Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 47038 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 47038 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
Consolazio NOMECOGNOME nato a Caserta il 27/03/1984
NOME COGNOME nato a Bulquize (Albania) il 28/09/1984
COGNOME NOMECOGNOME nato a Santa Maria Capua Vetere il 04/11/1978
NOME nato a Santa Maria Capua Vetere il 22/10/1969
Russo NOMECOGNOME nato a Santa Maria Capua Vetere il 01/08/1954
avverso la sentenza del 15/09/2023 della Corte di appello di Napoli letti gli atti, il ricorso e la sentenza impugnata; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME;
udite le conclusioni del pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento con rinvio limitatamente all’aggravante mafiosa e il rigetto nel resto per COGNOME NOME e COGNOME NOME; l’annullamento con rinvio limitatamente i capi i), j), g) e l’inammissibilità nel resto per NOME COGNOME l’annullamento con rinvio per COGNOME COGNOME e l’inammissibilità del ricorso per COGNOME NOME;
udito l’avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’avv. COGNOME per la parte civile Unione Casertana RAGIONE_SOCIALE conclude per l’inammissibilità o per il rigetto dei ricorsi e deposita conclusioni scritte e nota spese; udite le conclusioni dei difensori avv. NOME COGNOME anche in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME per NOME COGNOME l’avv. NOME COGNOME per COGNOME COGNOME avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME per NOME COGNOME avv. COGNOME in sostituzione avv. NOME COGNOME per COGNOME NOME, che hanno chiesto l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Decidendo in sede di rinvio disposto dalla seconda Sezione di questa Corte con sentenza del 3 marzo 2022, la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza emessa il 7 marzo 2016 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nei confronti di NOME NOME, COGNOME COGNOME Franco, COGNOME COGNOME e COGNOME, ha rideterminato le pene nel modo seguente:
per Consolazio Gabriele, esclusa l’aggravante di cui all’art. 61 n. 2 cod. pen. in relazione al capo R), ha rideterminato la pena in 1 anno e 6 mesi di reclusione;
per COGNOME dichiarato estinto per prescrizione solo il reato di detenzione di arma di cui al capo 3), ha rideterminato la pena per il reato di c:ui al capo I) e per il porto di cui al capo 3) in 17 anni di reclusione; ritenuta continuazione tra i reati di cui alla sentenza della Corte d’appello di Napoli del 6 novembre 2022, divenuta irrevocabile il 6 aprile 2023, e i reati di cui ai capi N) e G), ha rideterminato per questi ultimi la pena in 1 anno, 6 mesi di reclusione e 400 euro di multa a titolo di aumento per la continuazione sulla pena inflitta con detta sentenza;
per NOME NOME ha rideterminato la pena in 2 anni di reclusione; per NOME COGNOME ha rideterminato la pena inflitta per il capo A) in 8 anni di reclusione;
per COGNOME NOMECOGNOME esclusa l’aggravante di cui al sesto comma dell’art. 416-bis cod. pen. e, riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alla residua aggravante, ha rideterminato la pena in 7 anni e 6 mesi di reclusione.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso i difensori degli imputati, che ne chiedono l’annullamento per i motivi di seguito illustrati.
Il difensore di COGNOME NOME articola due motivi.
2.1. Con il primo denuncia la violazione di legge processuale e il vizio di motivazione in relazione alla corretta qualificazione del fatto reato contestato per
omessa motivazione in relazione alla richiesta di derubricazione del reato in quello di cui all’art. 371 ter cod. pen..
La richiesta si fondava sulla mancanza di prova del previo accordo tra le parti per formare un atto falso, in quanto la collaboratrice COGNOME Rosa non aveva mai dichiarato che l’avv. NOME COGNOME avesse informato i dichiaranti della falsità delle dichiarazioni, invece, concordata solo tra l’avvocato e l’COGNOME. Essendo pacifico che le dichiarazioni furono predisposte dal difensore, illustrate e sottoscritte dai singoli dichiaranti, solo il difensore deve rispondere del reato di cui all’art. 479 cod. pen., essendo configurabile a carico dei dichiaranti il reato di cui all’art. 371 ter cod. pen. ovvero quello di false informazioni al difensore, espressamente richiamato dall’art. 391 ter cod. pen., mancando il dolo di concorso nel falso in atto pubblico, sussistendo, invece, il dolo del reato di cui all’art. 371 ter cod. pen. per la consapevolezza del dichiarante della difformità tra quanto dichiarato e l’effettiva conoscenza dei fatti sui quali era sentito. Non emerge che l’imputato fosse consapevole della redazione infedele del verbale da parte del difensore, avendo la COGNOME dichiarato che l’avvocato aveva consigliato e predisposto le dichiarazioni infedeli insieme a lei, che aveva individuato i dichiaranti, mentre l’avvocato li aveva informati del contenuto della dichiarazione senza comunicare loro di essere consapevole della falsità delle dichiarazioni, ma preoccupandosi soltanto di raccomandare loro di riferire, eventualmente, in futuro che gli atti erano stati formati nel suo studio.
2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge e la contraddittorietà e illogicità della motivazione sulla ritenuta sussisten2:a dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., non emergendo dagli atti che l’imputato fosse consapevole di favorire il clan COGNOME, specie in un periodol’anno 2009- in cui non era neppure contestata o giudizialmente accertata l’esistenza dell’associazione in oggetto. La finalità dell’imputato era solo quella di agevolare i soggetti arrestati, dei quali ignorava lo status di affiliati.
Si sottolinea la insufficienza della motivazione, assertiva e lacunosa, che traspone la consapevolezza dei mandanti sui dichiaranti, senza verificare la finalità specifica dell’imputato di favorire l’associazione.
3. I difensori di NOME COGNOME hanno formulato undici motivi di ricorso.
3.1. Con il primo motivo denunciano la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per i reati di cui ai capi I) e 3) nonché la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. i punto di valutazione della prova, avuto riguardo alle divergenze rinvenibili nelle dichiarazioni dei due collaboratori su punti fondamentali della ricostruzione del tentato omicidio. Anziché verificare la convergenza della prova a fronte delle
divergenze evidenziate, il giudice del rinvio ha affrontato le singole discrasie, scegliendo tra le dichiarazioni antitetiche quella più compatibile con l’accusa.
Si ripercorrono le dichiarazioni dei due collaboratori COGNOME COGNOME e COGNOME NOME ritenuti attendibili dalla Corte di appello per dimostrarne l’assoluta inconciliabilità relativamente: 1) al movente del tentato omicidio di NOME COGNOME in quanto il COGNOME ha dichiarato che l’aggressione era stata ordinata da COGNOME Salvatore su richiesta della figlia NOME e del genero NOME COGNOME e che destinatario era NOME COGNOME, in quanto un anno e mezzo prima aveva aggredito il COGNOME, fratturandogli il setto nasale, per un debito di droga nei confronti della sorella e del cognato; per l’COGNOME, invece, il movente era da ricondurre all’antico rancore tra lui e NOME COGNOME, zio di COGNOME e NOME COGNOME, giovani rampanti e litigiosi, che volevano emergere: la Corte privilegia la versione dell’COGNOME, ideatore del delitto, senza avvedersi delle implicazioni di tale affermazione; 2) alle intenzioni e al mandato dato dall’COGNOME, in quanto il COGNOME ha affermato che, dopo l’iniziale intento di gambizzare il Masino, l’COGNOME aveva dato ordine di ucciderlo, mentre quest’ultimo ha dichiarato di aver deciso solo di “farlo sparare alle gambe”; 3) ai concorrenti all’aggressione, in quanto il COGNOME ha dichiarato che l’COGNOME aveva incaricato in sua presenza NOME ovvero NOME COGNOME di verificare dove abitava Masino e di incaricare due ucraini di eseguire l’omicidio, al contrario, l’COGNOME ha dichiarato di aver affidato l’incarico di far sparare all gambe del Masino al COGNOME e al COGNOME, che a loro volta incaricarono NOME e l’altro ucraino; 4) agli esecutori materiali, in quanto il COGNOME ha affermato che autori materiali furono i due ucraini NOME e NOME e che fu quest’ultimo a sparare, mentre l’COGNOME ha dichiarato che l’incarico fu dato dal COGNOME e dal COGNOME a NOME, identificato in COGNOME e a Podovinski Anatoly e che a sparare fu NOME; 5) all’arma utilizzata: una P38 che non lascia bossoli per il COGNOME, una pisola slava con 16 colpi per l’COGNOME. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
A fronte di tali insanabili contrasti e contraddizioni su punti essenziali del fatto, che fanno venir meno la credibilità dei dichiaranti, incredibilmente i giudici richiamando il principio della frazionabilità delle dichiarazioni dei collaboratori hanno affermato che le divergenze non sono significative, poiché le dichiarazioni convergono sul nucleo essenziale del conferimento del mandato relativo all’aggressione ai danni del COGNOME al ricorrente, che lo eseguì.
3.2. Violazione di legge e manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione relativamente alla valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori, alla prova della responsabilità del ricorrente e alla qualificazione del fatto come tentato omicidio.
La Corte di appello ha preferito le dichiarazioni dell’COGNOME in quanto ideatore dell’aggressione, trascurando che questi ha più volte ribadito di aver
dato ordine al COGNOME e al ricorrente di ordinare agli esecutori materiali di dare una lezione al COGNOME e di sparargli alle gambe. A differenza del Tribunale che in presenza del contrasto tra i due collaboratori relativamente all’oggetto del mandato e all’animus necandi, aveva ritenuto configurabile il dolo alternativo, non ha affatto analizzato il profilo psicologico del ricorrente e la sua volontà di concorrere nel delitto, atteso che, essendo mero esecutore degli ordini dell’COGNOME e non avendo motivi di risentimento nei confronti del COGNOME, non aveva voluto che gli esecutori materiali dell’aggressione andassero oltre l’ordine del mandante. Conseguentemente, esclusa l’intenzione del capo clan di uccidere il COGNOME, al ricorrente non può essere attribuita la responsabilità per il tentato omicidio, ma solo per lesioni aggravate.
3.3. Mancanza di motivazione o motivazione apparente in punto di idoneità dell’azione a determinare la morte di NOME COGNOME La Corte di appello si è limitata a condividere le valutazioni del Tribunale senza dare risposta ai rilievi difensivi esposti nell’atto di appello e nei motivi aggiunti, nei quali si evidenziava che l’unico colpo esploso non aveva attinto la vittima in prossimità dell’arteria femorale, ma aveva colpito la zona postero laterale della coscia sinistra, come indicato nei referti in atti.
3.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’aggravante dell’agevolazione mafiosa, erroneamente ritenuta sussistente, in quanto gli intenti e il movente dell’aggressione erano riconducibili a motivi personali dell’COGNOME– il risalente rancore legato alla morte del figlio e al mancato intervento dello zio del COGNOME – a differenza di quanto sostenuto dalla Corte di appello, che ha valorizzato la motivazione secondaria riferita dall’COGNOME di dare una lezione ai COGNOME. Al travisamento delle dichiarazioni sul punto e all’erronea applicazione oggettiva dell’aggravante, in contrasto con l’orientamento di legittimità, oggetto di contestazione in appello, non è stata data risposta.
3.5. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’aggravante del metodo mafioso applicata al tentato omicidio in oggetto erroneamente ritenuta sussistente solo in forza della provenienza del mandato dal capo clan, che si ribadisce aveva natura e carattere familiare, mentre le modalità del fatto non evocano di per sé la forza intimidatrice del vincolo associativo.
3.6. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al reato di cui al capo G), riqualificato in furto aggravato, per mancanza di motivazione ir relazione alle censure difensive con le quali si evidenziava che dalle dichiarazioni dell’COGNOME e della figlia non emergeva alcuna responsabilità dell’imputato per i furti dei nullaosta.
3.7. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al capo N) e alla violazione del bis in idem rispetto al capo C) del procedimento n. 7680/11 nel
quale il ricorrente era stato già giudicato per lo stesso fatto estorsivo con sentenza 6 novembre 2012, risultando evidente dal capo di imputazione e da detta sentenza che anche per l’estorsione al Green Angel l’COGNOME era stato già giudicato.
3.8. Violazione dell’art. 157 cod. pen. per omessa dichiarazione di prescrizione del reato di cui al capo 3) relativamente al porto di arma da fuoco e al reato di cui al capo G).
3.9. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche per mancata considerazione degli elementi favorevoli indicati nell’atto di appello.
3.10. Violazione di legge in relazione al divieto di reformatio in peius e relativo vizio di motivazione per avere la Corte di appello determinato la pena base per il tentato omicidio aggravato in 16 anni di reclusione anziché in 14 anni di reclusione determinati dal Tribunale per correggerne l’errore di calcolo nella riduzione per il tentativo da operare sul massimo della pena stabilita per il reato aggravato, a nulla rilevando che la pena finale risulti inferiore a quella inflitta i primo grado.
3.11. Violazione di legge e vizio di motivazione relativamente alla pena applicata per i reati di cui ai capi G) e N) in continuazione con i fatti di cui al sentenza della Corte di appello di Napoli del 6 novembre 2012, divenuta irrevocabile il 6 aprile 2013-per non avere la Corte di appello assolto l’obbligo di motivazione relativamente all’aumento applicato a titolo di continuazione, in particolare, perché l’aumento di pena non è in sintonia con quello applicato dalla sentenza definitiva per reati omogenei .
Il difensore di NOME COGNOME formula tre motivi.
4.1. Con il primo motivo denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del concorso nel reato di falso in atto pubblico per avere la Corte di appello motivato in modo apparente nonché omesso di motivare in ordine alla qualificazione del reato, oggetto di specifico motivo di appello, in particolare, in ordine alla richiesta di derubricazione nel reato di cui all’art. 371 ter cod. pen. per le stesse ragioni esposte per la posizione del Consolazio, alle quali si rinvia.
4.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416 -bis.:1 cod. pen. Segnala l’erronea motivazione resa sulla natura oggettiva dell’aggravante, in contrasto con la natura soggettiva dell’aggravante affermata dalle Sezioni Unite con la conseguenza che non la si può ritenere sussistente a carico del ricorrente in assenza di elementi che provino la direzione della condotta verso l’obiettivo di agevolare l’associazione, essendo animato da
tutt’altro scopo personale cioè quello di favorire soggetti arrestati in altr procedimento, che ignorava fossero affiliati, anche perché in quel momento l’esistenza del sodalizio non era stata accertata. Del tutto erroneo, in mancanza di prova della volontà del ricorrente di agevolare il clan, è ritenere che la consapevolezza dei mandanti supplisca quella degli imputati.
4.3. Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla mancata esclusione della recidiva e al diniego delle attenuanti generiche con giudizio quantomeno di equivalenza con la recidiva contestata. La motivazione sulla recidiva è assente e non controllabile sulla pena, ridimensionata, ma senza spiegare se rimodulata la pena base o l’aumento per le aggravanti; non sono stati valutati elementi favorevoli all’imputato, che ha precedenti risalenti e ha ritrattato le dichiarazioni mendaci, il che aveva portato ad una pronuncia di non punibilità per il reato di favoreggiamento oggetto del capo s), invece, la Corte si è limitata a richiamare la prescrizione del reato, senza tener conto della pronuncia di non punibilità, erroneamente estendendo allo Iorio le valutazioni espresse per i coimputati.
5. I difensori di NOME COGNOME articolano i seguenti motivi:
5.1. violazione degli artt. 516,521,522,604 cod. proc. pen. e nullità della sentenza in relazione al capo A) dell’imputazione per violazione del diritto di difesa, stante l’evidente asimmetria tra la condotta contestata e quella ritenuta accertata dalle sentenze di merito relativamente alla collocazione temporale della condotta.
Precisato che l’imputato è stato ritenuto concorrente esterno e non intraneo al sodalizio e che secondo i giudici di merito il suo apporto sarebbe consistito nella cooperazione fornita nelle truffe al Monopolio dello Stato nel limitato periodo tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008, è agevole rilevare che la condotta per cui vi è stata condanna non collima con quella contestata, atteso che nell’imputazione non vi è alcun riferimento alla manomissione degli apparecchi per il gioco d’azzardo e il reato associativo risulta contestato come accertato dal gennaio 2009 con condotta perdurante. L’eccezione proposta nel precedente ricorso non è stata esaminata nella sentenza di annullamento con rinvio, ma non vi è preclusione processuale, essendo stata ritenuta assorbente la mancanza di motivazione della sentenza di appello, sostanzialmente elusiva dell’obbligo di motivazione imposto al giudice di appello a fronte degli articolati motivi dedotti.
Si ribadisce che il capo A) dell’imputazione non contempla le condotte ritenute integranti il concorso esterno; che l’omissione non può ritenersi superata dalla contestazione del reato di cui al capo H), dichiarato prescritto nel primo giudizio di appello, trattandosi di condotte risalenti ad epoca precedente (non
oltre l’inizio del 2008) la data di consumazione del reato di cui al capo A); che per l’imputato non è indifferente vedersi contestare la presunta agevolazione ad una consorteria sfornita dei connotati tipici di cui all’art. 416 bis cod. pen. piuttosto che ad una associazione che abbia già conseguito tali caratteristiche;
5.2. violazione dell’art. 627 cod. proc. pen. e vizio di motivazione, in quanto il giudice del rinvio si è sottratto all’obbligo di motivazione imposto dal giudice di legittimità con specifico riferimento alla sussistenza materiale e alla volontarietà delle condotte;
5.3. violazione di legge e plurimi vizi di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato associativo, in primo luogo, riguardo al profilo temporale. La difesa aveva segnalato l’incongruenza rilevabile tra il capo A) dell’imputazione che indica il reato accertato dal 29 gennaio 2009, mentre le condotte contestate al capo H) prescritto, strumentali al concorso esterno, sono tutte antecedenti. Sul punto la Corte di appello ha affermato che il 2009 non indica la data di operatività del sodalizio, ma solo il momento in cui si è raggiunta la prova dell’esistenza del gruppo criminale organizzato, ritenendo provata l’acquisita caratura mafiosa dell’associazione dalla mera acquisizione delle sentenze che ne hanno sancito l’esistenza prima del 2009.
L’argomento è insufficiente, in quanto le sentenze prodotte dal P.m. riguardano lo stralcio effettuato per le posizioni degli imputati che nel medesimo procedimento optarono per il giudizio abbreviato, sicché la contestazione sotto il profilo temporale è identica. Il tema ha ovvia ricaduta sul connesso profilo della consapevolezza del ricorrente di fornire un contributo volontario al rafforzamento dell’associazione: a tal fine non è sufficiente il riferimento alle conversazioni intercettate, effettuate nel periodo febbraio- luglio 2009, che nulla dimostrano per il periodo precedente. Il mancato accertamento del momento in cui l’associazione ha assunto le caratteristiche dell’associazione mafiosa non ha consentito di verificare se le condotte del ricorrente fossero successive e volontarie e dirette a rafforzarla. La ricostruzione delle condotte è affidata a presunzioni, senza tener conto delle deduzioni difensive dirette a dimostrare che il ricorrente svolgeva un’attività imprenditoriale del tutto autonoma e pregressa con elevato fatturato, documentato dai bilanci dal 2004 al 2009 e non derivato dai rapporti con la ditta COGNOME, facente capo al capo clan. Le dichiarazioni di COGNOME Salvatore e COGNOME Rosa e quelle del COGNOME – dalle quali risulta che si erano rivolti ad un produttore di Napoli per ottenere schede e un programma per scalarle in autonomia- sono state ignorate dalla Corte di appello. Quanto alla consapevolezza della mafiosità del gruppo si evidenzia che i colloqui cui fa riferimento la Corte di appello dimostrano che il ricorrente era contento degli arresti con atteggiamento incompatibile con quello del concorrente esterno; non si è tenuto conto delle dichiarazioni del teste NOME COGNOME e di COGNOME NOMECOGNOME
confermative della condizione di soggezione e di paura del ricorrente, tanto da rendere le distanze dalla cugina, convivente di COGNOME Salvatore, e da pensare di trasferirsi in Svizzera. Manca quindi, la prova della consapevolezza dell’esistenza del clan COGNOME e della volontà di fornire un apporto e un sostegno ad un gruppo mafioso.
5.4. violazione del divieto di reformatio in peius e carenza di motivazione in relazione alla pena determinazione della pena base. Pur avendo ritenuto inapplicabile la disciplina successiva al 2008, epoca di cessazione dell’attività agevolativa del ricorrente, anziché individuarla nel minimo edittale, la Corte di appello ha applicato la stessa pena base applicata dal primo giudice senza fornire alcuna motivazione.
5.5. Carenza di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche per omessa valutazione degli elementi positivi segnalati, quali l’incensuratezza, la breve durata del rapporto illecito, la sostanziale irrilevanza in termini economici per l’azienda del ricorrente dei rapporti con l’azienda Varvella, riconducibile al capo clan.
Il difensore di COGNOME Pasquale con un unico motivo chiede l’annullamento della sentenza impugnata per carenza di motivazione in relazione al giudizio di bilanciamento e alla determinazione della pena.
La Corte di appello non ha riconosciuto le attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante con formula di stile, senza motivare né tener conto del ruolo minimo, del limitato lasso temporale della condotta, risalente nel tempo, del precedente non allarmante, della confessione piena e della rinuncia ai motivi di appello, indicativi di una ridotta capacità a delinquere. Analoga censurai vale per la pena, che alla luce degli elementi indicati poteva giustificarne la determinazione del minimo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi, ad eccezione di quello proposto dal Russo, sono fondati nei limiti e per le ragioni di seguito illustrate.
Preliminarmente va precisato che questa Corte aveva annullato la precedente sentenza di appello per radicale mancanza di motivazione, in quanto il giudice di secondo grado si era limitato a richiamare le argomentazioni del primo giudice, adagiandosi sul percorso motivazionale già tracciato, senza spiegare le ragioni di tale adesione, sostanzialmente tradendo il principio devolutivo che regola l’appello ed eludendo le numerose, specifiche e dettagliate censure formulate dai ricorrenti su questioni non risolte.
Il giudice del rinvio era, pertanto, tenuto a rendere puntuale risposta ai rilievi difensivi ed a risolvere le criticità segnalate dalle difese dei ricorrenti, per quanto si dirà, tale compito non risulta assolto e molti profili problematici risultano ancora irrisolti.
Il ricorso di Consolazio NOME può essere trattato congiuntamente a quello proposto nell’interesse di NOME COGNOME sia perché si tratta di posizioni analoghe sia perché i ricorsi pongono motivi sovrapponibili, ad eccezione dell’ultimo motivo del ricorso dello COGNOME che investe il trattamento sanzionatorio.
2.1. Entrambi i ricorrenti sono stati ritenuti responsabili del delitto di fals in atto pubblico in concorso (oggetto del capo R) con l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., essendo risultati coinvolti nella vicenda per la quale sia l’avvocato NOME COGNOME che COGNOME Rosa e COGNOME COGNOME sono stati separatamente giudicati e condannati.
La vicenda ha ad oggetto le false dichiarazioni assunte in sede di indagini difensive, prodotte al GIP in sede di convalida degli arresti dell’COGNOME e degli altri partecipi all’aggressione organizzata per ritorsione nei confronti degli autori dell’incendio dell’autovettura di NOME COGNOME, sentimentalmente legata all’COGNOME, appartenenti alla famiglia antagonista dei COGNOME. L’operazione, realizzata su mandato di COGNOME per ottenere la liberazione degli arrestati, come risultava dai colloqui intercettati e dall dichiarazioni dei collaboratori, previo reperimento di persone disponibili, si sostanzia nella produzione di dichiarazioni, asseritamente assunte nello studio dell’avv. COGNOME COGNOME ed alla sua presenza, in cui i dichiaranti affermavano falsamente che i COGNOME erano armati e gli arrestati si erano limitati a difendersi.
Secondo le decisive dichiarazioni di COGNOME COGNOME era stata lei a reperire persone vicine al clan e le false dichiarazioni erano state predisposte insieme all’avvocato presso la sua abitazione con il suo computer; l’avvocato le aveva lasciato il file con l’intestazione del suo nome e lei stessa aveva completato le dichiarazioni, poi firmate dagli imputati ai quali l’avvocato aveva spiegato che stavano facendo risultare che le dichiarazioni erano state rilasciate nel suo studio e che così avrebbero dovuto riferire nel caso fossero stati chiamati a deporre (pag. 317-318 sentenza di primo grado).
Convergono sul punto le dichiarazioni di COGNOME NOME– giudicato per questo fatto-, il quale ha precisato che non vide l’avvocato e che, quando furono scoperti, concordarono tra loro sottoscrittori la linea difensiva per sostenere di essere stati minacciati da COGNOME NOME con una pistola per costringerli a firmare e tale è la versione resa dai ricorrenti in sede di interrogatorio; conformi risultano le dichiarazioni del fratello COGNOME NOME.
Ciò posto e chiarito che i ricorrenti hanno ammesso di aver firmato le false dichiarazioni, ma solo perché costretti, secondo la linea concordata, riferita dai f.11i COGNOME divenuti collaboratori di giustizia, correttamente la Corte di appello ha rinvenuto in tale versione un elemento di riscontro alle dichiarazioni dei COGNOME.
Precisato, inoltre, che la verifica rimessa al giudice del rinvio riguardava il concorso dei ricorrenti nel delitto di falso in atto pubblico e, in particolare, posizione e la condotta dei singoli ricorrenti e la loro incidenza causale sui profili di falsità in atto pubblico, oggetto dell’attestazione del pubblico ufficiale, l censure difensive sono infondate.
Avuto riguardo alle descritte modalità di acquisizione delle dichiarazioni di testimoni compiacenti rese non al legale, ma alla COGNOME, proprio con riferimento al verbale di acquisizione di dichiarazioni da persone informate dei fatti, questa Corte aveva chiarito che il falso riguardava non già il contenuto di dette dichiarazioni, ma gli aspetti su cui unicamente può cadere la attestazione del pubblico ufficiale (pag. 37 sentenza n. 16525/2022).
Pertanto, a differenza di quanto sostenuto nei ricorsi, l’addebito di falso in atto pubblico non verte sul contenuto delle dichiarazioni e sulla consapevolezza del legale della loro falsità, di cui i ricorrenti sarebbero stati ignari, ma sul fat di aver reso e firmato dichiarazioni predisposte, solo apparentemente rese al legale e nel suo studio: falsità, questa, di cui gli imputati erano consapevoli e persino edotti dal legale. Peraltro, avendo entrambi i ricorrenti sostenuto di aver apposto le sottoscrizioni in luogo diverso dallo studio del legale, ne discende che erano consapevoli di far risultare un fatto non vero cioè di aver rilasciato quelle dichiarazioni al difensore presso il suo studio, in tal modo concorrendo nel reato proprio ascrivibile al legale, circoscritto all’attestazione di aver ricevuto quell dichiarazioni personalmente e presso il suo studio, essendo detta attestazione indispensabile a conferire validità legale e probatoria all’atto prodotto in giudizio e non ad attestare la veridicità delle circostanze riferite dal teste ascoltato.
Risulta, quindi, corretta la valutazione dei giudici di merito relativa a,1 concorso dei ricorrenti nel falso ideologico commesso dall’avv. COGNOME, facendo figurare come attività difensiva svolta quelle dichiarazioni a lei non rese, quindi, attestando falsamente di averle ricevute personalmente e, al contempo, pacifica la consapevole disponibilità dei ricorrenti ad aderire alla richiesta di sottoscrivere dichiarazioni già predisposte, non davanti al legale.
La stessa ricostruzione del fatto operata in sentenza esclude la configurabilità del reato ipotizzato nei ricorsi, atteso che l’art. 371 ter cod. pen. presuppone la contestuale presenza del difensore e della persona informata sui fatti, insussistente nel caso di specie per ammissione degli stessi ricorrenti, e rende evidente che la censura difensiva sposta il fuoco della questione sul contenuto delle dichiarazioni e sulla loro falsità, anche a fronte della
delimitazione e precisazione contenuta nella sentenza di annullamento con rinvio. Ne deriva che non è censurabile la mancata risposta sul punto per originaria inammissibilità del motivo.
2.2. È, invece, fondato il secondo motivo relativo alla ritenuta sussistenza dell’aggravante mafiosa nella forma dell’agevolazione, essendo la risposta sul punto lacunosa e assertiva, anche a fronte delle specifiche obiezioni difensive.
Secondo i giudici di merito il contributo fornito dai ricorrenti era essenziale per scagionare gli arrestati e fu fornito per gratitudine verso NOME Salvatore, trattandosi di soggetti vicini al clan o che avevano lavorato in passato con il clan, come dichiarato da NOME COGNOME sicché furono reperiti proprio tra i soggetti vicini, che non avrebbero potuto rifiutare l’apporto richiesto ed erano ritenuti affidabili; peraltro, la stessa linea difensiva scelta, sostenendo di essere stati minacciati e costretti a sottoscrivere dichiarazioni false, sarebbe indicativa della consapevolezza della forza egemonica del clan COGNOME e della necessità di contribuire a scagionare dalle accuse gli esponenti del clan tratti in arresto (paci. 29 sentenza impugnata; pag. 324 sentenza di primo grado).
La motivazione elude i rilievi difensivi, relativi, in particolare, al consapevolezza dei ricorrenti di favorire il clan COGNOME in un momento storico in cui l’esistenza e l’operatività del clan non era ancora giudizialmente accertata nonché relativi alla consapevolezza di favorire i soggetti arrestati, dei qual ignoravano l’appartenenza al clan. Temi, questi, che non risultano affatto affrontati, avendo i giudici dato per scontata la preesistenza e la precedente operatività del clan, finendo per far derivare automaticamente dall’intento degli organizzatori dell’operazione e del capo clan COGNOME COGNOME la consapevolezza dei ricorrenti, del tutto estranei al sodalizio mafioso, di offrire un contribut essenziale per salvaguardare le sorti del clan, senza precisare da quali elementi i ricorrenti avrebbero tratto la consapevolezza dell’esistenza del clan, della posizione apicale dell’COGNOME e della ricaduta favorevole del loro contributo sull’intero sodalizio e non sulla posizione degli arrestati, specie se si considerai che le dichiarazioni furono rese per riconoscenza verso l’COGNOME per il quale avevano in precedenza lavorato, secondo quanto affermato da COGNOME NOMECOGNOME
Considerato che l’aggravante in esame ha natura soggettiva ed è caratterizzata da dolo intenzionale, la finalità perseguita dall’autore del delitto, onde evitare il rischio di diluizione della circostanza nella semplice contestualità ambientale, deve essere oggetto di una rigorosa verifica in sede di formazione della prova sotto il duplice profilo della dimostrazione che il reato è stato commesso al fine specifico di favorire l’attività dell’associazione mafiosa e della consapevolezza dell’ausilio prestato al sodalizio (Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019,
dep.2020, Rv. 278734; Sez.3, n. 45536 del 15/09/2022, COGNOME, Rv. 284199): principi ai quali non si è attenuta la Corte di appello per le ragioni evidenziate.
Conseguentemente la sentenza impugnata va annullata sul punto con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio anche sui motivi relativi alla recidiva e al trattamento sanzionatorio proposti dallo Tono, da ritenersi assorbiti.
3. Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è fondato.
3.1. Anche in questo caso la sentenza impugnata non ha assolto l’obbligo di motivazione rimesso da questa Corte, che, alla luce delle numerose discrasie emerse nel racconto dei collaboratori, aveva chiesto al giudice del rinvio di spiegare perché, a differenza di quanto sostenuto dalla difesa, le numerose e non secondarie differenze nei racconti dei due collaboratori fossero in realtà superabili e dovesse privilegiarsi la loro convergenza sull’unico elemento su cui entrambe le versioni erano coerenti (pag. 24 sentenza di questa Corte).
La Corte di appello ha affrontato in modo incompleto il tema centrale della credibilità dei dichiaranti, tentando di superare le censure difensive e le radicali divergenze rilevate nelle dichiarazioni dell’COGNOME e del COGNOME su punti rilevanti in ragione della ammissibilità della valutazione frazionata delle dichiarazioni dei collaboratori e della maggiore affidabilità riconosciuta alle dichiarazioni di COGNOME Salvatore, capo clan, mandante e ideatore dell’aggressione e dell’attentato omicidiario, senza però avvedersi dell’inconciliabilità delle versioni rese, che si risolve nella mancanza di riscontri alla parola dell’COGNOME.
Ed infatti, anche all’esito del giudizio di rinvio permane la convergenza dichiarativa esclusivamente sul ruolo di intermediario tra mandante ed esecutori del delitto, attribuito al ricorrente, in quanto incaricato da COGNOME NOME di ingaggiare due ucraini che avrebbero dovuto eseguire l’attentato nei confronti di NOME COGNOME, ma le versioni dei dichiaranti non collimano su nessun altro aspetto della vicenda.
Non collimano: 1) sul movente, individuato nel risalente contrasto tra l’COGNOME e i COGNOME a causa della perdita del figlio – morto nel 1999 per difendere la figlia del COGNOME, zio del COGNOME, obiettivo dell’attentato e giovane emergente della famiglia, che “iniziava a dare fastidio” sul territorio-, e non nella vicenda personale, riferita dal COGNOME, negata da COGNOME NOME e disattesa da giudici di merito, ma giustificata per la ritenuta sovrapposizione tra i fatti d parte del dichiarante in ragione della conflittualità esistente tra i gruppi e de frequenti scontri, emersi anche in questo procedimento; 2) sul ruolo del COGNOME, dichiaratosi estraneo alla fase preparatoria e organizzativa, invece, coinvolto dalle dichiarazioni dell’COGNOME; 3) non sull’oggetto del mandato, limitato
a dare una lezione ed a gambizzare il COGNOME, secondo l’COGNOME, invece, ad uccidere secondo il COGNOME; 4) non sugli esecutori dell’attentato- uno dei quali soltanto é stato riconosciuto in foto da entrambi i collaboratori ed anche dal teste oculare, presente presso la sede della ditta ove fu eseguita l’azione e dove lo straniero si era recato alcuni giorni prima dell’attentato, visibilmente armato; 5) non sul tipo di arma utilizzata né sul risultato da realizzare, elemento quest’ultimo che incide in modo rilevante sul dolo e sull’attribuibilità al ricorrente del tentato omicidio.
Anche l’affidamento riposto nella parola dell’COGNOME in ragione del rapporto di assoluta fiducia e quasi filiale con il ricorrente, trascura che, pur essendo stato definitivamente condannato per tentato omicidio, egli ha sostenuto di aver dato mandato al ricorrente di dare una lezione al giovane rampollo dei COGNOME per poi contraddirsi, ammettendo di essere sollevato quando apprese dell’errore di persona e che la vittima era ancora in vita, così dimostrando incoerenza e non linearità dichiarativa, che ha inevitabile riflesso sulla posizione del ricorrente. Né i giudici hanno considerato che l’incertezza sul mandato e sull’effettivo risultato da perseguire ha diretta ricaduta sul dolo e sulla responsabilità concorsuale del ricorrente per il tentato omicidio, specie alla luce delle modalità esecutive del l’azione descritte dalla vittima ed eseguita da due ucraini a disposizione dell’Amato per aggressioni, pestaggi e intimidazioni armate: non risulta, quindi, ancora chiarito se il ricorrente si limitò ad indicare agli esecutori il luogo in cu potevano trovare la vittima ed a trasferire loro il mandato di ferire o un mandato di morte o se, nella prima ipotesi, fosse stato il NOME ad andare oltre l’incarico affidatogli.
Le discrasie evidenziate, specialmente sul contenuto del mandato che attinge direttamente la posizione del ricorrente, lasciano irrisolto il tema della credibilità dei dichiaranti, non consentendo di ritenere attendibile l’uno piuttosto che l’altro né di ritenere le dichiarazioni reciprocamente riscontrate né sussistente la convergenza sul fatto, inteso come fatto materiale nella sua completa evoluzione sino all’esecuzione del mandato.
E’ noto che l’esclusione dell’attendibilità per una parte del racconto non implica, per il principio della cosiddetta “frazionabilità” della valutazione, un giudizio di inattendibilità con riferimento alle altre parti intrinsecamente attendibili e adeguatamente riscontrate, a condizione che: non sussista un’interferenza fattuale e logica tra la parte del narrato ritenuta falsa e le rimanenti parti; l’inattendibilità non sia talmente macroscopica, per conclamato contrasto con altre sicure emergenze probatorie, da compromettere la stessa credibilità del dichiarante; sia data una spiegazione alla parte della narrazione risultata smentita – per esempio, con riferimento alla complessità dei fatti, al tempo trascorso dal loro accadimento o alla scelta di non coinvolgere un
prossimo congiunto o una persona a lui cara – in modo che possa, comunque, formularsi un giudizio positivo sull’attendibilità soggettiva del dichiarante (Sez.2, n. 49704 del 19/10/2023, COGNOME e altri, Rv. 285607; Sez. 6, n. 25266 del 03/04/2017, COGNOME e altro, Rv. 270153).
E’, altresì, noto il principio affermato da questa Corte secondo il quale le dichiarazioni accusatorie rese da più collaboranti possono anche riscontrarsi reciprocamente, a condizione che si proceda comunque alla loro valutazione unitamente agli altri elementi di prova che ne confermino l’attendibilità, in maniera tale che sia verificata la concordanza sul nucleo essenziale del narrato, rimanendo quindi indifferenti eventuali divergenze o discrasie che investano soltanto elementi circostanziali del fatto, a meno che tali discordanze non siano sintomatiche di una insufficiente attendibilità dei chiamanti stessi (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, COGNOME e altri, Rv. 255145; Sez. 1, n. 17370 del 12/09/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286327).
Ma nel caso di specie la Corte di appello si è limitata ad analizzare separatamente i singoli profili censurati, perdendo di vista la tenuta complessiva della chiamata in correità dell’COGNOME, altalenante ed ambigua anche sul coinvolgimento del COGNOME nella fase preparatoria ed organizzativa dell’attentato, non avvedendosi che la minimizzazione delle tante discrasie emerse non cadeva su particolari irrilevanti, ma finiva per minare la credibilità della chiamata.
Risultando insuperate e non superabili le divergenze, dal permanere del contrasto tra le versioni dei collaboratori su aspetti affatto secondari né meramente circostanziali del fatto, ma su temi centrali nella ricostruzione del fatto, non può che risultarne disarticolata l’affermazione di responsabilità del ricorrente per il concorso nel tentato omicidio e nel connesso reato di porto di arma.
3.2. Analogamente fondate sono le censure difensive sulla configurabilità dell’aggravante mafiosa nella duplice declinazione oggettiva e soggettiva, in quanto erroneamente ravvisata la prima, non essendo le modalità mafiose oggettivamente riscontrabili nel caso specie, ma derivate dalla natura e dalla provenienza del mandato, al pari della seconda, per essere la finalità agevolativa dell’associazione mafiosa automaticamente attribuita al ricorrente, dando prevalenza alla contrapposizione con la famiglia antagonista dei COGNOME ed all’esigenza di reprimerne le prepotenze, nonostante, per ammissione dello stesso COGNOME, l’attentato fosse stato ispirato da un radicato e prevalente motivo personale ovvero dal risalente rancore verso i COGNOME per la morte del figlio, cui si abbinava l’intento di dare un segnale ai giovani emergenti di quella famiglia.
Conseguentemente, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio nei confronti del ricorrente limitatamente ai capi i) e j) per non aver commesso il fatto.
3.3. Sono, invece, inammissibili i motivi relativi al reato di furt pluriaggravato dei sigilli dello Stato, oggetto del capo G).
I motivi sono generici e meramente oppositivi a fronte delle conferme provenienti dall’Amato e dalle dichiarazioni auto ed etero accusatorie del collaboratore COGNOME COGNOME autore dei furti insieme al ricorrente, anche in ordine alla consapevolezza della funzionalità dei nulla osta delle macchinette installate presso altri esercizi commerciali ad operazioni di contraffazione.
L’affermazione di responsabilità è, pertanto, fondata sulla convergenza delle dichiarazioni dei due collaboratori, che giustificano anche la sussistenza dell’aggravante mafiosa nella sua dimensione agevolativa, inserendosi i furti nel settore di elezione dell’associazione, che alla stessa garantiva profitti illeciti potere di controllo territoriale ed essendo indubbia la consapevolezza del ricorrente di contribuire volontariamente ad incrementare il potere del sodalizio nel settore.
3.3.1. Del tutto infondata è l’eccepita mancanza di motivazione sulla prescrizione del reato, da ritenere implicitamente disattesa sia per genericità della deduzione sia perché pacificamente non maturata a fronte delle aggravanti contestate e ritenute e dei lunghi periodi di sospensione verificatisi nel corso dei giudizi di primo e secondo grado per effetto delle ordinanze di sospensione dei termini di custodia cautelare per complessità del dibattimento, emesse in data 17/11/2014 e 31/05/2017, oltre 14 giorni di sospensione per adesione dei difensori all’astensione di categoria.
È infatti, noto che la sospensione dei termini di custodia cautelare disposta, con ordinanza impugnabile ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., in pendenza del termine per il deposito della motivazione previsto dall’art. 304, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., ovvero nel caso in cui consegua alla particolare complessità del dibattimento o del giudizio abbreviato ex art. 304, comma 2, cod. proc. pen., determina la sospensione della prescrizione nei confronti di tutti i concorrenti nel medesimo reato, anche se non sottoposti a misura custodiale (Sez. 5, n. 14863 del 21/12/2020, dep.2021, COGNOME, Rv. 281138-04; Sez. 6, n.31875 del 12/04/2016, Armenise e altri, Rv. 267982).
3.4. Analoga inammissibilità si rileva per la eccepita violazione del divieto di bis in idem relativamente all’estorsione di cui al capo N) rispetto alle estorsioni, oggetto del capo C) del procedimento n. 7680/11 per le quali il
ricorrente è stato già condannato con sentenza del 6 novembre 2012, divenuta irrevocabile il 6 aprile 2013.
Il motivo è meramente reiterativo e non tiene conto della corretta risposta resa in sentenza, ove si precisa che, pur trattandosi di reati omogenei, si tratta di fatti distinti, non sovrapponibili per la diversità del dato temporale, in quanto l’episodio estorsivo, oggetto del capo N), è un episodio specifico, commesso il 6 maggio 2008 ai danni del titolare del Green Angel, mentre quelli già giudicati si collocano in un periodo successivo al 29 gennaio 2009, sicché è esclusa l’identità del fatto oggetto del giudizio in corso rispetto a quelli già giudicati. Peraltro, a differenza di quanto sostenuto nel ricorso (pag. 31), non è riscontrabile alcun travisamento, non essendo il fatto commesso ai danni del Green Angel già giudicato, come risulterebbe a pag. 87 della sentenza definitiva, che, invece, tratta la posizione di NOME COGNOME e la sua partecipazione ad atti di illecita concorrenza e intimidazione ai danni dei titolari di bar finalizzati alla imposizione delle macchinette e alle spedizioni punitive organizzate da NOME Salvatore ai danni dei titolari dei bar.
Soccorre sul punto il consolidato orientamento di questa Corte, secondo il quale, in tema di divieto di “bis in idem”, l’identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) E , con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, PG in proc. COGNOME e altri, Rv. 231799; Sez. 5, n. 17014 del 16/02/2024, COGNOME, Rv. 286332-02).
3.5. Inammissibile è anche il motivo con il quale si contesta il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, giustificato dal rilievo attribuito alla pluralità e gravità delle condotte ascritte all’imputato, stretto collaboratore ed a disposizione dell’COGNOME. Peraltro, non è censurabile la mancata considerazione degli elementi favorevoli indicati dalla difesa, atteso che in merito al riconoscimento delle attenuanti generiche il giudice di merito non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275509).
3.6. E’, invece, fondato il motivo con il quale si censura la determinazione della pena per i reati di cui ai capi G) e N), applicata in aumento a titolo di continuazione con i reati già giudicati con la sentenza del 6 novembre 2012, irrevocabile il 6 aprile 2013, in particolare, per violazione del principio d
proporzionalità specie in relazione all’aumento applicato nella sentenza definitiva per reati omogenei.
È noto il principio affermato sul punto da questa Corte secondo il quale il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all’entità degli stessi e tale da consentire di verificare che sia stat rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i limiti previsti dall’art. 81 cod. pen. non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269).
Pur a fronte di uno specifico motivo di censura, che chiedeva di riconoscere la continuazione e di contenere l’aumento applicato a tale titolo, la sentenza impugnata, pur avendo ravvisato la continuazione tra i fatti oggetto della sentenza irrevocabile, ritenuti più gravi, e quelli di cui ai capi G) e N), h applicato l’aumento per il capo N) in misura doppia rispetto a quello applicato per le estorsioni già giudicate nella misura di sei mesi di reclusione e 150 euro di multa, e per il furto aggravato, oggetto del capo G), nella misura di 6 mesi di reclusione, giustificandoli con formula di stile in ragione della natura e gravità dei fatti, pervenendo alla rideterminazione complessiva dell’aumento per detti reati in 1 anno, mesi 6 di reclusione e 400 euro di multa.
La sentenza impugnata va, pertanto, annullata sul punto, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per la rideterminazione della pena.
4. Anche il ricorso proposto nell’interesse di Maio RAGIONE_SOCIALE è fondato.
Si tratta della posizione più delicata, depotenziata, rispetto all’originaria contestazione, dal riconosciuto ruolo di concorrente esterno nell’associazione di cui al capo A) e dalla dichiarata prescrizione del reato di concorso nella truffa continuata e aggravata ai danni del Monopolio dello Stato, realizzata mediante creazione di slot machine clonate e falsi nulla osta, oggetto del capo H).
4.1. I primi tre motivi possono trattarsi congiuntamente poiché con varie declinazioni vertono sul tema posto sin dal primo grado, avente ad oggetto la mancanza di correlazione tra imputazione e sentenza, disatteso dai giudici di merito sia con riferimento al concorso esterno rispetto alla partecipazione associativa contestata- pacificamente ritenuta qualificazione non integrante la violazione denunciata-, sia con riferimento al perimetro temporale dell’accusa.
I giudici di merito hanno escluso la violazione del principio indicato e del diritto di difesa, chiarendo che il capo di imputazione non indica la data di inizio dell’esistenza e dell’operatività del sodalizio, ma solo il momento dell’accertamento probatorio, essendo inevitabilmente ben più risalente l’operatività del sodalizio, attestata da sentenze passate in giudicato, e l’apporto offerto dal ricorrente, consistente nella fornitura di slot machine e nel concorso
nelle truffe connesse, trattandosi di settore di elezione del clan, particolarmente redditizio.
In particolare, si afferma che il gennaio 2009, corrispondente alla data dell’accertamento del reato permanente, indica l’epoca in cui sono state acquisite le prove, costituite prevalentemente da risultanze di intercettazioni e dichiarazioni di collaboratori, che hanno delineato il sistema con il quale NOME COGNOME capo clan, aveva acquisito, sin dal 2004 il potere economico e introiti enormi, conquistando il controllo del settore del gioco, imponendo con minacce l’installazione delle macchinette RAGIONE_SOCIALE negli esercizi commerciali di Santa Maria Capua Vetere e zone limitrofe, avvalendosi della preziosa collaborazione del ricorrente, specializzato ed esperto del settore, almeno sino all’inizio del 2008.
Ciò risulterebbe dalle dichiarazioni dell’COGNOME e dei collaboratori (pag. 23 sentenza impugnata) nonché dalle intercettazioni telefoniche, che ancora nel 2009 documentavano la collaborazione, il rapporto costante, paritario e cli amicale interlocuzione sia con il capo clan che con altri sodali (COGNOME e COGNOME) per interventi, suggerimenti e modifiche da apportare alle macchine o forniture di schede azzerate per frodare il fisco (pag. 108 sentenza di primo grado, 162 e seg.; 186 e seg.) nonché la consapevolezza del ricorrente di contribuire agli affari illeciti e alla posizione di monopolio del clan nel settore tutelando al contempo la propria, non risultando una posizione di soggezione o sudditanza del ricorrente né rilevando il commento liberatorio a seguito degli arresti dei componenti del clan, ritenuto, invece, dimostrativo della consapevolezza del loro spessore criminale.
4.2. La motivazione solo apparentemente affronta le censure difensive e i rilievi di questa Corte, lasciando sostanzialmente irrisolti i temi posti e non preclusi dalla censura principale e assorbente di cui si è detto in premessa, relativa alla mancanza di motivazione della precedente sentenza di appello.
Ed infatti, pur ritenendo corretta la precisazione dei giudici di merito sul significato da attribuire all’espressione contenuta nel capo di imputazione “accertato dal 29 gennaio 2009 con condotta perdurante”, indicativa non della esistenza e operatività dell’associazione, come sostenuto dalla difesa, ma del momento in cui si è consolidata la prova, la dimensione temporale della contestazione risulta ancora non adeguatamente affrontata né argomentata in modo coerente e convincente.
La stessa considerazione dei giudici di merito sulla natura permanente del reato e sulla logica preesistenza dell’associazione rispetto al momento di emersione e acquisizione probatoria, al pari della partecipazione dei singoli membri ed anche del ricorrente, non risolve l’ambiguità e la contraddizione correlata all’espressione suindicata, che ha una proiezione cronologica futura, I
rispetto ad una condotta collaborativa del ricorrente che viene circoscritta in un arco temporale compreso tra il 2007 e non oltre l’inizio del 2008 (pag. 22 sentenza impugnata).
Ne deriva che l’asimmetria denunciata dalla difesa relativamente alla perimetrazione temporale dell’imputazione associativa non trova logica soluzione nel tentativo dei giudici di merito di allineare la condotta alla contestazione come formulata, atteso che la motivazione guarda solo al passato, concentrandosi sul periodo in cui la collaborazione esterna del ricorrente risultò più attiva ed efficace per l’associazione, senza alcuna proiezione futura, giustificativa della contestata permanenza della condotta.
4.4. Ma, soprattutto, non è stata resa risposta al tema più rilevante posto dalla difesa, connesso a quello di cui al punto precedente, relativo al momento storico in cui il gruppo criminale, facente capo ad Amato Salvatore, aveva assunto i caratteri tipici dell’associazione mafiosa; e ciò, essenzialmente per la ricaduta sul piano psicologico dell’agevolazione prestata ad una consorteria di nuova formazione, atteso che sotto il profilo soggettivo, il concorso esterno nel delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. richiede la prova della sussistenza del “doppio coefficiente psicologico”, incidente sulla condotta e anche sulla natura del sodalizio ed il contributo causale fornito al suo rafforzamento, che non possono essere oggetto di un dolo meramente eventuale.
Sul punto il Tribunale aveva ritenuto che il ricorrente avesse intrattenuto rapporti commerciali dal 2004 e sino all’inizio del 2008 (pag. 386: “… giacché in tale periodo, secondo le fonti dichiarative d’accusa, non si procedette più a
clonazione delle slot machine”) con il clan, ma illeciti nella piena consapevolezza del contributo essenziale in tal modo fornito allo sviluppo ed al rafforzamento del sodalizio in un settore in cui il clan aveva acquisito il monopolio mediante condotte violente ed estorsive di cui egli era certamente consapevole non soltanto perché cugino della compagna di COGNOME NOME e per la notorietà del sodalizio sul territorio, ma anche per la lunga frequentazione di diversi sodali legata alla commissione dei reati-fine, non avendo potuto ignorare il ricorso al metodo “camorristico” che, di fatto, era stata ammessa dallo stesso COGNOME sia pure al fine e con il proposito di prenderne le distanze (pag. 394 della sentenza di primo grado, riportata nella sentenza di annullamento).
Le affermazioni apodittiche del Tribunale, riprese dai precedenti giudici di appello e censurate da questa Corte, non risultano superate nel giudizio di rinvio, essendosi i giudici limitati ad affermare lapidariamente che tale dato è offerto dalle sentenze in atti, che hanno sancito la vigenza del sodalizio ben prima del 2009, nonché dalle dichiarazioni dei collaboratori che hanno riferito del sistema con il quale l’COGNOME era riuscito a rimpinguare le casse del clan con i proventi delle installazioni delle macchinette mangiasoldi imposte agli esercizi commerciali di RAGIONE_SOCIALE e zone limitrofe (pag.22).
La prima affermazione non tiene conto dell’obiezione difensiva che segnala trattarsi di sentenze emesse nell’ambito dello stesso procedimento per coimputati separatamente giudicati, sicché si ricade nello stesso tema problematico del profilo temporale dell’accusa, ma anche l’ulteriore sviluppo argomentativo, fondato sulle dichiarazioni di NOME COGNOME e degli ali:ri collaboratori in ordine al rapporto fiduciario e di piena collaborazione offerto dal ricorrente, al rapporto amicale con altri partecipi, tale da escludere dubbi sulla disponibilità del ricorrente a mettere la propria professionalità a servizio del clan, dà per scontata l’esistenza del clan e la consapevolezza del ricorrente dei metodi violenti mediante i quali era stato acquisito il monopolio nel settore, del quale avrebbe beneficiato.
A ben vedere la motivazione sull’esistenza dell’associazione finisce per basarsi esclusivamente sulla commissione delle estorsioni ai danni degli esercizi commerciali mediante imposizione dell’installazione delle macchine da gioco e delle truffe, trascurando l’accertamento sul radicamento del gruppo criminale nel territorio e, soprattutto, sulla effettiva capacità di intimidazione, cui dovrebb fare riscontro la condizione di assoggettamento e di omertà da parte di chi entra in contatto con tale organizzazione, con i conseguenti condizionamenti anche economici. Tali caratteri sono ritenuti impliciti e desunti dalla circostanza che il sodalizio era inserito nel più ampio clan Belforte, ma in questo modo la sussistenza delle caratteristiche della neoformazione associativa viene affermata su un piano deduttivo, senza considerare che non è sufficiente che la
neoformazione criminale riproduca le modalità operative e i metodi tradizionali delle associazioni camorristiche, occorrendo accertare quando abbia acquisito le caratteristiche di stabilità e di organizzazione autonoma e sia stata in grado di dimostrare una reale capacità di intimidazione, proponendosi sul territorio e ingenerando quel clima generale di soggezione che può giustificarne la qualificazione di associazione mafiosa.
Si tratta di un punto qualificante e rilevante per la posizione di ricorrente, in quanto investe il dolo ovvero il volontario contributo prestato per agevolare e rafforzare il clan, della cui esistenza e della cui connotazione mafiosa il ricorrente doveva essere consapevole ben prima del 2009, essendo la condotta circoscritta al periodo 2007-inizio 2008. Ma anche sul tale profilo, fortemente contestato dalla difesa, la sentenza rende risposte apparenti, richiamando i colloqui intercettati nel 2009 sui perduranti rapporti con membri del clan e non affrontando il tema posto dalla difesa del diverso fornitore cui si erano rivolti per acquistare le schede a prezzi inferiori rispetto a quelli praticati dal ricorrente ed un programma per scalarle in autonomia, come dichiarato da COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME
Ancora, la natura del rapporto con l’COGNOME e gli altri appartenenti al clan viene letta allo stesso modo dei giudici precedenti, senza tener conto dei rilievi difensivi, che, invece, rimarcavano la presa di distanza anche dalla parente, compagna di COGNOME NOME, e il senso di liberazione provato dopo gli arresti, emersi dai colloqui segnalati nel ricorso, nonché omettendo di valutare le dichiarazioni dei testi COGNOME Enrico e COGNOME Luigi, indicative, nella prospettazione difensiva, non di cointeressenze e di un rapporto di collaborazione con il clan, bensì della condizione di sudditanza e di timore del ricorrente, costretto a rinunciare al progetto di creare una sala giochi insieme al Giordano a causa delle minacce poste in essere da uomini dell’Amato o a pensare di trasferirsi in Svizzera: condizioni ben poco conciliabili con la ritenuta posizione di concorrente esterno, disponibile e consapevolmente disposto a collaborare con il clan ed a sfruttare la posizione monopolistica dallo stesso raggiunta con il suo contributo.
Ne deriva che le lacune e le omissioni segnalate sui punti indicati, che hanno rilievo assorbente, avrebbero meritato un più approfondito esame delle specifiche censure difensive, anche al solo fine di disattenderle, e che, pertanto, impongono una rinnovata valutazione, purtroppo mancata anche a fronte del drastico giudizio espresso da questa Corte sulla mancanza di motivazione della precedente sentenza di appello.
Conseguentemente, la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo giudizio nei confronti di NOME COGNOME assorbiti i restanti motivi sul trattamento sanzionatorio.
E’, invece, inammissibile il ricorso di COGNOME Pasquale, limitato al trattamento sanzionatorio, perché proposto per motivi non deducibili in questa sede, in quanto diretti a sollecitare una rimodulazione del giudizio di bilanciamento e della pena, non consentita a fronte di una motivazione che si sottrae a censure.
Gli elementi favorevoli GLYPH indicati GLYPH nel GLYPH ricorso hanno giustificato il riconoscimento delle attenuanti generiche ed il bilanciamento in termini di equivalenza con la residua aggravante della natura armata dell’associazione, con rideterminazione della pena per il reato associativo nel minimo edittale, all’epoc:a dei fatti stabilito per il partecipe in sette anni di reclusione, con aumento di mesi sei di reclusione per il reato fine.
Considerato che con puntuale motivazione la Corte di appello ha attribuito rilievo al ruolo svolto dal ricorrente nell’associazione, ma nel limitato settore dell’usura, nonché al limitato periodo di collaborazione con il capo del clan, così sottraendosi alla censura di mancata personalizzazione del trattamento sanzionatorio; considerato, altresì, che il giudizio di bilanciamento tra le aggravanti e le attenuanti costituisce esercizio del potere valutativo riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, ove congruamente motivato, come nel caso di specie, alla stregua anche solo di alcuni dei parametri previsti dall’art. 133 cod. pen., senza che occorra un’analitica esposizione dei criteri di valutazione adoperati (Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, COGNOME, Rv. 279838-02), è inammissibile la censura che nel giudizio di cassazione miri ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione, come nel caso di specie, non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142).
All’inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, equitativamente determinata in tremila euro.
5.1. Non è dovuta la liquidazione delle spese alla parte civile costituita,, atteso che la liquidazione delle spese è condizionata alla sussistenza di un interesse civile tutelabile e, pertanto, non può essere disposta nel giudizio di impugnazione o nel giudizio di rinvio che abbia ad oggetto esclusivamente questioni attinenti al trattamento sanzionatorio (Sez. 1, n. 36686 del 14/02/2023, COGNOME, Rv. 285236; Sez. 3, n. 4 del 04/10/2023, dep. 2024, Repetto, Rv. 285697), come nel caso di specie.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME limitatamente ai reati di cui ai capi i) e j) per non avere commesso il fatto. Rigetta il suo ricorso nei resto.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di NOMECOGNOME NOME NOME e NOME NOME e rinvia per nuovo giudizio nei loro confronti nonché per la rideterminazione della pena nei confronti di NOME COGNOME ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.
Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOMECOGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, 23 ottobre 2024
Il consigliere estgnsore
Il Prksiderte