Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 9685 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 9685 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME, NOME a Palermo il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, NOME a Palermo il DATA_NASCITA
COGNOME NOMENOME NOME a Palermo il DATA_NASCITA
NOME, NOME a Palermo il DATA_NASCITA
NOME NOME, NOME a Palermo il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/02/2023 della Corte di appello di Palermo;
visti gli atti del procedimento, il provvedimento impugNOME ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Palermo, parzialmente riformando la decisione del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della stessa città del 22 marzo 2022, ha comunque confermato la condanna dei ricorrenti per uno o più reati di importazione’ cessione o detenzione di sostanze stupefacenti previste dalla II e IV tabella allegata al d.P.R n. 309 del 1990: segnatamente, di COGNOME per ventisette episodi, di COGNOME per nove, di COGNOME per due, di COGNOME e COGNOME per uno soltanto.
Tutti costoro, per il tramite dei rispettivi difensori, impugnano tale decisione, per i motivi per ognuno di seguito indicati nell’ordine d’iscrizione a ruolo.
2. NOME COGNOME.
Questi propone un unico motivo, lamentando la mancanza o insufficienza della motivazione, per non avere la Corte esplicitato i criteri di valutazione del materiale probatorio. Pertanto, invoca la propria assoluzione per non aver commesso i reati ascrittigli o, in subordine, l’esclusione dell’aumento di pena per la recidiva.
3. NOME COGNOME.
Questo ricorrente è stato ritenuto colpevole, in concorso ccin gli altri, del solo delitto di importazione dalla Spagna di un’ingente quantità di hashish, pari ad undici chilogrammi lordi, avvenuta a marzo del 2020 (capo 46 dell’imputazione).
3.1. Con il primo motivo, egli lamenta violazione di legge e vizi di motivazione in punto di colpevolezza, sostenendo che la Corte distrettuale non abbia valutato con il necessario rigore il contenuto delle conversazioni intercettate, su cui si fonda in via pressoché esclusiva la decisione, ed abbia omesso di esplicitare le ragioni per cui si dovesse ritenere inattendibile l’interpretazione alternativa di quei dati probatori proposta dalla difesa con il gravame. Secondo quest’ultima, egli sarebbe estraneo al fatto, essendosi recato in Spagna ed avendo ivi soggiorNOME separatamente dagli altri imputati, avendo manifestato il proprio disinteresse alle sorti del pacco contenente lo stupefacente e non essendo stato citato da NOME tra i partecipanti alla trasferta per il relativo acquisto.
3.2. Il secondo motivo denuncia i medesimi vizi, in ordine al riconoscimento dell’aggravante dell’ingente quantità.
La sentenza avrebbe trascurato la specifica posizione di esso ricorrente, non affrontando le doglianze rassegnate con l’appello, che il ricorso ripropone e che condurrebbero a ritenere indimostrato il superamento della soglia individuata dalla giurisprudenza per il riconoscimento della fattispecie, in quanto: il carico non è mai stato sequestrato, trattandosi esclusivamente di c.d. “droga parlata”; ignote, dunque, ne sono specie, qualità e quantità di principio attivo; l’unico dato ricavabile dai dialoghi intercettati sarebbe quello del peso lordo del relativo pacco, pari ad undici chilogrammi, tuttavia comprensivo del materiale sicuramente utilizzato per il confezionamento e l’occultamento, e quindi non decisivo.
3.3. Il terzo motivo denuncia la violazione del divieto di c:.d. “reformatio in peius”, perché la sentenza ha escluso l’aggravante di cui all’art. 61-bis, cod. pen., invece riconosciuta in primo grado, ma non ha ridotto la pena, giustificando tale decisione in quanto il primo giudice non aveva disposto alcun aumento di pena per tale circostanza.
Con richiami di giurisprudenza di legittimità, il ricorso deduce, invece, che l’esclusione di circostanze del reato o di reati concorrenti, in accoglimento dell’appello dell’imputato, obblighi il giudice ad apportare una corrispondente diminuzione di pena. Anche quando, infatti, la sentenza di primo grado non abbia previsto, per tale circostanza, uno specifico aumento di pena, deve logicamente dedursi che di essa il primo giudice abbia tenuto conto nella determinazione della pena-base e degli aumenti per le circostanze ulteriori.
4. NOME COGNOME.
Questo imputato è stato dichiarato colpevole anch’egli del reato di cui al capo 46) e, inoltre, di ulteriori episodi di importazione dalla Spagna di analoghi quantitativi, verificatisi tra settembre e novembre dell’anno 2019 (capo 42).
Egli pure propone tre motivi di ricorso, denunciando violazione di legge e vizi di motivazione sui seguenti capi e punti della decisione.
4.1. Il primo racchiude, in realtà, due doglianze, ovvero: la violazione del divieto di “reformatio in peius”, per le stesse ragioni esposte dal coimputato COGNOME; nonché la totale assenza di motivazione sugli aumenti di pena per la ritenuta continuazione con altri reati giudicati in separato giudizio.
4.2. Il secondo censura, anche in questo caso per il capo 46) e sostanzialmente per le stesse ragioni di COGNOME, il riconoscimento dell’aggravante dell’ingente quantità.
4.3. Il terzo attiene, invece, alle importazioni di cui al capo 42) e si contesta, con esso, l’affermazione della sentenza secondo cui, in date con quelle coincidenti, sarebbero stati accertati dei viaggi del ricorrente in Spagna: obietta la difesa, in proposito, che non sono stati acquisiti agli atti i soli documenti effettivamente probanti in tal senso, ovvero le relative liste passeggeri.
In particolare, poi, per uno di quei tre episodi, segnatamente quello della consegna effettuata il 19 settembre, non sono stati accertati né il peso del pacco né l’identità del destinatario e di chi lo abbia ritirato, essendo del tutto arbitrari dedurre tali dati dalle circostanze di fatto relative agli analoghi episodi che, svariati mesi dopo, hanno condotto all’arresto dei coimputati COGNOME COGNOME.
5. NOME COGNOME.
Anche questo ricorrente è stato ritenuto colpevole della sola importazione di cui al capo 46).
Due sono i motivi del suo ricorso.
5.1. Il primo consiste nella violazione, anche per lui, dell’art. 597, comma 3, cod. proc. pen., tuttavia per una ragione diversa da quella degli altri: vale a dire perché la Corte distrettuale, pur avendolo assolto dal delitto di cui al capo 44), per
il quale era stato invece condanNOME in primo grado, non ha apportato alcuna riduzione di pena. La sentenza d’appello, infatti, lo ha condanNOME alla stessa pena, tuttavia irrogatagli per il delitto di cui al capo 46), per il quale, invece, il pr giudice, che lo aveva ritenuto in continuazione con quello di cui al capo 44), non aveva però apportato alcun aumento di pena.
Sostiene la difesa, citando precedenti di questa Corte, che anche in questo caso, visto il parziale accoglimento del gravame, il giudice d’appello avrebbe dovuto ridurre la pena applicata in primo grado, per due reati e non per uno soltanto.
5.2. La seconda doglianza si appunta sul riconoscimeni:o dell’aggravante dell’art. 80, comma 2, cit., ed è rassegnata negli stessi termini del ricorso del coimputato COGNOME.
6. NOME COGNOME.
Questi rassegna cinque motivi.
6.1. Il primo consiste nella violazione di legge, in generale, con riferimento a tutte le ipotesi delle quali egli è stato ritenuto colpevole, perché – si assume non vi è mai stato un sequestro delle sostanze, non essendo stato perciò possibile rilevare se si trattasse effettivamente di stupefacenti e se, quand’anche tali, presentassero un contenuto di principio attivo tale da conferire oro rilievo penale.
6.2. Il secondo lamenta il travisamento del contenuto delle conversazioni intercettate e poste a fondamento del giudizio di colpevolezza per la detenzione di stupefacente di cui al capo 14) dell’imputazione.
Proprio dagli stralci di dialoghi intercettati ed utilizzati dalla Corte d’appello come prova a carico, infatti, si evincerebbe l’estraneità del ricorrente rispetto alla detenzione della droga di cui ivi si discorre, che sarebbe stata custodita presso l’abitazione di un correo; e la motivazione con cui la sentenza impugnata ha disatteso tale obiezione difensiva – si afferma – sarebbe soltarto apparente.
6.3. Il terzo motivo attinge la motivazione con cui la sentenza d’appello ha confermato la condanna per le cessioni di stupefacente di cui al capo 23).
La decisione della Corte si fonda, per questa parte, su alcuni dialoghi in cui i correi parlano della gestione di «pacchi»: ma obietta il ricorso – nulla consente di stabilire, in assenza di un sequestro, quale ne fosse il contenuto e, a tale tesi difensiva, la sentenza non avrebbe dato risposta.
6.4. Anche COGNOME, con il quarto motivo, censura il riconoscimento della circostanza aggravante dell’ingente quantità in assenza di sequestri, relativamente ai reati di cui ai capi 3), 17) e 46): secondo lui, la motivazione della sentenza si presenta sostanzialmente elusiva sul punto.
6.5. L’ultima sua doglianza riguarda il trattamento sanzioNOMErio.
Il giudice di primo grado, per ciascuno dei ventinove “reati-satellite” ritenuti in continuazione, aveva apportato un aumento di pena di due mesi di reclusione e 200 euro di multa, e quindi, partendo da una pena-base di quattro anni di reclusione e 6.000 euro di multa (per quello di cui al capo 46), era pervenuto alla pena di otto anni e dieci mesi e 11.800 euro, ridotta di un terzo per il rito abbreviato a cinque anni, dieci mesi e venti giorni di reclusione e 7.867 euro di multa.
La Corte d’appello, in riforma della prima decisione, ha tuttavia assolto NOME dal delitto di cui al capo 44) ed ha ritenuto un unico reato le condotte contestate ai capi 3) e 13), quindi riducendo la pena finale a cinque anni ed otto mesi di reclusione e 7.600 euro di multa.
Rileva la difesa, però, che i reati in continuazione, all’esito del giudizio d’appello, sarebbero ventisette: ragione per cui, utilizzando il criterio fissato dal primo giudice e condiviso anche da quelli del gravame, la pena irrogata in primo grado si sarebbe dovuta diminuire di quattro mesi e di 400 euro ed essere perciò fissata in cinque anni e sei mesi di reclusione e 7.467 euro di multa.
Ha depositato requisitoria scritta H Procuratore generale, chiedendo di rigettare tutti i ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
È opportuno trattare, in esordio, il motivo riguardante il riconoscimento dell’aggravante dell’ingente quantità (art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990), poiché comune a tutti i ricorrenti, ad eccezione di COGNOME, ma, in quanto fondato, produttivo di effetti anche nei suoi confronti.
1.1. I principi di diritto che debbono regolare la fattispecie oggetto di giudizio non sono controversi e possono sintetizzarsi nei termini che seguono:
in tema di stupefacenti, per l’individuazione della soglia oltre la quale è configurabile la circostanza aggravante dell’ingente quantità, continuano ad essere validi, anche successivamente alla riforma operata dal d.l. 20 marzo 2014, n. 36, convertito con modificazioni dalla legge 16 maggio 2014, n. 79, i criteri basati sul rapporto tra quantità di principio attivo e valore massimo tabellarmente detenibile, fissati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 36258 del 24 maggio 2012, ricorrente COGNOME; pertanto, con riferimento alle cc.dd. “droghe leggere”, l’aggravante non è di norma ravvisabile quando la quantità di principio attivo sia inferiore a due chilogrammi, pari a quattromila volte il valore-soglia di cinquecento milligrammi (Sez. U, n. 14722 del 30/01/2020, Polito, Rv. 279005);
b) in tema di traffico di sostanze stupefacenti accertato esclusivamente mediante intercettazioni telefoniche ed amlbientali, il giudice può comunque ritenere la sussistenza della circostanza aggravante dell’ingente quantità, allorché, sulla base del complessivo compendio probatorio, emerga che tale traffico ha raggiunto l’anzidetta soglia minima, pur dovendo tale valutazione essere compiuta con particolare attenzione e rigore (tra le tante, Sez. 4, n. 21377 del 09/07/2020, Alicandri, Rv. 279512, citata dalla stessa sentenza impugnata, e, più di recente, Sez. 4, n. 31870 del 14/06/2023, COGNOME, non mass.).
1.2. In applicazione di tali direttrici giurisprudenziali, la Corte d’appello ha ritenuto sufficienti a fondare la prova logica della sussistenza dell’aggravante i seguenti dati: a) la pluralità e la reiterazione di «massicce» importazioni di droga dalla Spagna superiori ai dieci chilogrammi; b) l’ottima qualità dello stupefacente; c) l’elevato grado di purezza del quantitativo sequestrato a NOME in occasione del suo arresto del marzo 2020; d) le cospicue disponibilità finanziarie degli indagati (COGNOME, al momento del citato arresto in flagranza con 1,147 kg. di cannabis, deteneva in casa 21.700 euro); e) i riferimenti, nel corso di alcune conversazioni degli imputati, ad acquisti per 30.000, 10.000, 9.000 euro (pagg. 26-28, sent.).
1.3. Si tratta di elementi che non presentano una concludenza indiziante tale da poter giustificare la deduzione della sussistenza della circostanza aggravante in questione, con quell’alta probabilità logica, quell’elevato grado di credibilità razionale che rappresentano lo standard del ragionamento inferenziale cui è chiamato il giudice e che permettono di ritenere superata la soglia del dubbio ragionevole.
Invero, che si sia trattato di importazioni superiori ai dieci chilogrammi ciascuna, costituisce oggetto di accertamento nel processo: sicché non può essere considerato un dato di fatto verificato aliunde e perciò utilizzabile per fondarvi una valutazione deduttiva. Va semmai rilevato, ed in senso contrario, che gli accertamenti effettivi ed i sequestri hanno avuto per oggetto sempre quantitativi di gran lunga inferiori.
Inoltre, quelli di cui gli imputati discorrono nelle conversazioni intercettate non sono mai quantitativi lordi largamente superiori al valore-soglia dei due chili, sì da poter ragionevolmente ritenere molto probabile che il relativo principio attivo fosse comunque superiore a tale valore.
Egualmente dicasi, poi, per le cifre evocate in alcuni di quei dialoghi. Al di là della conclusione o meno delle relative trattative, quelle somme sono certamente rappresentative di un interesse commerciale degli imputati verso transazioni per significative quantità, coerenti, del resto, con la necessità di individuare all’estero i fornitori; ciò non di meno, si tratta di volumi d’affari che non superano alcune
migliaia di euro, e quindi non tali da poter concludere, con un grado di probabilità corrispondente alla certezza logica, che, nei singoli e specifici episodi oggetto di contestazione, si sia trattato di forniture comunque superiori ai due chili netti.
Anche l’elevata qualità della sostanza, poi, là dove è stata accertata, non può essere decisiva. Basti considerare: che il grado di purezza è un dato estremamente variabile a seconda delle partite; che esso è stato verificato in misura elevata solo in un’occasione, ovvero quella dell’arresto di COGNOME del 5 marzo 2020; e che, in ogni caso, tale dato potrebbe avere rilevanza purché sia accertato il peso lordo della fornitura, al fine di poter dedurre in misura percentuale da questo la presumibile quantità di principio attivo. Nei casi oggetto del procedimento, dunque, essendo ignoto il parametro di raffronto, anche il dato qualitativo perde di significato.
Infine, non possono ritenersi concludenti neppure le disponibilità liquide del NOME, logicamente compatibili con un’attività di spaccio sistematica, reiterata per un apprezzabile periodo di tempo, per quantitativi complessivamente consistenti, ma non necessariamente con acquisti di partite di stupefacenti in quantità superiore a quel valore limite.
Si deve tener presente che la circostanza aggravante dell’ingente quantità dev’essere accertata con riferimento ad una singola condotta di quelle tipizzate dall’art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990 (acquisto, importazione, detenzione e così via) e non al complesso dell’attività di commercio degli stupefacenti svolta da un dato soggetto: la quale, se esercitata in forma “professionale” e protratta nel tempo, anche a livelli non elevati della filiera di distribuzione sul territorio, può consentire di smerciare enormi quantitativi, magari, nel loro insieme, ampiamente maggiori ai due chili, nonché di realizzare corrispondenti guadagni, senza, tuttavia, che nessuna delle singole condotte attraverso le quali essa si concretizza abbia ad oggetto una quantità di sostanza superiore al valore-soglia.
1.4. Su tale punto, dunque, la decisione impugnata dev’essere annullata senza rinvio, non emergendo dalla sentenza elementi eventualmente significativi ma trascurati, né prospettive di arricchimento della piattaforma probatoria.
Ne consegue l’esclusione della circostanza aggravante in questione, per tutti i reati in relazione ai quali la sentenza impugnata l’ha ravvisata.
1.5. Inoltre, considerando la rilevanza di tale circostanza ai fini della valutazione sulla gravità obiettiva dei fatti, nonché la valenza specificamente riconosciutale nel giudizio di bilanciamento con le attenuant per alcuni degli imputati, la sentenza dev’essere annullata per tutti gli imputati anche in punto di pena, sebbene, per questa parte, con rinvio ai giudice di merito, perché proceda ad una complessiva rivalutazione dell’equità delle sanzioni irrogate.
1.6. Come accenNOME al principio del paragrafo, l’imputato COGNOME non ha proposto un motivo specifico sul punto.
Tuttavia, trattandosi di circostanza aggravante di natura oggettiva, che riguarda il fatto di reato e non il contributo dei singoli concorrenti nel medesimo, l’annullamento della sentenza sul punto e sul trattamento sanzioNOMErio va esteso anche a lui, in applicazione del principio di cui all’art. 587, comma 1, cod. proc. pen..
Trattando, ora, dei singoli ricorsi, nello stesso ordine della narrativa, occorre soffermarsi proprio su quello di COGNOME, rilevandone l’evidente inammissibilità.
Esso, infatti, si risolve nella pura e semplice enunciazione del motivo, senza il benché minimo confronto critico con gli argomenti della sentenza impugnata.
Quanto al ricorso di COGNOME, residuano due motivi.
3.1. Il primo è quello con cui si duole della motivazione in punto di colpevolezza ed è inammissibile: anzitutto perché deduce sostanzialmente una questione di puro fatto, contestando l’interpretazione dei dialoghi intercettati, che però è prerogativa esclusiva del giudizio di merito; poi, perché è manifestamente infondato quando lamenta l’omessa motivazione sulle obiezioni difensive, che invece c’è e non presenta alcuna flessione logica (pag. 22, sent.); e, infine, perché è generico, limitandosi a ripetere quelle obiezioni, senza confrontarsi con le osservazioni della Corte d’appello e le concludenti risultanze probatorie da essa evidenziate.
3.2. È fondato, invece, il terzo motivo, in tema di c.d. “reformatio in peius”, per avere la sentenza impugnata confermato la pena inflitta in primo grado, pur avendo escluso una circostanza aggravante ritenuta dal primo giudice.
La Corte d’appello ha giustificato tale sua decisione, rilevando che, per detta circostanza aggravante, la sentenza di primo grado non avesse apportato alcun aumento di pena.
Tale ragionamento non è giuridicamente corretto.
L’accoglimento dell’impugnazione dell’imputato in ordine ad una delle componenti del trattamento sanzioNOMErio, infatti, non può esse-e neutralizzato da improprie forme di “compensazione” con altro punto ad esso inerente, tuttavia non devoluto alla cognizione del giudice (Sez. U, n. 7578 del 17/12/2020, dep. 2021, Acquistapace, Rv. 280539).
Ciò, invece, è quanto è accaduto nel caso specifico, in cui, in assenza di appello del Pubblico ministero sul punto dell’omesso aumento di pena per la pur ritenuta aggravante, la Corte d’appello ha deciso di emendare tale errore del primo
giudice COGNOME negando COGNOME all’imputato COGNOME appellante COGNOME gli COGNOME effetti COGNOME positivi COGNOME derivanti dall’accoglimento del suo gravame sulla configurabilità di quella stessa circostanza.
Sul punto, quindi, s’impone l’annullamento della sentenza, con rinvio al giudice d’appello per un nuovo giudizio.
Anche per COGNOME, esaminata la doglianza sull’aggravante dell’art. 80, comma 2, cit., restano da valutare due motivi di ricorso.
4.1. Il primo – come esposto in narrativa – contiene in realtà due distinte censure.
4.1.1. La prima consiste nella violazione, anche per lui, del divieto di reformatio in peius, per ragioni analoghe a quelle rassegnate da COGNOME.
Riguardo ad NOME, però, le cose stanno diversamente, in quanto per lui non è intervenuta in appello soltanto l’eliminazione di una componente della pena stabilita in primo grado (nello specifico, anche per lui è stata esclusa la medesima aggravante e, inoltre, egli è stato assolto da ‘un’imputazione), ma, ad un tempo, la sentenza d’appello ha ravvisato il vincolo della continuazione con altri reati giudicati in un diverso processo, così ampliando il quadro dei fatti da tenere in considerazione nella determinazione della pena.
Nel suo caso, dunque, non v’è stata alcuna compensazione in funzione emendativa di un errore per omissione del primo giudice, bensì la rivalutazione del complessivo giudizio sulla pena in ragione di una base di cognizione differente, perché arricchitasi in appello di nuovi elementi.
La doglianza, dunque, è manifestamente infondata.
4.1.2. La seconda censura, invece, con cui il ricorrente si duole dell’assenza di motivazione degli aumenti di pena per continuazione, è fondata.
In tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena-base, deve anche calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite. Il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all’entità degli stessi e tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illecit accertati, che risultino rispettati i limiti previsti dall’art. 81, cod. pen., e che si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene (così, Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269).
Sul punto, invece, la sentenza impugnata omette ogni motivazione (pag. 33) e, perciò, non può che essere annullata, con rinvio al giudice di merito per la necessaria integrazione.
4.2. Il terzo motivo è inammissibile.
Il dubbio addotto dalla difesa sulla presenza dell’imputato in Spagna in concomitanza con le transazioni oggetto di contestazione è questione di puro fatto: l’assunto in quel senso della Corte d’appello si fonda su dati univocamente concludenti, quali la prenotazione nominativa del biglietto e l’effettuazione del check-in, sicché la deduzione di quei giudici si presenta logicamente ineccepibile, sottraendosi perciò a censura in questa sede, tanto più in assenza di qualsivoglia risultanza probatoria di segno divergente.
Altrettanto dicasi per la valorizzazione, in sentenza, dei dialoghi tra lui e COGNOME, che, quantunque riferiti ad episodi delittuosi successivi, ma pur sempre della stessa natura, sono sicuramente valutabili come dimostrativi di un avviamento dell’imputato in quel genere di operazioni illegali in Spagna (egli riferisce, infatti, di avere la disponibilità di un «portantino» fidato, grazie al quale «le cose sono sempre arrivate»): ragione per cui la deduzione della Corte circa la sua responsabilità anche per gli episodi oggetto di contestazione, che dalle conversazioni intercettate risultano maturati nel medesimo contesto di riferimento e con analoghe modalità operative, non si presenta manifestamente illogica e non può essere, perciò, censurata in questa sede.
Per NOME rimane da esaminare soltanto il primo motivo del suo ricorso, con cui anch’egli ha addotto la violazione del divieto di reformatio in peius, per essergli stata confermata la pena irrogatagli in primo grado, pur essendo stato assolto in appello da uno dei due reati ascrittigli.
La tesi difensiva, in quella che parrebbe essere la proposizione principale, non ha alcun fondamento. Sostenere che, venuto meno il reato più grave tra quelli in continuazione, non si possa intervenire sul trattamento sanzioNOMErio del reato residuo, anche quando erroneamente, per quest’ultimo, il primo giudice non abbia applicato alcun aumento di pena ex art. 81, cod. pen., condurrebbe al paradossale risultato di una condanna senza pena.
Ciò non di meno, in ossequio al principio generale già ricordato trattando del ricorso di COGNOME (retro, § 3.2), l’accoglimento parziale dell’impugnazione dell’imputato non può non riverberare i propri effetti favorevoli sulla misura della pena fissata in primo grado, che dunque non può rimanere immutata.
Per questa ragione – oltre che in conseguenza dell’esclusione, anche per questo imputato, dell’aggravante dell’art. 80, comma 2, cit., in relazione all’unico reato di cui è chiamato a rispondere (capo 46): retro § 1.5 – la sentenza impugnata dev’essere comunque annullata pure per lui sul punto, con rinvio al giudice di merito per la rideterminazione del trattamento sanzioNOMErio.
Fatta eccezione per quello riguardante l’aggravante dell’ingente quantità, del quale s’è già detto, i motivi del ricorso dell’imputato COGNOME sono tutti inammissibili.
6.1. Il primo, con cui si deduce l’impossibilità dell’affermazione di colpevolezza in assenza del sequestro delle sostanze e della conseguente verifica della natura e delle caratteristiche delle stesse, costituisce null’altro che una petizione di principio, tanto più perché non sorretta da considerazioni specificamente inerenti alle eventuali peculiarità delle concrete vicende oggetto d’impis:azione.
La doglianza, dunque, se non altro è generica.
6.2. Il secondo ed il terzo motivo, con cui si contesta il giudizio di colpevolezza per la detenzione e le cessioni contestate, rispettivamente, ai capi 14) e 23) dell’imputazione, sono anch’essi generici, poiché si limitano alla reiterazione dei corrispondenti motivi d’appello, senza alcun confronto critico con le considerazioni rassegnate dalla Corte distrettuale in sentenza per disattenderl i.
Peraltro, proprio perché ripetitive dei motivi d’appello, le censure presentano un ulteriore limite di ammissibilità, che consiste nell’essere focalizzate esclusivamente sulla valutazione del dato probatorio (nello specifico, l’interpretazione di alcuni dialoghi intercettati), che non può interessare il giudice di legittimità.
6.3. Rimane, da ultimo, il quinto motivo di ricorso, con il quale si denuncia un errore di calcolo in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello nella rideterminazione della pena, operata a sèguito della riduzione – da ventinove a ventisette – dei reati ritenuti in continuazione.
La censura è manifestamente infondata.
Il ricorrente pretende che, avendo il primo giudice ritenuti) di applicare, per ciascuno dei “reati-satellite”, un aumento di pena di due mesi di reclusione e duecento euro di multa, ed avendo la Corte d’appello condiviso tale determinazione, la pena finale, rispetto a quella inflitta in primo grado, si sarebbe dovuta ridurre di quattro mesi e quattrocento euro. Egli omette di considerare, però, che la pena complessivamente determinata per effetto degli aumenti per continuazione è stata poi dal primo giudice ridotta di un terzo, a norma dell’art. 442, cod. proc. pen.: ragione per cui l’aumento effettivo per ciascuno dei reati in continuazione è stato pari ad un mese e dieci giorni di reclusione e 133,33 euro di multa, con la conseguenza che l’eliminazione di due di quei reati avrebbe comportato una diminuzione di pena di due mesi e venti giorni e – per arrotondamento – di 267 euro.
E questo è il calcolo che la Corte d’appello correttamente ha fatto, riducendo la pena di cinque anni, dieci mesi e venti giorni di reclusione e 7.367 euro di multa,
inflitta in primo grado, a cinque anni ed otto mesi di reclusione e 7.600 euro di multa.
Infine, poiché le statuizioni annullate della sentenza impugnata riguardano un elemento circostanziale dei reati ed il trattamento sanzioNOMErio, rimane fermo il giudizio di colpevolezza degli imputati, sì come formulato dai giudici d’appello.
Esso, pertanto, a norma dell’art. 624, cod. proc. pen., va dichiarato irrevocabile.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla circostanza aggravante di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, che esclude.
Annulla altresì la sentenza impugnata nei confronti tutti i ricorrenti relativamente al trattamento sanzioNOMErio, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Palermo.
Dichiara irrevocabile l’accertamento di responsabilità.
Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi. Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2024.