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Aggravante art. 61 n. 6 c.p.: quando non si applica

La Corte di Cassazione ha stabilito che l’aggravante art. 61 n. 6 c.p. (commissione del reato durante l’evasione) non può essere applicata a un soggetto agli arresti domiciliari che commette un reato mentre si trova fuori dalla propria abitazione con l’autorizzazione del giudice. La Corte ha confermato la condanna per estorsione, distinguendola dall’esercizio arbitrario delle proprie ragioni poiché la violenza era stata usata contro un terzo estraneo al debito. La sentenza è stata annullata limitatamente all’aggravante, con rinvio per la rideterminazione della pena.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Aggravante art. 61 n. 6 c.p.: Non è fuggitivo chi è autorizzato a uscire

Una recente sentenza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sulla corretta applicazione delle norme penali, in particolare sulla distinzione tra estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni e sull’applicazione dell’aggravante art. 61 n. 6 c.p.. Il caso analizzato riguarda un individuo condannato per aver sequestrato e aggredito una persona al fine di costringere il fratello di quest’ultima a saldare un debito. La Suprema Corte ha confermato la condanna per estorsione, ma ha annullato la sentenza riguardo alla specifica aggravante, fornendo un’interpretazione cruciale per casi simili.

I Fatti: Tra Debito e Violenza

L’imputato, vantando un credito di 1.400 euro derivante da un sinistro stradale, ha agito con estrema violenza. Ha privato della libertà personale la vittima, caricandola a forza sulla propria auto. Successivamente, l’ha percossa con pugni e una mazza da baseball, minacciandola di morte con un coltello e sottraendole il telefono cellulare. Lo scopo di questa condotta era costringere il fratello della vittima, ritenuto il vero debitore, a consegnargli la somma di denaro pretesa.

Condannato in primo grado e in appello per sequestro di persona, tentata estorsione, lesioni e furto, l’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sollevando diverse questioni di diritto.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa ha articolato i ricorsi su due punti principali:

1. Errata qualificazione del reato: Secondo i difensori, i fatti avrebbero dovuto essere inquadrati nel reato meno grave di “esercizio arbitrario delle proprie ragioni” (art. 393 c.p.), sostenendo che la pretesa economica fosse legittima.
2. Illegittima applicazione dell’aggravante art. 61 n. 6 c.p.: La difesa ha contestato l’applicazione dell’aggravante per aver commesso il fatto mentre si sottraeva all’esecuzione di una misura cautelare. L’imputato, infatti, si trovava agli arresti domiciliari, ma al momento del reato era fuori casa in virtù di un’autorizzazione del giudice per una visita medica.

Le Motivazioni della Suprema Corte: Estorsione e l’Aggravante dell’Evasione

La Corte di Cassazione ha rigettato il primo motivo, confermando la qualificazione del reato come tentata estorsione. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: si configura il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario, quando la violenza o la minaccia è rivolta non al presunto debitore, ma a un terzo estraneo al rapporto obbligatorio. Nel caso di specie, la violenza è stata esercitata sulla vittima per ottenere il pagamento dal fratello. Questa triangolazione trasforma la pretesa, anche se astrattamente fondata, in una richiesta estorsiva.

Il punto cruciale della sentenza riguarda però il secondo motivo di ricorso. La Corte ha accolto la tesi difensiva, affermando che l’aggravante art. 61 n. 6 c.p. è stata applicata erroneamente. Tale aggravante sussiste quando il reato è commesso “durante il tempo in cui [il colpevole] si è sottratto volontariamente alla esecuzione di un mandato o di un ordine di arresto o di cattura o di carcerazione”.

La Suprema Corte ha chiarito che il presupposto fondamentale è la “sottrazione volontaria”, ovvero la condizione di chi è ricercato perché si è deliberatamente reso irreperibile per sfuggire a un provvedimento restrittivo. Nel caso in esame, l’imputato non era un ricercato né un evaso. Si trovava agli arresti domiciliari, ma era stato debitamente autorizzato dal giudice della cautela ad allontanarsi dalla propria abitazione. Di conseguenza, non poteva considerarsi un soggetto che si stava sottraendo all’esecuzione della misura.

Le Conclusioni: Condanna Confermata, Pena da Ricalcolare

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all’aggravante art. 61 n. 6 c.p., eliminandola. Ha dichiarato inammissibile il resto del ricorso, rendendo così definitiva la dichiarazione di responsabilità penale per i reati contestati.

La causa è stata rinviata a un’altra sezione della Corte d’Appello per la sola rideterminazione della pena, che dovrà essere ricalcolata senza l’aumento previsto per l’aggravante esclusa. Questa decisione sottolinea l’importanza di una rigorosa interpretazione dei presupposti normativi, specialmente per le circostanze che incidono in modo significativo sulla quantificazione della sanzione penale.

Quando un’azione per recuperare un credito diventa estorsione e non esercizio arbitrario delle proprie ragioni?
Secondo la sentenza, si configura il reato di estorsione quando la violenza o la minaccia, finalizzata a ottenere l’adempimento di un credito, è rivolta non nei confronti del presunto debitore, ma di un terzo estraneo al rapporto obbligatorio.

L’aggravante di aver commesso il reato durante l’evasione (art. 61 n. 6 c.p.) si applica a chi si trova agli arresti domiciliari ma ha un permesso di uscita?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che questa aggravante non si applica, perché richiede che il soggetto si sia sottratto volontariamente all’esecuzione di un provvedimento coercitivo. Essere fuori casa con un’autorizzazione del giudice non costituisce una sottrazione volontaria alla misura.

Cosa succede quando la Cassazione annulla una sentenza solo per una circostanza aggravante?
La dichiarazione di responsabilità per il reato diventa irrevocabile, ma la sentenza viene annullata limitatamente a quel punto. Il caso viene quindi rinviato a un giudice di appello, che dovrà ricalcolare la pena senza tenere conto dell’aumento derivante dall’aggravante eliminata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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