Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 7767 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 7767 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 09/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME nato a COGNOME il 11/05/1988 COGNOME nato a CASERTA il 28/06/1983
avverso la sentenza del 09/02/2024 della CORTE RAGIONE_SOCIALE di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
Il PG conclude chiedendo il rigetto dei ricorsi.
udito il difensore
L’avvocato COGNOME del foro di ROMA conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.
1
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 9 dicembre 2022, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli, in esito a giudizio abbreviato, così statuiva:
dichiarava NOME COGNOME colpevole del reato di omicidio premeditato di NOME COGNOME e dei connessi reati di detenzione e porto delle armi utilizzate per l’omicidio, fatti commessi il 20 aprile 2020 in concorso con altri con modalità e finalità mafiose; riconosceva l’aggravante mafiosa, prevista ora dall’art. 416bis.1, primo comma, cod. pen., le aggravanti del nesso teleologico e del numero di agenti superiore a cinque, l’attenuante della dissociazione operosa prevista ora dall’art. 416-bis.1, terzo comma, cod. pen.; riteneva la continuazione; computava la diminuente per la scelta del rito; condannava COGNOME alla pena finale principale di dodici anni di reclusione;
dichiarava NOME COGNOME colpevole del reato commesso il 20 aprile 2020, con modalità e finalità mafiose, di ricettazione della motocicletta utilizzata da altri per l’omicidio sopra ricordato; riconosceva l’aggravante mafiosa, ora prevista dall’art. 416-bis.1, primo comma, cod. pen., la recidiva semplice e l’aggravante teleologica; computava la diminuente per la scelta del rito; condannava COGNOME alla pena finale principale di tre anni e quattro mesi di reclusione;
condannava gli imputati al risarcimento dei danni riportati dai congiunti di NOME COGNOME i quali si erano costituiti parti civili, e al pagamento di una provvisiona le.
Secondo la ricostruzione del fatto recepita dal giudice di primo grado, basata sulle dichiarazioni autoaccusatorie rese dallo stesso COGNOME, collaboratore di giustizia, confermate da quelle rese da altri collaboratori di giustizia e convergenti con ulteriori elementi istruttori, COGNOME era stato ucciso a colpi di arma da fuoco su deliberazione di NOME COGNOME e con la collaborazione per la fase esecutiva di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e COGNOME, il quale aveva attirato la vittima. Il movente era costituito dal fatto che COGNOME, affiliato come altri citati all’associazione criminosa denominata Clan dei Casalesi – frazione Schiavone, era sospettato di essersi appropriato di proventi delle estorsioni commesse dagli associati. Per commettere l’omicidio, secondo tale ricostruzione, era stata utilizzata una motocicletta di provenienza delittuosa fornita da COGNOME e bruciata dopo il fatto.
Con sentenza del 9 febbraio 2024, la Corte di assise di appello di Napoli, adita dagli odierni ricorrenti COGNOME e COGNOME riformava parzialmente la sentenza di primo grado – confermata per il resto – così statuendo:
per COGNOME rideterminava la pena principale finale in dieci anni di reclusione;
per COGNOME escludeva l’aggravante teleologica e rideterminava la pena principale finale in tre anni, due mesi di reclusione ed euro 900 di multa.
Inoltre, il giudice di appello condannava gli imputati al pagamento delle spese giudiziali sostenute dalle parti civili.
Il difensore di NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello, con atto articolato in tre motivi volti ad ottenerne l’annullamento.
3.1. Con il primo motivo di ricorso, la difesa deduce, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., nullità della sentenza impugnata per violazione del combinato disposto degli artt. 133, 575, 416-bis.1, comma 3, cod. pen., per la mancata applicazione nel massimo della riduzione della pena in relazione alla concessione dell’attenuante prevista dalla norma citata per ultima.
3.2. Con il primo motivo di ricorso, la difesa deduce, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 81 cod. pen. Afferma che è stato applicato un aumento duplice per quanto contestato al capo “B” in relazione alle armi.
3.3. Con il terzo motivo di ricorso, la difesa deduce, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., nullità della sentenza impugnata per violazioni del combinato disposto degli artt. 586 cod. proc. pen. e 44 e segg. d.lgs. n. 150 del 2022 e dell’art. 129-bis cod. proc. pen., per la mancata ammissione dell’imputato ad un programma di giustizia riparativa.
Il difensore di NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello, con atto articolato in otto motivi volti ad ottenerne l’annullamento.
4.1. Con il primo motivo di ricorso, la difesa deduce, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazioni degli artt. 187, 192, 238-bis, 530, 533, 630, cod. proc. pen., 648 cod. pen. Afferma che i giudici del merito hanno violato l’art. 238-bis cod. proc. pen., nell’omettere di considerare adeguatamente che, secondo la sentenza di condanna prodotta divenuta irrevocabile, emessa nei confronti di NOME COGNOME, era stato costui il responsabile della ricettazione della motocicletta utilizzata per commettere l’omicidio COGNOME.
4.2. Con il secondo motivo di ricorso, la difesa deduce, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazioni degli artt. 192, 530, 533 cod. proc. pen. e 648 cod. pen., in relazione alla valutazione di convergenza delle
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME in ordine alla ricettazione della motocicletta utilizzata per commettere l’omicidio NOME.
4.3. Con il terzo motivo di ricorso, la difesa deduce, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazioni degli artt. 192, 530, 533 cod. proc. pen. e 648 cod. pen., in relazione alla valutazione di attendibilità intrinseca delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME.
4.4. Con il quarto motivo di ricorso, la difesa deduce, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazioni degli artt. 192, 530, 533 cod. proc. pen. e 648 cod. pen. in relazione alla valutazione di attendibilità intrinseca delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME, con particolare riguardo all’identificazione della moto rinvenuta dopo l’omicidio con quella che sarebbe stata oggetto della contestata ricettazione.
4.5. Con il quinto motivo di ricorso, la difesa deduce, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazioni degli artt. 192 e 416-bis.1, comma 1, cod. pen., in ordine alle valutazioni inerenti alla sussistenza dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa.
4.6. Con il sesto motivo di ricorso, la difesa deduce, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazioni degli artt. 99, 132, 133 cod. pen., in ordine alla mancata esclusione della recidiva.
4.7. Con il settimo motivo di ricorso, la difesa deduce, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazioni degli artt. 62-bis, 132, 133 cod. pen., con riguardo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e alla determinazione della pena.
4.8. Con l’ottavo motivo di ricorso, la difesa deduce, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazioni degli artt. 671 cod. proc. pen. e 186 disp. att. cod. proc. pen., in relazione al mancato accoglimento della richiesta difensiva di applicazione della disciplina della continuazione con reati per i quali erano già state emesse sentenze di condanna. Afferma che la Corte di appello ha errato nel ritenere che la richiesta non poteva essere accolta data la mancata produzione di tali sentenze, perché in realtà esse erano già presenti nel fascicolo «tiappizzato».
Il difensore di NOME COGNOME ha depositato atto recante motivo nuovo con il quale illustra ulteriormente l’ottavo motivo del ricorso principale, sottolineando che nel fascicolo processuale «tiappizzato» sono presenti gli indici che fanno riferimento alle sentenze precedentemente emesse, necessarie per l’accoglimento della richiesta di applicazione della disciplina del reato continuato.
Il difensore delle parti civili ha inviato atto conclusionale con il quale chiede il rigetto dei ricorsi per cassazione e la condanna degli imputati al pagamento delle spese di giudizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse di COGNOME volto a criticare la determinazione della pena nei suoi confronti, è inammissibile perché manifestamente infondato e riguardante profili attinenti a valutazioni fattuali.
1.1. La giurisprudenza di legittimità ha spiegato che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Rv. 259142-01).
È stato chiarito che la determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso in cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all’ar 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Rv. 256197-01).
1.2. In applicazione dei richiamati principi di diritto, pienamente condivisibili, deve affermarsi, con riferimento al caso concreto ora in esame, che le doglianze difensive non colgono nel segno, poiché il giudice di appello, tenendo conto di elementi specificamente indicati e nell’esercizio del potere discrezionale riconosciuto dalla legge per la personalizzazione del trattamento sanzionatorio, ha svolto articolati ragionamenti ineccepibili sul piano giuridico e logico, pervenendo alla determinazione della pena in misura meno afflittiva rispetto a quella determinata dal giudice di primo grado e spiegando anche, in modo articolato, le ragioni in base alle quali la riduzione per la riconosciuta attenuante della collaborazione non poteva corrispondere a quella massima prevista dall’art. 416.bis.1, terzo comma, cod. pen.
Il ricorrente chiede genericamente, in realtà, con riguardo ad elementi fattuali, letture alternative precluse nel giudizio di legittimità.
Il provvedimento impugnato, quindi, supera, sul punto, il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, il cui sindacato deve arrestarsi alla verifica del rispetto
delle norme di legge, delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che presiedono all’apprezzamento delle circostanze fattuali.
È infondato il secondo motivo del ricorso proposto nell’interesse di COGNOME volto sia a criticare l’inflizione di due aumenti di pena, anziché di uno solo, per reati posti in continuazione; sia a lamentare vizi di motivazione sul punto.
2.1. La giurisprudenza di legittimità ha spiegato che, in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Rv. 282269 – 01; la Corte ha precisato che il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all’entità degli stessi e tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto d proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risulti rispettati i limiti previsti dall’art. 81 cod. pen. e che non sia stato oper surrettiziamente un cumulo materiale di pene).
2.2. Nel caso concreto ora in esame, l’analisi delle imputazioni e delle sentenza di merito rende evidente isia che COGNOME è stato condannato per tre reati – un omicidio, un reato di detenzione di arma e un reato di porto di arma -, gli ultimi due previsti entrambi nell’ambito del capo “h” e posti in continuazione rispetto al più grave reato di omicidio descritto nel capo “a”; sia che il giudice di appello ha reso adeguata e logica motivazione sulla determinazione degli aumenti di pena, facendo riferimento alla gravità dei fatti in contestazione.
Il terzo motivo del ricorso proposto nell’interesse di COGNOME volto a lamentare la mancata ammissione dell’imputato a un programma di giustizia riparativa, è infondato. Nelle valutazioni del giudice di appello sull’argomento, richiamate dal ricorrente, relative al rigetto della suddetta istanza in ragione della gravità dei fatti contestati e della mancanza di strutture operanti in materia, non si ravvisa alcuna violazione di legge, né alcun vizio di logicità.
È infondato il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse di COGNOME volto a far ritenere che il giudice di appello sia incorso in violazioni di legge e i vizi di motivazione per aver affermato la responsabilità di detto imputato per il reato di ricettazione contestatogli, nonostante per tale reato fosse stato già condannato con distinta sentenza irrevocabile un altro soggetto, NOME COGNOME.
La sentenza di appello oggi in valutazione, in realtà, è corretta sul punto, perché spiega congruamente che la pronuncia della ricordata condanna a cada? di
un altro soggetto non preclude ogni possibile coinvolgimento di COGNOME nel medesimo reato, né ha carattere vincolante nel presente processo.
Sono inammissibili, perché tendenti ad ottenere rivalutazioni nel merito dei giudizi espressi dai giudici del fatto, il secondo, il terzo e il quarto motivo del ricor proposto nell’interesse di COGNOME, volti a criticare le valutazioni circa la convergenza delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME circa l’attendibilità intrinseca delle dichiarazioni del collaboratore giustizia NOME COGNOME circa l’attendibilità intrinseca delle dichiarazioni predetti collaboratori di giustizia sull’identificazione della motocicletta poi pe commettere l’omicidio.
5.1. Con riferimento ai limiti del giudizio di cassazione, è stato spiegato che sono precluse, al giudice di legittimità, la rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601 – 01).
In tema di valutazione della prova testimoniale, è stato chiarito che non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità del motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scel tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 5, n. 51604, del 19/09/2017, Rv. 271623 – 01). J
5.2. In applicazione dei richiamati principi di diritto, pienamente condivisibili, deve affermarsi, con riferimento al caso ora in esame, che la sentenza di appello è immune dai vizi lamentati e che le doglianze difensive non colgono nel segno, poiché il giudice di appello ha svolto in modo adeguato, nel rispetto delle norme di legge e dei principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità, le necessari valutazioni circa l’attendibilità delle dichiarazioni accusatorie di COGNOME NOME e di COGNOME NOME ed è pervenuto, sulla base di articolate osservazioni, ad affermare che è stato accertato il nucleo centrale del fatto contestato a Ciervo, cioè la pregressa ricettazione del veicolo che fu poi utilizzato per commettere l’omicidio.
La sentenza di appello esprime congrue valutazioni sull’attendibilità dei dichiaranti, notando, fra l’altro, che il giudice di primo grado ha affrontato in modo analitico, approfondito e convincente il tema delle ragioni e della genesi dell’opzione collaborativa operata dai dichiaranti; ha precisamente spiegato, con riferimento al nucleo centrale e significativo della questione fattuale, che le
dichiarazioni di NOME COGNOME e NOME COGNOME convergono chiaramente sul nome di COGNOME come colui che procurò la motocicletta rubata, poi utilizzata per la perpetrazione dell’omicidio COGNOME.
Per quanto riguarda l’identificazione della motocicletta ritrovata nel corso delle indagini con quella utilizzata per commettere l’omicidio, è decisivo osservare la piena plausibilità della valutazione con la quale il giudice di appello ha concluso sulla questione, chiarendo che, ad ogni buon conto, la problematica sollevata dalla difesa è risolta sulla base delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sull’origi furtiva del veicolo utilizzato per commettere l’omicidio.
Il quinto motivo del ricorso proposto nell’interesse di COGNOME, volto a criticare le valutazioni inerenti all’aggravante mafiosa, sono infondati.
Il giudice di appello, infatti, ha fornito adeguata motivazione in ordine alla sussistenza della circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa di cui all’art. 7 decreto legge n. 152 del 1991, convertito dalla legge n. 203 del 1991, che prevedeva l’aggravante ora contemplata dall’art. 416-bis.1 cod. pen.
Il giudice di appello ha spiegato congruamente, infatti, le ragioni sulla base delle quali ha affermato che è stato accertato il finalismo agevolatorio della condotta di COGNOME, in relazione alla criminalità organizzata casertana.
In particolare, la sentenza di appello spiega adeguatamente, fra l’altro, richiamando gli apporti dichiarativi di NOME COGNOME e NOME COGNOME, che COGNOME era ben consapevole di favorire, con la sua azione, le attività criminose del gruppo e, dunque, anche i reati che i suoi sodali avrebbero perpetrato, mediante l’utilizzo del veicolo di provenienza furtiva, in funzione di affermazione e consolidamento del prestigio criminale del clan di appartenenza.
Sono inammissibili, perché manifestamente infondati e tendenti ad ottenere una rivalutazione nel merito dei giudizi espressi dai giudici del fatto, il sesto e il settimo motivo del ricorso proposto nell’interesse di COGNOME, volti a far ritenere violazioni di legge in ordine al riconoscimento della recidiva e, rispettivamente, in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e alla determinazione della pena.
7.1. La giurisprudenza di legittimità ha affermato, in tema di recidiva facoltativa, che è richiesta al giudice una specifica motivazione, sia che egli affermi, sia che escluda la sussistenza della stessa; dovendosi peraltro ritenere che tale dovere risulti adempiuto nel caso in cui, con argomentazione succinta, si dia conto del fatto che la condotta costituisce significativa prosecuzione di un processo delinquenziale già avviato (Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, Rv. 274782-01).
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l’applicazione dell’aumento di pena per effetto della recidiva facoltativa attiene all’esercizio di un potere discrezionale del giudice, del quale deve essere fornita adeguata motivazione, con particolare riguardo all’apprezzamento dell’idoneità della nuova condotta criminosa in contestazione a rivelare la maggiore capacità a delinquere del reo (Sez. 3, n. 19170 del 17/12/2014 – dep. 2015, Rv. 263464-01).
7.2. Per quanto concerne la concessione delle circostanze attenuanti generiche, è stato chiarito che essa non impone che siano esaminati tutti i parametri di cui all’art. 133 cod. pen., poiché è sufficiente che si specifichi a quale di esso si sia inteso fare riferimento (Sez. 1, n. 33506 del 07/07/2010, Rv. 247959-01; Sez. 2, n. 2285 del 11/10/2004, dep. 2005, Rv. 230691-01). Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferime a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899 – 01; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Rv. 248244-01). In tema di circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269 – 01).
7.3. Per quanto riguarda la graduazione della pena, si rinvia al primo paragrafo della presente motivazione e ai principi ivi indicati espressi dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Rv. 259142-01; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Rv. 256197-01).
7.4. In applicazione dei richiamati principi di diritto, pienamente condivisibili, deve affermarsi, con riferimento al caso concreto ora in esame, che le doglianze difensive non colgono nel segno, poiché il giudice di appello, tenendo conto di elementi concreti specificamente indicati e nell’esercizio del potere discrezionale riconosciuto dalla legge per la personalizzazione del trattamento sanzionatorio, dopo aver escluso la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ha affermato che non poteva essere esclusa la recidiva e ha determinato la pena in applicazione dei criteri di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen.
In tali valutazioni, il giudice di appello ha reso motivazione adeguata, priva di errori di diritto e di vizi di logicità. La sentenza impugnata rileva infatti, per nega le circostanze attenuanti generiche, l’oggettiva gravità del reato, la non comune intensità del dolo e il negativo giudizio sulla personalità dell’imputato, poiché
gravato da plurimi e allarmanti precedenti penali. La sentenza, inoltre, per confermare il riconoscimento della recidiva, ritenuto dal giudice di primo grado, nota che il reato giudicato si inscrive nell’alveo di una qualificata attitudine all reiterazione di delitti, commessi con allarmante sistematicità, e osserva che sussistono profili decisivi idonei a rafforzare il giudizio di colpevolezza e di rimproverabilità in concreto e ad attestare una specifica, maggiore, capacità a delinquere dell’imputato, giustificando così l’inasprimento della pena a titolo di recidiva.
La decisione è sorretta da un discorso argomentativo lineare, in cui si pongono in evidenza, con giudizio di fatto insindacabile in questa sede, le ragioni poste alla base del trattamento sanzionatorio relativo all’imputato.
Il ricorrente chiede genericamente, in realtà, con riguardo ad elementi fattuali, letture alternative precluse nel giudizio di legittimità.
Il provvedimento impugnato, quindi, supera, sul punto, il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, il cui sindacato deve arrestarsi alla verifica del rispetto delle norme di legge, delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che presiedono all’apprezzamento delle circostanze fattuali.
È generico, quindi inammissibile, l’ottavo motivo del ricorso proposto nell’interesse di COGNOME, illustrato anche con motivo aggiunto, volto a far ritenere vizi della sentenza di appello in ordine al mancato riconoscimento della continuazione fra i fatti ivi giudicati e altri reati, precedentemente giudicati.
A fronte dell’affermazione della sentenza di appello ora impugnata, secondo la quale la parte non aveva allegato sentenze utili allo scopo del riconoscimento dell’invocata continuazione, il ricorrente si è limitato ad affermare che le sentenze di condanna rispetto alle quali si invocava l’applicazione dell’istituto della continuazione «risultavano presenti nel fascicolo processuale tiappizzato al momento dell’adozione della sentenza per la quale è il presente ricorso».
Il ricorrente non ha reso indicazioni precise a tali precedenti sentenze e ai reati che ne formano oggetto, e così non ha consentito di far ritenere che sussistessero in concreto gli estremi per il riconoscimento della continuazione. In tal modo, la censura è rimasta priva di specificità.
In conclusione, i ricorsi sono infondati e, pertanto, devono essere rigettati, con la condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali verso l’erario.
Nulla deve essere disposto, in materia di spese giudiziali, in favore delle parti civili, perché il difensore di queste ultime è rimasto assente all’udienza fissata per la discussione orale, così rinunciando a presentare in tale sede le conclusioni scritte
previste dall’art. 523 cod. proc. pen. Proprio in considerazione della trattazione orale della discussione, non è sufficiente, infatti, per fare ritenere validamente proposta la domanda della parte civile volta ad ottenere la condanna dell’imputato alla rifusione delle spese, la presentazione della relativa richiesta in via telematica.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Nulla quanto alle spese delle parti civili.
Così deciso in Roma, 9 ottobre 2024.