a ricorrere per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale del riesame che abbia ritenuto sussistente una circostanza aggravante a effetto speciale, sempre che da questa conseguano immediati riflessi sull ‘ an o sul quomodo della misura (Sez. 6, n. 5213 del 11/12/2018, dep. 2019, Fucito Rv. 275028; Sez. 2, n. 17366 del 21/12/2022, dep.2023, COGNOME, Rv. 284489); elemento ravvisabile nel caso di specie, atteso che la sussistenza dell’aggravante della finalità di agevolazione dell’associazione mafiosa si riflette sulle disposizioni processuali di riferimento in ordine al regime del presidio cautelare, sulla base dell’art.275, comma 3, cod.proc.pen.
Nel merito, anche tale motivo è infondato.
In ordine allo specifico punto, il Tribunale ha difatti congruamente motivato in ordine alla sicura consapevolezza, in capo al ricorrente, della connotazione delinquenziale del Licata, soggetto già condannato alla pena di anni dieci di reclusione per il de litto di cui all’art.416 -bis cod.pen. e sottoposto alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza.
Ne consegue che il Tribunale ha fatto corretta applicazione del principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte e in base al quale La circostanza aggravante dell’aver agito al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso ha natura soggettiva inerendo ai motivi a delinquere, e si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe (Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278734); con la conseguenza che, indipendentemente dall’intenzione del COGNOME di agevolare con la propria condotta il complessivo funzionamento del sodalizio mafioso, sussiste nel caso di specie il necessario coefficiente psicologico in ordine alle finalità dell’operazione e idoneo a far ritenere sussistenti i necessari gravi indizi di colpevolezza anche in ordine alla relativa aggravante a effetto speciale.
Il motivo attinente alla sussistenza delle esigenze cautelari deve invece ritenersi inammissibile in quanto del tutto aspecifico.
Va difatti osservato che, in relazione al reato caratterizzato dalla finalità agevolatrice di associazione mafiosa, vige in materia la c.d. doppia presunzione dettata dall’art.275, comma 3, cod.proc.pen., il quale prevede che quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati elencati nell’art.51, comma 3 bis , cod.proc.pen. (tra cui rientra quello contestato nella presente sede) – «è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure».
Rilevando quindi che il giudice che ritenga non vinta tale presunzione può limitarsi a dare atto dell’inesistenza di elementi idonei a superarla, dovendo fornire specifica motivazione soltanto quando la difesa abbia evidenziato circostanze idonee a dimostrare l’insussistenza di esigenze cautelari e/o abbia dedotto l’esistenza di elementi specifici dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere tutelate con misure diverse (Sez. 3, n. 48706 del 25/11/2015, J.A., Rv. 266029).
Nel caso di specie, il Tribunale ha specificamente dato atto della mancata allegazione -da parte della difesa -di elementi idonei a superare la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, aggiungendo comunque -a rafforzamento della doppia presunzione prevista ex lege -come dagli atti emergesse la sussistenza di un quadro cautelare particolarmente pregnante, data la prova dell ‘ inserimento del ricorrente in un contesto criminale dedito alla commissione di reati anche con l’utilizzo di armi e tal e da connotare ulteriormente dei requisiti di attualità e concretezza l’esigenza di cui all’art.274, lett.c), cod.proc.pen..
A fronte di tale valutazione, il ricorrente si è quindi limitato a dedurre la considerazione -già esposta in sede di procedimento di riesame -derivante dallo svolgimento di regolare attività lavorativa (e ritenuta dal Collegio del tutto irrilevante nel caso di specie), svolgendo una serie di considerazioni in ordine a concretezza e attualità delle esigenze cautelari e che sono, a tutti gli effetti, distoniche rispetto allo speciale regime applicabile nel caso in esame.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso, 01/07/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME