Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 1522 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 1522 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CROTONE il 02/04/1984
avverso l’ordinanza del 18/05/2023 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE‘ di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, dott. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
udito l’avvocato COGNOME che insiste nell’accoglimento del ricorso
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 21 marzo 2023, n. 18234, la I sezione di questa Corte ha annullato l’ordinanza del 2 novembre 2022, con la quale era stata confermata, a seguito di richiesta di riesame, l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro il 26 settembre 2022 che aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di NOME COGNOME per i reati di cui agli artt. 416-bis (capo 1), 416, commi primo e secondo (capo 6), e 452-quaterdecies cod. pen (capo 7). Il secondo e il terzo reato sono stati ritenuti aggravati ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen.
cod. pen., anche alla luce del fatto che la stessa consulenza del Pubblico ministero, nel rispondere al quesito circa la «ricostruzione del ciclo di produzione, movimentazione e destinazione finale del cippato e di altri eventuali sottoprodotti e/o rifiuti conferiti alle Centrali Biomasse della Provincia di Crotone e di Cosenza», aveva evidenziato come «non risulta che negli ultimi anni, siano stati conferiti rifiuti».
1.2. Con riferimento al reato associativo di cui al capo 6), oltre alle considerazioni sin qui svolte, derivanti, specificamente, dall’esistenza di una base lecita dei rapporti tra Trocino e la FKE, la I sezione ha aggiunto che neppure era stato approfondito il tema della distinzione tra il reato di cui all’art. 416 cod. pen. e il concorso nel reato abituale di attività organizzata per il traffico illecito d rifiuti di cui all’art. 260 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. In sostanza, nel caso di specie, non risultava adeguatamente illustrata la serie indeterminata di delitti di cui all’associazione, né gli elementi fattuali dai quali desumere la distinzione tra il concorso nella commissione del reato e la fattispecie associativa.
1.3. In disparte le considerazioni relative alla fattispecie di cui al capo 1), in relazione alla quale è intervenuto l’annullamento del titolo genetico, la sentenza di annullamento con rinvio ha osservato che, del pari, fondato era anche il motivo relativo alla sussistenza delle esigenze cautelari. La I sezione ha rilevato che le ipotesi di reato ascritte al Trocino, per il tempo a cui esse risalivano e la qualità delle condotte enucleate a suo carico, esigevano la verifica dell’attualità, oltre che della concretezza, del pericolo di recidiva, in presenza anche dell’allontanamento del ricorrente dal territorio nel quale opera la cosca mafiosa di interesse a partire dal 2021: tale dato era stato ritenuto superabile sulla scorta di considerazioni di carattere generale prive di riferimento alla posizione soggettiva dell’indagato e ascrivibili, anche, alla natura dell’associazione di appartenenza omettendo così di valutare l’elemento della distanza temporale tra i fatti descritti nel provvedimento e il momento applicativo della misura, in uno con l’allontanamento dal territorio a far data dal 2021 e con l’estraneità dell’indagato a precedenti indagini in materia di criminalità organizzata. Tali rilievi erano stati superati – ha osservato la sentenza rescindente – con l’insufficiente, nel caso specifico, riferimento all’appartenenza alla «mafia storica radicata in tutto il territorio nazionale», che costituisce, qualora valorizzabile in assoluto, elemento insuscettibile di essere superato e tale da trasformare la presunzione relativa di esistenza delle esigenze cautelari, in ragione della contestata aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., in presunzione assoluta.
Con ordinanza del 18 maggio 2023 il Tribunale di Catanzaro, in parziale accoglimento della richiesta di riesame, ha annullato l’ordinanza genetica, in
relazione al capo 1) e ha sostituito la custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari.
Nell’interesse del Trocino è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc pen.
3.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, per avere il Tribunale completamente ignorato i rilievi svolti dalla sentenza rescindente, riproponendo una sommatoria degli indizi ricavabili dalle conversazioni valorizzate nell’ordinanza annullata, richiamando le dichiarazioni del collaboratore COGNOME, già considerate generiche e, in generale, per avere trascurato di confrontarsi con il fatto che il COGNOME era dipendente della RAGIONE_SOCIALE Si aggiunge che l’ordinanza impugnata non si era confrontata con il tema della effettiva natura di rifiuti dei materiali conferiti, alla luce del risultanze della consulenza del P.M. e neppure aveva argomentato in ordine agli elementi indicatori di una partecipazione dell’indagato ad un sodalizio criminale.
3.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., tenuto conto del fatto che non era nemmeno sommariamente descritta o anche solo indicata rispetto a nessuno dei reati ipotizzati la specifica condotta posta in essere dal Trocino. Si aggiunge che la motivazione dell’ordinanza impugnata neppure si era soffermata sulla specifica volontà dell’indagato di agevolare il presunto clan rispetto ai singoli episodi contestati.
3.3. Con il terzo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, sottolineando il carattere illogico e contraddittorio della motivazione con la quale erano stati superati i rilievi svolti dalla sentenza di annullamento e sopra ricordati.
Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, dott. NOME COGNOME il quale ha chiesto il rigetto del ricorso, nonché motivi nuovi nell’interesse del ricorrente con le quali si argomenta in ordine all’infondatezza dei rilievi della pubblica accusa.
All’udienza del 5 dicembre 2023 si è svolta la discussione orale.
Il primo motivo è, nel suo complesso, infondato.
In linea generale, va ribadito che la Corte di Cassazione risolve una questione di diritto anche quando giudica sull’adempimento del dovere di motivazione, sicché il giudice di rinvio, pur conservando la libertà di decisione mediante un’autonoma valutazione delle risultanze probatorie relative al punto annullato, è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, restando in tal modo vincolato a una determinata valutazione delle risultanze processuali (ex multis, Sez. 2, n. 45863 del 24/9/2019, COGNOME, Rv. 277999; Sez. 5, n. 7567 del 24/9/2012, COGNOME, Rv. 254830), incorrendo altrimenti nel rischio di un altro annullamento, derivante dalla reiterazione del percorso motivazionale già ritenuto inadeguato (Sez. 6, n. 19206 del 10/1/2013, COGNOME, Rv. 255122; Sez. 1, n. 26274 del 6/5/2004, Francese, Rv. 228913).
Ciò posto, si osserva, in via preliminare, in quanto incide sulla selezione dei dati rilevanti ai fini del decidere e sulla congruità dell’apparato motivazionale rispetto alle indicazioni promananti dalla sentenza rescindente, che, in tema di gestione di rifiuti, il regime derogatorio della parte quarta del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, previsto dall’art. 185 del medesimo decreto, opera solo per gli “sfalci e potature” riutilizzati in agricoltura, in silvicoltura o per la produzione energia da biomassa sempre che siano seguite delle procedure che non danneggino l’ambiente o non mettano in pericolo la salute umana, mentre, ove non ricorrano tali presupposti, i predetti scarti vegetali sono classificabili come rifiuti (Sez. 3, n. 9348 del 02/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278638 – 01, che ha riguardo alla formulazione risultante all’esito dell’intervento dell’art. 20, comma 10, comma 1, della legge 3 maggio 2019, n. 37, ma che giunge a conclusioni coerenti anche con il testo della norma vigente ratione temporis, che concerneva «paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana»).
In tale contesto normativo, la ricostruzione operata dall’ordinanza impugnata mostra appunto l’assoluta irregolarità della procedure e la non conformità del materiale conferito ai requisiti di legge (del tutto eloquenti sono sul punto le dichiarazioni del collaboratore COGNOME riportate dal Tribunale del riesame) e soprattutto, per quanto verrà detto oltre, la piena consapevolezza del dato da parte del ricorrente, il quale attivamente contribuiva a gestire l’attività illecita della società RAGIONE_SOCIALE
Ne discende che l’argomento difensivo qui riproposto delle risultanze della consulenza tecnica del p.m. rimane assertivamente legato alle conclusioni
dell’ausiliario senza che venga illustrato, con il grado di specificità necessario a incrinare la tenuta argomentativa del provvedimento, il percorso che ha condotto il consulente a raggiungere tali risultati.
Ora, rispetto ai dati intercettativi valorizzati nell’ordinanza, una volta acclarata, secondo l’accertamento dei giudici di merito, l’attività illecita in tema di rifiuti, l’esistenza di un rapporto lecito di lavoro del ricorrente con la società, non può certo valere, sul piano logico-giuridico, ad occultare il consapevole contributo fornito, secondo la prospettazione recepita dal Tribunale di Catanzaro, all’attività della società RAGIONE_SOCIALE, quale emerge dalle intercettazioni valorizzate.
Ciò posto, escluso che l’apparato motivazionale presenti i vizi logici indicati nella sentenza rescindente, si osserva che le frammentarie indicazioni contenute in ricorso aspirano ad una ricostruzione alternativa della vicenda rispetto a quanto proposto dai giudici di merito, trascurando di considerare la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (cfr., tra le altre, Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, COGNOME, Rv. 253099; Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, COGNOME, Rv. 238215). Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (v., per tutte, Sez. 2, n. 31553 del 17/5/2017, COGNOME, Rv. 270628; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884), spettando, al più, al giudice di legittimità la verifica dell’adeguatezza della motivazione sugli elementi indizianti operata dal giudice di merito e della congruenza di essa ai parametri della logica, da condursi sempre entro i limiti che caratterizzano la peculiare natura del giudizio di cassazione (Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013, COGNOME, Rv. 255460; Sez. U, n. 11 del 22/3/2000, COGNOME, Rv. 215828). Nel caso di specie, non sussistono manifeste illogicità o incongruenze della motivazione.
È fondato, invece, il secondo motivo, dal momento che la circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., sub specie di agevolazione del sodalizio mafioso, è stata ritenuta sussistente sulla base di una affermazione assertiva, legata al fatto che la partecipazione del Trocino, pur essendosi arrestata ad un livello inidoneo a giustificare l’attribuzione della partecipazione al sodalizio, «è stata comunque tale da renderlo anche consapevole di tale
agevolazione che dal punto di vista oggettivo è incontestabile». Le ragioni di siffatta conclusione restano ignote, in quanto non argomentate.
Del pari assertive sono le ragioni indicate dall’ordinanza impugnata a proposito delle esigenze cautelari. Si assume, infatti, senza spiegare perché, che la pregressa vicinanza del Trocino ad una mafia storica «non farebbe venir meno il concreto pericolo di reiterazione delle condotte». E ciò senza dire che la premessa della conclusione dipende logicamente dalla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui s’è detto esaminando il secondo motivo.
Sono invece congetturali, oltre che assertive, le ulteriori proposizioni secondo cui la circostanza che le condotte risultino documentate sino al 2018 dipende dal fatto che a quell’anno si arrestano, allo stato, le indagini, ma che «ciò non esclude affatto la alta probabilità che le condotte, ormai consolidate e intranee a logiche criminali associative, siano continuate anche dopo per molto tempo, visto che le più recenti attività investigative per come comprovato dall’ufficio di procura rivengono dati tali da inferire il conferimento di cippato illegale fino al momento del sequestro delle aziende».
Invero non è dato intendere quale sia il contenuto di tali attività investigative, sicché resta precluso il controllo di razionalità e obiettiva fondatezza delle argomentazioni e di verifica della loro riferibilità alla specifica posizione del Trocino, alla luce del suo allontanamento dal territorio calabro.
Ne segue per le ragioni suindicate l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro.
Così deciso il 05/12/2023