Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 23644 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 23644 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME (cui 01twl8m) nato a SARNO il 02/05/1972
avverso l’ordinanza del 14/04/2025 del TRIB. LIBERTA’ di Salerno Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Salerno, in funzione di giudice delle impugnazioni cautelari, con ordinanza in data 14 aprile 2025, in parziale accoglimento dell’appello proposto dal P.M. avverso l’ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Salerno del 21-22025, riconosceva la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416bisi cod.pen. in relazione al reato di turbata libertà degli incanti contestato al capo n. 16) dell’imputazione provvisoria nei confronti di NOME COGNOME mantenendo la misura cautelare della custodia in carcere già allo stesso applicata.
Avverso detta ordinanza proponeva ricorso per cassazione il difensore del COGNOME avv.to COGNOME deducendo, con unico motivo qui riassunto, inosservanza di norme previste a pena di inutilizzabilità avendo, il Giudice delle indagini preliminari, autorizzato le intercettazioni con il decreto n. 436/2022 senza alcuna motivazione sulla ricorrenza della circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso; al proposito si sottolineava come la piattaforma indiziaria sulla base della quale era stata ritenuta la sussistenza della aggravante per il reato di
cui al capo n. 16) risultasse esclusivamente da intercettazioni operate in forza del decreto n. 436/2022 e che, nella- richiesta di autorizzazione a svolgere le intercettazioni, il pubblico ministero non avesse svolto alcuna argomentazione volta a sostenere il collegamento tra il COGNOME ed ambienti criminali mafiosi, contestando allo stesso ipotesi di riciclaggio e reimpiego senza connessione con il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. contestato al COGNOME ed altri, soggetti coinvolti nello stesso procedimento. Mancava, poi, qualsiasi connessione tra la contestazione del delitto associativo e le attività del Graziano così da doversi ritenere che per detto indagato, la richiesta di autorizzazione ed il successivo decreto avrebbero dovuto avere ad oggetto al più reati comuni e non fattispecie di criminalità organizzata con conseguente applicazione del regime previsto dagli artt. 266 e segg. cod. proc. pen. e non anche del regime derogatorio stabilito in tema di intercettazioni per reati di criminalità mafiosa. Peraltro, andava ancora ricordato come l’interpretazione giurisprudenziale facente capo alla pronuncia delle Sezioni Unite Scurato impone che la qualificazione provvisoria dei fatti risulti ancorata a sufficienti, sicuri ed obiettivi elementi da cui desumere la sussistenza di fattispecie di criminalità organizzata mentre, sia nell’informativa di reato dell’il aprile 2022 che nella richiesta del P.M. successiva, nulla si diceva rispetto agli elementi indiziari sicuri da cui desumere che le attività di riciclaggio e reimpiego contestate provvisoriamente al COGNOME fossero connotate dallo sfruttamento del metodo mafioso. Conseguentemente, doveva escludersi la legittimità del decreto n. 436/2022 privo di una rigorosa motivazione sul punto né avrebbero potuto essere autorizzate le intercettazioni secondo i parametri ordinari previsti dall’art. 267 cod. proc. pen., sussistendo una mera ipotesi astratta di delitto fondata esclusivamente sulla sperequazione tra il tenore di vita del COGNOME e le sue lecite fonti di reddito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Deve innanzi tutto essere premesso che l’indagato sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere per reati c.d. comuni ha interesse ad impugnare con ricorso per cassazione l’ordinanza del Tribunale che, sull’appello proposto dal pubblico ministero ex art. 310 cod. proc. pen., abbia riconosciuto a suo carico la circostanza aggravante del metodo o dell’agevolazione mafiosa prevista dall’art. 416-bisl cod. pen. pur mantenendo ferma la stessa misura già in precedenza disposta. Ed invero pur non essendo modificata la misura cautelare il riconoscimento della suddetta aggravante comporta un regime certamente più gravoso sia in relazione ai termini massimi della custodia cautelare che con riguardo alla ricorrenza della presunzione prevista dall’art.275 comma 3 cod.
proc.pen. che determinano un preciso interesse ad impugnare.
Al proposito l’orientamento di legittimità ha affermato che sussiste l’interesse dell’indagato a ricorrere per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale del riesame che abbia ritenuto sussistente una circostanza aggravante ad effetto speciale, sempre che da questa conseguano immediati riflessi sulla valutazione della gravità del fatto ovvero sul computo della durata massima della custodia cautelare (Sez. 6, n. 7203 del 08/02/2013, Vuocolo, Rv. 254507 – 01); il principio risulta ribadito da quelle successive pronunce (Sez. 6, n. 5213 del 11/12/2018 Cc. (dep. 01/02/2019 ) Rv. 275028 – 01; Sez. 2, n. 17366 del 21/12/2022 Cc. (dep. 26/04/2023 ) Rv. 284489 – 01) secondo cui sussiste l’interesse dell’indagato a ricorrere per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale del riesame che abbia ritenuto sussistente una circostanza aggravante a effetto speciale, sempre che da questa conseguano immediati riflessi sull'”an” o sul “quomodo” della misura. E poiché, come già anticipato, il riconoscimento dell’aggravante di mafia vale ad attribuire al fatto una maggiore gravità ed incide sulla presunzione di adeguatezza della misura e sui termini di custodia, elevando la pena in astratto, certamente l’indagato può ricorrere per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale dell’appello cautelare che riformando la decisione del Giudice delle indagini preliminari abbia riconosciuto la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bisl cod. pen..
Ciò posto il ricorso è proposto per motivi non fondati e deve, pertanto, essere respinto.
Deve innanzi tutto essere ricordato l’intervento normativo contenuto nel d.l. 10 agosto 2023, n. 105 (recante disposizioni urgenti in materia di processo penale) il quale all’art. 1 ha previsto che: «Le disposizioni di cui all’articolo 13 del decretolegge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n.203, si applicano anche nei procedimenti per i delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 452-quaterdecies e 630 del codice penale, ovvero commessi con finalità di terrorismo o avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416bis del codice penale o al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo». L’introduzione della previsione citata definisce l’ambito applicativo della disciplina “speciale” (rispetto a quella dettata dal codice di rito agli artt. 267 e ss. cod. proc. pen.) riguardante i presupposti e le modalità esecutive delle intercettazioni disposte nei procedimenti riguardanti delitti di criminalità organizzata, contenuta nell’art. 13 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito con modificazioni dalla I. 12 luglio 1991, n. 203.
Chiamata ad interpretare l’effetto della suddetta previsione la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che in tema di intercettazioni telefoniche, ha natura
di norma interpretativa, come tale applicabile retroattivamente, la previsione dell’art. 1 d.l. 10 agosto 2023, n. 105, convertito dalla legge 9 ottobre 2023, n. 137, che ha definito l’ambito applicativo della disciplina “speciale” di cui all’art. 13 dl. 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, riguardante i presupposti e le modalità esecutive delle operazioni di captazione nei procedimenti per delitti di criminalità organizzata, tra i quali quelli, consumati o tentati, commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416bis cod. pen. o al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso contemplate. (Sez. 2, n. 47643 del 28/09/2023, Putignano, Rv. 285524 – 01). Ne consegue che secondo l’interpretazione di legittimità il regime derogatorio previsto dall’art. 13 cit. si applica non soltanto alle ipotesi di reati associativi ma anche alle fattispecie aggravate dall’art. 416-bisl cod.pen..
2.1 Orbene, il suddetto regime derogatorio del citato art. 13 prevede che le intercettazioni possano essere autorizzate allorché le stesse appaiano “necessarie” (non “indispensabili”) in presenza di “sufficienti” (e non gravi) indizi di reato; l’applicazione dei sora esposti principi al caso in esame comporta affermare l’infondatezza del proposto gravame. Ed invero, come già sottolineato dal tribunale dell’appello cautelare personale alle pagine 11-12 dell’ordinanza impugnata, il decreto n. 436/2022 autorizzativo delle intercettazioni sulle utenze in uso al COGNOME, e prima ancora la richiesta del pubblico ministero, evidenziavano sia il profilo soggettivo dello stesso, già definitivamente condannato per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. che sottoposto a misura di prevenzione, sia il collegamento dello stesso con altri soggetti indagati per reati associativi tramite “accordi finalizzati alla spartizione del territorio dell’agro nocerino sarnese nella quale si inserisce anche il COGNOME il quale per il tramite del COGNOME e del COGNOME procede poi al reinvestimento dei proventi illeciti del sodalizio”.
Tale motivazione deve ritenersi rispondere al presupposto normativo derogatorio la disciplina ordinaria, esponendo argomenti concreti dai quali desumere la sussistenza di sufficienti indizi di colpevolezza, collegando le attività del COGNOME al reinvestimento di profitti illeciti di un sodalizio criminale operante nel territorio.
2.2 Non sussiste, quindi, la lamentata violazione dei principi stabiliti dalle Sezioni Unite e ciò perché il provvedimento autorizzativo richiamando nel suo contesto anche la richiesta del P.M. e la nota della Squadra Mobile di Salerno del 13 maggio 2021 dà proprio conto della sussistenza dei sufficienti indizi sulla base dei quali disporre l’intercettazione; al proposito va rammentato come sia stato affermato che in materia di intercettazioni telefoniche e ambientali disposte nell’ambito di procedimenti riguardanti delitti di criminalità organizzata, la motivazione del decreto autorizzativo del g.i.p. in ordine al presupposto dei
“sufficienti indizi di reato”, previsto dall’art. 13 della I. 12 luglio 1991 n. 203 – che ha innovato-sul punto l’originaria disciplina contenuta nell’art. 267 cod. proc. pen-.
– deve contenere la sintetica illustrazione degli elementi essenziali di indagine, sì
da consentire alle parti e al giudice del riesame di stabilire la ritualità del provvedimento adottato, e può legittimamente recepire, previo adeguato vaglio
critico, le risultanze delle informative redatte dalla polizia giudiziaria (Sez. 6, n.
1625 del 06/12/2002, dep. 2003, COGNOME, Rv. 223283 – 01; Sez. 1, n. 20262
del 22/04/2010, Rv. 247209 – 01). Ne consegue che legittimamente il decreto autorizzativo richiamava il contenuto delle note di Polizia dalle quali risultavano i
rapporti e le relazioni del ricorrente con altri soggetti gravitanti nella criminalità
organizzata e tali circostanze facevano valutare sussistente il presupposto della sufficiente gravità indiziaria.
Alla declaratoria di infondatezza consegue, per il disposto dell’art. 616 cod.
proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1-ter disp. att. cod.proc. pen..
Roma, 18 giugno 2025
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