Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 2633 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 2633 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a CASAL DI PRINCIPE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/03/2023 della CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
Udito il difensore
Ritenuto in fatto
Con sentenza in data 20 marzo 2023, la Corte d’assise d’appello di Napoli, riconosciuta l’aggravante della premeditazione, ha confermato la pena di 30 anni di reclusione nei confronti di NOME COGNOME per l’omicidio aggravato di NOME COGNOME.
In primo grado, il GUP presso il Tribunale di Napoli, sulla base delle dichiarazioni dei collaboratori riscontrate dalle dichiarazioni ammissive del COGNOME, aveva riconosciuto costui colpevole del suddetto reato, avvenuto il 19 luglio 1997, maturato ed eseguito nell’ambito del conflitto all’epoca insorto all’interno del RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE, a seguito della fuoriuscita da quello del COGNOME e di COGNOME NOME.
Il giudizio di appello, tenuto conto della confessione dell’imputato resa nel giudizio di primo grado, ha avuto ad oggetto unicamente la valutazione delle circostanze aggravanti, riconosciute dal GUP, la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, nonché la dosimetria della pena.
La Corte territoriale, esclusa l’aggravante dei motivi abietti, ha ritenuto sussistente l’aggravante della premeditazione, alla luce sia delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, sia di quelle rese dall’imputato / dalle quali era emerso che la decisione di uccidere il NOME era stata presa da COGNOME e da COGNOME NOME il giorno precedente, durante un incontro presso l’abitazione di COGNOME NOME.
Inoltre, confermando la decisione di primo grado, i giudici di appello hanno escluso che ricorressero i presupposti per la concessione delle attenuanti generiche, ritenendo di non poter attribuire valore alla confessione resa dall’imputato, in quanto dettata da motivi utilitaristici, parziale e limitata a quanto già affermato dai dichiaranti senza fornire elementi utili in ordine alla responsabilità dei correi giudicati separatamente, e comunque volta sminuire la rilevanza dell’omicidio rispetto al contesto del contrasto in corso con il RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE, nonché il proprio ruolo. Egli inoltre non aveva manifestato alcuna resipiscenza, esprimendo ancora astio contro i RAGIONE_SOCIALE.
Avverso tale sentenza il COGNOME, a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione articolando due censure.
Con il primo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione, in ordine al riconoscimento dell’aggravante della premeditazione.
La sentenza impugnata ha collocato l’omicidio del NOME nell’ambito della contrapposizione verificatasi all’interno del cd. “RAGIONE_SOCIALE” tra il RAGIONE_SOCIALE
degli scissionisti facente capo al RAGIONE_SOCIALE e a NOME COGNOME, e il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. Essa, tuttavia, non avrebbe indicato le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che dimostrerebbero la partecipazione del ricorrente alla fase decisoria dell’omicidio, il quale, secondo i collaboratori, era stato deciso da COGNOME NOME il giorno prima, immediatamente dopo il fallimento dell’attentato ad altri due soggetti. A tal fine la Corte territoriale avrebbe valorizzato le dichiarazioni rese nell’interrogatorio dallo stesso ricorrente come riscontro alle affermazioni dei dichiaranti secondo i quali il COGNOME era stato da tempo inserito nella lista dell persone da eliminare. Ma la premeditazione non potrebbe ravvisarsi in tale ultima circostanza, non potendo rinvenirsi la prova dell’elemento deliberativo, e neppure nella decisione assunta il giorno precedente l’omicidio, non essendovi un’adeguata preparazione di mezzi e una preventiva attività di organizzazione. La vittima era stata infatti uccisa per strada senza che fossero necessari appostamenti per lo studio delle sue abitudini. Pertanto, la motivazione della sentenza impugnata sarebbe solo apparente, dal momento che la mancanza di una preventiva organizzazione e la collocazione temporale dell’azione omicida attesterebbero al più una preordinazione, ma non la premeditazione.
Con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata per violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Immotivatamente la Corte territoriale avrebbe sminuito la confessione resa dal COGNOME, il quale in tal modo aveva evidenziato la volontà di porsi fuori dal sodalizio criminoso. Essa avrebbe, inoltre, valutato in modo contraddittorio la confessione dell’imputato, da un lato utilizzandola come riscontro al narrato dei collaboratori, e dall’altro ritenendola parziale e inidonea ai fini della concessione delle attenuanti generiche.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato per le ragioni di seguito indicate.
2. Il primo motivo è infondato.
La motivazione con cui la Corte territoriale ha illustrato le ragioni alla base del riconoscimento dell’aggravante della premeditazione risultano congrue, logiche e conformi alla giurisprudenza di legittimità. Pur dando atto che – secondo il
concorde narrato dei collaboratori – la volontà di uccidere NOME COGNOME era stata manifestata in precedenza da NOME COGNOME, detto NOME, nell’ambito della faida contro il RAGIONE_SOCIALE, i giudici di appello hanno evidenziato che l’omicidio era stato concretamente deciso e materialmente organizzato il giorno prima della sua esecuzione. Dalle dichiarazioni di NOME COGNOME, nonché da quelle rese dallo stesso COGNOME era emerso che il delitto era stato da essi deciso il giorno precedente e che non era stata svolta una particolare attività organizzativa in quanto la vittima era un soggetto abitudinario, che tutte le mattine usciva di casa per recarsi al lavoro. Era stato dunque previsto l’appostamento dei killer presso l’abitazione di NOME COGNOME, vicina a quella della vittima, nonché l’utilizzo di un’auto e di armi. La Corte d’appello ha rinvenuto in tale preventiva organizzazione, nonché nel lasso di tempo intercorso tra l’insorgenza del proposito criminoso, la sua pianificazione e la sua concreta attuazione gli estremi dell’aggravante della premeditazione.
2.1. Tale valutazione oltre che coerente e logica, si pone in linea con il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo la quale la premeditazione richiede il radicamento e la persistenza costante, per apprezzabile lasso di tempo, nella psiche del reo del proposito delittuoso, sintomo di più accentuata colpevolezza, e si distingue dalla mera preordinazione, la quale si esaurisce nell’apprestamento dei mezzi minimi, necessari all’esecuzione, e solo nella fase a quest’ultima immediatamente precedente (tra le molte, Sez. 1, n. 5147 del 14/07/2015, dep. 2016, Scanni, Rv. 266205-01).
Elementi costitutivi della premeditazione sono l’apprezzabile arco temporale tra l’insorgenza del proposito criminoso e l’attuazione di esso, tale da consentire una ponderata riflessione circa l’opportunità del recesso (elemento di natura cronologica) e la ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzione di continuità nell’animo dell’agente fino alla commissione del crimine (elemento di natura ideologica), con l’effetto che tale circostanza aggravante va esclusa quando l’occasionalità del momento di consumazione del reato appaia preponderante, ossia tale da neutralizzare la sintomaticità della causale e della scelta del tempo, del luogo e dei mezzi di esecuzione del reato (Sez. U, n. 337 del 18/12/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 241575; fra le altre, Sez. 5, n. 42576 del 03/06/2015, COGNOME, Rv. 265149).
La consistenza di detto lasso temporale non può essere rigidamente quantificata in via generale e astratta: decisivo in tal senso è che tale arco di tempo sia stato in concreto sufficiente a consentire al reo di riflettere sulla decisione presa e a consentire il prevalere dei motivi inibitori su quelli a delinquere di modo tale che egli, pur avendo avuto tempo adeguato per attivare la
contro
spinta inibitoria, non sia receduto dal proposito criminoso e si sia reso in tal modo responsabile di un comportamento maggiormente riprovevole.
In tale valutazione, assumono rilievo anche i mezzi usati e le modalità che hanno caratterizzato la condotta del reo. Si è perciò affermato, in tema di omicidio, che, ai fini della configurabilità dell’aggravante in esame, in presenza di un ristretto spazio temporale tra l’insorgenza del proposito delittuoso e la sua attuazione, spetta al giudice il compito di valutare se, alla luce dei mezzi impiegati e delle modalità della condotta, tale lasso di tempo sia stato sufficiente a far riflettere l’agente sulla grave decisione adottata e a consentire l’attivazione di motivi inibitori di quelli a delinquere (Sez. 1, n. 574 del 09/07/2019, Rv. 278492). Peraltro, quanto più è circoscritto il lasso temporale tra l’insorgenza nell’agente del proposito criminoso e la sua attuazione, tanto più deve essere specifica l’individuazione e la dimostrazione degli indici sintomatici della avvenuta deliberazione del programma omicidiario e della pervicace volontà dell’agente di portarla a termine (Sez. 1 n. 41405 del 16/05/2019, COGNOME, Rv. NUMERO_DOCUMENTO, in motivazione).
Spetta al giudice di merito, ai fini della configurabilità dell’aggravante in questione, cogliere ed apprezzare tutte le peculiarità della concreta fattispecie, accertando se i predetti requisiti sussistano o siano, invece, l’uno o l’altro da escludere, come nel caso di avvistamento casuale della vittima o, comunque, di un agguato frutto di iniziativa estemporanea, sicché la risoluzione omicida non sia maturata attraverso lunga riflessione, con possibilità di recesso prima dell’attentato (Sez. 5, n. 26406 del 11/03/2014, COGNOME, Rv. 260219 – 01; Sez. 1, n. 574 del 09/07/2019, dep. 2020, R., Rv. 278492 – 01).
intercorso tra l’insorgenza nell’agente del proposi · delittuoso e la sua attuazione, tanto più deve essere specifica l’individu. ·ne e la dimostrazione degli altri indici sintomatici dell’avvenuta delibe GLYPH one del piano omicidiario e della ferma e pervicace volontà dell’ai GLYPH e stesso di portarlo a termine, senza cedimenti (Sez. 1, n. 41405 del 1. · /2019, COGNOME*, Rv. 277136, in motivazione). ,[ Si deve altresì aggiungere che, quanto più è circosc o il lasso temporale
2.2. Nella specie, l’analisi della motivazione della sentenza impugnata induce a ritenere che la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali approdi ermeneutici, valorizzando sia il dato temporale, e cioè la circostanza che la decisione di uccidere il NOME era maturata il giorno precedente alla sua realizzazione, sia il dato organizzativo, rappresentato dalla previsione delle modalità di realizzazione dell’azione criminosa (per strada mentre la vittima si recava al lavoro), la ripartizione di compiti e la predisposizione di mezzi (l’utilizzo di un’auto e di armi).
La Corte territoriale ha avuto anche cura di spiegare che tale aggravante non poteva ritenersi esclusa dal fatto che l’omicidio non era stato preceduto da lunghi appostamenti, affermando che ciò non era stato necessario in quanto il COGNOME era soggetto abitudinario.
A fronte di tale ineccepibile motivazione, le censure svolte dalla difesa si risolvono in valutazioni in fatto che esulano dalla cognizione della Corte di cassazione, la quale è circoscritta alla verifica dell’iter argomentativo di tale giudice, accertando se quest’ultimo abbia o meno dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione.
3. Il secondo motivo è infondato.
La Corte territoriale, conformemente al giudice di primo grado, ha escluso la concedibilità delle attenuanti in parola, ritenendo che non assumesse rilevanza a tal fine la confessione resa dal COGNOME, in ragione del suo carattere parziale, utilitaristico e che non evidenziava alcuna resipiscenza. Per contro, la sentenza impugnata ha sottolineato la particolare gravità del delitto, commesso con modalità eclatanti – per strada, in pieno giorno e a volto scoperto – e con ferocia nei confronti della vittima, attinta da numerosi colpi di arma da fuoco, nonché la circostanza che l’omicidio è stato organizzato e realizzato mentre il COGNOME era latitante.
Così argomentando, la Corte d’appello ha fatto buon governo dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quel ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899 – 01). Il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 02).
Nella specie, la motivazione con cui la Corte territoriale ha dato conto della valutazione operata delle dichiarazioni confessorie rese dal COGNOME risulta logica e ineccepibile, così sottraendosi alle censure mosse dalla difesa.
Alla luce delle esposte considerazioni, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condanNOME al pagamento delle spese del giudizio.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17 ottobre 2023.