Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 4341 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 4341 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato a CROTONE il 26/07/1978
COGNOME nata a CROTONE il 26/03/1948
COGNOME NOME nato a RAVENNA il 19/06/1949
NOME nato a CROTONE il 23/01/1972
avverso la sentenza del 20/07/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibili i ricorsi; udito il difensore della parte civile REGIONE EMILIA ROMAGNA, Avv. NOME COGNOME e in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME per la parte civile PROVINCIA DI REGGIO EMILIA, il quale ha concluso per il rigetto dei ricorsi e come da conclusioni depositate; udito il difensore della parte civile RAGIONE_SOCIALE, Avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME che ha concluso come da conclusioni e nota spese depositate;
n
udito il difensore dei ricorrenti COGNOME e COGNOME, Avv. COGNOME il quale ha insistito per l’accoglimento dei ricorsi;
udito il difensore di COGNOME, Avv. COGNOME in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Bologna, con sentenza del 20 luglio 2023, depositata l’11 marzo 2024, in accoglimento dell’appello del Pubblico Ministero, dichiarava NOME responsabile dei reati di cui ai capi 202) e 203) della rubrica, NOME responsabile del reato di cui al capo 202) della rubrica, COGNOME NOME responsabile dei reati di cui ai capi 204), 206), 207) e 208) della rubrica e NOME responsabile dei reati di cui ai capi 202), 203), 204), 207) e 208) della rubrica,
1.1 Avverso tale sentenza ricorre per cassazione l’Avv. NOME COGNOME quale difensore di NOMECOGNOME Il difensore eccepisce con il primo motivo l’erronea applicazione dell’art. 546 cod. proc. pen. in quanto, ai sensi del comma 2 del citato articolo, la sentenza emessa dal giudice collegiale deve essere sottoscritta dal presidente e dal giudice estensore, e la mancanza della sottoscrizione del giudice determina la nullità ai sensi dell’art. 546 comma 3 cod. proc. pen.; nel caso in esame, la sentenza impugnata non era stata sottoscritta dal Presidente “in quanto uscito dall’ordine giudiziario per avvenuto collocamento a riposo”, situazione che non costituiva impedimento assoluto ed imprevedibile, assimilabile a quelle di carattere eccezionale prevista dall’art. 546 comma 2 cod. proc. pen., per cui il difensore chiede di pronunciare la nullità della sentenza impugnata.
1.2 D difensore eccepisce con il secondo motivo l’inosservanza o l’erronea applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 12 e 270 cod. proc. pen. e la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione sul punto; premette che la Corte di appello aveva ritenuto fondato il motivo di gravame relativo alla utilizzabilità del compendio intercettivo in atti in quanto il presen procedimento “costituisce uno stralcio del ben più vasto procedimento c.d. Aemilia principale (8846/15 R.G.N.R.) a sua volta sdoppiato per diverse opzioni processuali degli imputati”, affermando apoditticamente che sussisteva il presupposto della connessione ed obliterando il divieto probatorio di cui all’art, 270 cod. proc. pen., avendo ritenuto sufficiente rilevare che nel caso di specie non vi erano procedimenti ab origine distinti; come correttamente rilevato dal
t
giudice di primo grado, invece, non si era in presenza di un procedimento con ipotesi di connessione ex art. 12 cod. proc. pen., con la conseguenza che le intercettazioni relative ad altri procedimenti non potevano intendersi utilizzabili nel presente processo.
1.3 II difensore eccepisce con il terzo motivo l’inosservanza o erronea applicazione dell’art. 12-quinquies I.n. 356/92 (ora art. 512-bis cod. pen.) e la contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla condanna per il reato di cui al capo 202 della rubrica, nel quale si contestava a NOME Agostino, quale concorrente nell’attività di NOME NOME (interponente) di avere fittiziamente intestato a NOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME, quali interposti, la società RAGIONE_SOCIALE pur essendo NOME effettivo titolare; già nel capo di imputazione emergeva che – a differenza degli altri concorrenti nel reato- nelle date indicate (28/07/2010 e 02/07/2013) a NOME NOME non era stata intestata alcuna quota societaria della RAGIONE_SOCIALE né l’accusa aveva individuato una condotta attiva di NOME idonea ad occultare la titolarità delle quote di NOME; lo stesso Collegio aveva dato atto che NOME era subentrato nella società nell’anno 2005 (pag.149), ossia quando non sussisteva alcun pericolo in ordine all’applicazione delle misure di prevenzione e mancava qualsivoglia valutazione in ordine all’efficienza causale del contributo di NOME NOME rispetto all’azione degli altri concorrenti; in particolare, dalla conversazione intercettata riportata alle pagg. 78-80 della sentenza impugnata emergeva l’estraneità dei familiari ai mutamenti della compagine societaria, sino al punto di immaginare che si trattasse di possibili errori dei commercialisti; la contraddittorietà della sentenza emergeva in modo evidente a pag. 140 della sentenza impugnata, in cui si affermava l’estraneità dei familiari di NOME rispetto alle vicende contestate. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il difensore aggiunge che la motivazione sulla sussistenza del dolo specifico avrebbe dovuto essere specifica e puntuale, a maggior ragione nel caso di specie, in cui il trasferimento fraudolento sarebbe avvenuto tra prossimi congiunti, ossia tra soggetti che, in forza della normativa di prevenzione, erano comunque interessati dalle indagini patrimoniali prodromiche alla emissione dei provvedimenti di cautela e di ablazione; occorreva inoltre tener conto della difficoltà della prova del fine elusivo quando i soggetti siano consapevoli che l’intestazione non sortirebbe alcun effetto e ritenere insufficiente la sola fittiziet dell’intestazione, anche nel caso in cui i beni siano intestati a un familiare di un soggetto sottoposto o sottoponibile ad una misura di prevenzione patrimoniale; nella sentenza impugnata non vi era l’indicazione di elementi idonei a dimostrare la fittizietà dell’intestazione, non indicando i dati fattuali che dessero conto della capacità elusiva delle singole attribuzioni patrimoniali rispetto ad eventuali
procedimenti di prevenzione patrimoniale nei confronti di NOME e che fossero dimostrativi della finalità elusiva perseguita non solo da quest’ultimo quale autore del reato ascritto, ma anche dal ricorrente; parimenti illegittima era la motivazione nella parte in cui pretendeva di desumere la sussistenza dell’elemento soggettivo dal presunto coinvolgimento del ricorrente in vicende non afferenti i fatti contestati.
1.4 Il difensore con il quarto motivo eccepisce l’inosservanza o erronea applicazione della disposizione di cui all’art. 512-bis cod. pen. e la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla condanna per il reato di cui al capo 203 della rubrica, nel quale si contestava la fittizia intestazione a NOME NOME e NOME NOME delle quote della società RAGIONE_SOCIALE, società nella quale COGNOME NOME non era mai stato titolare delle quote: i trasferimenti delle quote erano infatti avvenuti tra NOME, NOME e NOME, per cui non era dato comprendere come tali variazioni avrebbero potuto consentire a NOME di sfuggire alle rigorose previsioni della normativa di prevenzione patrimoniale; quanto sostenuto del Collegio non escludeva la ricostruzione fornita dalla difesa, che giustificava l’assetto societario per il fatto che il pad NOME aveva intenzione di trasferire tutti i beni personali in quella società, per poi lasciare i terreni ai suoi figli, tesi confermata dalla consulenza tecnica di parte; la Corte di appello aveva riformato la sentenza di primo grado senza fornire una ricostruzione alternativa corroborata da specifici elementi di prova.
1.5 II difensore con il quinto motivo deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’ad, 416-bis.1 cod. pen. e la mancanza contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dell’aggravante mafiosa; in modo del tutto illogico, con riferimento al ricorrente, si era individuato come unico riscontro un’intercettazione in cui NOME COGNOME diceva al figlio che c’erano “quelli che fanno i banchetti nell’Agriturismo e che non li fanno pagare o li fanno pagare solo la metà e che sono tutti amici” e che in tal modo “nemici non abbiamo con nessuno”, con un chiaro riferimento quindi alla criminalità organizzata (pag.164 sentenza impugnata); appariva illogico ed illegittimo ricavare da ciò che l’intestazione delle quote (avvenuta due anni prima della conversazione citata dalla Corte) fosse funzionale all’interesse dell’intero sodalizio mafioso, tanto più se si considerava che non si poteva giungere a tale conclusione se l’attività occulta serviva gli interessi di un singolo associato, sia pure posizionato a livello di vertice della cosca; neppure era sufficiente che quest’ultima potesse trarre un qualche vantaggio indiretto dalla finalizzazione della condotta a favorire il singolo compartecipe; dalle stesse dichiarazioni dei testimoni si poteva e doveva dedurre che il sodalizio non traeva nessun concreto
vantaggio diretto dall’agriturismo COGNOME ed era lampante che il Collegio non aveva citato le prove dichiarative assunte in sede di rinnovazione dell’istruttoria, con evidente travisamento della prova per quanto riguardava le dichiarazioni dei testi COGNOME e COGNOME; non si forniva una concreta motivazione in ordine alla presunta utilità per la cosca di un agriturismo in Calabria; il Collegio non si era soffermato sulla consapevolezza dell’agevolazione mafiosa da parte di COGNOME NOME, ritenendo di poterla ricavare da una conversazione (pag.164 sentenza) in cui veniva commentato un atto minaccioso avvenuto presso l’agriturismo, con un evidente salto logico.
1.6 II difensore con il sesto motivo eccepisce l’inosservanza o erronea applicazione dell’art. 81 cod. pen: la Corte di appello aveva negato il riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati di cui al presente processo e quelli già giudicati con la sentenza del processo Aemilia facendo leva sulla diversa tipologia dei reati, senza valutare gli altri indici sintomatici de riconducibilità degli illeciti al medesimo disegno criminoso non valutando, oltre alla concentrazione temporale delle condotte, la riferibilità delle stesse alla medesima attività dell’imputato e le modalità esecutive affini; erroneamente era stato ritenuto che l’imputato che si difende richiedendo l’assoluzione non sarebbe ammesso ad invocare, in subordine, l’applicazione dell’istituto di cui all’art. 81 cod. pen. e non era stato considerato che era stata la stessa Corte di appello a richiamare reiteratamente i fatti già giudicati nel processo Aemilia confermando che il presente procedimento ne rappresentava uno stralcio, analizzando i trasferimenti fraudolenti delle altre società riferibili a Giglio, i legami con la cos mafiosa già accertati rientranti in modo lampante nel medesimo disegno criminoso di quelli qui in esame; il difensore aggiunge che era sufficiente osservare che per i capi 202, 203, 204, 206 e 207 si affermava che l’intestazione fraudolenta era stata attuata “al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali” e “al fine di agevolare la commissione dei delitti di cui agli artt. 648, 648-bis 648-ter cod. pen., e che Clausi ne procedimento Aemilia era stato condannato proprio per i reati di cui agli artt. 648-ter cod. pen. commessi nell’interesse della cosca, e 416-bis cod. pen.; il rimettere al giudice dell’esecuzione la valutazione della sussistenza o meno della continuazione realizzava nella sostanza un non liquet precluso al giudice investito della cognizione del processo. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Propone ricorso l’Avv. NOME COGNOME quale difensore di Crugliano Gaetana.
2.1 e 2.2 I primi due motivi di ricorso sono identici a quelli proposti nell’interesse di NOME
2.3 II difensore eccepisce con il terzo motivo l’inosservanza o erronea applicazione dell’art. 12-quinquies I.n. 356/92 (ora art. 512-bis cod. pen.) e la contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla condanna per il reato di cui al capo 202 della rubrica, nel quale si contestava a NOME Agostino, quale concorrente nell’attività di NOME NOME (interponente) di avere fittiziamente intestato a NOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME, quali interposti, la società RAGIONE_SOCIALE, pur essendo NOME effettivo titolare; la Corte di appello aveva rigettato apoditticamente la tesi esposta dalla difesa secondo cui la cessione formale delle quote dell’agriturismo era avvenuta affinché i genitori di NOME potessero lavorare nel ristorante, versando i contributi come soci lavoratori, limitandosi ad affermare che la COGNOME era messa al corrente delle operazioni societarie che NOME intendeva attuare e delle ragioni che la motivavano, senza individuare anche una sola conversazione intercettata idonea a dimostrare tale reale consapevolezza della ricorrente; al contrario, dalle conversazioni intercettate emergeva che la COGNOME lavorava nell’agriturismo e che i familiari erano estranei ai mutamenti della compagine societaria, sino al punto di immaginare che si trattasse di possibili errori dei commercialisti; la contraddittorietà della sentenza emergeva in modo evidente a pag. 140 della sentenza impugnata, in cui si affermava l’estraneità dei familiari di COGNOME rispetto alle vicende contestate.
Il difensore aggiunge che la motivazione sulla sussistenza del dolo specifico avrebbe dovuto essere precisa e puntuale, a maggior ragione nel caso di specie, in cui il trasferimento fraudolento sarebbe avvenuto tra prossimi congiunti, ossia tra soggetti che, in forza della normativa di prevenzione, erano comunque interessati dalle indagini patrimoniali prodromiche alla emissione dei provvedimenti di cautela e di ablazione; occorreva inoltre tener conto della difficoltà della prova del fine elusivo quando i soggetti siano consapevoli che l’intestazione non sortirebbe alcun effetto e ritenere insufficiente la sola fittiziet dell’intestazione anche nel caso in cui i beni siano intestati a un familiare di un soggetto sottoposto o sottoponibile ad una misura di prevenzione patrimoniale; nella sentenza impugnata non vi era l’indicazione di elementi idonei a dimostrare la fittizietà dell’intestazione, non indicando i dati fattuali che dessero conto dell capacità elusiva delle singole attribuzioni patrimoniali rispetto ad eventuali procedimenti di prevenzione patrimoniale nei confronti di NOME e che fossero dimostrativi della finalità elusiva perseguita non solo da quest’ultimo quale autore del reato ascritto, ma anche dalla ricorrente.
2.4 Il difensore con il quarto motivo eccepisce l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’ad, 416-bis.1 cod. pen. e la mancanza, contraddittorietà o
Vkr.n’,
manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dell’aggrav mafiosa; in modo del tutto illogico, con riferimento alla ricorrente, s individuato come unico riscontro un’intercettazione in cui NOME COGNOME diceva al figlio che c’erano “quelli che fanno i banchetti nell’Agriturismo non li fanno pagare o li fanno pagare solo la metà e che sono tutti amici” e ch tal modo “nemici non abbiamo con nessuno”, con un chiaro riferimento quindi alla criminalità organizzata (pag.164 sentenza impugnata); appariva illogico illegittimo ricavare da ciò che l’intestazione delle quote (avvenuta due anni p della conversazione citata dalla Corte) fosse funzionale all’interesse dell’ sodalizio mafioso, tanto più se si considerava che non si poteva giungere a conclusione se l’attività occulta serviva gli interessi di un singolo associa pure posizionato a livello di vertice della cosca; neppure era sufficient quest’ultima potesse trarre un qualche vantaggio indiretto dalla finalizzaz della condotta a favorire il singolo compartecipe; dalle stesse dichiarazion testimoni si poteva e doveva dedurre che il sodalizio non traeva nessun concre vantaggio diretto dall’agriturismo Giglio ed era lampante che il Collegio n aveva citato le prove dichiarative assunte in sede di rinnovazione dell’istrut con evidente travisamento della prova per quanto riguardava le dichiarazioni d testi COGNOME e NOMECOGNOME non si forniva una concreta motivazione in ordine a presunta utilità per la cosca di un agriturismo in Calabria; il Collegio non soffermato sulla consapevolezza dell’agevolazione mafiosa da parte dell COGNOME, ritenendo di poterla ricavare da una conversazione (pag.16 sentenza) in cui veniva commentato un atto minaccioso avvenuto presso l’agriturismo, con un evidente salto logico.
Propone ricorso l’Avv. NOME COGNOME quale difensore di COGNOME COGNOME.
3.1 e 3.2 I primi due motivi sono identici a quelli proposti nell’interes COGNOME NOME e COGNOME.
3.3 II difensore eccepisce con il terzo motivo l’inosservanza o erron applicazione dell’art. 12-quinquies I.n. 356/92 (ora art. 512-bis cod. pen.) e la contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla conda per i reati di cui ai capi 202 e 203 della rubrica, nei quali si contestava a quale concorrente nell’attività di COGNOME NOME (interponente) di av fittiziamente intestato a COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME (quali interposti) la società RAGIONE_SOCIALE e la società RAGIONE_SOCIALE: l’accusa era quella di aver agito quale procuratore di NOME sulla base di una procura speciale a vendere le quote conferita il marzo 2010, ossia ben prima dei sequestri e delle interdittive che si e concentrati sulla persona di NOME NOME; appariva del tutto illegittimo
una condotta di mera presentazione della procura notarile potesse integrare la fattispecie di cui all’art. 512-bis cod. pen.
3.4 II difensore eccepisce con il quarto motivo l’inosservanza o erronea applicazione dell’art.512-bis cod. pen. e la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla condanna per i reati di cui ai capi 204, 206, 207 e 208 della rubrica; premette che ai predetti capi si contestava a Clausi di aver predisposto l’atto di cessione del 20/10/2014 delle quote societarie della RAGIONE_SOCIALE, della RAGIONE_SOCIALE e Service s.r.RAGIONE_SOCIALE nonché di avere predisposto l’atto di cessione del 23/12/2024 volto ad occultare la titolarità effettiva delle quote societarie della RAGIONE_SOCIALE e che il giudizio di responsabilità si fondava su un percorso argomentativo illogico: nella sentenza impugnata vi era infatti un salto logico tra quanto accertato nelle altre sentenze di condanna di Clausi ed il coinvolgimento nei fatti in esame nel presente procedimento; la Corte di appello avrebbe dovuto specificamente individuare l’oggettiva idoneità della condotta di Clausi di eludere la normativa in materia di prevenzione, nonché la sussistenza del dolo specifico; nella sentenza impugnata mancava qualsiasi valutazione in ordine all’efficienza causale del contributo delltrricorrente rispetto all’azione degli altri concorrenti; questi era stato condannato per una condotta meramente preparatoria (l’aver predisposto l’atto di cessione delle quote) e da ciò discendeva l’illegittimo ragionamento fondato sull’idea che Clausi non poteva non sapere.
3.5 II difensore eccepisce con il quinto motivo l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art i 416-bis.1 cod. pen. e la mancanza contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dell’aggravante mafiosa per tutti i reati contestati, nonché il travisamento di prova dichiarativa; appariva illegittimo ricavare dal rapporto professionale tra NOME e il ricorrente che l’intestazione delle quote era funzionale all’intero sodalizio mafioso; dalle stesse dichiarazioni dei testimoni si poteva e doveva dedurre che il sodalizio non traeva nessun concreto vantaggio diretto dall’agriturismo Giglio ed era lampante che il Collegio non aveva citato le prove dichiarative assunte in sede di rinnovazione dell’istruttoria, con evidente travisamento della prova per quanto riguardava le dichiarazioni dei testi COGNOME e COGNOME non si forniva una concreta motivazione in ordine alla presunta utilità per la cosca di un agriturismo in Calabria.
3.6 II difensore eccepisce con l’ultimo motivo l’inosservanza o erronea applicazione dell’art. 81 cod. pen: la Corte di appello aveva negato il riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati di cui al presente processo e quelli già giudicati con la sentenza del processo Aemilia, facendo leva
sulla diversa tipologia dei reati, senza valutare gli altri indici sintomatici del riconducibilità degli illeciti al medesimo disegno criminoso non valutando, oltre alla concentrazione temporale delle condotte, la riferibilità delle stesse alla medesima attività dell’imputato e le modalità esecutive affini; erroneamente era stato ritenuto che l’imputato, che si difende richiedendo l’assoluzione, non sarebbe ammesso ad invocare, in subordine, l’applicazione dell’istituto di cui all’art. 81 cod. pen. e non era stato considerato che era stata la stessa Corte di appello a richiamare reiteratamente i fatti già giudicati nel processo Aemilia confermando che il presente procedimento ne rappresentava uno stralcio, analizzando i trasferimenti fraudolenti delle altre società riferibili a COGNOME legami con la cosca mafiosa già accertati rientranti in modo lampante nel medesimo disegno criminoso di quelli qui in esame; il difensore aggiunge che era sufficiente osservare che per i capi 202, 203, 204, 206 e 207 si affermava che l’intestazione fraudolenta era stata attuata “al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali” e “al fine di agevolare la commissione dei delitti di cui agli artt. 648, 648-bis 648-ter cod. pen., e che Clausi nel procedimento Aemilia era stato condannato proprio per i reati di cui agli artt. 648-ter cod. pen. commessi nell’interesse della cosca, e 416-bis cod. pen.; rimettere al giudice dell’esecuzione la valutazione della sussistenza o meno della continuazione realizzava nella sostanza un non liquet precluso al giudice investito della cognizione del processo.
Propone ricorso per cassazione l’Avv. NOME COGNOME nell’interesse di COGNOME NOME.
4.1 Il difensore eccepisce con il primo motivo la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione con riguardo ai capi di imputazione n.204, 206, 207 e 208: la generica affermazione che tutte le società che facevano riferimento a NOME fossero “in tutti i casi fortemente patrimonializzate” non risultava dimostrata dai dati istruttori, dai quali risultava che: 1) COGNOME era divenuto legale rappresentante soltanto ad un certo punto della vita della società (per RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE 30/10/2014 e per RAGIONE_SOCIALE dal 23/12/2014; 2) queste società, dalla acquisizione di COGNOME in poi, ovvero fino ai sequestri del gennaio 2015, non avevano più operato e COGNOME non aveva effettuato alcuna operazione con le citate società, ad esclusione della cessione del ramo di azienda da parte della RAGIONE_SOCIALE; 3) COGNOME NOME aveva più volte affermato che le società erano state cedute a COGNOME quando le stesse erano “scatole vuote” e se ne voleva liberare; era pertanto errata la conclusione che le società erano patrimonializzate nelle mani di COGNOME in funzione di presunte elusioni delle disposizioni in
materia di prevenzione patrimoniale, ovvero di presunte agevolazioni nella commissione di delitti di cui agli artt. 648, 648-bis e 648-ter cod. pen.
4.2 Il difensore eccepisce con il secondo motivo la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 512-bis cod. pen., vista la mancanza dell’elemento della fittizietà dell’attribuzione patrimoniale in capo a COGNOME; dal complesso del materiale istruttorio indicato emergeva infatti con certezza in capo a COGNOME NOME l’assenza di una situazione dissimulata delle intestazioni societarie a COGNOME; COGNOME consegnava a COGNOME società svuotate al fine di mandarle a morire, come ben evidenziato dalla vicenda societaria della RAGIONE_SOCIALE dove, alla cessione societaria del 30/10/2024 era seguita, a distanza di soli 21 giorni la cessione dell’unico bene societario rilevante, il ramo d’azienda.
Quanto al dolo specifico, premesso che per la sussistenza del delitto di cui all’art. 512-bis cod. pen. lo stesso deve essere presente per tutti i concorrenti, il difensore osserva che dal complesso del materiale istruttorio emergeva con chiarezza in capo a COGNOME NOME l’assenza di una situazione dissimulatoria nelle intestazioni societarie a COGNOME, dato confermato dalla assenza di patrimonializzazione delle società pervenute a COGNOME nella ultima fase societaria e dalla circostanza che NOME aveva affermato addirittura che doveva pagare per cederle a COGNOME
4.3 Il difensore eccepisce con il terzo motivo la violazione o falsa applicazione dell’art. 416-bis.1 cod. pen. con riguardo ai capi di imputazione 204, 206, 207 e 208; premesso che COGNOME NOME, che aveva una posizione analoga a quella di COGNOME, era stato assolto, il difensore osserva che gli elementi addotti in sentenza riguardavano le dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME NOME, che erano piuttosto generiche, e quelle del fratello di NOME NOME, NOME: il dato che COGNOME fosse a conoscenza di modalità commerciali non ortodosse o illecite da parte di NOME NOME non valeva a fondare la consapevolezza della agevolazione della associazione mafiosa, tanto più in un periodo nel quale non era emersa in alcun modo, a livello sociale o giudiziario, la presenza di un’associazione di stampo mafioso in Emilia Romagna; semplici ed isolati contatti di tipo economico con soggetti che non avevano precedenti di tipo mafioso non costituiva quell’elemento concreto che la giurisprudenza penale richiede per la configurazione dell’aggravante in questione.
Ha proposto ricorso integrativo l’Avv. NOME COGNOME quale difensore di COGNOME NOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME.
5.1 Con tale atto il difensore deduce l’inosservanza delle norme previste a pena di inammissibilità di cui agli artt. 583 e 591 cod. proc. pen., e 24 del D.L. 28 ottobre 2020, come modificato dalla legge di conversione 18 dicembre 2020
176: in tema di impugnazioni era pacifica l’affermazione della Suprema Corte in forza della quale le modalità di presentazione e di spedizione dell’atto, disciplinate dall’art. 583 cod. proc. pen. sono tassative ed inderogabili, e le diposizioni dell’art. 24 del d.l. 28 ottobre 2020 n. 137, come modificato dalla legge di conversione n.176/2020, prendevano in considerazione unicamente i difensori delle parti private quali soggetti legittimati ad avvalersi della possibili di avvalersi del mezzo della posta elettronica certificata per il deposito dell’atto di impugnazione; poiché la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bologna aveva depositato l’atto di appello esclusivamente tramite posta elettronica certificata, ossia con una modalità di deposito non prevista dalla legge, doveva essere dichiarata l’inammissibilità dell’impugnazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi devono essere accolti soltanto limitatamente alle eccezioni relative all’applicazione dell’art. 416-bis.1 cod. pen. e 81 cod. pen. (quest’ultima proposta soltanto nell’interesse di NOME NOME e NOME NOME); vengono esaminate innanzitutto le eccezioni procedurali.
1.1 GLYPH Relativamente alla eccezione dell’inosservanza dell’art. GLYPH 546 cod.proc.pen., la stessa è manifestamente infondata, atteso che la sentenza è stata sottoscritta osservando le disposizioni ivi contenute: la norma in questione, nel disciplinare le modalità della sottoscrizione, prevede che, in caso di impedimento del Presidente, la sentenza deve essere sottoscritta dall’estensore e dal componente più anziano del collegio; inoltre, gli artt. 546, comma 2, e 559, comma 4, cod. proc. pen., rispettivamente per il procedimento dibattimentale collegiale e per quello davanti al tribunale in composizione monocratica, prevedono solo la previa menzione della causa della sostituzione, senza che vi possa essere un sindacato sulla stessa; nel caso in esame, la sentenza è stata sottoscritta dal consigliere estensore e dal consigliere anziano, con espressa indicazione della causa di tale modalità – il collocamento a riposo del presidente-, con pieno rispetto della norma richiamata.
1.2 Quanto alla violazione dell’art. 270 cod. proc. pen., premesso che l’eccezione sul punto è estremamente generica, non essendo neppure stato indicato di quali intercettazioni si lamenti l’acquisizione, è noto il principi recentemente affermato dalle Sezioni Unite in tema di intercettazioni, secondo il quale il divieto di cui all’art. 270 cod. proc. pen. di utilizzazione dei risultati de captazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate – salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza – non opera con riferimento agli esiti
relativi ai soli reati che risultino connessi, ex art. 12 cod. proc. pen., a quelli relazione ai quali l’autorizzazione era stata ab origine disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall’art. 266 cod. proc. pen. (Sez. U n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 277395).
Ciò premesso, la Corte di appello ha correttamente richiamato la sentenza di questa Corte secondo la quale “i risultati delle intercettazioni telefoniche legittimamente acquisiti nell’ambito di un procedimento penale inizialmente unitario, che riguardino distinti reati per i quali sussistono le condizioni d ammissibilità di cui all’art. 266 cod. proc. pen., sono sempre utilizzabili, ancorché lo stesso sia stato successivamente frazionato a causa della eterogeneità delle ipotesi di reato e dei soggetti indagati, poichè in tal caso non trova applicazione l’art. 270 cod. proc. pen. che postula l’esistenza di più procedimenti “ah origine” tra loro distinti” (Sez.6, n. 6702 del 16/12/2014, PM in pro. COGNOME, dep. 16/02/2015 Rv. 262496; conforme Sez.6, n. 21740 del 01/03/2016, COGNOME, Rv. 266921); la Corte di appello ha infatti evidenziato che il presente processo costituisce uno stralcio del procedimento cd. Aemilia principale, sdoppiato per una diversa scelta processuale degli imputati (in quanto alcuni avevano scelto di essere giudicati con rito abbreviato), evidenziando come sussiste anche l’ipotesi di connessione di cui all’art. 12 lett. c) cod.proc.pen. (pag.28) e che le perizie trascrittive eseguite nel procedimento principale Aemilia sono confluite nel fascicolo dell’odierno dibattimento attraverso il consenso delle parti (pag.29).
1.3 Manifestamente infondata è l’eccezione sulla nullità dell’impugnazione in quanto promossa a mezzo posta elettronica certificata: premesso che le sentenze che hanno affermato che è inammissibile l’impugnazione inviata dal pubblico ministero a mezzo PEC, in quanto l’art. 24 del di. 28 ottobre 2020, n.137, come modificato dalla legge di conversione 18 dicembre 2020, n. 176, consente tale modalità di deposito alle sole parti private (come Sez.6, n. 24714 del 11/05/2021, PMT/Sinatra, Rv. 281529) partono tutte dal presupposto della impossibilità di applicare all’ufficio di procura le prescrizioni in tema di firm digitale disposte per le parti private, in quanto strumento di cui non tutti gli uffi di Procura disponevano, questa Corte ha potuto constatare, quale giudice del fatto processuale, che l’impugnazione risulta depositata in forma cartacea in data 22 marzo 2021, come risulta dal timbro di deposito apposto sulla prima pagina dell’originale; né il difensore, con la sua eccezione, ha posto in dubbio al provenienza dell’atto dal P.m. che risulta averlo firmato digitalmente, o dimostrato che lo stesso fosse allegato ad una pec, della quale non vi è traccia in atti, così non osservando lo specifico onere di allegazione sullo stesso incombente; l’eccezione risulta pertanto manifestamente infondata, per difetto di specificità.
1.4 Passando al merito del ricorso, e trattando i motivi proposti dall’Avv. NOME COGNOME nell’interesse di COGNOME AntonioCOGNOME e COGNOME COGNOME, che presentano argomentazioni in larga parte sovrapponibili, si deve precisare la natura del sindacato di legittimità -principi che questa Corte ha più volte ribadito- a mente dei quali gli aspetti del giudizio che si sostanziano nella valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi probatori attengono interamente al merito e non sono censurabili nel giudizio di legittimità, a meno che risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa; ciò conduce alla valutazione di inammissibilità, in sede di legittimità, di censure che siano sostanzialmente intese a sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio. Non va infatti dimenticato che “…sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito” (cfr. Sez. 6 n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482), stante la preclusione per questo giudice di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 6 n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099).
Ciò premesso, la Corte di appello ha dapprima evidenziato che NOME è stato condannato quale interponente per i reati di cui ai capi 202), 203), 204), 206), 207) e 208 e che nella sentenza, in giudicato, era cristallizzato l’impiego della fittizia intestazione operata da NOME NOME, quale esponente del sodalizio ‘ndranghetistico emiliano, usando come prestanome parenti stretti quali fratello, moglie, padre e figlia (pag.56); ha poi tratteggiato a lungo la figura dello stesso ed il suo inserimento nella cosca di ‘ndrangheta facente capo a NOME COGNOME, il dolo anche per quanto riguardava la sua volontà di prestarsi a riciclare e reimpiegare i denari delle cosche calabresi, i suoi rapporti con NOME ed il ruolo rivestito da quest’ultimo, non certo di semplice commercialista (da pagg.61 in avanti), ma di riciclatore per la cosca (pag.100), le misure interdittive nei confronti delle società da lui gestite e la dirett conoscenza di NOME e dei suoi familiari (pag.125); ha poi richiamato la conversazione del 9 novembre 2012 (pag.134) in cui NOME rivelava di essere il vero dominus delle compagini societarie apparentemente intestate ai suoi familiari
Quanto, in particolare, alla posizione di COGNOME Antonio (capi 202 e 203) e COGNOME COGNOME (capo 202), la Corte di appello ha quindi concluso, con un giudizio di merito non censurabile nella presente sede, che “la metodologia delle intestazioni fittizie era stata adottata e concordata all’interno del nucleo familiare
e che di ciò ne erano consapevoli tutti i membri della famiglia” (pag. 159 sentenza appello), precisando che le conversazioni intercettate erano emblematiche del pieno coinvolgimento di NOME nella frapposizione di schermi per i temuti sequestri che potevano interessare il fratello NOME (pag.159) e che NOME veniva messa al corrente delle operazioni societarie che NOME intendeva attuare e delle ragioni che lo motivavano, per cui i familiari condividevano le finalità elusive dei provvedimenti ablatori (pag.160); particolarmente significativo, per COGNOME, è il passaggio in cui la Corte di appello evidenzia che l’imputata non aveva il “polso della situazione e della storia dell’attività imprenditoriale” della RAGIONE_SOCIALE malgrado ne fosse la legale rappresentante (pag. 132).
1.5 La posizione di COGNOME viene trattata in più parti della sentenza impugnata, a partire da pag.64, ove viene sottolineato il costante coinvolgimento di COGNOME con i membri della cosca e la collaborazione con NOME Giuseppe, con il quale COGNOME “decideva a chi intestare fittiziamente le società” (pag.65), come emergeva dalle conversazioni; in particolare, vengono riportate le conversazioni nella quale NOME discuteva della necessità di intestare a terzi le proprie aziende “perché tanto non mi tolgono l’antimafia” e quella in cui COGNOME suggerisce a chi intestare la RAGIONE_SOCIALE (pag.129); e sempre a NOME NOME COGNOME si rivolgeva anziché contattare il legale rappresentante apparente (pag.66); infine, il giudizio di responsabilità di COGNOME NOMECOGNOME COGNOME e COGNOME NOME Agostino è ben motivato nelle pagine da 154 a 160 della sentenza impugnata, nelle quali vengono elencati gli elementi di prova a carico degli stessi.
1.6 La posizione di COGNOME viene trattata in particolare nelle pagine da 68 in avanti, nelle quali si evidenzia il suo ruolo di intestatario fittizio delle soci gestite da NOME NOME, che pagava COGNOME affinché si intestasse le società (pag.84), precisando che queste, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, non erano “scatole vuote” (pagg. 68, 85 e.92); nelle pagine da 70 in avanti vengono analizzate le singole società di cui ai capi di imputazione contestati a COGNOME e le prove da cui emerge che le stesse erano gestite da NOME, il quale definisce COGNOME come “una specie di testa di legno” (pag.84); nelle pagine poi da 167 in avanti si evidenzia che lo stesso COGNOME aveva confessato che le società di cui ai capi 204), 206), 207) e 208) erano fittiziamente intestate a COGNOME, essendone invece egli il vero dominus.
Tornando in particolare sull’eccezione della difesa secondo la quale le società in realtà erano “scatole vuote” e quindi sulla mancanza di dolo, la risposta della Corte di appello è contenuta nelle pagine da 84 in avanti, in cui si analizzano i passaggi di somme e di mezzi tra le singole società, giungendo alla
,
vt, JA •
corretta conclusione che “da tali elementi fattuali si evince -limpidamente- che le società di cui si discute non erano (come sostenuto dal Tribunale di Reggio Emilia) dei gusci vuoti come fatto intendere da NOME NOME nelle sue dichiarazioni” (pag.92); anche in questo caso, con riguardo alle censure del ricorrente, se ne deve rilevare la natura meramente fattuale, in quanto con esse il ricorrente sollecita una mera rivalutazione del compendio probatorio, non consentita in questa sede, stante la preclusione, per il giudice di legittimità, di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Cass., sez. VI, 22/01/2014, n. 10289).
Fondate invece, come si diceva, sono le eccezioni relative all’applicazione degli artt. 416-bis.1 e 81 cod. pen.
2.1 Quanto alla prima, la Corte di appello ha evidenziato la sussistenza dell’aggravante per quanto riguardava la condotta di COGNOME NOME (pag.47 e 93), citando a tale proposito le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia NOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME e passando in rassegna anche altre società collegate alle cosche, senza chiarire né da quali fonti i collaboratori avevano appreso quanto da loro dichiarato, né in che modo gli imputati del presente processo avevano la consapevolezza di agevolare una cosca mafiosa, non potendosi ritenere sufficiente, a tal fine, la sola conversazione in cui NOME COGNOME dice al figlio NOME “nemici non ne abbiamo con nessuno”.
Analoghe considerazioni devono essere svolte a proposito della posizione di COGNOME NOME, posto che l’affermazione secondo la quale la sua consapevolezza del fine di agevolare l’associazione era data dal fatto che COGNOME intratteneva rapporti con i COGNOME e con NOME NOME non precisa da quali dati processuali è stata tratta.
In GLYPH particolare, GLYPH richiamata GLYPH la GLYPH necessità, GLYPH per la GLYPH configurazione dell’aggravante contestata, della presenza di specifiche risultanze che attestino oltre alla diretta riconducibilità delle attività delle società intestate ai ricorr alla cosca di riferimento, la consapevolezza che i singoli partecipi abbiano di tale cointeressenza ed utilità delle società per la compagine illecita ( sul punto Sez. U -n. 8545 del 19/12/2019, dep.2020,Rv.278734 – 01), si deve osservare che tale accertamento di fatto è stato del tutto pretermesso nella pronuncia impugnata. In argomento in sentenza si richiama solo il contenuto della telefonata, sopra evocata, nel corso della quale la COGNOME parla di un
trattamento economico di favore riconosciuto ad imprecisati soggetti, condizione che non appare di per se sola dimostrativa sia della compartecipazione della cosca alla società, sia della consapevolezza di tale coinvolgimento a cura dei partecipi.
Tale vuoto argomentativo Wannullamento del punto della sentenza, la cui valutazione va rimessa all’approfondimento del giudice del rinvio.
2.2 Fondata è anche l’eccezione proposta da NOME e NOME sulla mancata applicazione dell’art. 81 cod. pen., in quanto la motivazione della Corte di appello sul punto è del tutto generica, tanto più alla luce della considerazione che la stessa Corte di appello ha ritenuto (giustamente) insussistente la violazione dell’art. 270 cod. proc. pen. perché il procedimento Aemilia riguardava i medesimi fatti ed era stato sdoppiato solo per una diversa scelta processuale degli imputati; del tutto illogico è poi non applicare l’istituto della continuazione perché “l’elemento finalistico dell’unicità dello scopo…è stato negato dagli appellanti fino alle ultime battute del processo”, posto che non vi è contraddizione tra la richiesta principale di assoluzione e l’istanza subordinata relativa al trattamento sanzionatorio.
La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna per nuovo giudizio sui punti sopra indicati, con rigetto nel resto dei ricorsi.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’aggravante di cui all’art. 416bis.1 cod. pen. nonché, per COGNOME e COGNOME, anche sull’applicabilità dell’art. 81 cod.pen., con rinvio per nuovo giudizio sui punti ad altra sezione della Corte di appello di Bologna.
Rigetta nel resto i ricorsi.
Così deciso il 15/01/2025