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Aggravante immigrazione: prova del numero di migranti

Un soggetto è stato condannato per aver favorito l’immigrazione clandestina. La Cassazione ha parzialmente annullato la sentenza, non ritenendo provata l’aggravante del numero di migranti (cinque persone), poiché le prove (chat telefoniche) indicavano che l’imputato era a conoscenza solo di due. Ha invece confermato l’aggravante del profitto e rigettato le eccezioni sulla inutilizzabilità delle dichiarazioni di un migrante in sede di rito abbreviato.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Aggravante immigrazione clandestina: la prova deve essere certa

Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce su un aspetto cruciale del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: la prova necessaria per la configurabilità dell’aggravante immigrazione clandestina legata al numero di persone coinvolte. Il caso analizzato riguarda un soggetto condannato per aver supportato logisticamente e finanziariamente l’ingresso illegale in Italia di un gruppo di migranti. Sebbene non avesse partecipato fisicamente al viaggio, aveva mantenuto contatti con il cosiddetto passeur, inviando denaro e offrendo aiuto. La condanna, basata su chat telefoniche e dichiarazioni di un migrante, era stata emessa per aver favorito l’ingresso di cinque persone. La difesa ha però contestato in Cassazione proprio questo numero, ottenendo un annullamento parziale della sentenza.

I fatti del caso: immigrazione e prove da chat

La Corte d’Appello di Trieste aveva confermato la condanna a tre anni di reclusione e 60.000 euro di multa per un uomo accusato di aver agevolato l’ingresso illegale in Italia di cinque migranti a scopo di profitto. La colpevolezza dell’imputato era stata ricostruita tramite l’analisi di chat telefoniche tra lui e l’esecutore materiale del trasporto, il passeur, e le dichiarazioni rese da uno dei migranti alla Polizia subito dopo l’arrivo in territorio italiano.

I motivi del ricorso in Cassazione

La difesa ha presentato ricorso alla Corte Suprema basandosi su tre motivi principali, tutti incentrati sulla presunta “inutilizzabilità patologica” delle dichiarazioni del migrante. I punti sollevati erano:

1. Violazioni procedurali: Le dichiarazioni sarebbero state raccolte senza le garanzie previste per una persona indagata e con l’ausilio di un interprete non nominato formalmente.
2. Errata quantificazione dei migranti: Le prove, in particolare le chat, avrebbero dimostrato che l’imputato era a conoscenza dell’arrivo del passeur con soli due migranti, e non cinque come contestato nell’imputazione.
3. Insussistenza dell’aggravante del profitto: La motivazione della sentenza non avrebbe tenuto conto delle argomentazioni difensive relative ai trasferimenti di denaro.

La decisione della Corte: la prova sull’aggravante immigrazione clandestina

La Corte di Cassazione ha esaminato congiuntamente i motivi, rigettando le questioni di natura procedurale ma accogliendo il punto relativo al numero dei migranti.

Inutilizzabilità delle prove e rito abbreviato

In primo luogo, la Corte ha ribadito un principio fondamentale del processo penale: nel giudizio con rito abbreviato, l’imputato accetta di essere giudicato sugli atti presenti nel fascicolo del Pubblico Ministero. Eventuali eccezioni sulla validità degli atti devono essere sollevate prima dell’instaurazione del rito. Una volta avviato, non è più possibile contestare la validità delle prove, salvo che non si tratti di vizi insanabili, come l’inutilizzabilità “patologica”, derivante da una violazione di un divieto probatorio. La Corte ha chiarito che la mancata nomina formale di un interprete non rientra in questa categoria, ma costituisce una nullità a regime intermedio, sanata dalla scelta del rito abbreviato senza preventiva eccezione.

La prova del numero di migranti per l’aggravante

Il punto cruciale della decisione riguarda il secondo motivo di ricorso. La Cassazione ha ritenuto che la sentenza d’appello fosse carente di motivazione riguardo al numero di cinque migranti. La fonte di tale dato non era esplicitata. Al contrario, dall’analisi delle chat tra l’imputato e il passeur, emergeva chiaramente un messaggio in cui quest’ultimo annunciava il suo arrivo dicendo: “siamo in tre persone”. Questa frase, secondo la Corte, indicava la presenza del passeur stesso e di altri due individui. Di conseguenza, l’elemento soggettivo del reato, ovvero la consapevolezza dell’imputato, poteva essere provato solo in relazione a due migranti e non a cinque. Questo ha portato all’accoglimento del ricorso su questo specifico punto.

Le motivazioni

La motivazione della Suprema Corte si fonda sulla necessità di una prova rigorosa per ogni elemento del reato, incluse le circostanze aggravanti. L’aggravante immigrazione clandestina prevista per aver favorito l’ingresso di cinque o più persone richiede che l’accusa dimostri non solo l’effettivo numero di migranti, ma anche che l’imputato fosse consapevole di tale numero. Nel caso di specie, mentre le annotazioni di polizia parlavano di cinque persone (due bengalesi e tre pakistani), le prove dirette che coinvolgevano l’imputato (le chat) indicavano un numero inferiore. La Corte ha quindi ritenuto che la condanna, per quella specifica aggravante, non fosse supportata da prove sufficienti a dimostrare la conoscenza e la volontà dell’imputato in relazione a tutti e cinque i migranti. Per contro, l’aggravante dello scopo di profitto è stata ritenuta correttamente motivata sulla base dei pagamenti effettuati e delle conversazioni relative al denaro.

Le conclusioni

La sentenza è stata annullata limitatamente all’aggravante del numero di persone e alla conseguente determinazione della pena. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello di Trieste per un nuovo giudizio su questi punti. Questa decisione sottolinea un principio di garanzia fondamentale: la responsabilità penale deve essere ancorata a fatti certi e provati. In mancanza di una prova chiara che l’imputato fosse consapevole di agevolare l’ingresso di un numero specifico di persone, l’aggravante non può essere applicata. Ciò impone agli organi inquirenti e giudicanti un onere probatorio stringente, che non può essere soddisfatto da dati non specificati o in contrasto con le prove dirette a carico dell’accusato.

La mancanza di un interprete rende sempre inutilizzabili le dichiarazioni di uno straniero?
No, secondo la sentenza, la mancata nomina di un interprete può dar luogo a una nullità a regime intermedio, la quale si considera sanata se non viene eccepita tempestivamente, in particolare quando l’imputato sceglie di procedere con il rito abbreviato.

Per contestare l’aggravante immigrazione clandestina legata al numero di persone, cosa è necessario dimostrare?
È necessario dimostrare una discrepanza tra il numero di persone contestato nell’imputazione e le prove disponibili a carico dell’imputato. Nel caso specifico, le chat telefoniche indicavano che l’imputato era consapevole dell’arrivo di sole due persone oltre al passeur, e non cinque, elemento sufficiente per far annullare l’aggravante e richiedere una nuova valutazione.

Il rito abbreviato “sana” ogni vizio degli atti di indagine?
No, il rito abbreviato non sana la cosiddetta “inutilizzabilità patologica”, che deriva da prove ottenute in violazione di specifici divieti di legge. Tuttavia, sana altri vizi procedurali, come le nullità a regime intermedio, se non vengono sollevate dalle parti prima che venga ammesso il rito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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