Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 36564 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 36564 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME nato a FIRENZE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 02/10/2024 della Corte d’assise d’appello di Firenze Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore, NOME COGNOME, chiedendo che ha concluso riportandosi alla requisitoria già depositata e dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
Udito l’AVV_NOTAIO che ha insistito nell’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 2 dicembre 2024, la Corte di Assise di appello di Firenze, decidendo in sede di rinvio a seguito della sentenza della Prima Sezione penale di questa Corte, del 03/11/2023, che aveva annullato la sentenza d’appello limitatamente alla circostanza aggravante dei futili motivi, in parziale riforma della sentenza della Corte di Assise di Pisa del 2 marzo 2022, ha rideterminato, nei confronti di NOME NOME, la pena in anni 24 di reclusione, confermando la suddetta circostanza aggravante.
1.1. La Corte di Assise di Pisa aveva condannato NOME NOME alla pena di anni ventinove di reclusione, perché ritenuto responsabile del delitto di omicidio, aggravato dai futili motivi, commesso il 2 novembre 2020 in danno di NOME, oltre che dei connessi reati in materia di armi e occultamento di cadavere, così riqualificato il delitto di sottrazione di cadavere contestato al capo c) della rubrica.
Secondo la concorde ricostruzione effettuata dalla Corte di primo grado ritenuta incontestata anche nei giudizi successivi: in data 31 ottobre 2020, a seguito di una segnalazione anonima effettuata dall’imputato, NOME COGNOME COGNOME veniva arrestato, perché ritenuto coinvolto in illecite attività di cessione di sostanze stupefacenti; il giorno successivo, NOME NOME, a sua volta consumatore abituale di cocaina e coinvolto nei medesimi traffici illeciti di COGNOME , si recava a casa del COGNOME ed aveva una conversazione con la compagna del medesimo, NOME COGNOME; quest’ultima, a partire dalla mattina successiva, risultava irreperibile; gli sviluppi successivi delle indagini, compiuti sulle tracce d i un’ ogiva rinvenuta all’interno dell’appartamento e sul cellulare dell’imputato, stringevano il cerchio attorno a quest’ultimo fino a quando, il 20 maggio 2021, il cadavere della NOME, che risultava essere stata uccisa, cinque mesi prima, con un colpo di arma da fuoco al cranio, veniva rinvenuto in un rudere posto a circa 2 km da una casa che il NOME, fino al dicembre 2019, aveva condotto in locazione; tracce ematiche (lavate) venivano rinvenute sul pianale del portabagagli posteriore dell’autovettura del medesimo; quest’ultimo, già sottoposto a misura cautelare, confessava, infine, di essere stato l’autore dell’omicidio della donna.
La sentenza di primo grado radicava, inoltre, il giudizio sulla sussistenza della circostanza aggravante dei futili motivi sulle dichiarazioni confessorie rese dall’imputato, in occasione di un primo interrogatorio del 17 giugno 2021, nel corso delle quali il medesimo aveva ammesso di essersi recato a casa della vittima la mattina del 2 novembre 2020, dopo l’arresto del COGNOME, e di avere portato con sé la pistola non perché avesse intenzione di uccidere, ma perché era solito girare armato; nel corso del colloquio con la donna, l’imputato aveva capito che la stessa sapeva che era stato lui a denunciare COGNOME e che aveva intenzione di rivelare alla sua compagna che aveva ripreso a consumare cocaina, oltre ad avere avuto una «tresca» con un’altra ragazza; a questo punto, le aveva esploso contro un colpo di pistola, uccidendola; la mattina successiva era tornato nell’appartamento, aveva prelevato il corpo della NOME, trasportandolo nel rudere dove poi era stato trovato; non aveva intenzione di uccidere la ragazza, ma solo di spaventarla; la mattina dell’omicidio aveva bevuto e assunto droga.
Venivano ritenute non attendibili, e non idonee ad escludere la configurabilità della circostanza aggravante dei futili motivi, le successive dichiarazioni rese
dall’imputato , nel corso dell’esame dibattimentale del 16 febbraio 2022, con le quali il medesimo aveva aggiunto, rispetto alla prima versione, che la NOME aveva minacciato di mandarlo in carcere affermando che avrebbe coinvolto anche il figlio, NOME, e che avrebbe parlato con la COGNOME dell’uso che egli faceva della cocaina.
1.2.La Corte di Assise di appello di Firenze, in parziale riforma, ritenuta sussistente la sola recidiva specifica (e non reiterata), aveva ridotto la pena inflitta a ll’imputato a ventiquattro anni di reclusione, confermando, nel resto, la sentenza impugnata.
P ur ritenendo attendibili le prime dichiarazioni dell’imputato, aveva confermato la circostanza aggravante dei futili motivi, rilevando, tuttavia, la mancanza di certezza in ordine al contenuto del colloquio fra l’imputato e la vittima, prima dell’omicidio, ritenendo, peraltro, che la minaccia della NOME ‘di mettere tutto in piazza’ non potesse giustificare il riconoscimento della circostanza attenuante della provocazione.
1.3. La sentenza della Prima Sezione penale di questa Corte, del 3 novembre 2023, ha annullato la sentenza impugnata limitatamente all’aggravante dei futili motivi con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di assise di appello di Firenze, ritenendo manifestamente illogica e contraddittoria la motivazione resa rispetto alla sussistenza dell’ aggravante nonostante la sottolineatura data alla mancanza di certezza in ordine al contenuto della conversazione avuta dall’imputato con la vittima, poco prima dell’esecuzione dell’omicidio. Questa Corte ha, pertanto, evidenziato la necessità che il giudizio sulla sussistenza o meno dell’aggravante venga effettuato alla luce di un chiarimento rispetto alla credibilità dell’imputato e dopo una ricostruzione dell’interlocuzione avuta fra la vittima e l’imputato, sottolineando inoltre che « il riferimento alla non credibilità di NOME è stato compiuto con riguardo all’espressione «mettere tutto in piazza» utilizzata dall’imputato sin dal giugno 2021, cioè in occasione della confessione originaria» ( pag.7 della sentenza rescindente).
Ha proposto ricorso NOME NOME con atto a firma del suo difensore articolato in due motivi.
2.1. Con primo motivo denuncia contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza relativamente alla ritenuta circostanza aggravante dei futili motivi di cui agli artt.577 n. 4 in relazione all’art.61 n. 1 cod. pen. Deduce che il giudice di rinvio ha ritenuto le dichiarazioni dell’imputato, pur univoche nell ‘ammissione di responsabilità per l’assassinio della NOME, caratterizzate da contenuti diversi con la conseguenza che sussisterebbe ancora incertezza sul
contenuto del colloquio scambiato fra la vittima e l’imputato poco prima dell’omicidio e, di conseguenza, sul movente della condotta.
La sentenza impugnata, nel momento in cui ha ritenuto le dichiarazioni dell’imputato ‘complessivamente intese’ , per la loro insanabile incoerenza e non costanza, ‘inaffidabili le une come le altre’, av rebbe sostanzialmente ammesso che non si sa nulla del movente e che non possa, pertanto, ritenersi connotata da futilità la spinta criminale che ha indotto l’imputato ad agire ; la Corte territoriale sarebbe ricaduta nel vizio di contraddittorietà già censurato da questa Corte che aveva dato luogo al precedente annullamento, concludendo, ‘con un salto logico inaccettabile ed un evidente travisamento del fatto’ , che il movente dell’omicidio andrebbe individuato ‘nell’indole violenta dell’imputato’ ; in tal modo, peraltro, la condotta sarebbe stata ricostruita in termini diversi da quelli richiamati nello stesso capo di imputazione, in cui l’aggravante era stata contestata dal Pubblico Ministero proprio sulla base delle dichiarazioni confessorie rese dall’imputato durante il primo interrogatorio del 17 giugno 2021; la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto delle indicazioni contenute nella sentenza rescindente, reiterando anzi i vizi della sentenza annullata, ricollegando la circostanza aggravante all’atteggiamento di ‘ avversione ‘ della NOME, che sarebbe stata ignara della personalità violenta di NOME, ritenendo che tale atteggiamento abbia rappresentato un mero pretesto per l’imputato per reagire; non si sarebbe considerato, tuttavia, che tale atteggiamento, oggetto della testimonianza resa dalla vicina di casa, aveva riguardato il colloquio del giorno precedente all’omicidio; la circostanza segnalata secondo cui l’imputato si sarebbe allontanato il giorno prima da casa della donna, sgommando, potrebbe essere ritenuto indice di una situazione di alterazione di cui tuttavia si ignora la causa.
2.2. Con secondo motivo denuncia violazione di legge in relazione alla medesima circostanza aggravante dei futili motivi. Deduce che la Corte territoriale non sarebbe stata in grado di riferire a quale stimolo esterno l’imputato abbia reagito e che, in mancanza di tale conoscenza, la reazione d i quest’ultimo non potrebbe dirsi macroscopicamente esorbitante o un mero pretesto per un impulso criminale; una volta escluse le dichiarazioni del COGNOME, in quanto ritenute inattendibili sul punto, rimarrebbe una mera suggestione o una intuizione supportata soltanto da comportamenti suscettibili di letture alternative; il concetto richiamato dalla sentenza impugnata, di ‘ avversione della NOME ‘ , sarebbe troppo generico per potere fondare l’elemento costitutivo dell’aggravante in esame oltre che indimostrato in quanto la teste NOME COGNOME, sentita dalla polizia in due diverse occasioni, avrebbe reso dichiarazioni non conformi, modificando la propria versione sulle interazioni fra il NOME e la NOME la mattina successiva all’arresto del COGNOME.
Il giudice del rinvio, avendo fatto riferimento ad un atteggiamento della donna che aveva irritato il NOME scatenandone la violenza, avrebbe dovuto circostanziare l’accaduto anche in considerazione del fatto che la medesima aveva compreso che a fare arrestare il suo compagno era stato proprio l’imputato; se l ‘ avversione della NOME verso l’imputato non poteva che avere questo contenuto, avrebbe dovuto escludersi la configurabilità di uno stimolo esterno lieve o banale, essendo, piuttosto, tale eventuale movente dotato di una sua consistenza.
3.Il Sostituto Procuratore generale ha concluso, riportandosi alla requisitoria scritta, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
IL difensore dell’imputato ha insistito nell’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
1.È fondata la doglianza difensiva sul vizio di motivazione della sentenza impugnata, rispetto alla circostanza aggravante oggetto di contestazione, considerata configurabile nonostante il giudizio di complessiva inattendibilità delle dichiarazioni rese dall’imputato sul punto e la mancata evidenziazione di elementi certi e ulteriori sui quali ancorare il giudizio di futilità espresso in ordine alla spinta criminale che ha indotto l’imputato ad agire.
1.1. I giudici di rinvio, con la sentenza impugnata, hanno, innanzitutto, richiamato le due versioni rese dall’imputato, nel corso d ell’i nterrogatorio al pubblico ministero, in data 17 giugno 2021, e, successivamente, nel corso dell’udienza dibattimentale del 16 Febbraio 2022.
In sede di interrogatorio, reso il 17 giugno 2021, l’imputato, all’esito dell’adempimento istruttorio, ammetteva la sua responsabilità precisando che la decisione di uccidere la donna era scaturita dal sospetto manifestato dalla medesima che fosse stato lui a denunciare il compagno alla polizia; la donna gli aveva manifestato l’intenzione di ‘ mettere tutto in piazza ‘ riferendosi all’assunzione da parte del medesimo di sostanze stupefacenti oltre che alle scappatelle avute con le sue amiche (‘ mettere tutto in piazza il fatto delle mie amiche si mette in piazza il fatto che ti droghi ‘); aggiungeva che, a fronte di tale determinazione della giovane, aveva perso il controllo e sparato un colpo senza rendersi conto nell’immediato della gravità di ciò che aveva fatto, in quanto reduce da una assunzione di droga ed alcol; il giorno successivo aveva fatto rientro nell’abitazione della donna, aveva avvolto il cadavere in un telone verde, lo aveva caricato nel portabagagli della macchina, quindi si era avviato verso il rudere abbandonato all’interno del quale aveva abbandonato il cadavere.
Nel corso del successivo esame dibattimentale, reso il 16 febbraio 2022, l’imputato dichiarava di essersi determinato ad uccidere la donna dopo che questa gli aveva detto che aveva capito che era stato proprio lui a denunciare il COGNOME alla polizia e che gli avrebbe fatto fare la stessa fine, mandandolo in carcere insieme al figlio NOME (‘ mi ha detto chiaramente che aveva percepito e sapeva che ero stato io a denunciarlo alla polizia. Mi ha detto che mi avrebbe fatto fare la stessa fine mi avrebbe mandato in carcere anche a me e mi disse che io sarei stato arrestato come lui e che avrebbe messo di mezzo a mio figlio NOME di 16 anni ‘); anche la minaccia della donna, di riferire alla sua compagna che era andato in altre occasioni a fare uso di cocaina a casa loro, lo aveva turbato essendo, quest’ultima, contraria all’uso di sostanze stupefacenti.
1.2. La Corte di rinvio, dopo avere sottolineato la diversa portata delle due versioni, smentendo l’assunto difensivo che le stesse siano sovrapponibili, ha evidenziato, innanzitutto, che l’imputato non aveva da temere il rischio di una denuncia da parte della NOME in quanto soltanto il COGNOME avrebbe potuto denunciarlo per traffico di stupefacenti ed armi, essendo la donna all’oscuro delle condotte illecite del compagno (pag.15). Ha, quindi, ritenuto che entrambe le narrazioni offerte dall’imputato «complessivamente intese» siano inattendibili, sottolineando, pertanto, la validità della considerazione spesa sul punto dalla sentenza annullata secondo cui del colloquio intercorso tra la vittima e l’imputato prima dell’esecuzione dell’omicidio «non si sa nulla» (pag.18); ha dato rilievo, infine, «all’unico dato oggettivo attendibile» ricavato dalle dichiarazioni testimoniali della vicina di casa secondo cui «la NOME fin dal primo incontro con NOME gli aveva manifestato la sua avversione anche con gesti inequivocabili a cui aveva fatto seguito l’irritazione di NOME resa evidente dalle manovre convulse con cui sgommando era ripartito a bordo della macchina» (pag.18); l’imputato non aveva potuto tollerare «il gesto della NOME» ( compiuto con una mano), ancorché proveniente da una persona indifesa e, peraltro, ignara dei traffici illeciti del medesimo con il COGNOME; l’uccisione della donna è stato ricondotto alla «personalità violenta di NOME», mentre la donna è stata ritenuta «colpevole soltanto di averlo irritato»(pg.18).
1.3. La sentenza impugnata, in definitiva, si limita a ricollegare la circostanza aggravante dei futili motivi esclusivamente al dato di una ‘ avversione ‘ manifestata dalla vittima nei confronti dell’imputato cui avrebbe fatto seguito una condizione di palese irritazione di quest’ultimo senza, tuttavia, esplorare le ragioni di tale ‘avversione’ e ‘ irritazione ‘ . La ricostruzione fornita dalla Corte di rinvio, legata alla decisione di tenere conto dell’unico dato oggettivo acquisito – quale delineato dalle dichiarazioni testimoniali rese dalla vicina di casa sul sentimento di avversione manifestato dalla NOME, attraverso un gesto della mano- fa
permanere consistenti profili di ombra nella ricostruzione del fatto e radica il giudizio sulla sussistenza della circostanza aggravante dei futili motivi su una rappresentazione della vicenda che tralascia di considerare quale possa essere stata la causa che ha dato sfogo all’impulso criminale dell’imputato: operazione di verifica imprescindibile quando si debba valutare la sussistenza dei presupposti per l’aggravante in esame. Peraltro, la motivazione fornita si attesta su una ricostruzione della vicenda diversa da quella prospettata nello stesso capo di imputazione, in cui la circostanza aggravante dei futili motivi risulta legata alla prima versione resa dall’imputato, ovvero al fatto che la vittima, all’esito di una discussione, aveva rappresentato ‘ come ritorsione ‘ la sua intenzione di raccontare che il NOME, oltre ad avere partecipato a festini in cui era stata presente anche un’amica della donna, era dedito fare uso di cocaina.
La sentenza si è limitata a rilevare i profili esteriori della vicenda, ritenendo inattendibili ed inverosimili le dichiarazioni rese dall’imputato sul contenuto del colloquio con la vittima, negli attimi che hanno preceduto l’omicidio, rinunciando in tal modo ad una ricostruzione degli aspetti interiori dello stato d’animo del medesimo, tuttavia imprescindibile, essendo la ratio dell’aggravante quella di punire le condotte che rappresentano una reazione sproporzionata ad uno stimolo esterno.
1.4.A tale proposito occorre ricordare che, secondo le indicazioni ermeneutiche di questa Corte, la circostanza aggravante dei futili motivi non si basa su una valutazione soggettiva dell’autore, ma su un raffronto oggettivo e assiologico tra il motivo e la condotta delittuosa ed è riconosciuta quando il movente è talmente irrilevante o pretestuoso da rendere l’azione ancora più riprovevole.
Su detta aggravante, che rinvia a connotazioni soggettive intrinseche dell’agire umano, e sui requisiti per la sua configurabilità è stato detto, da autorevole insegnamento di questa Corte, che «Sul piano strutturale la nozione di futilità esprime il carattere proprio di un concetto di relazione, che comunemente dottrina e giurisprudenza costruiscono nei termini di un raffronto tra il reato commesso e la causa psichica alla sua base, nel senso che la consistenza del motivo deve essere valutata rispetto al fatto illecito che ne è scaturito; ma esprime anche, sul piano funzionale, il riferimento a un parametro di natura assiologica, che cioè qualifica il motivo alla stregua di un criterio di tipo valoriale» (Sez. 1, n. 16889 del 21/12/2017, dep. 2018, D’Aggiano, Rv. 273119-01).
È stato, altresì, ritenuto che «la futilità del motivo si debba infine verificare secondo una scansione bifasica, che, movendo dalla riscontrata sproporzione assiologica tra il reato e la ragione soggettiva che lo abbia determinato, sviluppi un ulteriore giudizio, volto a stabilire se essa abbia o meno connotato, in maniera
particolarmente significativa e pregnante, l’atteggiamento dell’agente rispetto al reato, giustificando un giudizio di maggiore riprovevolezza, e di più accentuata pericolosità, nei suoi confronti» (Sez. 1, n. 16889 del 21/12/2017, dep. 2018, COGNOME‘Aggiano, Rv. 273119-01; più di recente Sez . 1, n. 45290 del 01/10/2024, Rv. 287333 – 01).
Il requisito della sproporzione, cui rinvia il concetto di futilità, comporta che lo stesso debba essere definito sulla base della percezione e valutazione della distanza tra il reato realizzato -assunto nella sua consistenza oggettiva tipica e tenuto conto di tutte delle sue specifiche modalità esecutive oltre che del contesto in cui essa si inserisca – e la sua causale, nel senso che il motivo debba essere ritenuto futile quando quest’ultimo risulti così lieve e banale rispetto alla gravità della condotta da apparire assolutamente inidonea a provocare l’azione criminosa- secondo la coscienza collettiva (Sez. 5, n. 38377 del 1/02/2017, COGNOME, Rv. 271115-01; Sez. 5, n. 41052 del 19/06/2014, COGNOME, Rv. 260360-01; Sez. 1, n. 59 del 1/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258598-01; Sez. 1, n. 39261 del 13/10/2010, COGNOME, Rv. 248832-01; Sez. 1, n. 29377 del 8/05/2009, COGNOME, Rv. 244645-01), ovvero (come da ultimo riconosciuto: Sez. 1, n. 16889 del 2018, citata) secondo la gerarchia di valori riflessa dalla Costituzione.
Il giudizio sulla futilità dei motivi posti a fondamento dell’agire umano criminoso che rende giustificazione di un aggravio di pena- non può essere compiuto insomma sulla base di nozioni e modelli astratti ma deve essere ancorato agli elementi concreti della vicenda delittuosa, dovendosi avere cura di evitare che la futilità del motivo possa essere ritenuta per il solo fatto che sia stato commesso un grave reato contro la persona.
2.Nella fattispecie in esame il giudizio di incertezza espresso dalla Corte di rinvio in merito al contenuto del colloquio svolto fra l’imputato e la vittima , prima dell’omicidio, si risolve in un vizio di motivazione in quanto gli elementi evidenziati ( il gesto di ‘avversione’ da parte della donna e l’allontanamento repentino dell’imputato dall’abitazione) non possono essere assunti quali indicatori di un movente della condotta e , d’altra parte, la mancata individuazione del movente non consente di configurarlo come ammantato di futilità.
3.In conclusione la sentenza deve essere annullata con rinvio alla Corte di assise di appello di Firenze per nuovo esame sul punto.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della
Corte di assise di appello di Firenze. Così è deciso, 30/09/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente COGNOME