Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 30270 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 30270 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a NISCEMI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 12/01/2024 del TRIB. LIBERTA’ di CALTANISSETTA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME COGNOME; lette/sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME s)A COGNOME Q.'” · V ‘ 2 – ‘ 1 / 4 ·1 g” -92^ PROCEDIMENTO A TRATTAZIONE SCRITTA. COGNOME ef2.-
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RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale del riesame di Caltanissetta ha confermato l’ordinanza in data 15/12/2023 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Caltanissetta, che applicava a NOME COGNOME la misura della custodia cautelare in carcere, in quanto gravemente indiziato, in concorso con soggetti promotori o partecipi di un’associazione di stampo mafioso di Niscemi, di avere usato minaccia, aggravata altresì ai sensi dell’art. 416-bis.1, primo comma, cod. pen., nei confronti dell’assistente di polizia NOME COGNOME, in forza presso il Commissariato di Niscemi, collocando una testa di maiale dinanzi al portone della sua abitazione, per costringerlo a compiere un atto contrario ai doveri del proprio ufficio o ad ometterne uno dovuto, e segnatamente ad assumere un atteggiamento di maggiore indulgenza nei confronti dei componenti del clan mafioso.
Avverso la suddetta ordinanza propone ricorso per cassazione NOME COGNOME, tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo violazione dell’art. 273 cod. proc. pen. e vizio di motivazione in relazione sia alla ritenuta gravità indiziaria sia all’aggravante di cui all’art. 416-bis. 1, primo comma, cod. pen.
Lamenta la difesa l’insussistenza di gravi indizi in ordine all’identificazione dell’indagato come colui che ebbe a collocare la testa di maiale dinanzi all’abitazione dell’assistente di polizia, sulla base della mera similitudine tra la sua sagoma e quella dell’autore del fatto, senza individuazione delle sue fattezze e della sua corporatura e senza analisi antropometrica.
Rileva che comunque mancherebbero gravi indizi, a carico del ricorrente, circa la conoscenza della consorteria mafiosa che avrebbe ideato il fatto e la provenienza del mandato da tale consorteria e in particolare da NOME COGNOME quale associato mafioso, risultando l’indagato solo a conoscenza della provenienza del mandato da NOME che gli riferiva di voler fare un favore ad un amico; e, quindi, circa l’aggravante mafiosa.
Osserva che manca la motivazione circa la consapevolezza dell’indagato che l’intimidazione avrebbe riguardato proprio il poliziotto sopra indicato e non altra persona abitante nella medesima palazzina.
Alla luce dei suddetti motivi il difensore insiste per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
Disposta la trattazione scritta del procedimento ai sensi dell’art. 23 del d. I. n. 137 del 2020, l’AVV_NOTAIO presso questa Corte, AVV_NOTAIO, conclude, con requisitoria scritta, per l’inammissibilità del ricorso; il difensore di COGNOME, AVV_NOTAIO, insiste, con memoria scritta, per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
Quanto al primo profilo di censura, relativo all’individuazione dell’indagato come autore del fatto, l’ordinanza impugnata prende atto che il difensore si è limitato ad invitare il collegio a controllare con scrupolo la correttezza della valutazione del primo Giudice, senza, peraltro, fornire elementi concreti utili a evidenziare un’erroneità del percorso logico e argomentativo posto alla base dell’ordinanza. Elementi che non vengono evidenziati neppure in questa sede, limitandosi la difesa ad una doglianza assolutamente generica come quella sopra riportata. A fronte, peraltro, di una motivazione dell’ordinanza di riesame che sottolinea come il G.i.p. avesse evidenziato il carattere chiaro ed inequivocabile sia dei dialoghi captati con riferimento all’individuazione dell’esecutore materiale dell’atto di intimidazione, sia delle immagini della videosorveglianza che risultano aver ripreso il soggetto incappucciato, poi individuato in COGNOME, nell’atto di collocare sul portone della casa dell’assistente di polizia COGNOME la predetta testa di maiale mozzata.
Quanto alla doglianza relativa alla non certa conoscenza, da parte di COGNOME, della provenienza del mandato dalla consorteria mafiosa, i Giudici del riesame, avendo riguardo a quanto dettagliatamente ricostruito dall’ordinanza genetica, hanno posto in opportuna evidenza la costanza del legame con i vertici della cosca da parte dell’odierno ricorrente, individuato quale materiale esecutore, oltre che dell’atto intimidatorio nei confronti di NOME COGNOME, anche dell’ulteriore programmato attentato nei confronti dell’assistente di polizia NOME COGNOME, fratello del primo; e hanno sottolineato che in quell’occasione COGNOME avrebbe tra l’altro dovuto agire utilizzando del liquido infiammabile sulla vettura della vittima designata. E da ciò hanno ricavato la logica
inferenza della pronta disponibilità dell’odierno ricorrente ad eseguire gli ordini promananti dall’organizzazione criminale, indipendentemente dalla loro pericolosità esecutiva.
Il Tribunale del riesame ha, inoltre, chiarito come dalle conversazioni intercettate tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, che mostrava del risentimento nei confronti di entrambi i poliziotti per dei controlli effettuati nei suoi confronti, secondo la corretta lettura contenuta nell’ordinanza genetica sottoposta al suo vaglio, emerga, oltre al costante risentimento del suddetto associato, una meticolosa preparazione di entrambi gli atti delittuosi che NOME avrebbe dovuto commettere (quello per cui si procede e l’altro non più compiuto per sopraggiunte difficoltà pratiche). E da ciò ritiene improbabile che all’atto del conferimento del mandato ci si fosse limitati a comunicare a COGNOME un mero indirizzo, senza alcuna specificazione sull’identità dell’obiettivo, la cui mancata conoscenza da parte del suddetto avrebbe potuto comportare un fallimento dell’atto.
Inoltre, osserva detto Tribunale, con riguardo alla tesi difensiva dell’insussistenza di elementi per ritenere che l’indagato non avesse consapevolezza di agire per COGNOME e quindi per la consorteria, che NOME nelle conversazioni intercettate riferiva a COGNOME di avere fatto comprendere a COGNOME la caratura del committente; e che d’altro canto è indiscutibile che NOME COGNOME, allo scopo di sottrarsi a verosimili attività investigative, si avvaleva di una rete capillare di emissari, in gran parte incensurati, che avevano lo scopo, come nel caso in esame, di evitare possibili collegamenti tra l’autore dei fatti criminosi e lo stesso COGNOME; e che in quest’ottica si spiega l’assenza di contatti diretti tra COGNOME e l’esponente mafioso.
Infine, con riguardo all’aggravante mafiosa, sottolinea l’ordinanza di riesame come, contrariamente a quanto genericamente rassegnato dalla difesa, la stessa debba ritenersi senz’altro integrata, quantomeno sotto il profilo dell’impiego del metodo mafioso, non potendosi dubitare della portata evocativa dell’agire tipicamente mafioso del collocamento di una testa di maiale mozzata, che indubbiamente costituisce un chiaro messaggio intimidatorio, ordinariamente espressione della sua provenienza da una consorteria mafiosa.
A fronte di tali argomentazioni scevre da vizi logici e giuridici, è evidente l’infondatezza degli scarni rilievi difensivi sopra riportati.
Al rigetto consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Non derivando dalla presente decisione la rimessione in libertà del ricorrente deve disporsi – ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’imputato trovasi ristretto, perché provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis del citato articolo 94.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 24 aprile 2024.