Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 35398 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 35398 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOME, nato a Bari il DATA_NASCITA
avverso la ordinanza del 15/03/2024 del Tribunale di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito il difensore, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Bari ha confermato l’ordinanza cautelare emessa nei confronti di NOME COGNOME con la quale gli è stata applicata la misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione alla ritenuta gravità indiziaria in ordine al reato di cui agli artt. 81,110, 353, 416-bis cod. pen. perché, in concorso con altri e al fine di assicurare il sostentamento economico al RAGIONE_SOCIALE di Bari, per tramite di NOME COGNOME – soggetto intraneo al suddetto RAGIONE_SOCIALE – con minaccia e avvalendosi della forza intimidatrice derivante dalla comune appartenenza di COGNOME, COGNOME e COGNOME al suddetto RAGIONE_SOCIALE mafioso, turbavano, anche mediante l’allontanamento di alcuni degli iniziali offerenti, la gara per pubblici incanti, indetta dal Tribunale di Matera Sezione fallimentare avente ad oggetto la vendita di un opificio nella zona industriale di Matera; in particolare, ponevano in essere la suindicata condotta in cambio della corresponsione da parte degli aggiudicatari della somma complessiva di euro 130.000 (30.000 dei quali in forma di sponsorizzazione in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, riconducibile a NOME COGNOME e i restanti 100.000 consegnati in contanti). NOME COGNOME, unitamente a NOME COGNOME e NOME COGNOME quali mandanti ed effettivi aggiudicatari della vendita all’asta, ottenuta mediante l’intervento in loro favore di COGNOME, COGNOME e COGNOME per conto del sodalizio denominato RAGIONE_SOCIALE. Reato commesso in RAGIONE_SOCIALE, Bari e Matera in epoca anteriore e prossima al 20 luglio 2018.
Avverso la ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di NOME COGNOME deducendo i seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo violazione dell’art. 416-bis.1. cod. pen. e motivazione apparente e contraddittoria con riguardo alla sussistenza della agevolazione mafiosa e del metodo mafioso.
Alla dedotta mancanza di consapevolezza, alla data dell’asta giudiziaria (20.7.2018) dell’esistenza in RAGIONE_SOCIALE di un’associazione mafiosa (propaggine di quella barese denominata RAGIONE_SOCIALE), il Tribunale, con riguardo all’elemento psicologico dell’aggravante, ha risposto senza confrontarsi con l’ordinanza custodiale emessa a carico dello stesso NOME COGNOME nella c.d. indagine COGNOME, per quanto riguarda il primo aspetto, ed esprimendo un giudizio contraddittorio quanto al secondo.
In particolare, quanto all’agevolazione mafiosa, l’indole mafiosa di NOME COGNOME veniva resa pubblica solo con l’ordinanza citata, eseguita il 6.11.2019, laddove l’asta si era tenuta il 20.7.2018. Cosicché il giudizio del Tribunale ha finito
per qualificare erroneamente l’aggravante in parola in termini meramente oggettivi, senza considerare la necessaria consapevolezza da parte del ricorrente, nella specie mancante nel periodo antecedente alla data dell’asta e tenuto conto che gli incensurati COGNOME e COGNOME, nella richiamata indagine, non sarebbero intra nei.
Sotto l’altro diverso profilo, l’ordinanza ha omesso di considerare che l’odierno ricorrente agiva per conseguire un personalissimo tornaconto economico senza, di contro, procurarlo – se non indirettamente – al sodalizio che avrebbe garantito il sostentamento ai suoi sodali ristretti in carcere ovvero allo COGNOME, ad esso intraneo, così esulando dalla necessità del dolo specifico di favorire l’associazione a sostegno della aggravante e con la conseguenza che questo deve essere l’obiettivo diretto della condotta.
Quanto al metodo mafioso, alla dedotta insufficienza della caratura mafiosa degli interlocutori per integrare l’aggravante in parola, il Tribunale ha risposto, senza richiamare specifici episodi di coartazione ex art. 416-bis cod. pen. estendendo automaticamente le minacce e le collusioni dallo COGNOME all’inconsapevole ricorrente, in violazione dell’art. 59 cod. pen. Del resto, i richiamati COGNOME, COGNOME e COGNOME – lungi dal rappresentare il soggetto passivo della coartazione – devono ritenersi quello “attivo” tanto da risultare indagati per la turbativa d’asta aggravata; né possono ritenersi persone offese NOME COGNOME, la “RAGIONE_SOCIALE” e la “RAGIONE_SOCIALE“, in quanto mai sentiti nel corso delle indagini, tanto che le espressioni riferite dagli indagati (COGNOME nel corso di una interlocuzione con COGNOME) non contengono alcun riferimento al “metodo” valendo, al più, a corroborare l’elemento costitutivo del delitto di turbativa d’asta.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio cumulativo della motivazione in relazione alle esigenze cautelari ed alla adeguatezza della misura applicata.
Quanto al primo profilo, alla dedotta mancanza di motivazione da parte della ordinanza genetica e all’omessa considerazione di molteplici elementi emergenti prima facie dagli atti inequivocabilmente indicativi della cessazione dell’esigenza cautelare, la ordinanza impugnata ha risposto argomentando con le medesime espressioni utilizzate dalla ordinanza applicativa, stabilendo un automatismo tra l’esistenza del periculum libertatis e il mero titolo di reato contestato al ricorrente.
Alla eccepita insussistenza del pericolo di reiterazione del reato – correlata alla estraneità del ricorrente all’associazione mafiosa, all’occasionalità del fattoreato, al decorso del tempo e allo stato di incensuratezza – il Tribunale risponde richiamando la non preclusiva natura aggravata del delitto e assertivamente riferendosi a ulteriori contatti con gli esponenti mafiosi coindagati, invero pacificamente insussistenti in relazione al ricorrente sia prima che dopo la
partecipazione all’asta, parendo piuttosto la sua posizione confusa con quella del coindagato NOME COGNOME. Quanto, poi, alla incensuratezza del ricorrente il Tribunale non spiega perché la stessa risulti irrilevante e perché sia evocato il contesto lavorativo, non dedotto dalla difesa.
In relazione al giudizio di adeguatezza, il Tribunale si esibisce in una mera petizione di principio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è infondato.
1.1. Il Tribunale richiama la complessa vicenda investigativa riguardante le svariate attività criminali facenti capo al sodalizio mafioso denominato RAGIONE_SOCIALE (capo 24) operante in Bari e in diversi comuni dell’entroterra, tra le quali è contestata la turbativa d’asta aggravata in esame, in ordine alla quale è stata confermata la sussistenza dei gravi indizi.
La vicenda riguarda – tra l’altro – il coinvolgimento di tre ex-dipendenti della RAGIONE_SOCIALE fallita, COGNOME, COGNOME e COGNOME, che avevano appositamente formato la RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE” per partecipare all’asta giudiziaria per l vendita dell’opificio della fallita che – attraverso il loro ricercato intervento coindagati COGNOME, COGNOME e COGNOME e dietro pagamento di corrispettivo ottengono l’aggiudicazione dell’opificio stagito. Secondo l’accertamento del giudice di merito, in sostanza, la vera gara è quella gestita dai tre predetti coindagati facenti capo al RAGIONE_SOCIALE mafioso che, eliminando la concorrenza “parcheggiando” i vari interessati, determinano la partecipazione dei soli interessati che si rivolgono a loro – individuando anche le somme da offrire – e, infine, “scelgono” i tre exdipendenti che li avevano interpellati quali assegnatari del predetto opificio, ricevendo dal predetto gruppo le somme sopra indicate, allontanando NOME COGNOME, rimasto a concorrere con i predetti, non essendo in grado di effettuare il rialzo richiesto e promettendogli l’aggiudicazione di altro capannone analogo.
1.2. Rimasta incontestata la turbativa d’asta concorsualmente realizzata sin dalla istanza di riesame (v. pg. 25 della ordinanza), questa si è incentrata sulla aggravante mafiosa, sulle esigenze cautelari e sulla adeguatezza della misura applicata.
Il Tribunale ha confermato la sussistenza della aggravante mafiosa secondo la duplice declinazione (v. pg. 37 e ss., ibidem), fondata sul sinallagma illecito stretto dai compartecipi al reato secondo il quale gli intranei mettevano a disposizione il metodo mafioso del RAGIONE_SOCIALE COGNOME in cambio del denaro pagato dagli imprenditori estranei al sodalizio.
Quanto al metodo mafioso, sono individuate condotte riconducibili da un lato alle minacce implicite, la cui portata minatoria deriva dalle caratteristiche soggettive dei soggetti da cui promanano, e dall’altro alle collusioni con i soggetti coinvolti i quali, nell’ambito della vicenda delittuosa, trovano il modo di soddisfare il proprio tornaconto (v. pg.41, ibidem). COGNOME, COGNOME e COGNOME hanno agito avvalendosi della forza intimidatrice derivante dall’appartenenza a un RAGIONE_SOCIALE mafioso e la conferma che gli stessi erano soggetti temuti nel territorio, oltre a essere emersa dalle particolari modalità della condotta, deriva dal risultato ottenuto. D’altra parte, osserva il Giudice del riesame, i suddetti hanno agevolato il sodalizio consentendone da un lato l’arricchimento materiale in termini monetari (vedi destinazione dei proventi ai sodali detenuti) e, dall’altro, l’accrescimento della forza sul territorio (vedi intimazione al boss NOME COGNOME, appartenente al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, di non sconfinare, intromettendosi in questioni rientranti nella loro competenza territoriale).
Quanto alla dedotta inconsapevolezza da parte del ricorrente delle finalità e del metodo mafiosi in ragione del successivo accertamento giudiziale della operatività del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE, la ordinanza ha rigettato la prospettazione difensiva, innanzitutto, rilevando che il trio di ex-dipendenti ha intrattenuto le trattative anche e soprattutto con NOME COGNOME, già condannato per aver partecipato a un’associazione di stampo mafioso operante in RAGIONE_SOCIALE dalla fine del 2010 all’attualità (sentenza primo grado del 8.4.2021) e destinatario della correlativa ordinanza cautelare eseguita nel novembre 2019 (processo COGNOME). La ordinanza rileva che l’intervento di tali provvedimenti successivamente ai fatti per i quali si procede costituisce solido riscontro al quadro indiziario del presente procedimento, in cui vi è piena conferma del fatto che le aste immobiliari nell’interland murgiano rientrano già da tempo nel capo di azione di soggetti legati al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e sono gestite, sul territorio, da referenti altamurani, fra i quali vi proprio NOME COGNOME (v. pg. 42, ibidem). Così – prosegue l’ordinanza – non è affatto casuale che il trio COGNOME, COGNOME e COGNOME, anche prima che vi fosse un pubblico riconoscimento giudiziario della mafiosità dello COGNOME, abbia intavolato la trattativa volta a orientare l’esito dell’asta giudiziaria proprio con quest’ultimo evidentemente perché soggetto da loro conosciuto quale referente della malavita locale per la “gestione” illecita delle aste giudiziarie dimostrando piena adesione alle dinamiche mafiose – sia quanto al metodo che a finalità agevolatorie interloquendo con soggetti del tutto estranei alla procedura che, per la loro caratura criminale, potevano assicurare la loro vincita e stringendo con gli attori mafiosi un oneroso accordo preventivo.
In particolare, quanto alla condivisione del metodo mafioso, la ordinanza valorizza – nel contesto dato delle modalità operative del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE – la specifica
emergenza riguardante la vicenda in esame proveniente dalla conversazione intercorsa tra COGNOME, COGNOME, COGNOME e il coindagato NOME COGNOME nel corso della cena del 17/7/2018 (v. pg. 43) durante la quale i quattro commensali hanno discorso dei concorrenti che hanno recepito il messaggio di dover rinunciare all’asta: la metodologia mafiosa del RAGIONE_SOCIALE COGNOME indica le “buone maniere” come la «via diplomatica», mentre quella della coartazione manifesta è appellata come «la via politica», spiegandosi così la rinuncia del COGNOME all’aggiudicazione avvenuta in suo favore per un importo del tutto vantaggioso, in favore dei tre ex-dipendenti, secondi offerenti.
Quanto alla finalità agevolatrice del RAGIONE_SOCIALE adito dal ricorrente e dal suo gruppo, depongono per la sua sussistenza gli indubbi vantaggi del RAGIONE_SOCIALE – conseguenti al consapevole sinallagma realizzato dai compartecipi al reato – che, oltre a veder riconosciuto prestigio e consenso sociale, si è potenziato economicamente e ha potuto destinare gli illeciti guadagni al soddisfacimento dei sodali che hanno preso parte all’affare, fornendo anche sostegno economico anche agli affiliati detenuti (v. pg. 43, ibidem).
1.3. Il giudizio così espresso dalla ordinanza si sottrae alle censure mosse dal ricorrente, alle quali il Tribunale ha risposto senza incorrere in vizi logici e giuridic ricostruendo il consapevole, perché ricercato, affidamento del ricorrente – e dei componenti del suo gruppo – al RAGIONE_SOCIALE mafioso, perché esercitasse il connaturato metodo per pilotare l’asta ottenendo l’aggiudicazione in loro favore, stringendo il relativo sinallagma corrispondendo agli interessi rappresentati dal RAGIONE_SOCIALE, così ritenendo integrata l’aggravante mafiosa contestata secondo la duplice declinazione anche ai partecipi al reato non appartenenti al consesso mafioso, in quanto – per il patto stretto con i suoi esponenti – hanno conosciuto e voluto la duplice declinazione aggravata loro contestata, materialmente realizzata dagli intranei al RAGIONE_SOCIALE.
Il giudizio è conforme all’autorevole orientamento di legittimità secondo il quale l’aggravante prevista dall’art. 7 d. I. 152/91, in entrambe le forme in cui può atteggiarsi, è applicabile a tutti coloro che, in concreto, ne realizzino gli estremi siano essi partecipi di un qualche sodalizio mafioso, siano essi estranei (v. Sez. U, n. 10 del 28/03/2001, Cinalli, Rv. 218377); e la circostanza aggravante del metodo mafioso di cui all’art. 7 d. I. 13 maggio 1991, n. 152, convertito con modificazioni nella legge 12 luglio 1991, n. 203 (ora art. 416-bis.1, comma primo, cod. pen.), in quanto riferita alle modalità di realizzazione dell’azione criminosa, ha natura oggettiva ed è valutabile a carico dei concorrenti, sempre che siano stati a conoscenza dell’impiego del metodo mafioso ovvero l’abbiano ignorato per colpa o per errore determinato da colpa (Sez. 4, n. 5136 del 02/02/2022, Rv. 282602 – 02); ancora, ai fini della configurabilità dell’aggravante dell’utilizzazione de
metodo mafioso, di cui all’art. 7 d. I. 13 maggio 1991 n. 152, convertito in legge 12 luglio 1991, n. 203, non occorre che sia dimostrata o contestata l’esistenza di un’associazione per delinquere, essendo necessario solo che la violenza o la minaccia assumano la veste propria della violenza o della minaccia mafiosa, ossia di quella ben più penetrante, energica ed efficace che deriva dalla prospettazione della sua provenienza da un tipo di sodalizio criminoso dedito a molteplici ed efferati delitti, sicché, una volta accertato l’utilizzo del metodo mafioso, l’aggravante, avente natura oggettiva, si applica a tutti i concorrenti nel reato, ancorché le azioni di intimidazione e minaccia siano state materialmente commesse solo da alcuni di essi. (Sez. 2, n. 32564 del 12/04/2023, Bisogni, Rv. 285018 – 02).
Quanto alla finalità agevolatrice della condotta, la ordinanza si è conformata all’autorevole orientamento secondo il quale la circostanza aggravante dell’aver agito al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso ha natura soggettiva inerendo ai motivi a delinquere, e si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe (Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019, dep.2020, Chioccini, Rv. 278734), anche per questo aspetto essendosi fatto corretto riferimento al sinallagma illecito stretto dai compartecipi al reato che destinava le somme all’ambito mafioso degli intranei.
2. Il secondo motivo è fondato.
2.1. Il Tribunale ha confermato la sussistenza delle esigenze cautelari e l’adeguatezza della misura autocustodiale applicata, censurando le deduzioni difensive a riguardo osservando che esse non si confrontano con la doppia presunzione cautelare vigente in materia. Ha poi confermato l’attualità delle esigenze, facendo leva sulla gravità delle condotte incentrata sulla trattativa scelta dal ricorrente e dai suoi complici con appartenenti alla criminalità organizzata pur di raggiungere il suo scopo e ritenendo recessivi – rispetto a tale contesto – gli indici offerti dalla difesa. In particolare, quanto al tempo trascorso dai fatti, h censurato le deduzioni difensive argomentate senza tener conto della natura qualificata del delitto, della gravità degli addebiti «e, soprattutto, dei rappor verosimilmente perduranti tra l’imprenditore materano e gli esponenti mafiosi suoi coindagati» ( v. pg. 46, ibidem).
2.2. Ritiene questa Corte che le conclusioni alle quali è pervenuto il giudice del riesame non possono essere condivise.
E’ stato già condivisibilmente osservato da Sez. 6, n. 36221 del 2020, n.m. che « se è vero che secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, anche per il concorso esterno in associazione di stampo mafioso, scatta la presunzione relativa di pericolosità prevista, dall’art. 275 comma 3, cod. proc. pen., in ordine
alle esigenze cautelari, in quanto esso integra, pur sempre, una partecipazione nel reato associativo e, comunque, persegue, quanto meno, “il fine di agevolare l’attività” di quel genere di sodalizi (Sez. 6, n. 42922 del 21/10/2010, COGNOME Cicero, Rv. 248801), è altrettanto incontrovertibile che siffatta presunzione, oltre ad avere carattere relativo, al pari di quella prevista per il reato alla quale accede i concorso, va giudicata secondo parametri diversi da quelli dettati per l’associato, atteso che l’assenza dell’affectio societatis consente di escludere, in termini certamente meno rigorosi sul piano della relativa valutazione prognostica, il ripetersi della situazione che ha dato luogo al contributo dell’extraneus alla vita della consorteria. Considerazioni, queste, che ancor più radicalmente vanno estese ai reati aggravati ex art 416-bis.1 cod. pen.».
Alla condivisibile prospettiva ermeneutica ha dato seguito l’orientamento più volte espresso secondo il quale, in tema di misure cautelari, pur se per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. è prevista una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui alla legge 16 aprile 2015, n. 47, e di una esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, potendo lo stesso rientrare tra gli “elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”, cui si riferisce lo stesso art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 31587 del 30/05/2023;COGNOME,Rv. 285272;Sez. 6, n. 11735 del 25/ 01/2024,Tavella, Rv. 286202).
2.3. Nella specie, il Tribunale ha ritenuto insuperata la presunzione cautelare derivante dalla contestata aggravante non considerando la significativa distanza temporale dai fatti – ben oltre cinque anni – e, soprattutto, apoditticamente affermando in capo al ricorrente la decisiva esistenza di «rapporti verosimilmente perduranti» con gli esponenti mafiosi, pervero riferiti alli “imprenditore materano” che non si identifica nell’attuale ricorrente e con il quale comunque lo stesso ricorrente non intrattiene rapporti e, ancora, alla base del giudizio di “estrema gravità dei fatti” e del correlato giudizio di negativa personalità, ascrivendo allo stesso ricorrente un approccio «a esponenti della criminalità organizzata facenti capo di diversi sodalizi mafiosi» che è privo di riscontro.
La omessa considerazione del significativo lasso temporale dai fatti e la apoditticità degli indici assunti a sostegno del mancato superamento della presunzione relativa, conduce all’annullamento della ordinanza impugnata e di quella genetica in relazione alle esigenze cautelari.
L’accoglimento del ricorso in ordine al precedente profilo assorbe la censura sulla adeguatezza della misura adottata.
In conclusione, deve essere annullata senza rinvio l’ordinanza impugnata e quella emessa in data 7 febbraio 2024 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale e Bari. Per l’effetto deve essere disposta l’immediata liberazione di NOME tella TARGA_VEICOLO se non detenuto per altra causa.
Devono essere disposte le comunicazioni di cancelleria di cui all’art. 626 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata nonché quella del 7 febbraio 2024 emessa dal G · del Tribunale di Bari e per l’effetto ordina l’immediata liberazione -a (1.410 GLYPH elìa di GLYPH se non detenuto per altra causa. Manda alla Cancelleria per le comunicazioni di cui all’art. 626 cod. proc. pen.
Così deciso il 11 luglio 2024.