Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 7268 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 7268 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME NOME COGNOME .
Data Udienza: 27/12/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOMECOGNOME nata a Napoli il 01/04/1962
COGNOME NOMECOGNOME nato a Napoli il 19/01/1979
Sperindio NOMECOGNOME nato a Napoli il 30/01/1984
COGNOME NOME nato a Napoli il 01/06/1970 avverso la sentenza del 29/04/2024 della Corte di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dai Consiglieri NOME COGNOME e NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso, quanto ad NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per l’annullamento con rinvio limitatamente all’aggravante di cui all’art. 416-bis, quarto comma, cod. pen., con eventuale rideterminazione del trattamento sanzionatorio e, quanto a COGNOME NOMECOGNOME per l’annullamento senza rinvio limitatamente al reato ex art. 512-bis cod. pen. sub h), assorbito nella condotta di cui all’art. 648-bis cod. pen. sub I), con rideterminazione del trattamento sanzionatorio;
udito il difensore di NOME COGNOME, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il difensore di NOME COGNOME, Avv. NOME COGNOME che ha insistito
per l’accoglimento del ricorso; udito il difensore di NOME COGNOME, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Napoli, decidendo in sede di rinvio, a seguito di annullamento di questa Corte – Sez. 1, n. 39489 del 2023 – della sentenza della medesima Corte di appello del 28 giugno 2022, ha parzialmente riformato la sentenza del 23 luglio 2021 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli.
La sentenza di primo grado, emessa all’esito del giudizio abbreviato, per quanto di interesse in questa sede:
aveva affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME per i reati di partecipazione ad associazione di tipo mafioso con le aggravanti dell’essere l’associazione armata e dell’essere le attività economiche controllate dall’associazione mantenute con il profitto dei reati in materia di stupefacenti ed estorsioni (capo A), per più delitti di cui all’art. 512-bis cod. pen. aggravati ex art. 416-bis.1 cod. pen. (capi C, D, E, F, G, H) e più delitti di autoriciclaggi aggravati ex art. 416-bis.1 cod. pen. (capi I, K, M, Q, R), per un delitto di estorsione aggravata ex art. 416-bis.1 cod. pen. (capo O) e per i delitti di estorsione ed illecita concorrenza con violenza o minaccia (capo S) ed illecita concorrenza e tentata estorsione (capo T) e ritenuta la continuazione lo aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia;
aveva affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME per i reati alla stessa ascritti ai capi A, P (trasferimento fraudolento di valori di cu all’art. 512-bis cod. pen. aggravato ex art. 416-bis.1 cod. pen.), Q e R e, ritenuta la continuazione, l’aveva condannata alla pena ritenuta di giustizia;
-aveva affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME per il reato di concorso esterno nella predetta associazione di tipo mafioso, con le aggravanti già sopra indicate (capo B), nonché per i reati di cui ai capi D, H e I e, ritenuta la continuazione tra i reati, l’aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia;
aveva affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME per i reati di cui ai capi H, L (riciclaggio aggravato ex art. 416-bis.1 cod. pen.) e S e, ritenuta la continuazione tra i reati, l’aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia.
I predetti erano altresì condannati al risarcimento del danno, da liquidarsi separatamente, in favore della parte civile RAGIONE_SOCIALE.
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CQ 7711
La Corte di appello, con la sentenza del 23 luglio 2021, aveva, per quanto di rilievo in questa sede, prosciolto NOME COGNOME dall’imputazione di cui al capo D) per non aver commesso il fatto ed aveva applicato al predetto ed a NOME COGNOME le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti diverse da quella di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., rideterminando la pena nei loro confronti.
Questa Corte di cassazione, con la precedente sentenza, ha annullato la sentenza di appello nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME in relazione al capo A) e nei confronti di NOME COGNOME in relazione al capo B), per tutti limitatamente alle aggravanti di cui al quarto e sesto comma dell’art. 416-bis cod. pen., nonché nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti ai capi C), D), E), F), G), H), P) e S), rinviando per nuovo giudizio sui predetti capi e punti ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli.
Quest’ultima, in sede di rinvio, ha escluso, in relazione ai capi A) e B), l’aggravante di cui al sesto comma dell’art. 416-bis cod. pen., ritenendo sussistente l’aggravante di cui al quarto comma della medesima disposizione; inoltre, quanto ad NOME COGNOME ha ritenuto il reato di cui al capo P) assorbito in quello contestato al capo Q) e, quanto ad NOME COGNOME, ha ritenuto i reati di cui ai capi C), D), E), F), G) e H) assorbiti nel reato di cui capo I); inoltre, ha ritenuto, in relazione ad NOME e NOME COGNOME, che il reato di concorrenza illecita con violenza o minaccia contestato al capo S) fosse solo tentato, mentre in relazione a NOME COGNOME ha ritenuto il reato di cui al capo H) assorbito in quello di cui al capo I); quindi ha rideterminato le pene inflitte ai predetti imputati.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed articolando due motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’omessa applicazione del criterio dell’assorbimento tra il reato di cui all’art. 512-bis cod. pen. di cui al capo H) e quello di riciclagg contestato al capo L).
Il ricorrente segnala che la Corte di merito ha motivato in proposito osservando che non vi è assorbimento perché si tratta di condotte ontologicamente e cronologicamente differenti, pur riguardando entrambe la medesima società RAGIONE_SOCIALE, ed invoca alcuni precedenti di questa Corte di cassazione (Sez. 2, n. 29869 del 23/06/2016, Re, Rv. 267856; Sez. 2, n. 7257 del 13/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278374; Sez. 2, n. 29611 del
27/04/2016, COGNOME, Rv. 267511; Sez. 2, n. 52645 del 20/11/2014, COGNOME, Rv. 261624) per sostenere, in tenia di esistenza del reato di intestazione fittizia quando la condotta incriminata si inserisce nell’alveo di un più ampio disegno criminoso integrante il delitto di riciclaggio di denaro, che il riciclaggio è un reato a forma libera, la cui condotta costitutiva può consistere anche in una pluralità di distinti atti in sé leciti, realizzati a distanza di te l’uno dall’altro, purché unitariamente riconducibili all’obiettivo comune cui sono finalizzati, ossia l’occultamento della provenienza delittuosa del denaro, dei beni o delle altre utilità che ne costituiscono l’oggetto, con la conseguenza che in questa ipotesi si configura un unico reato a formazione progressiva, che viene a cessare con l’ultima delle operazioni poste in essere.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge in relazione all’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. per difetto dell’elemento soggettivo.
A tal fine invoca la giurisprudenza di questa Corte di legittimità, laddove afferma che trattasi di aggravante soggettiva caratterizzata dal dolo intenzionale (Sez. U., n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278734) e che l’aggravante richiede per la sua configurazione il dolo specifico di favorire l’associazione, con la conseguenza che questo fine deve essere l’obiettivo «diretto» della condotta, non rilevando possibili vantaggi indiretti né il semplice scopo di favorire un esponente di vertice della cosca, indipendentemente da ogni verifica in merito all’effettiva ed immediata coincidenza degli interessi del capomafia con quelli dell’organizzazione (Sez. 5, n. 4037 del 22/11/2013, dep. 2014, B., Rv. 258868).
Ha proposto ricorso per cassazione anche NOME COGNOME a mezzo dei suoi difensori, chiedendo l’annullamento della sentenza ed articolando quattro motivi.
3.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. la violazione dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen. per avere il Giudice del rinvio ritenuto sussistente l’aggravante di cui all’art. 416-bis, quarto comma, cod. proc. pen.
Sostiene che la Corte di merito, motivando in modo meramente apparente, non si è uniformata al principio di diritto affermato nella sentenza di annullamento, poiché il Giudice del rinvio avrebbe dovuto riesaminare il materiale istruttorio fornendo una motivazione «individualizzante», non basandosi esclusivamente sul ricorso al fatto notorio.
In particolare, avrebbe dovuto considerare che il ricorrente è accusato di concorso esterno e che egli ha contribuito al sodalizio criminale in un periodo
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temporale limitato e che nelle conversazioni intercettate non appaiono riferimenti alla disponibilità di armi, poiché il Vallefuoco si occupava del reimpiego di risorse economiche in attività lecite, non caratterizzate dall’impiego di armi. La Corte territoriale ha, invece, osservato che è notorio che nel territorio di riferimento le dinamiche criminali relative a clan camorristici contrapposti si risolvono ricorrendo all’uso delle armi, applicando una presunzione in contrasto con le motivazioni dell’annullamento disposto dalla Corte di cassazione, che, richiamando un suo precedente (Sez. 2, n. 31920 del 04/06/2021, COGNOME, Rv. 281811), aveva affermato che per l’applicazione dell’aggravante non è sufficiente il solo riferimento alla notoria dotazione di armi in capo al sodalizio storico, occorrendo anche che le armi siano state effettivamente utilizzate per gli scopi del sodalizio criminale, che nel caso di specie erano quelli di lucrare sui ricavi delle società confiscate e non necessitavano dell’impiego delle armi.
Il ricorrente aggiunge che dal materiale istruttorio non emerge che egli avesse la possibilità di percepire che il sodalizio criminale fosse dotato di armi ed alle stesse ricorresse per risolvere eventuali contese.
3.2. Con il secondo motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., dell’esito del giudizio di bilanciamento, per avere il Giudice del rinvio, pur all’esito dell’esclusione dell’aggravante di cui a sesto comma dell’art. 416-bis cod. pen., ritenuto la residua aggravante al pari di quelle ad effetto speciale, confermando la pena base di anni dodici di reclusione, mentre, essendo state riconosciute le attenuanti generiche prevalenti, per i limiti edittali di pena, che erano sempre stati applicati nel minimo, la pena sulla quale avrebbe dovuto essere operata la riduzione era quella di anni dieci di reclusione.
3.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 597 cod. proc. pen. per violazione del divieto di reformatio in peius, sostenendo che il Giudice del rinvio, a seguito dell’esclusione dell’aggravante di cui al sesto comma dell’art. 416-bis cod. pen., avrebbe dovuto partire da una pena base di anni dieci di reclusione, restando altrimenti vanificata l’esclusione della predetta aggravante. La Corte di appello era addivenuta alla determinazione della medesima pena per il reato di cui agli artt. 110 e 416-bis cod. pen. pur applicando l’aggravante del sesto comma dell’art. 416-bis cod. pen. esclusa invece dal Giudice del rinvio, il quale ha pertanto operato una riduzione di pena per le attenuanti generiche inferiore a quella attuata dal Giudice di appello.
3.4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 133 cod. pen. quanto alla determinazione della pena per il reato satellite.
L’aumento sarebbe stato quantificato in misura illogica, ossia in misura notevolmente superiore a quella determinata per i partecipi al sodalizio
criminale.
Ha inoltre proposto ricorso per cassazione l’imputata NOME COGNOME la quale, con il difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME si affida a due motivi.
4.1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione ed erronea applicazione nonché vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza, a fronte del rinvio all’uopo disposto dalla Corte di cassazione, della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis, quarto comma, cod. pen.
A riguardo rammenta che la decisione caducatoria di questa Corte aveva demandato alla Corte territoriale di accertare se i reati di cui ai capi A) e B) dell’imputazione per i quali era stata condannata fossero aggravati ex ar . 416bis, quarto comma, cod. pen.
Sennonché, incorrendo nei vizi della precedente pronuncia oggetto di annullamento, la sentenza impugnata non avrebbe argomentato in ordine alla sussistenza dell’indicata circostanza aggravante in maniera adeguata dimostrando l’effettiva disponibilità delle armi in capo all’associazione e la sua consapevolezza di tale circostanza.
In particolare, la sua consapevolezza era stata argomentata sulla scorta di una serie di presunzioni, ossia che ella ne era a conoscenza perché madre di NOME COGNOME che aveva un ruolo apicale nel clan, senza considerare che la contestazione del capo A) è effettuata dal mese di aprile dell’anno 2011, il figlio è ormai detenuto ininterrottamente dal 23 ottobre 2012 e le condotte specificamente contestate alla stessa sono successive all’inizio di tale detenzione, in quanto relative all’anno 2018.
Né la sua consapevolezza sull’eventuale uso di armi da parte del clan potrebbe evincersi dalle dichiarazioni dei collaboratori COGNOME e COGNOME che non la avevano riguardata direttamente, o dalle intercettazioni in forza delle quali era stata ritenuta la sua intraneità al clan.
4.2. Mediante il secondo motivo l’imputata contesta la congruità della motivazione della decisione impugnata laddove ha escluso le circostanze attenuanti generiche nonostante il contributo, da considerarsi in ogni caso marginale, fornito all’associazione, nell’ambito di un arco temporale limitato.
NOME COGNOME propone un primo ricorso per cassazione a firma del difensore di fiducia avv. NOME COGNOME con il quale deduce due motivi di impugnazione.
5.1. Con il primo motivo assume violazione di legge e vizio di motivazione della decisione impugnata quanto alla ritenuta sussistenza della circostanza
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aggravante di cui all’art. 416-bis, quarto comma, cod. pen.
Deduce che, in violazione dei principi espressi dalla sentenza di annullamento, il giudice del rinvio avrebbe ritenuto la sussistenza di tale circostanza aggravante in forza del paradigma per il quale egli “non potesse non sapere” della disponibilità delle armi e ciò in quanto gestiva i soldi del clan ed era cognato del capo NOME COGNOME.
5.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione per la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, argomentata in maniera apodittica dalla Corte territoriale.
Lo stesso NOME COGNOME propone un secondo ricorso a firma del difensore di fiducia avv. NOME COGNOME con il quale si affida a due censure di analogo tenore.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo del ricorso di NOME COGNOME è fondato.
Questa Corte di cassazione, con la precedente sentenza di annullamento con rinvio, ha affermato (vedi pag. 56 e 59) che la ricorrenza del delitto di autoriciclaggio, in rapporto alla medesima condotta materiale e finalistica, porta all’esclusione della punibilità per il reato di intestazione fittizia, sussistendo tr reato di autoriciclaggio e quello di cui all’art. 512-bis cod. pen. un tendenziale rapporto di specialità reciproca che è risolto dalla clausola di riserva contenuta nell’art. 512-bis cod. pen., che va applicata anche nel caso di intestazione fittizia con finalità elusiva della eventuale misura di prevenzione, e che analogo ragionamento va svolto per quanto riguarda il rapporto tra intestazione fittizia e riciclaggio ove la condotta riguardi il medesimo bene.
La precedente sentenza ha cura di precisare che la applicazione della clausola di riserva, in favore del solo delitto di autoriciclaggio o di riciclaggi presuppone che la condotta di intestazione fittizia riguardi il medesimo bene oggetto della condotta di autoriciclaggio o riciclaggio e sia riconducibile alla finalità complessivamente prevista da tali incriminazioni, cosicché «l’esistenza di più momenti in cui si segmenta – di regola – la condotta dell’autore di autoriciclaggio (acquisizione di quote sociali, immissione di capitali nell’azienda, attività posteriori) possa essere integralmente ricondotta, sul piano funzionale e volitivo, alla disposizione incriminatrice di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen.» (ved pag. 60).
Il Giudice del rinvio, con la sentenza qui impugnata, affronta la questione
del rapporto tra i capi H) e L) esclusivamente nella parte dedicata al trattamento sanzionatorio (pag. 9), affermando in modo apodittico che «non vi è assorbimento tra intestazione fittizia e riciclaggio perché trattasi di condotte ontologicamente, e cronologicamente, differenti pur riguardando entrambe la medesima società RAGIONE_SOCIALE», senza tuttavia argomentare come sia pervenuto a tale conclusione e perché le condotte di riciclaggio e quella di intestazione fittizia sarebbero ontologicamente e cronologicamente diverse, pur avendo ad oggetto lo stesso bene. La motivazione è meramente apparente perché non consente di comprendere l’iter logico giuridico della decisione.
L’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta l’assorbimento del secondo.
Il primo motivo del ricorso di NOME COGNOME, il primo motivo del ricorso di NOME COGNOME ed il primo motivo del ricorso di NOME COGNOME che possono essere trattati unitariamente in quanto strettamente connessi, poggiando su censure pressocché identiche, sono fondati.
Questa Corte di cassazione, con la precedente sentenza, ha annullato la decisione della Corte di appello, tra l’altro, in relazione all’applicazione ai t ricorrenti sopra indicati dell’aggravante di cui all’art. 416-bis, quarto comma, cod. pen.
La sentenza di annullamento ha affermato che ai carico dei componenti di un’articolazione di un’associazione di tipo mafioso «storica» è configurabile detta aggravante quando sia riscontrata l’effettiva disponibilità delle armi e l’uso delle stesse per il conseguimento delle finalità dell’associazione, non essendo sufficiente il solo riferimento alla notoria dotazione di armi in capo al sodalizio mafioso e che, quanto all’elemento soggettivo, l’aggravante è applicabile solo a carico dei partecipi consapevoli del possesso di armi da parte degli associati o che lo ignorino per colpa. Ha poi segnalato, onde motivare l’annullamento su tale punto, che la sentenza di appello, per giustificare l’applicazione dell’aggravante, si era limitata a a far ricorso al cosiddetto «notorio», senza indicare alcuna prova idonea a dimostrare che il sodalizio mafioso fosse «armato» nel senso sopra indicato nel periodo in cui i ricorrenti hanno partecipato al sodalizio criminale; inoltre, la precedente sentenza di annullamento afferma che è stata omessa «qualunque valutazione individualizzante (in rapporto ai ruoli attribuiti ai singoli ricorrenti), attraverso cui la sentenza di appello avrebbe dovuto argomentare in ordine alla consapevolezza che il sodalizio fosse nella disponibilità di armi o che la mancata conoscenza di tale dato fosse stata determinata da errore incolpevole».
La sentenza impugnata ritiene, invece, che la dotazione di armi è
«connaturata» al perseguimento degli scopi di un sodalizio di tipo mafioso ed è ragionevole presumere la conoscenza di tale disponibilità in capo agli associati per poi affermare che nella prima parte della sentenza di primo grado, in cui vengono ricostruite le vicende che hanno portato all’ascesa della cosca NOME COGNOME nel panorama criminale mafioso della zona di Secondigliano e Scampia, vengono indicati numerosi delitti commessi attraverso l’impiego delle armi
Deve, tuttavia, osservarsi che il reato associativo viene contestato come commesso dall’aprile 2011, mentre le vicende descritte alle pagine da 12 a 17 della sentenza di primo grado sono relative in massima parte al periodo antecedente al 2011 e comunque nella parte relativa ai delitti commessi nel periodo oggetto di contestazione non si fa riferimento alla loro commissione con armi.
Nella sentenza qui impugnata si pone in rilievo, in particolare, che NOME COGNOME, pur non essendo avvezza all’uso delle armi, era a conoscenza della loro disponibilità in capo al clan, poiché la cosca NOME COGNOME è un clan a forte matrice familiare e la COGNOME è madre di NOME COGNOME e sorella di NOME COGNOME, i quali hanno comandato il sodalizio criminale in tempi diversi e, quanto ad NOME COGNOME, che è il cognato di NOME COGNOME e gestisce i soldi del clan, sicché non potrebbe che sapere che esso fa uso delle armi.
Quanto a NOME COGNOME che è un mero concorrente esterno, il Giudice del rinvio evidenzia che egli è a conoscenza che alle spalle di NOME COGNOME vi è NOME COGNOME e, soprattutto, egli vive ed opera nel territorio controllato dalla cosca e non può non sapere che le dinamiche criminali che caratterizzano il territorio di riferimento, relative a clan antagonisti, si risolvono con le armi.
Deve, allora, osservarsi che, come già avvenuto per la sentenza già oggetto di annullamento, ancora una volta la Corte territoriale, nella decisione impugnata, fa ricorso al «notorio» per affermare che le associazioni di tipo mafioso sono sempre caratterizzate dalla disponibilità di armi e ad esse ricorrono per risolvere le loro contese con le organizzazioni avversarie.
Ed è proprio sulla base di detto «notorio» afferma che il COGNOME, sapendo che NOME COGNOME era uno strumento di cui si avvaleva NOME COGNOME, capo del clan COGNOME, non poteva non sapere, vivendo in quel territorio, che l’associazione suddetta aveva necessariamente la disponibilità di armi.
Quanto agli altri due ricorrenti, la sentenza qui impugnata sostiene che essendo il clan COGNOME un clan a forte matrice familiare ed essendovi rapporti familiari stretti tra i predetti ed NOME COGNOME, i due non potevano ignorare la disponibilità delle armi in capo agli altri associati.
Anche in questo caso il ragionamento svolto dal Giudice del rinvio poggia sul
notorio e su mere presunzioni e non spiega perché dal ruolo svolto dalla COGNOME e da NOME COGNOME nell’ambito del clan clan (latrice di messaggi tra gli associati in libertà e associati ristretti in carcere la COGNOME e gest degli affari economici del clan NOME COGNOME) dovrebbe desumersi la conoscenza da parte loro dell’essere il clan dotato di armi o quanto meno un’ignoranza colpevole di detta circostanza.
Anche in questo caso l’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta l’assorbimento degli altri motivi di impugnazione.
Concludendo, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.
Così deciso il 27/12/2024.