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Aggravante mafiosa: Cassazione su custodia cautelare

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un indagato contro l’ordinanza di custodia cautelare in carcere. I giudici hanno confermato la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per i reati di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e accesso indebito a dispositivi di comunicazione per detenuti, ritenendo configurabile l’aggravante mafiosa. La Corte ha ritenuto logica e congrua la motivazione del Tribunale del riesame, che aveva desunto l’intento di agevolare un’associazione mafiosa dalla caratura criminale del destinatario dei telefoni, dalla consapevolezza dell’indagato e dalle finalità illecite dell’uso degli apparecchi.

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Pubblicato il 26 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Aggravante mafiosa: i criteri per la custodia cautelare in carcere

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22859 del 2024, si è pronunciata su un caso complesso che intreccia il traffico di stupefacenti con l’introduzione di dispositivi di comunicazione in carcere, il tutto nel contesto dell’aggravante mafiosa. La decisione offre importanti chiarimenti sui presupposti per l’applicazione delle misure cautelari in presenza di reati così gravi, confermando un orientamento rigoroso nella valutazione degli indizi di colpevolezza.

I fatti del processo

Il caso nasce dal ricorso presentato da un indagato avverso un’ordinanza del Tribunale del Riesame che aveva confermato, seppur parzialmente, la misura della custodia cautelare in carcere nei suoi confronti. Le accuse erano di notevole gravità: partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, illecito trasporto di droga e introduzione di telefoni cellulari in istituti penitenziari. A rendere il quadro ancora più serio era la contestazione dell’aggravante mafiosa, ovvero l’aver agito al fine di agevolare le attività di un’associazione di tipo mafioso.

Il Tribunale del Riesame aveva annullato il titolo custodiale solo per alcuni episodi minori, ma lo aveva confermato per i nuclei centrali dell’accusa, ritenendo sussistenti i gravi indizi di colpevolezza e le esigenze cautelari. La difesa ha quindi deciso di impugnare tale provvedimento dinanzi alla Corte di Cassazione.

I motivi del ricorso

La difesa ha articolato il ricorso in quattro punti principali:
1. Carenza di motivazione: Si lamentava una motivazione insufficiente riguardo alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
2. Errata configurabilità dell’aggravante mafiosa: Si sosteneva che l’intento di agevolare un’associazione mafiosa fosse stato erroneamente desunto dalla sola caratura criminale del co-indagato destinatario dei telefoni in carcere.
3. Insussistenza della partecipazione all’associazione: La difesa argomentava che il coinvolgimento in un singolo episodio di spaccio e l’aiuto prestato al proprio genitore detenuto non fossero elementi sufficienti a dimostrare un inserimento stabile nel sodalizio criminale.
4. Inadeguatezza della misura cautelare: Infine, si contestava la valutazione sulle esigenze cautelari, ritenuta congetturale, e la mancata considerazione di misure meno afflittive, come gli arresti domiciliari in una località diversa.

L’aggravante mafiosa e la valutazione della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendo infondati tutti i motivi proposti. I giudici hanno confermato la piena legittimità dell’operato del Tribunale del Riesame, la cui motivazione è stata giudicata logica, coerente e priva di vizi.

In particolare, per quanto riguarda il punto cruciale dell’aggravante mafiosa, la Corte ha stabilito che la valutazione del giudice di merito non era affatto illogica. L’intento di agevolare la cosca non era stato dedotto solo dalla “qualità” criminale del destinatario dei telefoni, ma da un insieme di fattori convergenti: la rilevante caratura di quest’ultimo all’interno del clan, la piena consapevolezza di tale circostanza da parte dell’indagato e la verosimile destinazione degli apparecchi a fini illeciti, come il controllo dei traffici gestiti dalla cosca anche dall’interno del carcere.

La partecipazione all’associazione per il traffico di stupefacenti

Anche riguardo alla partecipazione all’associazione criminale, la Cassazione ha avallato il ragionamento del Tribunale. Non si trattava di un coinvolgimento sporadico. Gli elementi valorizzati erano indicativi di un’affiliazione stabile e consapevole (la cosiddetta affectio societatis). Tra questi, spiccavano l’esecuzione di un trasporto di un ingente quantitativo di cocaina (circa 770 grammi) per conto dell’organizzazione e l’aiuto costante fornito al padre detenuto, sia nella riscossione dei crediti derivanti dai traffici illeciti, sia nella comunicazione di disposizioni agli altri sodali.

Le motivazioni

La Corte ha smontato punto per punto le censure difensive. Sul primo motivo, ha ribadito che la motivazione del riesame può legittimamente richiamare per relationem quella del provvedimento impugnato, specialmente in assenza di nuove e specifiche argomentazioni difensive.

Sul secondo e terzo motivo, il cuore della decisione, la Suprema Corte ha ritenuto che il Tribunale avesse correttamente ricostruito il quadro indiziario, basando la propria decisione non su congetture, ma su una pluralità di elementi fattuali gravi, precisi e concordanti. L’analisi del contesto, della personalità dei soggetti coinvolti e delle modalità delle condotte ha permesso di configurare in modo ragionevole sia l’esistenza di un’associazione stabile sia la finalità di agevolazione mafiosa.

Infine, per quanto riguarda le esigenze cautelari, i giudici hanno sottolineato come la presunzione di pericolosità prevista dalla legge per reati di tale gravità non fosse stata superata. Anzi, i plurimi illeciti e il contesto di criminalità organizzata in cui l’indagato operava dimostravano una spiccata e allarmante proclività a delinquere, rendendo la custodia in carcere l’unica misura idonea a fronteggiare il concreto pericolo di reiterazione dei reati. Irrilevante, in questo quadro, la disponibilità all’uso del braccialetto elettronico o al trasferimento in un’altra regione.

Le conclusioni

Questa sentenza ribadisce la solidità dei principi giurisprudenziali in materia di misure cautelari per reati di criminalità organizzata. Emerge con chiarezza che, per configurare l’aggravante mafiosa, non è necessario provare un contatto diretto con i vertici del clan, ma è sufficiente la consapevolezza di agire in un modo che, oggettivamente, arreca un vantaggio all’associazione. Inoltre, la pronuncia conferma che la valutazione sulla partecipazione a un sodalizio criminale deve basarsi su un’analisi complessiva della condotta dell’indagato, andando oltre il singolo episodio delittuoso per cogliere gli indici di un inserimento stabile e volontario nel gruppo.

Quando si configura l’aggravante mafiosa per chi introduce un telefono in carcere?
Secondo la sentenza, l’aggravante si configura quando emerge una pluralità di fattori, tra cui la rilevante caratura criminale del destinatario all’interno di una cosca mafiosa, la piena consapevolezza di tale circostanza da parte di chi commette il reato e la verosimile finalità illecita dell’utilizzo dell’apparecchio, come il controllo dei traffici gestiti dall’associazione.

La partecipazione a un singolo traffico di droga è sufficiente per essere considerati parte di un’associazione criminale?
No, non da sola. La Corte chiarisce che la partecipazione stabile (cd. affectio societatis) viene desunta da un insieme di elementi indicativi. Nel caso di specie, oltre al trasporto di un ingente quantitativo di droga, sono stati considerati rilevanti l’ausilio fornito in più occasioni al padre detenuto per la gestione dei proventi illeciti e per le comunicazioni con altri sodali.

La motivazione di un’ordinanza del riesame può limitarsi a richiamare quella del giudice precedente?
Sì, è legittima la cosiddetta motivazione per relationem, ovvero che richiama le argomentazioni di un altro provvedimento. La Corte specifica che tale modalità è ammissibile, in particolare, quando la difesa non ha formulato nuove e specifiche deduzioni rispetto a quelle già esaminate dal primo giudice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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