Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 4851 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1   Num. 4851  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 18/10/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a ERCOLANO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/01/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto AVV_NOTAIO NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.
procedimento a trattazione scritta.
Il Presidente dà atto che l’avvocato NOME COGNOME, del Foro di Napoli, ha eccepito l’omesso avviso dell’udienza odierna e pertanto chiede il rinvio della stessa.
Il Collegio, verificato che al predetto difensore sono stati notificati sia l’avv dell’udienza odierna, sia il provvedimento sulla trattazione orale, sia la requisitoria de AVV_NOTAIO Generale, dispone procedersi alla trattazione del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento impugnato, la Corte di appello di Napoli ha parzialmente riformato la sentenza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli in data 18 aprile 2022 nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, revocando le pene accessorie dell’interdizione dai pubblici uffici e legale e confermando nel resto le condanne di NOME COGNOME e NOME COGNOME alla pena di anni 3 mesi 8 di reclusione ed C 12.000 di multa per i reati di cui ai capi 1 (artt. 612 c. 2 e 3, 639 e 416 bis.1 cod. pen) e 2 (artt. 110 cod. pen., 10, 12 e 14 legge 14 ottobre 1974, n. 497, aggravato ai sensi dell’art.416-bis.1, comma 1 cod. pen.) e di NOME COGNOME alla pena di anni 4 mesi 4 di reclusione ed C 18.000 di multa per i reati di cui ai capi 1, 2 e 3 (artt. 110 cod. pen., 10, 12 e 14 legge 14 ottobre 1974, n. 497, aggravato ai sensi dell’art.416-bis.1, comma 1 cod. pen.).
Con concorde valutazione di entrambi i Giudici di merito, gli imputati sono stati ritenuti responsabili del reato di minacce aggravate ai danni di NOME COGNOME (capo 1) e di detenzione e porto d’arma comune da sparo (capo 2), sulla base delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME, delle operazioni tecniche di intercettazione, nonché delle dichiarazioni auto ed etero accusatorie rese da NOME COGNOME. COGNOMEe fonti di prova emergeva in particolare che, in data 3 maggio 2018, i tre imputati, COGNOME quale autista del veicolo utilizzato per raggiungere l’abitazione di COGNOME, COGNOME quale mandante e COGNOME quale esecutore materiale, esplodevano, con una pistola cal. TARGA_VEICOLO, una pluralità di colpi d’arma da fuoco all’indirizzo dell’abitazione di NOME COGNOME. Il COGNOME è stato altresì ritenuto responsabile della illegale detenzione di un’arma comune da sparo (una pistola marca Glock cal. TARGA_VEICOLO), il 26 maggio 2021.
Avverso l’indicata sentenza hanno proposto tempestivi ricorsi gli imputati, denunciando i vizi di seguito riassunti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc pen.
2.1. NOME COGNOME denuncia, per il tramite del difensore, AVV_NOTAIO, quattro vizi.
2.1.1. Con il primo motivo lamenta vizio di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 192, 125 e 546 cod. proc. pen.
Il ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto integrata la consapevolezza in capo all’imputato circa la partecipazione all’azione di fuoco contestata; evidenzia sul punto la contraddittorietà della motivazione dell’impugnata sentenza laddove ha riportato le plurime ed inconciliabili versioni dei fatti rese dalla teste COGNOME (legata da relazione sentimentale con il COGNOME); evidenzia come il
collaboratore di giustizia NOME COGNOME nulla abbia riferito in ordine alla partecipazione del COGNOME all’azione delittuosa; censura la sentenza per avere omesso qualsiasi valutazione sul contenuto della conversazione intercettata di cui al progr. 178 del 12/10/2020.
2.1.2. Con il secondo motivo lamenta violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 416 bis. 1 cod. pen.
La Corte territoriale non ha indicato alcun elemento dal quale poter desumere la consapevolezza, in capo al COGNOME, delle finalità perseguite da COGNOME attraverso l’azione intimidatoria consumata ai danni del COGNOME.
2.1.3. Con il terzo motivo lamenta vizio di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 62 bis cod. pen.
Il diniego delle attenuanti generiche da parte della Corte territoriale è censurabile in quanto i Giudici non hanno tenuto conto della condotta processuale dell’imputato, della sua personalità, dell’occasionalità del fatto e dell’assenza di collegamenti con ambienti della criminalità.
2.1.4. Con il quarto motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione alla duplicazione della contestazione in tema di armi, essendosi contestato, al capo 2, sia la detenzione che il porto, nonostante l’unicità della condotta.
2.2. NOME COGNOME e NOME COGNOME, con unico atto a firma dell’AVV_NOTAIO, articolano un solo motivo con il quale lamentano il diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Entrambi gli imputati hanno ammesso i fatti; il loro comportamento processuale avrebbe dovuto indurre i Giudici di merito a mitigare il trattamento sanzionatorio attraverso la concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Il sostituto AVV_NOTAIO Generale, AVV_NOTAIO, ha fatto pervenire requisitoria scritta con la quale ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile.
1.1. Il primo motivo, con il quale l’imputato contesta l’affermazione di responsabilità in ordine ai reati per i quali è intervenuta condanna, sotto il profilo dell’assenza di prova della consapevolezza di partecipare ad una azione di fuoco, sconta la sua natura fattuale e meramente reiterativa di censure mosse in sede di
gravame e devolute alla Corte territoriale che le ha risolte con motivazione scevra da aporie logiche e pertanto insindacabile in questa sede.
Preliminarmente, si precisa che ci si trova al cospetto della conferma nei medesimi termini della sentenza di condanna pronunciata in primo grado, cioè ad una c.d. “doppia conforme”. Tale costruzione postula che il vizio di motivazione deducibile e censurabile in sede di legittimità sia soltanto quello che, a presidio del devolutum, discende dalla pretermissione dell’esame di temi probatori decisivi, ritualmente indicati come motivi di appello e trascurati in quella sede (Sez. 5, n. 1927 del 20/12/2017, dep. 2018, COGNOME e altri, Rv. 272324; Sez. 2, n. 10758 del 29/01/2015, COGNOME, Rv. 263129; Sez. 5, n. 2916 del 13/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 257967); o anche manifestamente travisati in entrambi i gradi di giudizio (Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, Rv. 272018).
Al di fuori di tale perimetro, resta precluso il rilievo del vizio di motivazione secondo la nuova espressione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. nel caso di adeguata e logica valutazione conforme nei gradi di merito del medesimo compendio probatorio. Deve altresì ribadirsi che nei casi di doppia conforme, le motivazioni delle sentenze di merito convergono in un apparato motivazionale integrato e danno luogo ad un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2 n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218), che in tali termini deve essere assunto anche nella denuncia dei vizi di legittimità, nei limiti della loro rilevanza.
Ciò premesso, la Corte d’appello ha evidenziato come la piena responsabilità del COGNOME – il quale ha ammesso di avere materialmente condotto l’autovettura utilizzata per compiere l’agguato – nel fatto delittuoso che ci occupa trovasse fondamento nelle dichiarazioni rese da NOME COGNOME alla polizia giudiziaria il 18/08/2020, allorquando ella dichiarava che il COGNOME si era reso disponibile a mettere a disposizione, per l’azione di fuoco, la propria macchina e che, successivamente ai fatti, COGNOME le disse che la spedizione non aveva avuto buon esito, e che, «come da accordi, a sparare era stato lo COGNOME».
I Giudici di merito hanno anche analizzato quanto dalla medesima COGNOME in precedenza affermato nel corso di una telefonata anonima alle forze dell’ordine, osservando come non fosse apprezzabile alcuna contraddizione con quanto poi dichiarato a sommarie informazioni testimoniali, come eccepito dalla difesa, e pedissequamente riproposto in questa sede di legittimità, stante la diversa natura dei due atti.
Peraltro, la Corte (pag. 5) ha anche riportato le dichiarazioni rese da NOME COGNOME che, nell’assumersi la piena responsabilità del fatto delittuoso, aveva anche dichiarato che il COGNOME «era pienamente consapevole dell’obiettivo del raid compiuto il 3.5.2018, del fatto che lo COGNOME era armato». I Giudici di merito
hanno attribuito, secondo una logica e coerente valutazione insindacabile in questa sede, piena credibilità alle dichiarazioni del dichiarante.
La circostanza che il collaboratore COGNOME, nel narrare quanto a sua conoscenza in ordine al fatto delittuoso in giudizio, non abbia parlato del COGNOME si rivela del tutto irrilevante: COGNOME infatti, che non aveva partecipato all’azione, aveva saputo dell’azione di fuoco esclusivamente de relato, e precisamente da parte di tale NOME COGNOME; peraltro va ancora ricordato come la partecipazione materiale al fatto è stata ammessa dallo stesso COGNOME che non ha negato di avere nell’occasione condotto la sua autovettura con a bordo COGNOME, ma ha contestato il suo coinvolgimento sotto il profilo della mancata consapevolezza di quanto sarebbe poi accaduto.
Quanto alla censurata mancata considerazione da parte della Corte territoriale del contenuto della conversazione telefonica n. 178 del 12/10/2022, il ricorso è sul punto a-specifico e non autosufficiente.
Si è, infatti, chiarito che «in tema di ricorso per cassazione, anche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 165-bis disp. att. cod. proc. pen., introdotto dall’art. comma 1, d.lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, trova applicazione il principio di autosufficienza del ricorso, che si traduce nell’onere di puntuale indicazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l’allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato» (Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020 – dep. 2021, Cossu, Rv. 280419; analogamente in precedenza Sez. 1, n. 48422 del 09/09/2019, Novella, Rv. 277796).
Peraltro, va osservato come la Corte territoriale (pag. 5) abbia preso in esame le conversazioni intercorse tra COGNOME ed il padre NOME, osservando conclusivamente che «l’inverosimiglianza delle giustificazioni fornite tese a confortare la propria estraneità veniva evidenziata anche dallo stesso genitore dell’imputato».
E’ evidente come, a fronte di tali argomentazioni, scevre da vizi logici e giuridici, il ricorrente inviti ad una rivalutazione di elementi fattuali non consentita in questa sede, riproponendo peraltro argomenti con i quali la sentenza impugnata risulta essersi già confrontata in termini non manifestamente illogici, come quelli sopra riportati.
1.2. Manifestamente infondato è il secondo motivo, con il quale il ricorrente contesta, sotto il profilo della violazione di legge, il riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen..
Sul punto giova premettere che l’art. 416-bis.1 cod. pen. contempla due differenti aggravanti, consistenti, rispettivamente, nella commissione di un reato avvalendosi deile condizioni previste dall’art. 416-bis cod. pen. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo.
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La prima circostanza ricorre quando le modalità esecutive della condotta siano idonee, in concreto, a evocare, nei confronti dei consociati, la forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso, quand’anche quest’ultima non sia direttamente indirizzata sui soggetti passivi, ma risulti comunque funzionale a una più agevole e sicura consumazione del reato (Sez. 1, n. 38770 del 22/06/2022, Iaconis, Rv. 283637 01); e ha natura oggettiva, dovendo essere riferita all’attività dell’associazione in quanto tale e non necessariamente alla condotta del singolo partecipe (Sez. U, n. 25191 del 27/02/2014, COGNOME, Rv. 259589 – 01).
Viceversa, la seconda aggravante ha natura soggettiva inerendo ai motivi a delinquere, e si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe (Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, Chioccini, Rv. 278734 – 01)
Ebbene, la corte territoriale (pag. 6) ha fornito ampia motivazione in ordine alla sussistenza di detta aggravante sia sotto il profilo del metodo mafioso, sia sotto il profilo dell’agevolazione mafiosa.
Quanto alla consapevolezza in capo al COGNOME della finalità agevolatrice del clan mafioso, essa si desume con chiarezza dalle argomentazioni spese in ordine alla prova della piena consapevolezza del COGNOME nella perpetrazione del delitti sub 1) (e dei correlati delitti in tema di violazione legge armi di cui al capo 2): peraltro va ricordato che non solo la COGNOME e il COGNOME, nelle dichiarazioni rispettivamente rese, descrivevano le finalità dell’azione (il controllo del territorio di Massa di Somma e San Sebastiano), ma lo stesso COGNOME, in sede di spontanee dichiarazioni al PM, dichiarava che l’azione «era da inquadrarsi nella lotta tra clan rivali», sia pure affermando di averlo saputo solo successivamente ai fatti.
1.3. Il terzo motivo, con il quale la Difesa di COGNOME si duole della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, è manifestamente infondato.
Va infatti ricordato che la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’art. 62-bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talché la stessa motivazione, purché congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, COGNOME, Rv. 248244; Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, COGNOME, Rv. 242419). Il giudice, nell’esercizio del suo potere discrezionale deve quindi motivare nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo. Pertanto, il diniego delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente fondato anche sull’apprezzamento di un solo dato negativo, oggettivo
o soggettivo, che sia ritenuto prevalente rispetto ad altri, disattesi o superati da tale valutazione. È pertanto sufficiente il diniego anche soltanto in base ai precedenti penali dell’imputato, perché in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di disvalore sulla sua personalità (Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826; Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, COGNOME, Rv. 249163; Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, COGNOME, Rv. 248737).
Nel caso di specie, la Corte ha rilevato da un lato l’assenza di elementi tali da ritenere il definitivo allontanamento (anche) di COGNOME dagli ambienti criminali e la gravità del fatto, dall’altro ha osservato che la pena risultava già essere stata irrogata «nei minimi termini (anche inferiori a quelli che sarebbero stati congrui alla fattispecie)».
1.4. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato: come condivisibilmente osservato dal AVV_NOTAIO generale nella sua requisitoria scritta, i Giudici di merito hanno dato continuità al principio per cui in tema di reati concernenti le armi, il delitto di porto illegale assorbe per continenza quello di detenzione, escludendone il concorso materiale, solo quando la detenzione dell’arma inizi contestualmente al porto della medesima in luogo pubblico e sussista altresì la prova che l’arma non sia stata in precedenza detenuta. (In motivazione, la Corte ha affermato che, in mancanza di alcuna specificazione da parte dell’imputato circa la contemporaneità delle due condotte, il giudice di merito non è tenuto ad effettuare verifiche, potendo attenersi al criterio logico della normale anteriorità della detenzione rispetto al porto). (Sez. 1 -, Sentenza n. 27343 del 04/03/2021 Ud. (dep. 15/07/2021) Rv. 281668 – 01.
Del pari inammissibile è il comune motivo di ricorso proposto dalla difesa nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME, con il quale ci si duole della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Ebbene, a fondamento della statuizione contestata, la Corte di appello ha incensurabilmente valorizzato i plurimi precedenti penali di entrambi gli imputati, «che avrebbero giustificato per entrambi il riconoscimento della recidiva reiterata specifica ed infraquinquennale», nonché l’assenza di elementi tali da ritenere il definivo allontanamento dagli ambienti criminali, le circostanze del fatto, ed ha considerato infine che la pena risultava già essere stata irrogata «nei minimi termini (anche inferiori a quelli che sarebbero stati congrui alla fattispecie)».
Il Giudice di merito si è adeguato al consolidato orientamento di questa Corte, per cui, al fine di ritenere od escludere la configurabilità di circostanze attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio: anche un solo elemento attinente alla personalità del
colpevole od all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può, pertanto, risultare all’uopo sufficiente (cfr., Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, COGNOME e altri, Rv. 249163).
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 18/10/2023