Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 23443 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 23443 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
COGNOME NOME nato a San Giorgio Albanese il 18/07/1969
avverso l’ordinanza del 04/02/2025 del Tribunale di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentite le richieste del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
sentite le conclusioni del difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME anche in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME che ha si è riportato ai motivi di ricorso, chiedendone l ‘ accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Catanzaro, in funzione di Tribunale del riesame, ha parzialmente confermato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro in data 9 gennaio 2025, che aveva disposto la custodia in carcere nei confronti di NOME COGNOME in relazione al reato di cui agli artt. 110-629
cod. pen., disponendo la sostituzione della misura intramuraria con quella degli arresti domiciliari.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo dei propri difensori, deducendo cinque motivi di impugnazione, che qui si riassumono nei termini di cui all ‘ art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 125, comma 3, e 309, comma 10, cod. proc. pen. e 111, sesto comma, Cost., nonché mancanza assoluta della motivazione, con riferimento alla riserva di deposito dei motivi oltre il termine ordinario di trenta giorni, giustificata soltanto con minimali formule di stile.
2.2. Violazione di legge in relazione agli artt. 192, 273 e 309, comma 9, cod. proc. pen. e 111 Cost., nonché mancanza assoluta della motivazione, con riferimento al ruolo contestato al ricorrente nell’estorsione di cui al capo 1.
Il Tribunale avrebbe acriticamente recepito le dichiarazioni di NOME COGNOME e NOME COGNOME rispettivamente legale rappresentante e capocantiere di RAGIONE_SOCIALE, appaltatrice di lavori in località Trebisacce, secondo cui il clan dominante nel territorio di Cassano all’Ionio avrebbe imposto una tangente del 3% sull’importo dell’appalto, riscossa mediante sovrafatturazione per lavori non eseguiti da parte di imprese subappaltatrici. Nello specifico, a NOME COGNOME sarebbero ascritte, in tale contesto estorsivo, condotte gestionali, quale asserito ‘titolare’ di RAGIONE_SOCIALE, obliterando completamente i cospicui elementi a discarico derivanti dalle indagini difensive (in particolare, le dichiarazioni di COGNOME, Montalto, Fusaro, Godino, Turano e COGNOME, di pieno riscontro a quanto riferito in sede di interrogatorio di garanzia), tali da comprovare la funzione meramente esecutiva del ricorrente (semplice autista, affatto privo di poteri amministrativi). Peraltro, quanto desunto contra reum d all’analisi della contabilità, non terrebbe conto del fatto che la RAGIONE_SOCIALE emetteva le fatture, con quanto ne consegue in termini di versamenti Iva, solo a seguito dell’invio degli stati di avanzamento, ferma restando la prassi di gestire ‘in comune’ il materiale tra più imprese coinvolte nel medesimo appalto.
2.3. Violazione di legge in relazione agli artt. 192, 273 e 309, comma 9, cod. proc. pen. e 111 Cost., nonché mancanza assoluta della motivazione, con riferimento al mancato rilievo delle discrasie emerse nelle tre successive dichiarazioni di NOME COGNOME (con analoghe censure riferite anche all’altro dichiarante NOME COGNOME) , senza procedere al doveroso scrutinio dell’attendibilità di una fonte di primaria importanza.
Ci si duole, altresì, della contraddittoria ricostruzione della tempistica della presentazione della richiesta estorsiva (in ipotesi, verificatasi successivamente alla stipula del contratto e all’emissione della relativa fattura).
2.4. Violazione di legge in relazione agli artt. 110, 629 e 416bis .1 cod. pen., 192 e 309, comma 9, e 273 cod. proc. pen. e 111 Cost., nonché mancanza assoluta o manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alla sussistenza dell’aggravante mafiosa in capo al concorrente . Il Tribunale avrebbe trascurato del tutto le deduzioni difensive sul punto (incentrate sulla mancanza di elementi che permettessero di sostenere la consapevolezza di COGNOME, privo di posizioni apicali, di partecipare a un presunto sistema di sovrafatturazione a copertura della dazione del ‘pizzo’).
2.5. Violazione di legge in relazione agli artt. 110, 629 e 416bis .1 cod. pen., 192 e 309, comma 9, e 273 cod. proc. pen. e 111 Cost., nonché mancanza assoluta o manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alle ritenute esigenze cautelari, fondate su una non corretta lettura dei precedenti giurisprudenziali richiamati (che facevano leva su un modus vivendi criminale, non sovrapponibile alla posizione di COGNOME, incensurato e senza autonomia decisionale nella Calabria Lavori).
2.6. Con memoria trasmessa il 26 maggio 2025, la difesa, replicando alle conclusioni scritte anticipate dal Procuratore generale, ha ribadito i motivi di ricorso.
All’odierna udienza camerale, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo è manifestamente infondato.
È principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, da cui il Collegio non ha ragioni per discostarsi, che il Tribunale, quando per la stesura della motivazione di un ‘ ordinanza di misura cautelare di tipo coercitivo adotti un termine superiore ai trenta giorni a norma dell ‘ art. 309, comma 10, cod. proc. pen., ha solo l ‘ onere di indicarlo nel dispositivo, senza necessità di particolari formule che diano atto della scelta effettuata in relazione alla particolare complessità della motivazione. Tale disposizione sanziona, infatti, con la perdita di efficacia dell ‘ ordinanza applicativa di misura coercitiva, la sola inosservanza dei termini prescritti per la decisione (dieci giorni dalla ricezione degli atti) e per il deposito dell ‘ ordinanza del Tribunale in cancelleria (trenta giorni o, al massimo, quarantacinque giorni dalla decisione), senza imporre al giudice alcun obbligo argomentativo a sostegno del termine più lungo eventualmente disposto e
meramente indicato nel dispositivo. La decisione del Tribunale è, dunque, insindacabile (cfr., Sez. 2, n. 14043 del 06/03/2025, Sisto, non mass.; Sez. 5, n. 2912 del 23/10/2024, dep. 2025, A., non mass.; Sez. 6, n. 11737 del 31/01/2024, I., Rv. 286203-01; Sez. 2, n. 22463 del 05/05/2016, Prezzavento, Rv. 26689701; Sez. 1, n. 11166 del 22/12/2015, dep. 2016, Pardo, Rv. 266211-01).
Il secondo e il terzo motivo, entrambi in tema di gravità indiziaria ed incentrati su doglianze meramente rivalutative, possono essere esaminati congiuntamente.
3.1. Il Tribunale ha dato adeguatamente conto delle ragioni su cui riposa, in parte qua , la conferma dell’ordinanza genetica.
NOME COGNOME, capocantiere della subappaltatrice Tre Colli e referente del locale sodalizio, avrebbe imposto ai responsabili locali di RAGIONE_SOCIALE di avvalersi di alcune ditte compiacenti, tra cui la RAGIONE_SOCIALE, e di versare («per non avere problemi») una tangente nelle casse della cosca, mediante sovrafatturazione degli importi dovuti per servizi e fornitura di materiali.
La genuinità delle informazioni resa da NOME e COGNOME è stata oggetto di approfondito scrutinio, che ha trovato ampie conferme negli esiti delle intercettazioni (anche relative alla messaggistica intercorsa) e nella disamina della cospicua documentazione commerciale, da cui era possibile desumere gli anomali incrementi sulle quantità da consegnare, con un surplus di oltre mille metri cubi.
3.2. Le alternative versioni della difesa sono state puntualmente esaminate e ragionevolmente disattese, chiarendo in particolare come COGNOME (espressamente indicato alle vittime da Salvo come punto di contatto per la Calabria Lavori) avesse gestito in prima persona gli accordi, per quanto concerneva la suddetta impresa, sottolineando le peculiarità di tale frazione del patto estorsivo in tema di decurtazione dell’Iva (pp. 7-15, ove si richiama, altresì, il fatto che il figlio del ricorrente, NOME, era socio al 50% della medesima società).
3.3. Fermo restando che, contrariamente al lessico usato dal ricorrente, NOME e COGNOME non sono testi e che il loro contributo conoscitivo è valutato nei soli termini dell’incidente cautelare ( il cui criterio di giudizio non è la piena prova della responsabilità, ma soltanto la gravità indiziaria), il ricorso per cassazione per vizio di motivazione in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l ‘ apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di elementi già esaminati, o comunque implicitamente disattesi, dal giudice di merito (Sez. 2, n. 27866 del
17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976-01. Cfr. anche Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400-01, che ha chiarito come il controllo di legittimità non concerna la ricostruzione dei fatti, né l ‘ apprezzamento del giudice di merito circa l ‘ attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori).
Tutti i profili di censura in esame non risultano, dunque, consentiti in questa sede di legittimità.
Il quarto motivo è generico.
4.1. L’aggravante mafiosa è stata contestata e ritenuta sotto il duplice profilo del metodo e dell’agevolazione.
4.1.1. Le modalità impositive tipiche della criminalità mafiosa sono state ampiamente descritte nell’ordinanza impugnata: prima richiesta, seguita a mo’ di chiarimento esemplare -dalla forzosa trasferta per incontrare il vertice del sodalizio locale e, infine, esplicita evocazione della caratura criminale di quest’ultimo, con invito ad informarsi sulla rete internet. Parte integrante, sia pure non di primo livello di questo articolato meccanismo intimidatorio, era NOME COGNOME sicuramente consapevole di fornire , nell’ambito della complessiva intimidazione ‘ndranghetistica, materiali minori di quelli fatturati e pagati (p. 16).
Tale aggravante ha natura oggettiva ed è valutabile a carico dei concorrenti, ai sensi dell’art. 59 cod. pen., sempre che siano stati a conoscenza dell ‘ impiego del metodo mafioso ovvero l ‘ abbiano ignorato per colpa o per errore determinato da colpa (cfr., Sez. 2, n. 2159 del 24/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285908-03, non mass. sul punto; Sez. 4, n. 5136 del 02/02/2022, COGNOME, Rv. 282602-02; Sez. 6, n. 41772 del 13/6/2017, Vicidomini, Rv. 271103-01).
4.1.2. Del pari, è stata ben messa in luce la destinazione delle somme estorte «direttamente al finanziamento della cosca Abruzzese» (cfr., in particolare, p. 3).
Tale distinta aggravante ha natura soggettiva e richiede la sussistenza del dolo specifico di agevolare l ‘ organizzazione criminale di riferimento, finalità che però non presuppone necessariamente l’ intento del consolidamento o rafforzamento del sodalizio criminoso; l ‘ agente deve, quindi, deliberare l ‘ attività illecita nella convinzione di apportare un vantaggio alla compagine associativa, fondando tale rappresentazione su elementi concreti, inerenti, in via principale, all ‘ esistenza di un gruppo associativo avente le caratteristiche di cui all ‘ art. 416bis cod. pen. e all ‘ effettiva possibilità che l ‘ azione illecita si inscriva tra le possibili utilità ricavabili da tale compagine, anche se non essenziali, secondo la valutazione del soggetto agente, non necessariamente coordinata con i componenti dell ‘ associazione (cfr., Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278734-01; Sez. 6, n. 53691 del 17/10/2018, COGNOME, Rv. 274615-01; Sez. 6, n. 28212 del 12/10/2017, dep. 2018, COGNOME Rv. 273538-01; Sez. 6, n. 54481
del 06/11/2017, COGNOME, Rv. 271652-01. Sez. 6, n. 43890 del 21/06/2017, COGNOME, Rv. 271098-01, e Sez. 6, n. 25510 del 19/04/2017, COGNOME, Rv. 27015801, hanno condivisibilmente precisato che l’aggravante risulta applicabile non solo nei confronti di chi abbia agito con tale primaria finalità, ma anche di chi l ‘ abbia comunque condivisa e fatta propria).
Oltre a quanto già premesso in merito alla posizione del ricorrente, appare evidente l’effetto agevolatore dell’azione predatoria, avuto riguardo anche alla altrettanto palese consapevolezza di rafforzare -profittando direttamente del sistema di taglieggiamento delle imprese operanti sul territorio -la supremazia dell’associazione criminale nell’area geografica di riferimento .
4.2. Il ricorrente, muovendo contestazioni schiettamente fattuali (in cui, perlopiù, ribadisce le proprie mansioni asseritamente esecutive, già escluse dalla complessiva ricostruzione della vicenda), non distingue tra questi due, affatto differenti, profili circostanziali, limitandosi a negare di avere agito «con piena cognizione delle finalità illecite comportamento esclusivamente materiale, non accompagnato da una chiara adesione al disegno criminoso».
Le deduzioni difensive risultano, dunque, del tutto avulse dal concreto (e complesso) apparato argomentativo, pienamente coerente con le emergenze investigative e con il consolidato orientamento giurisprudenziale.
5. Il quinto motivo è del tutto generico.
5.1. In tema di necessità cautelari, infine, i giudici catanzaresi, rivedendo in melius la misura da applicare, richiamano in primo luogo il disposto di cui all ‘ art. 275, comma 3, cod. proc. pen., che sancisce, in caso di reati aggravati ex art. 416bis .1 cod. pen., una doppia presunzione per ciò che concerne la sussistenza delle esigenze cautelari e l’adeguatezza al loro contenimento della sola misura carceraria, quest ‘ ultima superabile nei soli casi previsti dall ‘ art. 275, commi 4 e 4bis , cod. proc. pen (cfr., Sez. 2, n. 24515 del 19/01/2023, COGNOME, Rv. 28485701. Cfr. anche Sez. 2, n. 23935 del 04/05/2022, Alcamo, Rv. 283176-01; Sez. 1, n. 38603 del 23/06/2021, COGNOME, Rv. 282049-01; Sez. 2, n. 22096 del 03/07/2020, COGNOME, Rv. 279771-01).
In particolare, quando si abbia una contestazione non di intraneità a un contesto associativo di tipo mafioso, ma di mero ricorso alle modalità comportamentali tipiche di tali organizzazioni, la presunzione di perdurante pericolosità ha carattere relativo e il giudice è chiamato a valutare gli elementi astrattamente idonei a escluderla, desunti dal tipo di reato per il quale si procede, dalle concrete modalità del fatto e dalla distanza temporale dei precedenti (Sez. 5, n. 1525 del 06/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285808-01).
Il Tribunale del riesame, nella pienezza della giurisdizione di merito, condividendo le riflessioni poste a fondamento del provvedimento genetico, ha compiutamente chiarito come la suddetta presunzione di pericolosità, confermata appieno dalle emergenze investigative, non sia vinta da elementi di segno contrario , dal contenuto meramente formale, quali l’incensuratezza o il successivo formale licenziamento dalla Calabria Lavori (pp. 16-17, ove si valorizzano la genesi recente delle condotte e la pervicacia n ell’attività illecita, in contiguità con la cosca dominante nell’area ).
5.2. Nessun interesse, infine, a censurare la scelta della misura custodiale extramuraria, operata in maniera maggiormente benevola di quanto imponesse l’ulteriore e più stringente presunzione di legge.
Anche in questo caso, l’impugnazione di legittimità prescinde totalmente dalle basi giuridiche (e in buona parte anche dalle riflessioni schiettamente fattuali) poste alla base delle statuizioni contestate, evitando innanzitutto il confronto con la stringente base normativa sopra illustrata.
Il ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell ‘ art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma in favore della Cassa delle ammende, da liquidarsi equitativamente, valutati i profili di colpa emergenti dall’impugnazione (Corte cost., 13 giugno 2000, n. 186), nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 5 giugno 2025.