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Aggravante fine di profitto: la Cassazione annulla

La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza di condanna per un imputato accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. La Corte ha ritenuto insufficiente la prova sull’aggravante del fine di profitto e ha censurato la motivazione sul calcolo della pena, pur confermando la responsabilità dell’imputato per il reato base.

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Pubblicato il 15 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Aggravante fine di profitto: prova carente e calcolo della pena errato, la Cassazione annulla con rinvio

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33609 del 2024, è intervenuta su un caso di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, fornendo importanti chiarimenti sulla prova necessaria per l’applicazione dell’aggravante fine di profitto e sui criteri per la determinazione della pena. La Suprema Corte ha annullato la decisione della Corte d’Appello, ma solo limitatamente alla sussistenza di tale aggravante e alla misura della pena, rinviando il caso per un nuovo giudizio.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un cittadino straniero condannato in primo e secondo grado per aver organizzato e trasportato illegalmente in Italia, a bordo di un motoveliero, cinquantacinque cittadini extracomunitari. La condanna era stata emessa con diverse aggravanti, tra cui l’aver esposto le persone a pericolo per l’incolumità e l’aver agito al fine di trarne profitto. La Corte d’Appello aveva confermato la responsabilità, rideterminando la pena in sei anni di reclusione e oltre 900.000 euro di multa, dopo aver concesso le attenuanti generiche.

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando tre vizi principali:
1. Errata valutazione della prova: La difesa sosteneva che la condanna si basasse su elementi insufficienti a dimostrare l’elemento soggettivo del reato, non avendo i giudici considerato la sua versione dei fatti (di essere stato costretto a mettersi alla guida).
2. Errore nel calcolo della pena: La Corte d’Appello avrebbe applicato un aumento di pena eccessivo e immotivato per le aggravanti.
3. Violazione del divieto di reformatio in pejus: Un presunto errore materiale nel calcolo avrebbe portato a una pena più severa di quella che sarebbe stata corretta.

La decisione sull’aggravante fine di profitto

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il motivo di ricorso relativo alla sussistenza dell’aggravante fine di profitto. Secondo i giudici di legittimità, le sentenze di merito presentavano una motivazione carente su questo punto. La Corte d’Appello si era limitata ad affermare la sussistenza dell’aggravante sulla base delle dichiarazioni dei migranti, i quali avevano riferito di aver pagato una somma di denaro per il viaggio.

Tuttavia, la stessa Corte d’Appello aveva escluso che gli imputati fossero gli organizzatori del viaggio, definendoli meri trasportatori. Questo, unito al fatto che agli imputati era stata trovata addosso solo una modesta somma di denaro, rendeva l’ipotesi del profitto puramente logica ma non supportata da elementi di prova concreti. Mancavano, infatti, dati oggettivi che collegassero la partecipazione degli imputati al profitto economico generato dal viaggio, anche se a beneficio di altri (gli organizzatori).

L’onere della motivazione nel calcolo della pena

La Cassazione ha accolto anche il secondo motivo di ricorso, relativo alla misura della pena. I giudici hanno osservato che la Corte d’Appello, pur avendo dichiarato di voler aumentare la pena base di un terzo per l’aggravante, aveva di fatto applicato un aumento della metà (da sei a nove anni), corrispondente al massimo previsto dalla legge.

Questa scelta non era stata minimamente motivata. La Suprema Corte ha ribadito un principio fondamentale: quando il giudice applica un aumento di pena per un’aggravante in misura superiore a quella media, è tenuto a fornire una motivazione specifica e dettagliata, basata sui criteri dell’art. 133 c.p. (gravità del reato, personalità del reo). Tale motivazione era del tutto assente, specialmente considerando che la stessa Corte aveva concesso le attenuanti generiche proprio in virtù del ruolo limitato svolto dagli imputati.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha distinto nettamente la valutazione sulla responsabilità penale per il reato base da quella sulle circostanze aggravanti. Per quanto riguarda la responsabilità, i giudici hanno ritenuto il ricorso infondato, trattandosi di una “doppia conforme” e le prove (osservazione diretta della polizia, riconoscimento da parte dei migranti) erano sufficienti a confermare il ruolo di scafista dell’imputato.

Al contrario, la motivazione sull’aggravante fine di profitto è stata giudicata insufficiente. Per la Cassazione, non basta affermare che i migranti abbiano pagato per il viaggio per attribuire automaticamente il fine di profitto ai meri trasportatori. È necessario individuare “più precisi elementi sintomatici” che dimostrino il loro specifico tornaconto economico. In assenza di una prova diretta, l’inferenza logica dei giudici di merito non è stata ritenuta sufficiente.

Anche sulla quantificazione della pena, la motivazione è stata censurata per la sua totale assenza. Applicare il massimo aumento edittale senza spiegare il perché, soprattutto dopo aver riconosciuto elementi a favore dell’imputato (le attenuanti generiche), costituisce un vizio di motivazione che impone l’annullamento della sentenza sul punto.

Le Conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte ha annullato la sentenza impugnata limitatamente a due punti cruciali: la sussistenza dell’aggravante fine di profitto e la quantificazione della pena. Il caso è stato rinviato a un’altra sezione della Corte d’Appello di Catanzaro, che dovrà condurre una nuova valutazione su questi specifici aspetti, attenendosi ai principi di diritto enunciati. Il nuovo giudice dovrà, in particolare, verificare con maggiore rigore la presenza di prove concrete sul fine di profitto e, in ogni caso, motivare adeguatamente ogni aumento di pena applicato, bilanciandolo con le circostanze del caso concreto.

Perché la Cassazione ha confermato la responsabilità dell’imputato per il reato principale?
La responsabilità per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina è stata confermata perché le sentenze di primo e secondo grado costituivano una “doppia conforme”, basata su prove solide come l’osservazione diretta della polizia giudiziaria e le dichiarazioni di alcuni migranti che lo avevano riconosciuto come uno degli scafisti.

Qual è il motivo dell’annullamento riguardo l’aggravante del fine di profitto?
La sentenza è stata annullata su questo punto perché la motivazione dei giudici di merito è stata ritenuta carente. Non sono stati indicati specifici elementi di prova che dimostrassero il vantaggio economico (il “tornaconto”) dell’imputato, considerato un mero trasportatore. Il solo fatto che i migranti avessero pagato una somma agli organizzatori non era sufficiente a provare il fine di profitto in capo a chi materialmente guidava l’imbarcazione.

Per quale ragione il calcolo della pena è stato considerato errato?
La Corte d’Appello ha applicato l’aumento massimo di pena previsto per una delle aggravanti (la metà) senza fornire alcuna motivazione per questa scelta. La Cassazione ha stabilito che un aumento superiore alla media edittale richiede una giustificazione specifica e dettagliata, che nel caso di specie mancava completamente, rendendo illogica la decisione soprattutto alla luce della concessione delle attenuanti generiche.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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