Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 29231 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 29231 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/05/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOME nato a BARI il 13/06/1965 NOME nato a BARI il 10/06/1970 COGNOME NOME nato a BARI il 30/03/1986 NOME nato a BARI il 21/03/1974 NOME nato a BARI il 19/08/1982 NOME nato a BARI il 21/10/1975 NOME nato a GRUMO COGNOME il 13/12/1985 NOME nato a BARI il 04/07/1995
avverso la sentenza del 07/07/2023 della CORTE RAGIONE_SOCIALE di BARI
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME che ha concluso chiedendo :
1-1—1 27€7 – carrcItitie – el – rezterrdo per COGNOME l’annullamento con rinvio limitatamente alla valutazione sulla sussistenza della recidiva, rigetto nel resto; dichiararsi inammissibili
tutti gli alti ricorsi.
udito t difensort
L’avvocato NOME conclude chiedendo in accoglimento del proprio ricorso l’annullamento con rinvio.
L’avvocato NOME COGNOME conclude chiedendo l’accoglimento del proprio ricorso.
L’avvocato NOME COGNOME conclude chiedendo l’accoglimento del proprio ricorso. L’avvocato COGNOME conclude chiedendo l’accoglimento del proprio ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 24 maggio 2022, all’esito di giudizio abbreviato, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bari si pronunciava in ordine a una serie di episodi criminosi verificatisi nel territorio barese nel periodo ricompreso tra gennaio e giugno 2018, collocabili nell’ambito di una faida insorta tra i clan COGNOME e COGNOME a seguito del passaggio di NOME COGNOME, originariamente affiliato a NOME COGNOME, alla consorteria dei COGNOME.
Tale sequela delittuosa, per come evidenziato dai Giudici del merito, traeva avvio dall’omicidio premeditato aggravato, oltre che dalla premeditazione, anche dall’aggravante mafiosa sia come agevolazione che come metodo (e per COGNOME anche dall’aggravante di aver commesso il fatto nei tre anni dalla cessazione della misura di prevenzione), di COGNOME, autore di una serie di atti provocatori nei confronti di esponenti di spicco del clan COGNOME, cui intendeva sottrarre l’egemonia detenuta sui traffici illeciti del rione INDIRIZZO.
Per detto omicidio, contestato al capo di imputazione 1), il primo Giudice affermava la penale responsabilità degli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME
Detto Giudice dichiarava, inoltre:
NOME COGNOME responsabile anche dei delitti di detenzione e porto illegali di armi di cui al capo 2), aggravati dal nesso teleologico con l’omicidio, dall’aggravante mafiosa e per COGNOME dall’aggravante di cui sopra, del tentato omicidio sub 4) di NOME COGNOME, aggravato dalla premeditazione e dall’aggravante mafiosa, e per COGNOME anche dall’aggravante sopra indicata, dei delitti di detenzione e porto illegali di armi, di cui al capo 5), aggravati dal nesso teleologico, dall’aggravante mafiosa e per COGNOME anche come sopra, dei delitti di detenzione e porto illegali di arma di cui al capo 6), aggravati dall’aggravante mafiosa e per COGNOME anche come sopra, e del delitto di calunnia sub 13), e, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, e dell’attenuante della collaborazione di cui all’art. 416-bis.1, terzo comma, cod. pen., con conseguente esclusione dell’aggravante ex art. 416-bis.1, primo comma, cod. pen., che comunque era esclusa in relazione al primo reato, operato l’aumento per
la continuazione e la riduzione per il rito, lo condannava alla pena di dodici anni di reclusione, oltre pene accessorie;
NOME COGNOME responsabile del tentato omicidio sub 4) e dei delitti di armi di cui al capo 5) e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti rispetto alle contestate aggravanti, previa applicazione dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1, primo comma, cod. pen., operato l’aumento per la continuazione e la riduzione per il rito, lo condannava alla pena di anni dieci e mesi otto di reclusione, oltre pene accessorie;
NOME COGNOME responsabile dei delitti a lui ascritti ai capi 1) e 2) dell’imputazione, e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti rispetto alle contestate aggravanti, esclusa l’aggravante ex art. 416-bis.1, primo comma, cod. pen. per il primo reato, operato l’aumento per la continuazione e disposta la riduzione per il rito, lo condannava alla pena di anni quattordici e mesi otto di reclusione, oltre pene accessorie;
NOME COGNOME responsabile dei delitti di cui ai capi 1) e 2), del delitto di evasione di cui al capo 3), aggravato dal nesso teleologico, del delitto di rapina, aggravato dall’arma, di cui al capo 8), dei delitti di detenzione e porto illegali dell’arma utilizzata nella rapina di cui al capo 9), aggravati quindi dal nesso teleologico, e del delitto di rapina, aggravato dall’arma, di cui al capo 10), ed esclusa l’aggravante di cui all’articolo 416-bis.1, primo comma, cod. pen. per il primo reato, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti rispetto alle contestate aggravanti e l’attenuante di cui all’articolo 416-bis.1, terzo comma, cod. pen., operati l’aumento per la continuazione e la riduzione in ragione del rito, lo condannava alla pena finale di anni dieci e mesi quattro di reclusione, oltre pene accessorie;
NOME COGNOME responsabile dei delitti a lui ascritti ai capi 1), 4), 5) e 13) dell’imputazione e, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche equivalenti rispetto alle contestate aggravanti, esclusa l’aggravante di cui all’articolo 416-bis.1, primo comma, cod. pen. in relazione al primo reato, operati l’aumento per la continuazione e la riduzione in ragione del rito, lo condannava la pena finale di anni diciassette e mesi quattro di reclusione, oltre pene accessorie;
NOME NOME COGNOME responsabile dei delitti a lui ascritti ai capi 1), 4), 5) e 6) dell’imputazione ed esclusa per il primo reato
l’aggravante di cui all’articolo 416-bis.1, primo comma, cod. pen., riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti rispetto alle contestate aggravanti, operati l’aumento per la continuazione e la riduzione per il rito, lo condannava alla pena di anni sei di reclusione, oltre pene accessorie;
NOME COGNOME responsabile dei delitti a lui ascritti ai capi 1) e 2) dell’imputazione e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti rispetto alle contestate aggravanti, esclusa per il primo reato l’aggravante di cui all’articolo 416-bis.1, primo comma, cod. pen., operati l’aumento per la continuazione e la riduzione per il rito, lo condannava alla pena finale di anni quattordici e mesi otto di reclusione, oltre pene accessorie;
NOME COGNOME responsabile della rapina aggravata dall’arma di cui al capo 10) e dei delitti di detenzione e porto illegali dell’arma di cui al capo 11), aggravati dall’aggravante mafiosa e questi ultimi anche dal nesso teleologico, e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti rispetto alle contestate aggravanti, operati gli aumenti ex articolo 416-bis.1, primo comma, cod. pen. e per la continuazione, e ridotta, infine, la pena per il rito, lo condannava alla pena di anni sei e mesi otto di reclusione ed euro 1200 di multa, oltre pene accessorie.
Con la sentenza in epigrafe la Corte di assise di appello di Bari, in riforma della suddetta sentenza, in accoglimento dell’appello del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari, ritenuta la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1, primo comma, cod. pen., così come contestata al capo 1) dell’imputazione, ha rideterminato la pena inflitta a COGNOME, COGNOME e COGNOME all’esito del giudizio di primo grado in quella di anni venti di reclusione ciascuno; in parziale accoglimento, poi, degli appelli di NOME COGNOME e NOME COGNOME ha rideterminato le pene inflitte ai medesimi all’esito del giudizio di primo grado rispettivamente in anni nove di reclusione e in anni dieci e mesi quattro di reclusione; ha, infine, confermato nel resto la sentenza impugnata, condannando COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME al pagamento delle ulteriori spese processuali.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione, a firma dell’avv. NOME COGNOME, NOME COGNOME.
2.1 Con il primo motivo di impugnazione vengono denunciati vizio di motivazione e violazione di legge per erroneo computo degli aumenti ex art. 81 cod. pen. e conseguente reformatio in peius.
Rileva la difesa che la Corte di assise di appello, in accoglimento del proprio motivo di appello, ha rideterminato gli aumenti di pena, elevando però gli aumenti di pena in continuazione per i reati di cui ai capi 2), 5) e 6) e in particolare passando dalla pena di mesi otto di reclusione a quella di un anno e sei mesi di reclusione, in assenza di appello del P.m.; e ciò, senza motivare su detti aumenti.
2.2. Col secondo motivo di ricorso si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza.
Erra, secondo la difesa, la Corte di assise di appello laddove esclude il giudizio di prevalenza sulla base di una recidiva reiterata non applicata dal primo Giudice (e neppure oggetto di gravame da parte del P.m.), che non aveva disposto alcun aumento né espresso un giudizio di comparazione della recidiva con le attenuanti.
Detta Corte, inoltre, non avrebbe svolto alcuna argomentazione, incorrendo in vizio motivazionale, circa le doglianze difensive sul mancato riconoscimento della prevalenza delle generiche.
Il difensore insiste, pertanto, alla luce dei suddetti motivi per l’annullamento della sentenza impugnata.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione anche NOME COGNOME tramite il proprio difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME censurando la sentenza impugnata per violazione degli artt. 27, comma 3, e 101, comma 2, Cost., 546 lett. e) cod. proc. pen. e 133 cod. pen., e vizio di motivazione.
Si duole la difesa delle argomentazioni della Corte territoriale in relazione al mancato riconoscimento del ne bis in idem. Rileva che dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 34655 del 28/09/2005 emerge che il divieto di un secondo giudizio ex art. 649 cod. proc. pen. si incentra sulla configurazione storica-naturalistica del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento e rapporto di causalità) e che nel caso in esame la condotta di cui al capo 4) è la medesima, anche per le circostanze di luogo e di tempo simili, di quella di cui alla pregressa condanna definitiva per detenzione d’arma in concorso di COGNOME sempre
con NOME COGNOME (successiva ai fatti per cui si procede), in relazione alla quale i medesimi venivano tratti in arresto.
Propone ricorso per cassazione NOME COGNOME tramite l’avv. NOME COGNOME
4.1. Con il primo motivo di impugnazione deduce violazione degli artt. 582, comma 1, e 591, comma 1, lett. a) cod. proc. pen. e vizio di motivazione circa la dedotta inammissibilità dell’appello del P.m.
Rileva la difesa che: – l’atto di appello presentato dal P.m. non contiene alcuna indicazione della persona che lo ha presentato, riportando in calce il mero timbro del deposito in cancelleria con l’ulteriore timbro dell’assistente giudiziario ricevente che appone una sigla; – non è, pertanto, possibile verificare che sia stato depositato da un ausiliario della Procura della Repubblica, risultando al riguardo apodittica la motivazione della Corte di assise di appello, secondo cui la certificazione del funzionario che riceve l’atto attesterebbe tale dato; risulta, quindi, violato il disposto dell’art. 582, comma 1, cod. proc. pen., che prevede che il pubblico ufficiale che riceve l’atto di impugnazione deve apporre, oltre all’indicazione del giorno in cui lo riceve, anche della persona che lo presenta, nonché il disposto dell’art. 591, comma 1, lett. c), che prevede l’inammissibilità dell’impugnazione nel caso di inosservanza delle disposizioni dell’art. 582 codice di rito; – la sentenza pronunciata dalla Prima sezione, n. 3820 dell’Il gennaio 2017, dep. 2018, P.g. C/Errico, affronta detta specifica questione, argomentando, previo confronto con le sentenze di diverso avviso, in ordine alle ragioni per le quali, nell’ipotesi di mancata individuazione onomastica della persona che depositi il ricorso, lo stesso diventi inammissibile; – detta pronuncia, che interpreta perfettamente la lettera delle disposizioni normative, non costituisce orientamento isolato, come da ordinanza di rigetto dell’eccezione di inammissibilità della Corte a qua, ma si attaglia perfettamente all’ipotesi oggetto di impugnazione; – evidenzia, inoltre, detta pronuncia che la sentenza COGNOME, capofila del diverso orientamento della mera irregolarità, secondo cui l’art. 582 mirerebbe solo a prevenire che l’impugnazione provenga da soggetto non legittimato, in realtà trae origine da un caso diverso, in cui era stato addirittura il Pubblico ministero a presentare personalmente l’impugnazione.
4.2. Col secondo motivo di ricorso si rileva vizio di motivazione in ordine alla premeditazione.
Osserva il difensore che la sentenza di primo grado valorizzava, a sostegno della premeditazione, elementi del tutto estranei alla persona del ricorrente, che, al più, consentivano di individuare detta aggravante in capo a NOME COGNOME e che la Corte di assise di appello, sollecitata a tale riguardo, valorizza la confessione piena e incondizionata di COGNOME, che coinvolgerebbe anche la premeditazione oggetto di imputazione. Detta Corte però cadrebbe in contraddizione – lamenta la difesa – con tale valorizzazione, nel momento in cui, successivamente, in sede di trattamento sanzionatorio, per non concedere le circostanze attenuanti prevalenti sulle contestate aggravanti, afferma che la confessione si sarebbe limitata ad una mera dichiarazione di ammissione dei fatti contestati.
4.3. Col terzo motivo di impugnazione vengono lamentati vizio di motivazione e violazione dell’art. 416-bis.1, primo comma, cod. pen.
Si duole che le argomentazioni al riguardo della Corte di assise di appello su detta circostanza siano manifestamente illogiche e non consentano di ravvisare detta aggravante in capo a Cascella, che non aveva alcun interesse all’eliminazione di Andolfi. Rileva che: – la vittima era persona mafiosa, insensibile, quindi, a ogni intimidazione in suo danno; – non può parlarsi di metodo mafioso per il solo carattere eclatante dell’azione e la sua efficiente pianificazione; – il fatto che l’omicidio sia avvenuto all’interno di un’abitazione privata e alla presenza della sola nonna della vittima escluderebbe l’ipotizzato carattere eclatante dell’azione.
4.4. Con il quarto motivo di ricorso ci si duole della mancanza assoluta di motivazione in ordine all’invocata esclusione della recidiva.
Rileva il difensore che con l’atto di appello si faceva leva sulla distanza temporale del precedente, idonea a degradare i fatti per cui si procede a mera occasione di ricaduta. Lamenta che la Corte di assise di appello nulla dice al riguardo, neppure confrontandosi con la dedotta ammissione degli addebiti, che costituisce un evidente segno di resipiscenza e rende il nuovo addebito inespressivo di maggiore pericolosità.
4.5. Col quinto motivo di impugnazione vengono denunciati violazione degli artt. 132 e 133 cod. pen. e vizio di motivazione circa il
mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza.
La difesa lamenta che la Corte territoriale ha escluso la prevalenza sulla base di una confessione limitata all’ammissione dei fatti (sul punto ribadisce di avere evidenziato la contraddittorietà con le argomentazioni precedenti), del fatto che con l’atto di appello si sia contestata la premeditazione e della condanna per associazione per delinquere di tipo mafioso. Rileva che la scelta difensiva di impugnare il profilo inerente alla premeditazione non giustifica certamente la negazione del giudizio di prevalenza; che, inoltre, la condanna menzionata dalla Corte riguarda una partecipazione associativa ad altro clan (RAGIONE_SOCIALE) commessa fino al 2015; che, infine, la confessione di COGNOME è stata piena e incondizionata ed antecedente a quella degli altri imputati, indotti a confessare dalla stessa.
Il difensore insiste, alla luce dei suddetti motivi, per l’annullamento della sentenza impugnata.
Ricorre, altresì, per cassazione NOME COGNOME con atto a firma dell’avv. NOME COGNOME
5.1. Con il primo motivo di impugnazione eccepisce erronea applicazione dell’art. 69, quarto comma, cod. pen.
Rileva la difesa che la sentenza di appello va censurata laddove ha ritenuto impossibile addivenire ad un giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto all’aggravante della premeditazione in ragione della recidiva (reiterata e specifica) contestata al suddetto.
E ciò perché la Corte territoriale non considera che l’ambito di operatività dell’art. 69, quarto comma, cod. pen. è stato progressivamente eroso da plurime dichiarazioni di illegittimità costituzionale che hanno interessato tale disposizione normativa con riferimento a specifiche circostanze diminuenti e a singoli reati (da ultimo con la recente sentenza n. 94 del 2023 la Corte costituzionale ha affermato che la deroga al giudizio di bilanciamento, insita nel divieto di prevalenza, comporta, relativamente ai delitti puniti con l’ergastolo, considerato il marcato divario tra la pena prevista per il reato circostanziato e quella nel caso di applicazione delle attenuanti, la violazione dei principi costituzionali di eguaglianza, di offensività della condotta sanzionata penalmente e di proporzionalità della pena tendente
alla rieducazione). Osserva il difensore a tale riguardo che nel caso in esame, pur essendo stata esclusa la premeditazione per le attenuanti generiche equivalenti, è comunque ravvisabile un ampio divario tra pena edittale (non inferiore nel minimo ad anni ventuno) e pena risultante dall’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, sicché sussistono le stesse rationes decidendi sottese alla già menzionata dichiarazione di illegittimità costituzionale, dovendosi, pertanto, ritenere anche nella specie inapplicabile il divieto di prevalenza, che comprometterebbe la necessaria funzione riequilibratrice riconosciuta alle circostanze attenuanti.
5.2. Col secondo motivo di ricorso si denuncia vizio di motivazione circa l’esclusione del giudizio di prevalenza.
Rileva il difensore che la sentenza di appello, nel far leva per la denegata prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla gravità dei delitti commessi, anche in considerazione del ruolo di esecutore materiale del ricorrente, dà vita ad una motivazione sia scarna che manifestamente illogica. Lamenta che non è valorizzato l’intrapreso percorso collaborativo, già posto a fondamento della concessione della diminuente della dissociazione attuosa nella sua massima estensione.
5.3. La difesa deposita memoria nella quale ripercorre i motivi di ricorso e insiste per l’accoglimento dello stesso.
Propone ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME NOME COGNOME.
6.1. Con il primo motivo di impugnazione vengono eccepiti violazione dell’art. 577, primo comma, n. 3 cod. pen. e vizio di motivazione in ordine al riconoscimento dell’aggravante della premeditazione nei confronti del ricorrente.
Rileva la difesa che secondo il G.u.p. del Tribunale di Bari il messaggio veicolato da NOME COGNOME a NOME COGNOME tramite COGNOME e COGNOME, che si presentarono a quest’ultimo riferendogli che COGNOME non serbava alcun rancore nei suoi confronti e che egli era libero di smerciare la droga a Carrassi (mentre COGNOME fu due giorni dopo ucciso, proprio per essere transitato dal clan COGNOME a quello COGNOME e aver spacciato e commesso estorsioni nell’ambito dello stesso in detto quartiere), servisse ad agevolare l’esecuzione dell’omicidio perché COGNOME avrebbe abbassato la guardia e sarebbe stato ucciso più facilmente. Osserva il difensore che, sempre secondo il primo Giudice, COGNOME,
quando si presentò ad Andolfi per il messaggio già sapeva che in realtà COGNOME aveva deciso di eliminare il suddetto; e che questa tesi è stata condivisa dalla Corte di assise di appello di Bari. Aggiunge la difesa che, essendo stato assolto COGNOME in primo grado dall’omicidio per avere partecipato solo a questa attività preparatoria e, quindi, per non avere ritenuto il G.u.p. che tale contributo alla realizzazione del reato fosse stato consapevole, si doveva ritenere che anche COGNOME fosse all’oscuro del proposito omicidiario di COGNOME, a nulla rilevando che pochi giorni dopo lo stesso fosse intervenuto nella fase esecutiva del delitto, prelevando il killer (COGNOME) da un luogo vicino a quello dell’agguato e accompagnandolo a casa. Aggiunge che, alla luce delle dettagliate dichiarazioni accusatorie de relato rese da COGNOME, che dopo l’arresto ha iniziato a collaborare, inspiegabilmente ignorate, COGNOME fu incaricato da COGNOME di prendere parte all’omicidio di COGNOME un paio di ore prima del delitto, come altresì confermato in modo indiretto da COGNOME che, divenuto collaboratore di giustizia, ha riferito che inizialmente altri lo avrebbero dovuto prelevare dal luogo del delitto.
Tanto premesso, la difesa lamenta che a carico di COGNOME è stata ravvisata l’aggravante della premeditazione pur mancando l’elemento cronologico, come altresì interpretato con riguardo al concorso di persone (conoscenza effettiva e volontà adesiva al programma altrui, maturata con adeguata anteriorità temporale).
6.2. Col secondo motivo di ricorso si invoca in via subordinata l’annullamento della sentenza impugnata per violazione dell’art. 63, comma quarto, cod. pen., per essere stato applicato l’aumento di pena per l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. nonostante l’incidenza sulla pena dell’aggravante della premeditazione.
Lamenta la difesa la violazione del criterio di contemperamento di cui al disposto normativo summenzionato, che, diversamente da come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi applicabile nel caso in cui, come quello di specie, l’aggravante della premeditazione risulti neutralizzata dalle attenuanti generiche equivalenti e non prevalenti, perché in questo caso detta aggravante ha neutralizzato a sua volta le generiche impedendo che la pena base venisse ridotta fino ad un terzo. Osserva la difesa che l’aggravante della premeditazione, pur non avendo comportato la pena dell’ergastolo, ha inciso non di poco sulla quantificazione della pena; e che, essendovi stata una concreta applicazione della circostanza più grave (quella della premeditazione), la
9
Corte di assise di appello in virtù del criterio di contemperamento non avrebbe dovuto aumentare la pena per la circostanza meno grave (quella mafiosa).
6.3. Con il terzo motivo di impugnazione il difensore lamenta vizio di motivazione in ordine all’aumento per il delitto di cui al capo 4) (tentato omicidio in danno di NOME COGNOME).
Si duole il difensore che la Corte di assise di appello abbia confermato l’aumento di pena per il suddetto delitto, nella misura di anni tre e mesi sei, in considerazione di una serie di dati, tra cui quello che a sparare fu COGNOME. Rileva che tale iter argomentativo non è corretto alla luce delle dichiarazioni di COGNOME, secondo cui i sicari furono COGNOME e COGNOME, ma a sparare fu quest’ultimo. Dichiarazioni de relato dalla vittima, di cui non ha tenuto conto il Giudice di appello.
Ricorre per cassazione, tramite l’avv. NOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME.
7.1. Con il primo motivo di impugnazione denuncia violazione dell’art. 62-bis cod. pen. e vizio di motivazione in relazione all’omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza.
La difesa, sull’esclusione del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, rileva che non è pertinente il collegamento con COGNOME al quale risulta contestata, diversamente da COGNOME, la recidiva reiterata; e che, pertanto, sulla richiesta difensiva di prevalenza delle attenuanti non vi è pronuncia.
Aggiunge che la Corte di assise di appello di Bari, proprio in virtù della leale confessione del ricorrente in merito ai fatti contestati e del suo notevole contributo collaborativo, avrebbe certamente potuto concedere le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante di cui al capo 4).
7.2. Col secondo motivo di ricorso si invoca nullità della sentenza per erroneo computo della pena.
Si rileva che erronea è l’individuazione della pena base per tentato omicidio aggravato in anni quattordici e non anni dodici così come previsto dall’art. 56 cod. pen., così da applicare la diminuzione massima prevista da tale articolo.
7.3. Col terzo motivo di impugnazione ci si duole del vizio di motivazione e della violazione di legge per erroneo computo della pena e disparità di trattamento sanzionatorio.
Lamenta la difesa che la Corte di assise di appello ha confermato le statuizioni del primo Giudice senza rimodulare gli aumenti di pena in continuazione per i delitti in materia di armi di cui ai capi di imputazione 5) e 6), nonostante fossero sproporzionati (nella misura di un anno ognuno) e di eguale entità rispetto ad esempio a COGNOME che, a differenza di COGNOME, non ha mai scisso i collegamenti con la criminalità organizzata, nonché superiori rispetto agli aumenti di pena individuati per Anemolo in relazione agli stessi reati (otto mesi).
La difesa alla luce dei suddetti motivi insiste per l’annullamento della sentenza impugnata.
7.4. Il difensore deposita memoria con cui si limita ad anticipare le proprie conclusioni, insistendo sull’accoglimento del ricorso.
Propone ricorso per cassazione anche NOME COGNOME con atto a firma dell’avv. NOME COGNOME
8.1. Con il primo motivo di impugnazione deduce violazione degli artt. 582, comma 1, e 591, comma 1, lett. a) cod. proc. pen. e vizio di motivazione circa la dedotta inammissibilità dell’appello del P.m.
Si svolgono gli stessi rilievi di cui al primo motivo di ricorso del coimputato COGNOME, da intendersi qui integralmente richiamati.
8.2. Col secondo motivo di ricorso vengono denunciati violazione dell’art. 416-bis.1, primo comma, cod. pen. e vizio e/o assenza di motivazione.
Ci si duole che la Corte di assise di appello spieghi per quali ragioni sia ravvisabile l’aggravante mafiosa, senza però analizzarla per la posizione del ricorrente.
Osserva il difensore che la Corte non si è confrontata su specifici argomenti devoluti dalla difesa con l’atto d’appello in relazione a tale aggravante, e, in particolare, non ha valutato che: – COGNOME non è mai stato condannato né processato per delitti di mafia; – il suo mandante, il coimputato COGNOME ha una sola condanna per associazione mafiosa fino al 2015; il ruolo del ricorrente è stato marginale in quanto assente nella fase decisoria e organizzatoria; – la vittima era soggetto mafioso e, come tale, non suscettibile di intimidazione; – il mero carattere eclatante dell’azione e la sua efficiente pianificazione non sono sufficienti a far
ritenere l’aggravante del metodo mafioso, che viene argomentata in maniera assolutamente apparente; – le circostanze utilizzate per ritenere la circostanza in esame sono peraltro di segno contrario alla sussistenza della medesima.
8.3. Col terzo motivo di impugnazione ricorso si rilevano violazione dell’art. 577, comma 1, n. 3, e vizio di motivazione.
Lamenta il difensore che la Corte di assise di appello di Bari confonde la preordinazione con la premeditazione e che, con riguardo alla posizione del ricorrente, la motivazione è viziata.
Osserva che COGNOME viene incaricato dell’omicidio solo il giorno prima, in relazione alla materiale e nuda consegna del giubbotto antiproiettile all’esecutore materiale; e che dopo l’omicidio è COGNOME ad informarlo del cambio del programma di fuga, a dimostrazione della marginalità del suo ruolo.
8.4. Col quarto motivo di ricorso la difesa eccepisce violazione dell’art. 99, comma quarto, cod. pen. e vizio di motivazione.
Rileva che, diversamente da come ritenuto dal certificato del casellario giudiziale del ricorrente, non emerge che lo stesso, al momento della condotta contestata, era sottoposto alla sorveglianza speciale; e che la Corte territoriale, quindi, ha attribuito rilievo nel non escludere la recidiva ad un dato inesistente.
8.5 Con il quinto motivo di impugnazione vengono dedotti violazione degli artt. 132 e 133 cod. pen. e vizio di motivazione.
Lamenta la difesa che le circostanze attenuanti generiche non sono state riconosciute come prevalenti rispetto alla contestata aggravante sulla base di due dati errati: l’aver commesso, da parte dell’imputato, l’omicidio in costanza di applicazione della sorveglianza speciale e la non piena confessione del fatto per avere con l’atto di gravame impugnato la premeditazione. Imputando, quanto a quest’ultimo profilo, la non pienezza della confessione a una scelta difensiva, a fronte, invece, di un’ammissione totale e incondizionata, che, comunque, ha risentito del ruolo marginale svolto nella vicenda.
Ci si duole che il trattamento sanzionatorio riservato a COGNOME sia stato identico a quello ricevuto dal coimputato COGNOME che è mandante di COGNOME, organizzatore e pianificatore della vicenda.
8.6. Con il sesto motivo di ricorso si denunciano violazione degli artt. 110, 81 cod. pen., 2, 4 e 7 I. 18 aprile 1975, n.110 e 416-bis.1, primo comma, cod. pen. e vizio di motivazione.
(
Rileva il difensore che la Corte territoriale motiva in modo apparente in ordine all’aumento di pena per i delitti di armi di cui al capo 2) e, pur partendo dal minimo edittale per il reato di omicidio, poi aumenta per l’aggravante mafiosa di anni otto anziché di anni sette e di un anno per il delitto di cui al suddetto capo, senza spiegare l’allontanamento dai minimi edittali per detti aumenti, su cui la confessione avrebbe dovuto senza dubbio incidere.
Ricorre, infine, per cassazione, tramite il proprio difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME, NOME COGNOME censurando la sentenza impugnata per violazione degli artt. 27, comma 3, e 101, comma 2, Cost., 546 lett. e) cod. proc. pen. e 133 cod. pen. e vizio di motivazione.
La difesa si duole della ritenuta aggravante mafiosa in relazione ai reati di rapina aggravata dall’arma e di detenzione e porto illegali di arma, posti in essere dal ricorrente, che, nei giorni immediatamente successivi all’omicidio del fratello NOME COGNOME, si recò nella sala giochi gestita da NOME COGNOME per conto di COGNOME, rapinando quest’ultimo, dopo averlo fatto inginocchiare per terra e avere sparato vari colpi in aria. Rileva che tale circostanza è fondata su mere deduzioni investigative e propalazioni di collaboratori di giustizia. Lamenta che vengono trascurate le dichiarazioni del coimputato NOME COGNOME divenuto collaboratore di giustizia, secondo cui l’azione di COGNOME sarebbe dovuta ad un fraintendimento sulle dinamiche dell’omicidio del fratello, avendo COGNOME individuato nella consegna eseguita prima dell’omicidio da Ancona di un indumento alla nonna dell’imputato e della vittima, che si trovava a casa della suddetta in detenzione domiciliare, un segnale per gli autori dell’omicidio o una sua partecipazione all’omicidio stesso. Dichiarazioni, queste, che sembrano supportare la tesi di una vendetta personale del ricorrente.
La difesa osserva, inoltre, che il mancato riconoscimento della continuazione con il precedente giudicato si fonda sul fatto, in alcun modo provato, che si tratti di armi diverse, mentre COGNOME risulta essersi armato dopo l’uccisione del fratello con l’intenzione di vendicarlo e di proteggere la propria incolumità e tale arma è quella ritrovata a casa del medesimo per la cui detenzione risulta condannato in via definitiva. Rileva che milita in tal senso il brevissimo lasso temporale di appena dieci giorni tra la rapina e l’arresto; e che anche l’identità del luogo criminoso di commissione dei reati (Bari) fa propendere per l’unicità del disegno
13
criminoso. Unicità, che, invece, viene negata sulla base di una motivazione illogica, oltre che carente, che fa leva solo sull’incertezza dell’identità dell’arma.
La difesa, alla luce di tali censure, insiste per l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Inammissibili sono i ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME.
1.1. Inammissibile è il ricorso nell’interesse di COGNOME.
La Corte territoriale con riferimento al bis in idem, invocato dinanzi alla stessa e reiterato in questa sede, cita la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la preclusione di un secondo giudizio, derivante dall’applicazione del principio del ne bis in idem, non è configurabile qualora un comportamento antigiuridico, protrattosi nel tempo, pur violando la stessa norma e integrando lo stesso reato già accertato, costituisca una ulteriore estrinsecazione del comportamento stesso, diverso e distinto nello spazio e nel tempo, di guisa che realizzi una ulteriore modificazione di una realtà materialmente e cronologicamente diversa (Sez. 2, n. 14453 del 10/07/1986, COGNOME, Rv. 174708: fattispecie in tema di procedimento per rapina aggravata dall’uso di pistola, per la cui detenzione l’imputato era stato già condannato con separato giudizio). E osserva (a p.20) che tale orientamento si attaglia perfettamente al caso di specie, stante la diversa data di commissione della medesima fattispecie criminosa da parte del COGNOME nell’altro processo. Aggiunge, che non può parlarsi di identità del fatto in quanto, oltre alla detenzione, nel presente processo è contestato anche il porto della medesima arma, ipotesi di reato invece non presente nell’altro processo, ove COGNOME è stato condannato anche per ricettazione della arma, ipotesi non contestata nel presente procedimento; e, inoltre, che nel presente giudizio sono contestati in concorso con COGNOME anche la detenzione e il porto dell’arma con cui quest’ultimo sparava a COGNOME.
A fronte di tali complete e non manifestamente illogiche argomentazioni, il ricorso, che insiste sul bis in idem, senza neppure specificare a quale fatto storico è riferibile l’altra sentenza di condanna (che neppure individua), rispetto al fatto accertato al capo 5),
temporalmente fissato al 9 giugno 2018, è assolutamente generico e dimostra di non confrontarsi con le medesime se non per limitarsi a confutarle.
1.2. Inammissibile è anche il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME.
1.2.1. Inammissibile è il primo motivo di impugnazione.
Evidenzia, invero, la Corte di assise di appello di Bari che per COGNOME non è possibile addivenire ad un giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla contestata aggravante di cui al capo 4) (della premeditazione), specificando (alle p.28 e 29) che la scelta dissociativa e la collaborazione con la giustizia sono state valorizzate dal primo Giudice con la concessione dell’attenuante speciale di cui all’art. 416-bis.1, terzo comma, cod. pen. nella massima estensione, mentre con il giudizio del bilanciamento delle generiche rispetto alla residua aggravante in termini di mera equivalenza e non di prevalenza si è perseguita la finalità di non obliterare la gravità del fatto, attesa la particolare intensità del dolo derivante dalle modalità della condotta posta in essere per realizzare l’agguato in danno di Cucumazzo.
Di contro, le censure difensive insistendo su un’inesistente omessa motivazione (essendo ovvio che il riferimento ad COGNOME è in relazione alla gravità del fatto e non alla sua personalità) e sulla concedibilità delle circostanze attenuanti generiche, a fronte di un iter argomentativo, come quello appena riportato, incorrono nella aspecificità e nella manifesta infondatezza.
1.2.2. COGNOME Inammissibile è anche il secondo motivo di ricorso, in quanto manifestamente infondato e rivalutativo a fronte della motivazione della sentenza di appello (a p.29) sulle modalità dell’agguato, espressive di dolo particolarmente intenso da giustificare la minima riduzione ex art. 56 cod. pen.
1.2.3. COGNOME Inammissibile, infine, sempre per essere manifestamente infondate e rivalutative, sono le doglianze di cui al terzo motivo di ricorso, a fronte delle non manifestamente illogiche argomentazioni della sentenza di appello (sempre a p.29) con riguardo alla misura degli aumenti di pena apportati ex art. 81 cod. pen., pari ad un anno di reclusione per ciascun reato satellite (di cui ai capi di imputazione 5 e 6), correttamente parametrata, ex art. 133 cod. pen., al fatto che le armi sono state detenute e portate in vista dell’agguato in danno di Cucumazzo; nonché con riguardo anche alla disparità di trattamento con
COGNOME, dovuta alla ragionevole scelta di perequazione della sanzione complessiva, e alla parità di trattamento con NOME seppure non collaboratore (p. 29).
Infondati sono i ricorsi di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
2.1. Infondato nel complesso è il ricorso nell’interesse di Anemolo.
2.1.1. Infondato è il primo motivo di impugnazione.
Invero, la Corte territoriale, lungi dall’operare una reformatio in peius con riguardo agli aumenti di pena in continuazione, risulta, dal confronto tra la sentenza di primo grado (p.85) con quella di secondo grado (p.26), essere passata da otto a sei mesi di reclusione di aumento di pena per ogni reato satellite.
Quanto alla doglianza circa l’omessa motivazione in ordine agli aumenti di pena operati, va osservato che in tema di determinazione della pena nel reato continuato, non sussiste obbligo di specifica motivazione per ogni singolo aumento, essendo sufficiente indicare le ragioni a sostegno della quantificazione della pena-base, vieppiù quando non è possibile dubitare del rispetto del limite legale del triplo della pena base ex art. 81, comma primo, cod. pen., in considerazione della misura contenuta degli aumenti di pena irrogati, e i reati posti in continuazione siano integrati da condotte criminose seriali ed omogenee (Sez. 5, n. 32511 del 14/10/2020, COGNOME, Rv. 279770). Inoltre, risulta intervenuta la pronuncia delle Sezioni Unite, n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269 – 01, che ha chiarito che il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all’entità degli stessi e tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i limiti previsti dall’art. 81 cod. pen. e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene.
GLYPHtí
/
Alla luce di tali principi, nel caso in esame non si può parlare di omessa motivazione sugli aumenti di pena in continuazione, essendosi ritenuto, in relazione a condotte criminose seriali e omogenee, di contenere gli aumenti di pena in misura più ridotta rispetto a quella quantificata dal primo Giudice, che, comunque, aveva argomentato sulla gravità dei singoli reati, in ragione delle modalità delle condotte, della pericolosità delle stesse e dell’intensità dell’elemento soggettivo.
/
16
2.1.2. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso.
Diversamente da come dedotto dalla difesa, la recidiva reiterata specifica contestata ad COGNOME risulta essere stata applicata dal primo Giudice che, però, ha concesso le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alle contestate aggravanti, ivi compresa la suddetta recidiva, neutralizzando i loro effetti sotto il profilo sanzionatorio.
Con riguardo al rapporto tra circostanze attenuanti e recidiva reiterata specifica contestata ad COGNOME erra la Corte territoriale nell’affermare che la prevalenza sulle aggravanti non può essere riconosciuta, in quanto inibita normativamente dal disposto di cui all’art. 69, comma quarto, cod. proc. pen.
Tale affermazione, invero, non prende in considerazione la recente pronuncia n. 24 del 18 aprile 2023 (antecedente anche come deposito alla pubblicazione della sentenza di appello con il dispositivo), con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui, relativamente ai delitti puniti con la pena edittale dell’ergastolo prevede il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla recidiva reiterata di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.
Invero, secondo la Corte costituzionale la deroga al giudizio di bilanciamento, insita nel divieto di prevalenza di cui all’art. 69, quarto comma, cod. pen., comporta relativamente ai delitti puniti con l’ergastolo, come appunto nel caso in esame in cui l’omicidio di cui al capo 1) ascritto ad COGNOME è aggravato dalla premeditazione, la violazione dei principi costituzionali di eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.), di offensività della condotta sanzionata penalmente (art. 25, secondo comma, Cost.) e di proporzionalità della pena tendente alla rieducazione del condannato (art. 27, terzo comma, Cost.). Evidenzia, difatti, la Corte costituzionale che dette fattispecie sono caratterizzate dalla sussistenza di un marcato divario tra la pena base prevista per il reato non circostanziato e quella risultante dall’applicazione delle attenuanti; e che l’ampiezza della divaricazione, per essere compatibile con i suddetti principi costituzionali, richiede che il giudice possa operare l’ordinario bilanciamento delle circostanze.
Tuttavia, la doglianza circa la mancata prevalenza delle attenuanti generiche è infondata, risultando l’erroneo assunto di cui si è detto superato dalla successiva motivazione resa dalla sentenza di appello, in
17
cui si rileva che, comunque, osta al giudizio di prevalenza la gravità del delitto commesso avuto riguardo allo specifico ruolo di mandante di COGNOME
2.2. Infondato è il ricorso nell’interesse di Cascella.
2.2.1. Infondato è il primo motivo di impugnazione.
La difesa a fondamento della propria doglianza pone la pronuncia di questa Corte – Sez. 1, n. 3820 del 11/01/2017, dep. 2018, PG c/Errico, Rv. 272424 – 01 – secondo cui in materia di impugnazioni, è inammissibile – alla stregua della lettera dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., con riferimento all’art. 582, comma 1, cod. proc. pen. quella presentata da un soggetto di cui non vi sia l’indicazione onomastica, giusta formale attestazione di deposito estesa sull’originale dell’atto dal pubblico ufficiale addetto alla ricezione presso la cancelleria del giudice “a quo” (fattispecie relativa a ricorso per cassazione del pubblico ministero, depositato nella corrispondente segreteria e da questa trasmesso alla cancelleria della corte d’appello a mezzo di registro di passaggio). Da un lato, però, trascura il prevalente orientamento di questa Corte – in ultimo Sez. 3, n. 31022 del 22/03/2023, COGNOME, Rv. 284982 – 02 – secondo cui l’atto di appello del pubblico ministero, vigente l’art. 582, comma 1, cod. proc. pen. nella formulazione antecedente l’entrata in vigore delle modifiche apportate a tale disposizione dall’art. 33 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, può essere presentato anche a mezzo di persona incaricata, addetta all’ufficio della Procura della Repubblica, senza che sia necessario né un atto formale di delega, né l’attestazione, da parte del pubblico ufficiale che riceve l’atto, del suo nominativo, dal momento che la stessa ricezione dell’atto presuppone un’attività di verifica dell’identità dell’incaricato, il quale svolge un’attività meramente materiale nell’ambito delle funzioni dell’ufficio di cui fa parte, non suscettibile di essere ricondotta a disposizioni impartite dal titolare dell’ufficio stesso. Dall’altro, non considera che, comunque, il caso in esame non è riconducibile all’ipotesi considerata dalla pronuncia di legittimità citata.
Invero, nella copia dell’atto di appello del P.m., prodotta in allegato dalla difesa, si individua la sola sottoscrizione del Sostituto Procuratore che ha redatto l’impugnazione e poi il depositato del Cancelliere del Tribunale. In carenza di ogni altra indicazione, deve, pertanto, presumersi che il Cancelliere abbia ricevuto l’atto dal suo redattore, ossia dal Sostituto Procuratore.
/
Il motivo va, quindi, disatteso.
2.2.2. Inammissibile è il secondo motivo di ricorso, in quanto meramente rivalutativo.
La sentenza in esame (alle p.10-12), con riferimento alla premeditazione dell’omicidio di Andolfi non solo valorizza l’incondizionata confessione resa da COGNOME nel corso del giudizio di primo grado, inerente l’intera contestazione e, quindi, anche il profilo della premeditazione (e con questa valorizzazione, diversamente da come prospettato dalla difesa, non contrasta quanto affermato, in punto di trattamento sanzionatorio, dalla Corte, nel sottolineare che comunque l’imputato non avrebbe collaborato alla ricostruzione dei fatti contestati, ma si sarebbe limitato ad ammetterli), ma, altresì, le concordi dichiarazioni dei collaboratori COGNOME e COGNOME (coimputati nel medesimo delitto di omicidio e ritenuti dai Giudici di merito credibili per avere ammesso le proprie responsabilità nell’omicidio in esame, oltreché essersi autoaccusati di numerosi e gravi ulteriori episodi delittuosi) sul fatto che sia stato proprio COGNOME il motore primo dell’attentato mortale in danno di Andolfi, voluto soprattutto da lui, pienamente coinvolto quindi nella sua pianificazione, per evidenti interessi criminali sulla zona, che rischiavano di essere compromessi dall’attività delinquenziale prevaricatrice posta in essere dalla vittima.
Evidenzia la Corte territoriale che fu il predetto a comunicare ad Anemolo tale sua decisione, quantomeno quattro-cinque giorni prima dell’evento, che provvide ad organizzare personalmente, reperendo esecutori materiali, armi e mezzi e stabilendo le modalità esecutive; e che, pertanto, nessun dubbio vi è sulla configurabilità a suo carico dell’aggravante della premeditazione.
2.2.3. Inammissibili, sempre perché GLYPH rivalutative, oltre che manifestamente infondate e reiterative di doglianze già dedotte nel merito, sono le censure relative all’aggravante mafiosa, di cui al terzo motivo di impugnazione.
A fronte, invero, di argomentazioni scevre da vizi logici e giuridici, quali quelle della Corte territoriale sul punto (alle p.17 e 18), che si soffermano sull’aggravante sia come agevolazione del clan sia come metodo mafioso e si ricollegano alle suddette argomentazioni sulla premeditazione, nelle quali si evidenzia che l’omicidio di COGNOME fu iniziativa di COGNOME per evidenti interessi criminali.
Rileva la Corte territoriale che dal contenuto delle intercettazioni e delle concordi dichiarazioni dei collaboratori di giustizia può dirsi acclarato che il motivo scatenante l’omicidio in esame era dovuto al passaggio della vittima dal clan COGNOME al clan COGNOME e alla sua volontà di estendere il predominio di quest’ultimo sul quartiere Carassi, sottoposto fino a quel momento all’egemonia del clan COGNOME.
Sottolinea che risulta essere emerso da detto compendio probatorio che COGNOME aveva coltivato un proposito di espansione sul territorio controllato dagli COGNOME, su cui vi erano cointeressenze del clan COGNOME del quale faceva parte COGNOME, e compiuto una serie di provocazioni, mediante pesanti offese in pubblico e minacce di morte; e che è indubbio, quindi, che l’eliminazione fisica di COGNOME mirava a ripristinare il prestigio criminale del clan COGNOME nella gestione nel quartiere Carassi delle attività di spaccio di stupefacenti ed estorsioni, minato dalle mire espansionistiche del traditore COGNOME, passato nelle opposte file del clan mafioso dei Capriati. Aggiunge detta Corte che è altrettanto indubbio il carattere mafioso dell’originario sodalizio criminoso di appartenenza di COGNOME, alla luce delle concordi dichiarazioni dei collaboratori, che disegnavano una consorteria avente le predette caratteristiche.
Osserva, inoltre, che nel caso in esame non è dubbio il metodo mafioso dell’omicidio, commesso con modalità eclatanti, in pieno centro cittadino, da un commando armato ed organizzato, che penetrava con uno stratagemma nell’abitazione della vittima agli arresti domiciliari e nonostante la presenza di terze persone (i nonni di Andolfi) faceva fuoco inesorabilmente uccidendo il soggetto predestinato; e che tali modalità sono state poste in essere proprio in virtù della particolare organizzazione di tale sodalizio di stampo mafioso, che aveva a disposizione adepti adusi alla perpetrazione di tali crimini efferati, in grado di reperire immediatamente armi, mezzi e uomini per la pianificazione dettagliata di tali reati, anche in casi di particolare difficoltà o rischiosità dell’azione, come nel caso in esame, in cui, essendo la vittima sottoposta agli arresti domiciliari, vi era il rischio che gli autori dell’omicidio incrociassero le forze dell’ordine preposte al controllo, con possibili eventuali conseguenze ancora più gravi ed eclatanti.
2.2.4. Inammissibile, in quanto manifestamente infondato e aspecifico, è il quarto motivo di ricorso.
Diversamente da come lamentato dal ricorrente, la Corte territoriale motiva sull’invocata esclusione della recidiva e lo fa in modo non
20
manifestamente illogico e corretto giuridicamente, e, come tale, insindacabile in questa sede.
Invero, rileva che «non può escludersi la contestata recidiva reiterata infraquinquennale per Cascella, atteso che pur trattandosi di delitti contro il patrimonio, gli stessi sono stati commessi dal prevenuto nonostante fosse stato sottoposto alla misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale (cfr. relativo cert. pen. in atti): ciò denota un persistente spregio all’osservanza delle regole e degli ordini impartiti dall’autorità sintomatici di una personalità adusa al crimine e che ha inciso certamente nella realizzazione dei gravi reati del presente processo».
2.2.5. Infondato è, invece, il quinto motivo di ricorso.
Al di là del non pertinente riferimento da parte della sentenza in esame alla scelta difensiva di contestare in fatto con il gravame la premeditazione, come elemento che avrebbe limitato la portata della confessione, che, invece, come altrove evidenziato dalla stessa Corte, è stata incondizionata, la sentenza in esame nell’escludere la prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle aggravanti della recidiva e della premeditazione fa leva sul fatto che l’imputato, a differenza di altri coimputati, si sarebbe limitato ad ammettere i fatti contestati, ma non a contribuire alla loro ricostruzione, avvenuta soltanto grazie alle dichiarazioni dei coimputati COGNOME e COGNOME divenuti nelle more collaboratori di giustizia; e aggiunge che per COGNOME rileva negativamente anche il fatto che è stato condannato definitivamente in data 20 gennaio 2023 per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen.
Tali considerazioni di merito, anche depurate dal suddetto riferimento, risultano idonee a sorreggere il diniego del giudizio di prevalenza e a resistere alle censure difensive, che, pertanto, si rivelano infondate.
2.3. Infondato nel complesso è il ricorso di COGNOME come, altresì, supportato dalla successiva memoria difensiva.
2.3.1. Infondato, alla luce di quanto già osservato per COGNOME, è il primo motivo di impugnazione, risultando l’erroneo assunto di cui si è detto superato dalla successiva motivazione resa dalla sentenza di appello, facente leva sulla gravità del fatto comunque ostativa al giudizio di prevalenza, che rimane valida al momento della prova di resistenza.
2.3.2. Inammissibile, in quanto rivalutativo, è il secondo motivo di ricorso.
A fronte, invero, di una motivazione, in cui si dà atto che il percorso collaborativo su cui insiste il motivo è a fondamento del riconoscimento nella misura massima dell’attenuante della dissociazione e in cui si evidenzia che alla prevalenza delle circostanze attenuanti comunque osterebbe sia per COGNOME che per COGNOME la gravità del delitto commesso, avuto riguardo in particolare ai rispettivi specifici ruoli di mendante ed esecutore materiale.
2.4. Nel complesso infondato è, infine, il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME.
2.4.1. Inammissibile, ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., è il primo motivo di impugnazione, in quanto la questione della premeditazione con riguardo all’omicidio di Andolfi non risulta sollevata precedentemente con l’appello.
2.4.2. Infondato è il secondo motivo di ricorso.
E ciò alla luce dell’orientamento costante di questa Corte, secondo cui nell’ipotesi di concorso tra più circostanze aggravanti ad effetto speciale, l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1, primo comma, cod. pen. deve essere esclusa dal giudizio di bilanciamento, in quanto, ai fini del calcolo degli aumenti di pena irrogabili, ad essa non si applica la regola generale prevista dall’art. 63, comma quarto, cod. pen., ma l’autonoma disciplina derogatoria di cui al citato art. 416-bis.1 cod. pen., ove è previsto l’inasprimento della sanzione da un terzo alla metà (Sez. 2, n. 9526 del 17/12/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282791: fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione con la quale, una volta effettuato l’aumento di pena previsto dall’art. 628, comma terzo, n. 3, cod. pen., era stato applicato l’aumento per l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.; conforme Sez. 2, n. 44155 del 02/10/2014, COGNOME e altro, Rv. 262066).
2.4.3. Infondato è, infine, il terzo motivo di impugnazione.
Invero, la conferma del cospicuo aumento di pena per il tentato omicidio di Cucumazzo (sub 4) è motivata (a p.24 della sentenza impugnata) sulla base di una serie di fattori, quali l’intensità del dolo, avuto riguardo ai precedenti tentativi di eliminazione fisica della vittima posti in essere anche nei giorni precedenti unitamente a COGNOME e COGNOME, e il ruolo di esecutore materiale.
Il ricorrente non contesta di aver fatto parte del commando, ma assume di non avere sparato lui. Ciò che, però, non lo escluderebbe
dall’ambito dell’esecuzione materiale, rendendo la sua doglianza destituita di fondamento.
Parzialmente fondato è il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME.
3.1. Infondato è il primo motivo di impugnazione, per quanto argomentato in relazione al corrispondente primo motivo del ricorso di Cascella.
3.2. Inammissibili, in quanto manifestamente infondati e rivalutativi, oltre che reiterativi dei medesimi rilievi svolti con l’appello, sono, invece, il secondo e il terzo motivo di ricorso.
Sull’aggravante mafiosa dell’omicidio COGNOME si richiama in generale quanto osservato con riguardo al terzo motivo del ricorso di Cascella.
Invero, la Corte territoriale (alle p. 17-18) ritiene – ampiamente e logicamente argomentando – l’aggravante sotto entrambi i profili oggetto di imputazione, sia dell’agevolazione del clan mafioso che del metodo mafioso, che afferma essere stato contestato in sede di gravame dalla difesa di COGNOME.
Posto che la circostanza aggravante del metodo mafioso di cui all’art. 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito con modificazioni nella legge 12 luglio 1991, n. 203 (ora art. 416-bis.1, comma primo, cod. pen.), in quanto riferita alle modalità di realizzazione dell’azione criminosa, ha natura oggettiva ed è valutabile a carico dei concorrenti, sempre che siano stati a conoscenza dell’impiego del metodo mafioso ovvero l’abbiano ignorato per colpa o per errore determinato da colpa (Sez. 4, n. 5136 del 02/02/2022, COGNOME, Rv. 282602 – 02), non vi è dubbio che congrua è la motivazione della Corte di assise di appello di Bari.
Detta Corte, invero, sottolinea come il ruolo e le condotte svolte da COGNOME, che risulta essere stato scelto poiché uomo di fiducia del mandante COGNOME (si veda p.8 della sentenza in esame, in cui si sottolinea che COGNOME non avrebbe mai potuto recedere dalla volontà omicidiaria, in quanto ne sarebbe certamente derivato una notevole perdita di prestigio all’interno del clan, anche rispetto alla figura del suo padrino COGNOME e della compagine criminosa di COGNOME con cui vi era “comparanza”), nell’esecuzione dell’omicidio siano sintomatiche di un notevole spessore criminale nella realizzazione del fatto di sangue, da imporre un aumento di pena per l’aggravante mafiosa non inferiore ad anni otto di reclusione.
Quanto all’ulteriore aggravante della premeditazione, la sentenza di appello, oltre a rimarcare la persistenza della volontà omicidiaria dell’imputato nei termini sopra specificati, evidenzia (sempre a p.8) come l’omicidio COGNOME sia un delitto di stampo mafioso, in cui il proposito criminoso, alla stregua delle concordi dichiarazioni di COGNOME e COGNOME, è stato anticipatamente manifestato a COGNOME ben un giorno prima della consumazione dell’evento da Cascella, che lo incaricava di consegnare in giornata un giubbotto antiproiettile a Cucumazzo, nonché di prelevare il predetto il giorno seguente dalla sua abitazione a bordo di una moto e consegnargli la pistola con il colpo in canna (entrambe fornite da COGNOME) da utilizzare per compiere l’agguato; e come detto mandato sia stato eseguito puntualmente dal ricorrente che il giorno dell’agguato escogitò, come riferito da Cucumazzo, lo stratagemma per farsi aprire il cancello dell’abitazione della vittima, qualificandosi al citofono quale un carabiniere addetto ai controlli. Osserva, quindi, la Corte a qua come sia evidente che l’elaborazione di tale modalità era avvenuta in un momento certamente anteriore all’esecuzione del delitto così come le modalità di fuga a delitto avvenuto, con la consegna, da parte di COGNOME, della pistola e del casco a COGNOME che avrebbe consentito al primo di proseguire la sua fuga a bordo della vettura di COGNOME, in una condizione meno rischiosa in caso di controlli in itinere da parte delle forze dell’ordine. Conclude per l’esclusione della mera preordinazione, intesa come apprestamento dei mezzi minimi necessari all’esecuzione nella fase a quest’ultima immediatamente precedente, ritenendo che il lasso temporale di circa ventiquattro ore, intercorso tra l’esplicitazione del mandato omicidiario a COGNOME con l’indicazione dello stesso nel ruolo di esecutore materiale unitamente a COGNOME e la consumazione dell’omicidio configuri l’elemento cronologico richiesto per l’aggravante della premeditazione. E sottolinea come particolare pregnanza a tal fine abbia anche il movente del delitto, rispondendo l’azione criminosa, messa in moto dai mandanti (COGNOME e COGNOME) a capo delle rispettive consorterie criminali di stampo mafioso e ampiamente pianificata, alla logica dell’immediata affermazione della supremazia di chi vede compromessa l’immagine esterna del ruolo apicale e personale.
3.3. Inammissibile, ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., è il quarto motivo di impugnazione, in quanto con l’appello non risulta essere stata contestata l’applicazione della recidiva.
(
3.4. Fondato è, invece, il quinto motivo di ricorso, dovendosi ritenere assorbito il sesto motivo sull’entità degli aumenti di pena in continuazione, in relazione ai quali senza dubbio incide la misura del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Invero, la Corte di assise di appello di Bari rileva come non sia «comunque possibile addivenire ad un giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti della recidiva e della premeditazione (al di là del divieto normativo di cui all’art. 69 comma quarto c.p.) atteso che la confessione del COGNOME non può considerarsi “piena” in quanto nell’atto di gravame si è “contestata” in fatto l’aggravante della premeditazione, sminuendo come marginale un ruolo rilevante nella esecuzione del delitto per i motivi innanzi evidenziati».
A parte il riferimento a un divieto di prevalenza su cui come si è visto ha inciso la pronuncia della Corte costituzionale sopra riportata, senza dubbio tale motivazione, facendo sulla sola contestazione in fatto dell’aggravante della premeditazione con il gravame, a fronte comunque della confessione di COGNOME e così confondendo le prerogative difensive con il comportamento processuale che potrebbe giustificare il giudizio di prevalenza, appare lacunosa oltre che illogica.
Tali GLYPH lacune GLYPH e/o GLYPH contraddizioni GLYPH motivazionali GLYPH impongono l’annullamento della sentenza impugnata, quanto a NOME COGNOME limitatamente all’esclusione della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle circostanze aggravanti, e il rinvio per nuovo giudizio su tale punto e su quelli consequenziali ad altra sezione della Corte di assise di appello di Bari.
Va, invece, rigettato il ricorso nel resto.
4. Parzialmente fondato è anche il ricorso proposto da NOME COGNOME.
Inammissibili, in quanto manifestamente infondate e rivalutative, oltre che reiterative, sono le censure sulla ritenuta aggravante mafiosa, alla luce delle argomentazioni della Corte territoriale, non manifestamente illogiche e giuridicamente corrette e, come tali, insindacabili in questa sede.
Detta Corte, invero, osserva (a p.20-21) che sono assolutamente condivisibili le argomentazioni rese dal primo Giudice, secondo cui il metodo mafioso sarebbe configurabile nel caso di specie, in considerazione delle modalità della condotta posta in essere da COGNOME, fratellastro di COGNOME ucciso appena quindici giorni prima su mandato di
COGNOME, e, quindi, in un contesto di regolamento violento di conti tra clan avversari. Rileva a tale riguardo che COGNOME, per vendicare la morte del fratellastro, entrava nel locale di NOME COGNOME, titolare di un circolo ricreativo ubicato nei pressi dell’abitazione di Andolfi, sotto la protezione di COGNOME, in compagnia di due complici armati e, dopo aver sparato alcuni colpi in aria, faceva inginocchiare dinanzi a sé la vittima, così esercitando la propria supremazia, in disprezzo della ben nota protezione dello stesso da parte di NOME e del relativo clan, e, quindi, ponendosi in alternativa rispetto a quest’ultimo, si faceva consegnare una somma di denaro, pronunciando la frase “da oggi comando io”. Conclude col ritenere, alla stregua di quanto appena evidenziato, più che ragionevole che tale comportamento minaccioso maturato in tale contesto, fosse tale da richiamare alla mente e alla sensibilità del soggetto passivo quello comunemente ritenuto proprio da chi appartenga ad un sodalizio mafioso e non necessita che sia stata dimostrata o contestata l’esistenza di un’associazione per delinquere, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia richiamino la forza intimidatrice tipicamente mafiosa del vincolo associativo.
Fondata è, invece, la doglianza sulla motivazione del diniego della continuazione tra i reati del presente giudizio con i delitti di ricettazione e di detenzione di arma (una pistola Smith Wesson) con matricola abrasa, accertati in Bari il 10 febbraio 2018, di cui alla sentenza emessa in data 13 giugno 2018 dal G.u.p. del Tribunale di Bari.
Detta motivazione, invero, ai fini della continuazione (p.21 della sentenza impugnata), riconosce rilevanza decisiva alla mancanza di certezza dell’identità dell’arma oggetto del reato di detenzione e porto illegali di cui al capo 12) (posto in relazione alla rapina di cui al capo 11) del presente giudizio, commessi il 30 gennaio 2018, e del reato accertato con efficacia di giudicato, commesso il 10 febbraio 2018, mentre il vincolo della continuazione invocato potrebbe sussistere indipendentemente da quel dato, attese, altresì, la contiguità temporale tra le condotte criminose e l’identità del luogo di commissione delle stesse (Bari).
Tali lacune motivazionali impongono l’annullamento della sentenza impugnata, quanto a NOME COGNOME limitatamente al rigetto dell’istanza di applicazione della continuazione, e il rinvio per nuovo giudizio su tale punto e su eventuali punti consequenziali ad altra sezione della Corte di assise di appello di Bari.
Il ricorso va dichiarato inammissibile nel resto.
i GLYPH
5. All’inammissibilità dei ricorsi di COGNOME e COGNOME consegue la loro condanna al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di
elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte coste, sent. n. 186 del 2000), anche al versamento
a favore della Cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria, che pare congruo determinare in euro tremila.
Al rigetto dei ricorsi di COGNOME, COGNOME e COGNOME
NOME consegue la loro condanna al pagamento delle spese processuali.
6. Va, infine, dichiarata l’irrevocabilità della sentenza in ordine all’affermazione della penale responsabilità di NOME COGNOME e
NOME COGNOME.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi di NOME COGNOME e NOME NOME COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Rigetta i ricorsi di NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali.
Annulla la sentenza impugnata, quanto a NOME COGNOME limitatamente all’esclusione della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle circostanze aggravanti, e, quanto a NOME COGNOME limitatamente al rigetto dell’istanza di applicazione della continuazione, con rinvio per nuovo giudizio su tali punti e su quelli consequenziali ad altra sezione della Corte di assise di appello di Bari.
Rigetta nel resto il ricorso di NOME COGNOME e dichiara inammissibile nel resto il ricorso di NOME COGNOME
Visto l’art. 624 cod. proc. pen., dichiara l’irrevocabilità della sentenza in ordine all’affermazione della penale responsabilità di NOME COGNOME e NOME COGNOME
Così deciso in Roma, il 10 maggio 2024.