Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 25196 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 25196 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
NOME nata a Bacoli il 20/02/1959
COGNOME NOMECOGNOME nato a Pozzuoli il 09/05/1960
avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Napoli il 05/07/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
lette le note conclusionali del difensore, avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento dei ricorsi, e l’ulteriore memoria del medesimo difensore;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Napoli ha confermato quella del 7 maggio 2021 pronunciata dal Tribunale di Napoli nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME che ha disposto, per quanto qui di interesse:
la condanna di entrambi alla pena di anni 3 di reclusione in relazione al delitto di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati di usura, estorsione ed intermediazione abusiva del credito di cui al capo A), con interdizione dai pubblici uffici e condanna al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili Comune di Pozzuoli e RAGIONE_SOCIALE
l’assoluzione di NOME COGNOME dai reati di usura di cui ai capi S), T) e AD) della rubrica perché il fatto non sussiste.
Hanno proposto ricorsi congiunti gli imputati, con atto a firma del comune difensore di fiducia, in cui sono dedotti due motivi, di seguito sintetizzati nei limiti di cui all’art. 173, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Mancanza di motivazione in ordine alla circostanza aggravante già prevista dall’art. 7 legge 13 maggio 1991, n. 152, conv. nella legge 12 luglio 1991, n. 203.
La Corte di merito non ha tenuto conto del ruolo del tutto marginale rivestito dai ricorrenti nella compagine associativa a base familiare, i cui esponenti primari sono stati separatamente giudicati.
La sentenza impugnata si è limitata a riprodurre, in parte motiva, quanto argomentato dalla sentenza della Corte di appello di Napoli del 6 luglio 2016, resa nei confronti dei coimputati che hanno optato per il rito abbreviato, divenuta irrevocabile il 14 giugno 2018, nella parte in cui aveva ritenuto integrata la aggravante in questione sia sotto il profilo del metodo, che sotto quello della finalità agevolatrice della organizzazione camorristica egemone nel territorio di riferimento.
Sebbene non possa essere posta in discussione la legittimità della tecnica della motivazione per relationem, la Corte di appello avrebbe dovuto utilizzare il precedente giudicato quale base argomentativa del riconoscimento della aggravante, non potendo la motivazione – come invece è accaduto – esaurirsi in esso.
2.2. Violazione di legge in relazione all’aggravante prevista dall’art. 7 legge 13 maggio 1991, n. 152, conv. nella legge 12 luglio 1991, n. 203.
Difettano, nella sentenza impugnata, elementi dimostrativi della consapevolezza, in capo ai ricorrenti, che gli autori principali agissero al fine di
agevolare la consorteria mafiosa e non il singolo associato novvero con metodologia mafiosa.
In concreto, tale consapevolezza, necessaria ai fini della integrazione dell’elemento soggettivo della aggravante, è stata ricostruita sulla base del mero rapporto di affinità tra NOME COGNOME, con cui i ricorrenti interagivano, ed il cognato NOME COGNOME, storico affiliato al clan Longobardi – COGNOME, capo indiscusso della associazione dedita alla usura.
Entrambi gli imputati rispondono – al netto delle operate assoluzioni quanto alla COGNOME – del solo reato associativo, per avere svolto il ruolo di esattori del gruppo criminale dedito alla usura, ma – significativamente – di nessun reato fine.
La stessa sentenza impugnata, motivando in relazione al proscioglimento di COGNOME dai reati scopo, ha dato atto dell’esistenza di rapporti di amicizia della stessa con i sodali che non necessariamente si sono tradotti in una condivisione di intenti criminosi.
Il Sostituto Procuratore generale ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, di cui sostiene che non possa condividersi la struttura motivazionale. L’appello è stato respinto con una motivazione che replica passaggi della sentenza della Corte di appello di Napoli del 6 luglio 2016 di cui non è neppure indicata l’irrevocabilità – nella quale è stata riconosciuta la aggravante de qua vertitur con riferimento alla posizione di NOME COGNOME omettendo qualsiasi riferimento individualizzante alla specifica posizione dei ricorrenti.
In mancanza di richiesta tempestiva di discussione, il procedimento è stato trattato senza la partecipazione delle parti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 ricorsi sono fondati e ciò determina, stante l’esclusione della contestata aggravante relativa al metodo ed alla agevolazione mafiosa, l’estinzione del reato in addebito per intervenuta prescrizione.
Come stabilito dalle Sezioni Unite con sentenza n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278734 – 01, la circostanza aggravante dell’aver agito al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso – ora trasfusa nella previsione di cui all’art. 416-bis.1, primo comma, cod. pen. – ha natura soggettiva, in quanto inerisce ai motivi a delinquere; dal che discende che essa
si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe.
Più in dettaglio, secondo le Sezioni Unite COGNOME l’aggravante concerne i motivi a delinquere e, ai fini della sua integrazione, si rende necessaria una puntuale verifica dell’elemento psicologico di finalizzazione della condotta; in ossequio al principio di offensività, l’intenzione dell’agente deve avere pur sempre una connotazione di carattere oggettivo, come si era, del resto, già ritenuto per l’aggravante della finalità di terrorismo, sul rilievo che ta connotazioni si pongono «quali misuratori della specifica offensività, e quali garanzie di un ordinamento che, per necessità costituzionale, deve rimanere distante dai modelli del diritto penale dell’intenzione e del tipo d’autore» (Sez. 6, n. 28009 del 15/05/2014, NOME, Rv. 260077).
Specificamente, quel che la disposizione richiede, perché sia integrata l’aggravante dell’agevolazione mafiosa, è la presenza del dolo specifico o intenzionale in uno dei partecipi, essendo estensibile al concorrente non partecipe di tale connotazione agevolativa della condotta, ove egli ne sia almeno consapevole, secondo la previsione generale dell’art. 59, secondo comma, cod. pen., nella parte in cui attribuisce all’autore del reato gli effetti delle circostan aggravanti da lui conosciute.
La funzionalizzazione della condotta all’agevolazione mafiosa da parte del compartecipe deve, in definitiva, essere oggetto di rappresentazione, non di volizione, che è aspetto limitato agli elementi costitutivi del reato, e non può identificarsi nel mero sospetto, poiché in tal caso si porrebbe «a carico dell’agente un onere informativo di difficile praticabilità concreta». Di qui i principio, sancito dalla Sezioni Unite, che l’aggravante è caratterizzata da dolo intenzionale e, nel reato concorsuale, si applica al concorrente non animato da tale scopo, che risulti consapevole dell’altrui finalità».
Nella vicenda che occupa, la consapevolezza della finalità agevolatrice in capo ai ricorrenti è stata assertivamente affermata.
I Giudici hanno motivato sul rapporto di affinità tra NOME COGNOME – con cui i ricorrenti si interfacciavano, operando come esattori della riscossione delle somme dalla stessa date a prestito nell’interesse del clan COGNOME COGNOME ed NOME COGNOME, affiliato “storico” del clan egemone nel territorio di Pozzuoli e comuni limitrofi, il coinvolgimento del quale nel sodalizio sarebbe univocamente indiziato dal ruolo attivo assunto nella rinegoziazione del debito di NOME COGNOME, vittima di usura, e dall’avere egli presenziato ad alcuni pagamenti effettuati da NOME COGNOME altra vittima di uno dei reati scopo del sodalizio.
La sentenza impugnata si diffonde, invero, sulla condotta di partecipazione dei ricorrenti – su cui la difesa non ha mosso contestazioni – enucleandone tutti gli elementi costitutivi e, tuttavia, si è sottovalutato il dato che essi ricorre sono stati chiamati a rispondere, o comunque sono stati ritenuti responsabili, del solo reato associativo, posto che COGNOME è stata prosciolta dai tre reati scopo di usura, originariamente a lei ascritti, già nella pronuncia di primo grado. Dunque essi sono stati inseriti nella dinamica operativa del gruppo, senza un particolare attivismo, da cui poter desumere una conoscenza profonda delle sue logiche.
Con specifico riferimento alla aggravante in questione, non è emerso che:
– nella attività di riscossione cui ricorrenti contribuivano si facesse riferimento a collegamenti di sorta con la consorteria criminale dei COGNOME;
– che l’attività associativa fosse finalizzata ad avvantaggiare la associazione criminale e non il singolo suo esponente con cui gli odierni ricorrenti si i nterfacciava no.
Su tale aspetto hanno riferito i collaboratori di giustizia, i quali hanno precisato che COGNOME non avrebbe potuto praticare l’attività di prestito ad usura senza il beneplacito del clan, ma non hanno tuttavia fatto alcun riferimento alle persone dei ricorrenti, sicché le loro pur convergenti, propalazioni, non hanno un contenuto individualizzante.
Dalle risultanze dell’attività captativa, in particolare, dai colloqui registra presso l’abitazione di NOME COGNOME e presso l’istituto penitenziario, da cui si trae la dimostrazione della partecipazione associativa degli indagati non emergono riferimenti alle persone di COGNOME e NOME COGNOME uo come beneficiari di erogazioni ai fini della assistenza legale, che la predetta COGNOME assicurava, invece, ai familiari del fratello NOME, in quanto detenuto.
La sentenza si limita ad aggiungere che il fine dell’agevolazione – che nella specie è però meramente enunciato – non deve essere esclusivo, ben potendo conciliarsi con l’intento di raggiungere un proprio vantaggio e da tanto, oltre che dal legame di parentela o affinità con gli intranei, è stata dedotta la consapevolezza dei ricorrenti di avvantaggiare il clan COGNOME COGNOME, con evidente salto logico.
Da ultimo, deve anche osservarsi che ,dalla sentenza della Corte di appello di Napoli, n. 11901 del 2024 resa in data 5 dicembre 2024 prodotta in atti, costituente un ulteriore stralcio del processo principale e riguardante, tra gli altri, proprio NOME COGNOME (condannato quale partecipe del clan RAGIONE_SOCIALE) si evince che lo stesso ha continuato a partecipare alla associazione anche dopo la sua scarcerazione (corrispondente al periodo in cui sono stati attivi i ricorrenti), ma con un ruolo decisamente defilato.
La Corte di appello non ha ricostruito elementi da cui desumere che i ricorrenti abbiano agito allo scopo di contribuire all’attività di un’associazione operante in un contesto di matrice mafiosa, in una logica di contrapposizione tra gruppi ispirati da finalità di controllo del territorio con le modalità tipiche previs dall’art. 416-bis cod. pen.
Quanto poi al metodo mafioso, ossia all’altra possibile declinazione dell’aggravante de qua vertitur pure evocata nella contestazione, la motivazione della Corte di merito è silente, non permettendo di individuarne affatto gli elementi costitutivi.
Non viene operato mai riferimento, nel contributo che gli odierni ricorrenti hanno dato alla esazione dei crediti del sodalizio, ad attività implicanti l’impiego di una forza intimidatoria che – anche a prescindere da qualsiasi legame dell’autore con l’organizzazione mafiosa e dalla esistenza stessa di tale compagine in quel contesto – ne mutuassero le modalità di azione, di cui entrambi fossero consapevoli.
La fondatezza dei ricorsi, con la conseguente esclusione della aggravante in discorso, determina la estinzione del reato associativo ascritto ai ricorrenti, essendo spirato il termine di prescrizione, da computare ai sensi degli artt. 157 e ss. cod. per]. nella formulazione vigente ratione temporis.
Sebbene si sia in presenza di una contestazione aperta, con condotta descritta come “perdurante” nella imputazione, deve anzitutto puntualizzarsi che la consorteria è rimasta di fatto operativa fino all’anno 2014 (risalendo a tale anno, come accertato alle pag. 8 e ss. della sentenza di primo grado, l’informativa in cui è compendiata l’attività di intercettazione ambientale eseguita presso il carcere e presso le abitazioni dei detenuti agli arresti domiciliari, da cui si comprende che gli imputati erano ancora attivi, non essendovi evidenze di una loro operatività in epoca successiva).
Dal 1 gennaio 2014 – data in cui, per il principio del favor rei, deve ritenersi cessata la permanenza del reato – ha avuto, dunque, inizio la decorrenza del termine prescrizionale, che è pari ad anni cinque, aumentati ad anni sette e mesi sei per effetto degli atti interruttivi di cui all’art. 161 cod. p Deve poi tenersi conto delle sospensioni verificatesi durante il giudizio di primo grado per effetto della adesione dei difensori alle astensioni deliberate dagli organi rappresentativi della categoria o per impedimento o richiesta di differimento dei difensori (dal 22 novembre 2015 al 5 febbraio 2016, per mesi 2 e giorni 23; dal 4 maggio 2017 al 22 settembre 2017, per mesi 4 e giorni 18; dal 31 maggio 2018 al 5 ottobre 2018, per mesi 4 e giorni 5) nonché per giorni
64 per effetto della c.d. sospensione covid, e così complessivamente, deve computarsi un periodo di sospensione pari a 2 anni e giorni 22.
6. Il termine prescrizionale è dunque spirato il 1 gennaio 2024, dopo la sentenza di condanna di primo grado, sicché, ai sensi dell’art. 578 cod. proc.
pen. devono essere vagliate le statuizioni civili, che vanno senz’altro confermate, posto che l’esistenza del reato associativo non è stata neppure posta in
discussione dalla difesa e, alla luce della istruttoria svolta, non vi sono motivi per addivenire ad una più favorevole pronuncia assolutoria.
Consegue la condanna dei ricorrenti alle spese del grado, che si liquidano come da dispositivo, in favore di A.L.IRAGIONE_SOCIALE
parte civile costituitasi nel presente grado di giudizio.
PQM
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché, esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., il reato è estinto per prescrizione. Conferma le statuizioni civili e condanna gli imputati al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio in favore di RAGIONE_SOCIALE, spese che liquida in complessivi euro 4.386,00 oltre accessori.
Così deciso, RAGIONE_SOCIALE> Roma, .1 27 marzo 2025