LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Aggravante furto: la contestazione deve essere chiara

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un Pubblico Ministero, stabilendo che in un’accusa di furto, l’aggravante del bene destinato a pubblico servizio deve essere esplicitamente contestata. Non può essere considerata implicita nei fatti, specialmente se ha una natura valutativa che richiede un’analisi giuridica. Di conseguenza, in assenza di una contestazione formale dell’aggravante furto, la mancanza di querela della persona offesa rende il reato improcedibile, confermando la decisione del tribunale di primo grado.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 17 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Aggravante Furto: la Cassazione richiede una contestazione esplicita

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale in materia di procedibilità penale, chiarendo i requisiti per la contestazione dell’aggravante furto di beni destinati a pubblico servizio. La decisione sottolinea che, per procedere d’ufficio in assenza di querela, l’aggravante non può essere semplicemente desunta dai fatti, ma deve essere formulata in modo chiaro e inequivocabile nel capo d’imputazione.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un procedimento per furto a carico di un individuo. In seguito alla riforma introdotta dal D.Lgs. 150/2022, il reato contestato era diventato procedibile a querela di parte. Tuttavia, agli atti non era presente alcuna querela e il termine per presentarla era ormai scaduto.

Per superare questo ostacolo procedurale, il Pubblico Ministero, nel corso dell’udienza, aveva proceduto a una contestazione suppletiva, aggiungendo l’aggravante prevista dall’art. 625, n. 7, del codice penale, ovvero l’aver commesso il fatto su cose destinate a pubblico servizio. Tale aggravante avrebbe reso il reato procedibile d’ufficio, sanando la mancanza della querela.

Nonostante ciò, il Tribunale di primo grado aveva dichiarato il non doversi procedere, ritenendo l’azione penale improcedibile per la mancanza originaria della condizione di procedibilità.

L’impugnazione e la questione sull’aggravante furto

Il Procuratore della Repubblica ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza. La tesi della Procura sosteneva che il Tribunale avesse errato nel non considerare l’aggravante già presente “in fatto” fin dall’inizio. Secondo il ricorrente, gli elementi che costituivano l’aggravante (la sottrazione di energia destinata a pubblico servizio) erano già compiutamente descritti nell’imputazione originaria, pur senza una menzione formale della norma. Di conseguenza, il reato avrebbe dovuto essere considerato procedibile d’ufficio fin dal principio.

La questione giuridica sottoposta alla Corte era quindi la seguente: una aggravante furto può ritenersi validamente contestata anche se non esplicitamente menzionata, qualora gli elementi fattuali che la compongono siano descritti nel capo di imputazione?

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso infondato, rigettandolo. Gli Ermellini hanno chiarito un principio di diritto fondamentale: l’aggravante del furto su cose destinate a pubblico servizio ha una natura “valutativa”. Ciò significa che la sua esistenza non deriva da un semplice dato materiale, ma richiede una verifica di ordine giuridico sulla natura del bene, sulla sua specifica destinazione e sul concetto stesso di pubblico servizio.

Proprio a causa di questa natura valutativa, la Corte ha stabilito che tale aggravante non può considerarsi legittimamente contestata “in fatto” se nell’imputazione non è esposta in modo esplicito, direttamente o tramite formule equivalenti. È necessario che l’imputato sia messo chiaramente in condizione di difendersi dall’accusa di aver sottratto un bene al servizio della collettività.

La Corte ha inoltre distinto il caso di specie – manomissione di un contatore privato all’interno di un’abitazione – da quello di un allaccio abusivo diretto alla rete di distribuzione. Solo in quest’ultimo caso l’aggravante sarebbe palese, poiché l’azione colpisce direttamente un servizio destinato a un numero indeterminato di utenti. Nel caso di manomissione di un contatore singolo, tale elemento non è altrettanto evidente e deve, pertanto, essere specificato nell’accusa.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un importante principio di garanzia per l’imputato. Non è sufficiente che gli elementi di un’aggravante siano genericamente desumibili dalla descrizione dei fatti; se la circostanza aggravante ha una componente valutativa, la sua contestazione deve essere chiara e precisa. In assenza di tale specificità, e mancando la querela quando richiesta, l’azione penale non può essere proseguita. La decisione del Tribunale di dichiarare l’improcedibilità del procedimento è stata quindi ritenuta corretta e confermata dalla Suprema Corte.

Un’aggravante non indicata formalmente nell’imputazione può essere considerata contestata ‘in fatto’?
No, soprattutto se l’aggravante ha natura ‘valutativa’, come quella del furto su beni destinati a pubblico servizio. La Corte di Cassazione ha stabilito che tale circostanza richiede una contestazione esplicita o con formule equivalenti, poiché impone una verifica giuridica complessa che non può essere presunta dai soli fatti materiali descritti.

Perché il furto di energia da un contatore privato manomesso non integra automaticamente l’aggravante del pubblico servizio?
Secondo la sentenza, la sottrazione tramite manomissione di un contatore privato in un’abitazione non equivale a un allaccio diretto alla rete di distribuzione pubblica. Quest’ultima condotta renderebbe evidente il danno al servizio pubblico destinato a un numero indeterminato di utenti, mentre la manomissione del contatore singolo non presenta la stessa immediata lesione dell’interesse collettivo e richiede una contestazione specifica.

Cosa succede se il Pubblico Ministero aggiunge un’aggravante in udienza per superare la mancanza di querela?
La sentenza non entra nel merito della legittimità di tale contestazione tardiva perché il motivo di ricorso non era stato formulato specificamente su questo punto. Tuttavia, la decisione del tribunale di primo grado, che ha ritenuto tardiva tale mossa e ha dichiarato l’improcedibilità, è stata di fatto confermata dal rigetto del ricorso della Procura da parte della Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati