Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 33802 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 33802 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 24/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MILANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/01/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 15761 del 15/02/2023, la Quinta Sezione penale di questa Corte ha annullato con rinvio la sentenza 18 maggio 2022 della Corte di appello di Milano nei confronti di NOME COGNOME, condannato nei due gradi di merito alla pena di mesi otto di reclusione, per il delitto di cui agli artt. 582, 585 in relazion all’art. 576 n. 5 bis cod. pen., per avere, il 17 ottobre 2018, cagionato a NOME COGNOME, agente di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, all’interno del carcere di San Vittore, lesioni personali al capo.
La Corte di cassazione, con la sentenza rescindente, accoglieva il motivo di ricorso relativo alla contestata sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 576 n. 5 bis cod. pen, rilevando come, a fronte di specifico motivo di gravame relativo a detto punto della sentenza, la Corte milanese non avesse dato risposta. La Suprema Corte riteneva assorbito l’ulteriore motivo di gravame inerente il trattamento sanzionatorio ed in particolare il giudizio di bilanciamento ex ar . 69 cod. pen..
Investita del giudizio di rinvio, la Corte di appello di Milano, con sentenza deliberata il 29/01/2024, ritenuta sussistente la contestata aggravante di cui all’art. 576 n. 5 bis cod. pen., e condiviso il giudizio di bilanciamento tra circostanze già operato, ha confermato la sentenza di primo grado.
In particolare, la Corte territoriale ha osservato come, dalla incontestata ricostruzione operata nella prima sentenza, il COGNOME avesse sferrato una testata al volto dell’ag. COGNOME mentre questi svolgeva il suo servizio e cioè l’accompagnamento del detenuto prima nella sala telefoni e quindi al locale passeggi, e come reazione all’invito dell’agente a non tenere comportamenti forieri di responsabilità disciplinari: la condotta dell’imputato, pertanto, non si presentava come mero accidente, legato all’adempimento della funzione del pubblico ufficiale, da mera casualità o simultaneità, ma come conseguenza dell’esercizio della funzione, stante il richiamo del detenuto ad una condotta consona alla sua condizione e dal luogo di detenzione.
La Corte ha quindi ritenuto non sussistessero elementi per attribuire alle già riconosciute circostanze attenuanti una valenza superiore rispetto alla recidiva e aggravanti contestate, confermando il giudizio di bilanciamento in termini di equivalenza.
Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Milano, ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, attraverso il difensore AVV_NOTAIO, articolando due motivi di ricorso, di seguito riassunti entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
3.1. Con un primo motivo, denuncia il vizio di motivazione in riferimento alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 576 n. 5 bis cod. pen.. La Corte di appello non si confronta e non motiva in relazione alla circostanza, debitamente sollevata in atto di appello, che il COGNOME fosse stato assolto dal Giudice di primo grado dal reato di resistenza a pubblico ufficiale ivi contestato, proprio sul presupposto della natura “gratuita” dell’aggressione operata ai danni dell’RAGIONE_SOCIALE, e dell’assenza di alcuna “connessione teleologica” tra la condotta del COGNOME e la qualifica soggettiva della persona offesa.
3.2. Con un secondo motivo deduce mancanza di motivazione in relazione al giudizio di bilanciamento tra circostanze.
Osservava il ricorrente come, a fronte della motivazione resa nella sentenza di primo grado, e confermata dal prima sentenza d’appello, incentrata sul divieto di prevalenza delle attenuanti ex art. 69 ult. comma cod. pen., la Corte di legittimità, nel ritenere il relativo motivo di ricorso assorbito, avesse comunque ricordato che la Corte costituzionale, con sentenza n. 73 del 2020, aveva dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 89 cod. pen. sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.”. La Corte territoriale, nel confermare il giudizio di bilanciamento in termini di equivalenza, ometteva tuttavia di considerare l’attenuante del vizio parziale di mente ex art. 89 cod. pen., riconosciuta in favore del COGNOME, di cui non faceva alcun riferimento in sentenza.
Il Sostituto Procuratore generale presso questa Corte, dott.ssa NOME COGNOME, ha fatto pervenire requisitoria scritta con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
La Difesa del ricorrente ha depositato una memoria con la quale conclude ulteriormente argomentando su entrambi i motivi di ricorso, per l’accoglimento die medesimi e l’annullamento dell’impugnata sentenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
COGNOME Il primo motivo, che deduce mancanza di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 576 n. 5 bis cod. pen, è infondato.
La motivazione della sentenza impugnata, sul punto, si sottrae a censure, avendo la Corte territoriale motivato adeguatamente circa l’integrazione della aggravante contestata. La sentenza rescissoria in particolare chiarisce come
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l’imputato ebbe ad aggredire l’RAGIONE_SOCIALE, mentre questi svolgeva il servizio di accompagnamento del detenuto, come reazione all’invito, rivolto dall’agente, di non tenere atteggiamenti forieri di responsabilità disciplinare; con motivazione adeguata e non manifestamente illogica, i Giudici di appello concludevano che la condotta dell’imputato non si presentasse come «mero accidente, legato all’adempimento della funzione del pubblico ufficiale da mera casualità e simultaneità, ma come conseguenza dell’esercizio della funzione, è a dire il richiamo del detenuto ad una condotta consona alla sua condizione ed al luogo di detenzione».
I Giudici di merito, quindi, hanno fatto buon governo dei principi di diritto di questa Corte, per cui ai fini della configurabilità della circostanza aggravante del fatto commesso nei confronti di pubblico ufficiale o di agente di RAGIONE_SOCIALE giudiziaria ovvero di pubblica sicurezza “nell’atto dell’adempimento delle funzioni o del servizio”, di cui all’art. 576, comma primo, n. 5-bis, cod. pen. occorre un collegamento logico tra il fatto delittuoso e l’adempimento delle funzioni o del servizio, con conseguente esclusione di tale circostanza in caso di mera connessione temporale tra di essi (Sez. I, n. 9108 del 14.09.2018, PG/Armeni, Rv. 275667-01).
La Difesa non contesta specificatamente le argomentazioni svolte dalla Corte a fondamento della propria decisione, né introduce osservazioni che ne contrastino la valenza, ma si limita a dolersi del fatto che la sentenza rescissoria non abbia preso in considerazione e non si sia confrontata con l’avvenuta assoluzione del COGNOME dal delitto di resistenza a pubblico ufficiale.
L’assunto è infondato: dall’esame della sentenza rescindente emerge come la stessa Cassazione, in preambolo, avesse chiarito come le due norme (la resistenza e l’aggravante di cui all’art. 576 comma 1 n. 5 bis cod. pen.) muovano da presupposti diversi. L’esame della sentenza rescindente rende quindi evidente quale fosse l’esatto perimetro entro il quale doveva muoversi la rinnovata analisi del Giudice di merito, ovvero la motivazione «sulla configurabilità dell’aggravante del delitto di lesioni personali, valutando, appunto, se il medesimo era stato commesso, oltre che contro un ufficiale o agente di pubblica sicurezza, anche “nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni o del servizio».
L’analisi condotta dalla Corte milanese si pone quindi all’interno di detto perimetro e perviene ad una conclusione, circa l’effettiva integrazione dell’aggravante di cui all’art. 576, comma primo, n. 5-bis, cod. pen., con motivazione non illogica e congruamente argomentata, che si sottrae ad ogni censura in sede di legittimità.
2. Del pari infondato è anche il secondo motivo.
La Corte di appello di Milano, in particolare, ha confermato il giudizio di bilanciamento in termini di equivalenza tra le già concesse attenuanti da un lato (e la declinazione al plurale rende plasticamente inconsistente l’assunto evocato in ricorso per cui i Giudici avrebbero “dimenticato” l’attenuante di cui all’art. 89 cod. pen) e la recidiva e le contestate aggravanti dall’altro, con una motivazione congrua e non manifestamente illogica, non censurabile in Cassazione; i Giudici d’appello hanno in particolare evidenziato come il bilanciamento in termini di equivalenza rispondesse all’esigenza di parametrare la risposta sanzionatoria al concreto disvalore dell’azione delittuosa, anche in considerazione dell’assenza di sentimenti di resipiscenza o intenti riparatori in capo al ricorrente, gravato da numerosi precedenti penali, anche specifici.
La valutazione operata dai Giudici dell’appello, essendo priva di aspetti di contraddittorietà o illogicità, è incensurabile ad opera della Corte di cassazione.
Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 24/05/2024