Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 29364 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 29364 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME COGNOME nato a Castellammare di Stabia il 11/08/1965 COGNOME NOMECOGNOME nata a Mugnano di Napoli il 04/11/1984 NOMECOGNOME nato ad Aversa il 18/09/1991 NOME COGNOME nato ad Aversa il 10/04/1997 NOMECOGNOME nato a Napoli il 02/08/1995 NOMECOGNOME nato ad Aversa il 02/12/1993 NOMECOGNOME nato ad Aversa il 25/02/1991 NOME COGNOME nato a Villaricca il 05/03/1972 NOMECOGNOME nato a Napoli il 26/01/1976
avverso la sentenza del 21/03/2024 della Corte d’appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME il quale ha concluso chiedendo che il ricorso di COGNOME NOME sia dichiarato inammissibile e che gli altri ricorsi siano rigettati;
udita l’Avv. NOME COGNOME nella qualità di sostituto processuale dell’Avv. NOME COGNOME in difesa di NOME COGNOME la quale, dopo una breve discussione, si è riportata ai motivi di ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento;
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udito l’Avv. NOME COGNOME difensore di NOME COGNOME il quale si è associato alle conclusioni dell’Avv. COGNOME si è riportato ai motivi di ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento;
udito l’Avv. NOME COGNOME difensore di COGNOME il quale, dopo un’ampia discussione, si è riportato ai motivi di ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento;
udito l’Avv. NOME COGNOME difensore di COGNOME Vincenzo, anche in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME difensore di COGNOME, il quale, dopo una breve discussione, si è riportato al primo motivo di ricorso per la posizione di COGNOME Vincenzo, chiedendone l’accoglimento, mentre, per la posizione di COGNOME, si è riportato ai motivi di ricorso, chiedendone l’accoglimento;
udito l’Avv. NOME COGNOME difensore di COGNOME NOMECOGNOME il quale, dopo una breve discussione, ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata;
udito l’Avv. NOME COGNOME difensore di COGNOME NOME, anche in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME difensore di COGNOME NOMECOGNOME il quale, dopo un’ampia discussione, si è riportato ai motivi di ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 21/03/2024, la Corte d’appello di Napoli, per quanto qui interessa, confermava la sentenza del 15/10/2020 del G.i.p. del Tribunale di Napoli, emessa in esito a giudizio abbreviato, con la quale:
NOME COGNOME era stato condannato alla pena di tre anni di reclusione ed C 1.000,00 di multa per i reati di:
1.1) partecipazione all’associazione per delinquere di cui al capo 2) dell’imputazione;
1.2) ricettazione aggravata (dal cosiddetto “nesso teleologico”) di ricette mediche in concorso (con NOME COGNOME) di cui al capo 4) e al capo 7) dell’imputazione (i cui fatti erano ritenuti costituire un unico reato);
1.3) tentata truffa aggravata e continuata ai danni del Servizio sanitario regionale in concorso (con NOME COGNOME e con NOME COGNOME) di cui al capo 5) dell’imputazione;
1.4) truffa pluriaggravata (dall’essere stata commessa ai danni del Servizio sanitario regionale e al fine di agevolare l’associazione camorristica denominata “RAGIONE_SOCIALE“, riconducibile alla famiglia “COGNOME“, nel suo nuovo gruppo criminale qualificatosi “RAGIONE_SOCIALE“) in concorso (con NOME COGNOME e con NOME COGNOME) di cui al capo 8) dell’imputazione;
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GLYPH 1.5) ricettazione aggravata (dal cosiddetto “nesso teleologico”) di ricette mediche in concorso (con NOME COGNOME) di cui al capo 10) dell’imputazione;
C 1.6) truffa pluriaggravata (dall’essere stata commessa ai danni del Servizio sanitario regionale e al fine di agevolare l’associazione camorristica denominata “Clan dei Casalesi”, riconducibile alla famiglia “COGNOME“, nel suo nuovo gruppo criminale qualificatosi “Nuova Gerarchia del Clan dei Casalesi”) e continuata in concorso (con NOME COGNOME e con NOME COGNOME) di cui al capo 11) dell’imputazione;
NOME COGNOME era stata condannata alla pena di quattro anni e otto mesi di reclusione ed C 5.800,00 di multa per i reati di:
2.1) partecipazione all’associazione per delinquere aggravata (a norma dell’art. 416-bis.1 cod. pen., per essere stato tale reato commesso al fine di agevolare l’organizzazione camorristica denominata “clan dei Casalesi”) di cui al capo 2) dell’imputazione;
2.2) riciclaggio continuato e aggravato (a norma dell’art. 416-bis.1 cod. pen., per essere stato tale reato commesso al fine di agevolare l’organizzazione camorristica denominata “clan dei Casalesi” nel suo gruppo denominato “Nuova gerarchia del clan dei Casalesi”) di cui al capo 14) dell’imputazione;
2.3) riciclaggio continuato e aggravato (a norma dell’art. 416-bis.1 cod. pen., per essere stato tale reato commesso al fine di agevolare l’organizzazione camorristica denominata “clan dei Casalesi” nel suo gruppo denominato “Nuova gerarchia del clan dei Casalesi”) di cui al capo 15) dell’imputazione;
NOME COGNOME era stato condannato alla pena di due anni di reclusione ed C 4.000,00 di multa per il reato di riciclaggio continuato di cui al capo 19) dell’imputazione (pena così ridotta, prima, per la concessione della circostanza attenuante di cui al terzo comma dell’art. 416-bis.1 cod. pen., e, poi – come per gli altri imputati – per il rito);
NOME COGNOME era stato condannato alla pena di tre anni di reclusione ed C 4.000,00 di multa per i reati di:
4.1) partecipazione all’associazione per delinquere di cui al capo 2) dell’imputazione;
4.2) riciclaggio continuato di cui al capo 20) dell’imputazione;
NOME COGNOME era stato condannato alla pena di quattro anni di reclusione ed C 6.000,00 di multa per i reati di:
5.1) partecipazione all’associazione per delinquere aggravata (a norma dell’art. 416-bis.1 cod. pen., per essere stato tale reato commesso al fine di agevolare l’organizzazione camorristica denominata “clan dei Casalesi”) di cui al capo 2) dell’imputazione;
,
GLYPH 5.2) riciclaggio continuato e aggravato (a norma dell’art. 416-bis.1 cod. pen., per essere stato tale reato commesso al fine di agevolare l’organizzazione camorristica denominata “clan dei Casalesi” nel suo gruppo denominato “Nuova gerarchia del clan dei Casalesi”) di cui al capo 17) dell’imputazione;
NOME COGNOME era stato condannato alla pena di quattro anni di reclusione ed C 6.000,00 di multa per i reati di:
6.1) partecipazione all’associazione per delinquere aggravata (a norma dell’art. 416-bis.1 cod. pen., per essere stato tale reato commesso al fine di agevolare l’organizzazione camorristica denominata “clan dei Casalesi”) di cui al capo 2) dell’imputazione;
6.2) riciclaggio continuato e aggravato (a norma dell’art. 416-bis.1 cod. pen., per essere stato tale reato commesso al fine di agevolare l’organizzazione camorristica denominata “clan dei Casalesi” nel suo gruppo denominato “Nuova gerarchia del clan dei Casalesi”) di cui al capo 21) dell’imputazione;
NOME era stato condannato alla pena di tre anni e sei mesi di reclusione per il reato di partecipazione all’associazione per delinquere aggravata (a norma dell’art. 416-bis.1 cod. pen., per essere stato tale reato commesso al fine di agevolare l’organizzazione camorristica denominata “clan dei Casalesi”) di cui al capo 2) dell’imputazione;
NOME COGNOME era stato condannato alla pena di due anni di reclusione per il reato di partecipazione all’associazione per delinquere di cui al capo 2) dell’imputazione;
NOME COGNOME era stato condannato alla pena di otto anni di reclusione per i reati di:
9.1) promozione e direzione dell’associazione per delinquere aggravata (a norma dell’art. 416-bis.1 cod. pen., per avere commesso il reato al fine di agevolare l’associazione camorristica denominata “RAGIONE_SOCIALE“, riconducibile alla famiglia “COGNOME“) di cui al capo 2) dell’imputazione;
9.2) furto in abitazione pluriaggravato (dal cosiddetto nesso teleologico e dall’essere stato commesso al fine di agevolare l’associazione camorristica denominata “Clan dei Casalesi”, riconducibile alla famiglia “COGNOME“, nel suo nuovo gruppo criminale qualificatosi “RAGIONE_SOCIALE Casalesi”) in concorso (con soggetti non identificati) di cui al capo 3) dell’imputazione;
9.3) tentata truffa aggravata (dall’essere stata commessa ai danni del Servizio sanitario regionale e al fine di agevolare l’associazione camorristica denominata “Clan dei Casalesi”, riconducibile alla famiglia “COGNOME“, nel suo nuovo gruppo criminale qualificatosi “RAGIONE_SOCIALE“) e continuata in concorso (con NOME COGNOME e con NOME COGNOME) di cui al capo 5) dell’imputazione;
9.4) falsità materiale pluriaggravata (dal cosiddetto nesso teleologico e dall’essere stata commessa al fine di agevolare l’associazione camorristica denominata “Clan dei Casalesi”, riconducibile alla famiglia “COGNOME“, nel suo nuovo gruppo criminale qualificatosi “Nuova Gerarchia del Clan dei Casalesi”) e continuata di cui al capo 6) dell’imputazione;
9.5) truffa pluriaggravata (dall’essere stata commessa ai danni del Servizio sanitario regionale e al fine di agevolare l’associazione camorristica denominata “Clan dei Casalesi”, riconducibile alla famiglia “COGNOME“, nel suo nuovo gruppo criminale qualificatosi “RAGIONE_SOCIALE“) in concorso (con NOME COGNOME e con NOME COGNOME) di cui al capo 8) dell’imputazione;
9.6) falsità materiale pluriaggravata (dal cosiddetto nesso teleologico e dall’essere stata commessa al fine di agevolare l’associazione camorristica denominata “Clan dei Casalesi”, riconducibile alla famiglia “COGNOME“, nel suo nuovo gruppo criminale qualificatosi “Nuova Gerarchia del Clan dei Casalesi”) e continuata di cui al capo 9) dell’imputazione;
9.7) truffa pluriaggravata (dall’essere stata commessa ai danni del Servizio sanitario regionale e al fine di agevolare l’associazione camorristica denominata “Clan dei Casalesi”, riconducibile alla famiglia “COGNOME“, nel suo nuovo gruppo criminale qualificatosi “RAGIONE_SOCIALE“) e continuata in concorso (con NOME COGNOME e con NOME COGNOME) di cui al capo 11) dell’imputazione;
9.8) falsità materiale pluriaggravata (dal cosiddetto nesso teleologico e dall’essere stata commessa al fine di agevolare l’associazione camorristica denominata “Clan dei Casalesi”, riconducibile alla famiglia “COGNOME“, nel suo nuovo gruppo criminale qualificatosi “Nuova Gerarchia del Clan dei Casalesi”) e continuata di cui al capo 12) dell’imputazione.
Avverso la menzionata sentenza del 21/03/2024 della Corte d’appello di Napoli, hanno proposto ricorsi per cassazione, con distinti atti e per il tramite dei propri rispettivi difensori, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il ricorso di NOME COGNOME, a firma dell’avv. NOME COGNOME è affidato a un unico motivo, con il quale il ricorrente deduce, in relazione all’art 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., l’«illogicità della motivazione rilevabile dal testo del provvedimento impugnato».
Il COGNOME premette che la Corte d’appello di Napoli avrebbe ritenuto provata la sua «responsabilità per i reati di cui ai capi 1, 4 e 7 della rubrica» e avreb «denega la concessione delle attenuanti generiche in misura prevalente alla contestata recidiva».
Ciò premesso, il ricorrente denuncia che «alcuna logica valutazione è stata effettuata dalla Corte Partenopea in ordine alla condotta tenuta dall’imputato, soprattutto in riferimento all’assenza di elementi indicativi di una sua reale partecipazione al reato associativo di cui al capo 1. Invero, dalla istruttoria dibattimentale sono emerse delle singole condotte illecite poste in essere dal convenuto (capo 4 e 7) ma completamente avulse dalla realtà associativa».
Il ricorso di NOME COGNOME a firma dell’avv. NOME COGNOME è affidato a quattro motivi.
4.1. Con il primo motivo, la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la mancanza della motivazione con riguardo alla «ritenuta integrazione» della circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.
La COGNOME denuncia che la Corte d’appello di Napoli avrebbe completamente omesso di motivare in ordine al terzo motivo del suo atto di appello, con il quale aveva chiesto l’esclusione della suddetta circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa.
Inoltre, nella sentenza di primo grado, il G.i.p. del Tribunale di Napoli sarebbe incorso nell’inosservanza e nell’erronea applicazione degli artt. 530 e 533 cod. proc. pen., nonché dell’art. 416-bis.1 cod. pen. Dopo avere esposto alcuni principi sul tema della circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa, richiamando, tra l’altro, Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278734-01, la ricorrente afferma che sarebbe «del tutto incongruente (recte: manifestamente apodittico) l’aver ipotizzato la ricorrenza dell’aggravante in oggetto in capo alla COGNOME solo perché legata da vincoli familiari a soggetti appartenenti ad una determinata fazione camorristica e/o perché a conoscenza del curriculum di soggetti implicati nella vicenda per la quale è processo», atteso che ciò non dimostrerebbe che ella aveva agito a vantaggio di un clan.
4.2. Con il secondo motivo, che è proposto in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la ricorrente denuncia che la Corte d’appello di Napoli avrebbe «erroneamente ritenuto configurabile il concorso fra i delitti di cui agli artt. 648 bis o 648-ter c.p. e quello di cui all’art. 416 bis c.p.».
La COGNOME precisa che l’errore nel quale sarebbe incorsa la Corte d’appello di Napoli consisterebbe nell’avere ritenuto la sua responsabilità sia per il delitto di partecipazione all’associazione per delinquere di cui al capo 2) dell’imputazione sia per i delitti di riciclaggio di cui ai capi 14) e 15) dell’imputazione, «omettendo [. la valutazione in concreto dell’operatività della clausola di esclusione di cui all’art 648 bis c.p., nonché l’orientamento, oramai unanime, della giurisprudenza di legittimità».
A quest’ultimo proposito, la ricorrente richiama, in particolare, il principio che è stato affermato dalle Sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza COGNOME (Sez. U, n. 25191 del 27/02/2014, COGNOME), secondo cui «on è configurabile il concorso fra i delitti di cui agli artt. 648-bis o 648-ter cod. pen quello di associazione mafiosa, quando la contestazione di riciclaggio o reimpiego nei confronti dell’associato abbia ad oggetto denaro, beni o utilità provenienti proprio dal delitto di associazione mafiosa, operando in tal caso la clausola di riserva contenuta nelle predette disposizioni» (così la massima Rv. 259587-01).
Richiamato tale principio, la COGNOME asserisce che esso si dovrebbe ritenere applicabile anche nel caso in cui, come nella specie, ricorra il delitto di associazione per delinquere aggravato dall’agevolazione mafiosa, come sarebbe confermato dal fatto che l’art. 76, comma 4-bis, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, esclude l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, oltre che dei condannati per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., anche dei condannati per i reati commessi al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, «sul chiar presupposto», sostiene la ricorrente, che anche il reato di associazione per delinquere aggravato dall’agevolazione mafiosa «possa produrre ex se lucrosi proventi, indipendentemente dai reati fine dell’associazione».
Pertanto, secondo la COGNOME, anche nel caso di specie si dovrebbe ritenere che operi la clausola di esclusione della responsabilità che figura nell’incipit dell’art. 648-bis cod. pen.
La ricorrente sottolinea che anche il G.i.p. che emise la misura cautelare nei suoi confronti ebbe ad affermare come l’associazione per delinquere aggravata dall’agevolazione mafiosa «sia di per sé idonea a produrre proventi illeciti e che quindi possa costituire delitto presupposto del riciclaggio».
4.3. Con il terzo motivo, che è proposto in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la ricorrente denuncia che la Corte d’appello di Napoli avrebbe «erroneamente, ritenuto di poter affermare la penale responsabilità della COGNOME relativamente alla sua partecipazione al reato associativo» di cui al capo 2) dell’imputazione.
Nell’esporre alcuni principi in tema di elementi costitutivi del reato di partecipazione a un’associazione per delinquere e di prova degli stessi elementi, la ricorrente asserisce che, nel caso di specie, non sarebbe stata raggiunta la prova, al di là di ogni ragionevole dubbio, «della stabile messa a disposizione da parte della COGNOME del suo contributo per l’attività dell’associazione, atteso che, la stessa, rivesta, appunto, solo lo status di intestataria di due carte ricaricabili PostePay (su cui, tra l’altro, le movimentazioni “anomale” sono avvenute a distanza di due anni l’una dall’altra), circostanza di per sé idonea ad escludere un contributo causale, se non meramente episodico od occasionale, all’associazione»,
alla quale ella avrebbe, «tutt’al più, prestato un aiuto in maniera del tutto sporadica e saltuaria».
La ricorrente argomenta a seguire che «essun altro elemento estrinsecoesterno, idoneo a suffragare le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, è emerso tale da poter supportare la tesi accusatoria che vuole la COGNOME stabilmente inserita nella compagine associativa. Anzi, è emerso un “buco” collaborativo ed associativo lungo ben due anni! Tale circostanza, non correttamente valutata, è, sicuramente, un elemento di per sé idoneo a deporre in maniera univoca circa la non intraneità della Cotugno nel sodalizio criminoso, stante la natura occasionale, episodica ed isolata della condotta, ed il ruolo marginale svolto dalla stessa».
4.4. Con il quarto motivo, che è proposto in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la ricorrente denuncia che la Corte d’appello di Napoli avrebbe «omesso la valutazione dei criteri di cui all’art. 133 c.p., omettendo altresì la motivazione sul mancato riconoscimento delle attenuanti generiche».
Quanto a tale mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, la ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Napoli avrebbe omesso di valutare la specifica doglianza che ella aveva al riguardo avanzato con l’ultimo motivo del suo atto di appello, come risulterebbe dalla motivazione che figura nel terzo capoverso della pag. 35 della sentenza impugnata, la quale integrerebbe «un difetto assoluto di motivazione».
La Corte d’appello, inoltre, non avrebbe «off alcuna motivazione circa la gravità del fatto e la personalità dell’odierna imputata, tale da giustificare la pena irrogata pari ad anni 4 e mesi 8 di reclusione».
Infine, «in ordine alla richiesta di erogazione del minimo aumento per la continuazione, espressamente articolata con i motivi di appello, alcun tipo di argomentazione grafica è stata resa dalla Corte di Appello Partenopea».
Il ricorso di NOME COGNOME, a firma dell’avv. NOME COGNOME è affidato a tre motivi.
5.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) , cod. proc. pen., la nullità assoluta della sentenza in quanto priva dell’indicazione della data della sua emissione, come previsto dall’art. 546, comma 1, lett. g), dello stesso codice.
Il COGNOME rappresenta che la data di emissione della sentenza impugnata non sarebbe «ricostruibile neppure sulla base di altri elementi indicati nel provvedimento». In particolare, l’indicazione, che figura alla pag. 1, del 11/01/2024 «quale data dell’udienza di trattazione e di lettura del dispositivo» (così il ricorso) risulterebbe «essere erronea (dal momento che vi è stata udienza di lettura del dispositivo il successivo 21 marzo 2024 come emerge dai verbali di
udienza) atteso che se così fosse, considerati i 90 giorni indicati dal Collegio per il deposito, la sentenza risulterebbe depositata fuori termine (e non è stato dato alcun avviso di deposito all’odierno ricorrente)».
5.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la nullità della sentenza, con riferimento agli artt. 178, comma 1, lett. c), 179, 420-bis e 601 dello stesso codice, per l’omessa notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello.
Il COGNOME lamenta che egli, collaboratore di giustizia elettivamente domiciliato presso il Servizio centrale di protezione, non ha mai ricevuto la notificazione del decreto di citazione per il giudizio di appello presso tale Servizio centrale di protezione.
Rappresenta che ciò sarebbe presumibilmente avvenuto in conseguenza di uno scambio di persona con il fratello NOME COGNOME, «erroneamente indicato come c.d.g. domiciliato presso il SCP» (il riferimento è, si deve ritenere, alla pag. 2 della sentenza impugnata), il quale, invece, diversamente da lui, non è mai stato sottoposto a un programma di protezione.
5.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza e l’erronea applicazione degli artt. 62bis e 133 cod. pen. e, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. la mancanza e/o apparenza e l’illogicità della motivazione con riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche e alla determinazione della misura della pena.
Il COGNOME contesta la motivazione della Corte d’appello di Napoli che figura alle pagg. 35-36 della sentenza impugnata, secondo cui la pena irrogata «deve invece ritenersi congrua, avendo riguardo alla gravità del contegno tenuto dall’imputato, il quale, peraltro, ha già beneficiato del riconoscimento delle circostanze attenuanti di cui al comma 3 dell’art. 416 bis c.p. , con cui si è assicurato all’istante un trattamento premiale particolarmente significativo a seguito della dissociazione c.d. attuosa».
Il ricorrente deduce in proposito che «a motivazione è assolutamente carente quanto alla mancata concessione delle attenuanti generiche e del tutto illogica quanto al trattamento sanzionatorio dal momento che è mera clausola di stile ritenere una pena congrua sulla scorta del contegno tenuto dall’imputato (che non si capisce se in relazione al reato commesso ovvero al contegno processuale!) ed in ogni caso del tutto ininfluente è rigettare il motivo in punto di pena sulla scorta dell’intervenuta concessione dell’attenuante della collaborazione che prevede presupposti diversi per la concedibilità ed al più è elemento di favor per la commisurazione della pena piuttosto che, come pare aver ritenuto la Corte, elemento negativo».
Il ricorso di NOME COGNOME, a firma dell’avv. NOME COGNOME è affidato a tre motivi.
6.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 192, commi 1 e 3, dello stesso codice, e dell’art. 416 cod. pen., nonché la carenza, contraddittorietà e illogicità della motivazione con riguardo alla conferma dell’affermazione della sua responsabilità per il reato di partecipazione all’associazione per delinquere di cui al capo 2) dell’imputazione.
NOME COGNOME sostiene che, col ritenere che le dichiarazioni accusatorie di suo fratello e collaboratore di giustizia NOME COGNOME avessero trovato adeguato riscontro nella dichiarazioni accusatorie dell’altro collaboratore di giustizia NOME COGNOME e negli esiti degli accertamenti bancari che erano stati svolti nei suoi confronti, non si sarebbe attenuta ai principi che sono stati affermati dalla Corte di cassazione sul tema della valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e avrebbe violato i criteri di valutazione della prova stabil dall’art. 192 cod. proc. pen., atteso che avrebbe del tutto omesso di operare la necessaria «valutazione, rigorosa e severa» delle dichiarazioni dei suddetti collaboratori, omettendo anche di motivare in modo adeguato in ordine alle censure difensive con le quali era stata chiesta una rivalutazione, appunto, rigorosa, delle medesime dichiarazioni.
Tanto alla luce della circostanza che i due collaboratori di giustizia avrebbero riferito «sul conto dell’imputato fatti e circostanze antitetiche e inconciliabili, da non poter considerare dimostrata la partecipazione del Di Donato NOME al sodalizio» di cui al capo 2) dell’imputazione.
A tale riguardo, il ricorrente denuncia anzitutto che la Corte d’appello di Napoli avrebbe motivato in modo apparente (al terzo capoverso della pag. 36 della sentenza impugnata) e apodittico (al secondo capoverso della pag. 37 della sentenza impugnata) in ordine all’inconciliabilità delle dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia a proposito del ruolo che egli avrebbe avuto all’interno del sodalizio criminoso, atteso che NOME COGNOMEnon attribuisce compiti logistici al fratello (con riferimento alle attività di reperimento dei farmaci poi rivenduti) laddove il COGNOME NOME nelle sue dichiarazioni (vedasi interrogatorio dell’11.05.2018 riportato a pagg 92 e ss. della Sentenza di primo grado e che si allega ) riferisce che i farmaci reperiti attraverso la consegna delle false ricet alle farmacie laziali dallo stesso COGNOME NOME sarebbero stati poi consegnati al COGNOME».
Dopo avere affermato il dovere del giudice di chiarire le ragioni per le quali, «pur in presenza di dichiarazioni discordanti possa individuarsi una convergenza delle stesse che non infici la complessiva ricostruzione delle vicende narrate e per
tale via la dimostrazione del fatto narrato attribuito al singolo soggetto», NOME COGNOME ribadisce che i due collaboratori di giustizia avrebbero riferito «fatti diversi che avrebbero visto coinvolto l’imputato in diverse attività attuative del programma criminoso del sodalizio (operazioni logistiche di ritiro e consegna di farmaci per uno, apertura di un conto corrente presso l’ufficio postale per l’altro) in quanto la narrazione del COGNOME NOME – circa il contributo logistico fornito dal Di NOME NOME – coinvolge la figura del Di NOME COGNOME (collettore dei farmaci acquisiti fraudolentemente che procedeva alla successiva consegna per la spedizione all’estero) che invece nei suoi interrogatori non riferisce di farmaci consegnati dal fratello».
Ne discenderebbe che, con riguardo al ruolo che egli avrebbe rivestito all’interno del sodalizio, i contributi dichiarativi dei due collaboratori di giust non avrebbero potuto ritenersi riscontrarsi reciprocamente, atteso che gli stessi contributi convergevano in realtà esclusivamente «sul dato della titolarità della carta postepay evolution sulla quale venivano accreditate le somme derivanti dalla cessione dei farmaci di illecita provenienza».
Il ricorrente deduce che le dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME sarebbero state tra loro divergenti anche su un altro punto dirimente della vicenda, cioè quello della disponibilità o no delle carte PostePay Evolution nelle mani di NOME COGNOME.
NOME COGNOME rappresenta in proposito che, mentre NOME COGNOME aveva riferito che le suddette carte erano materialmente detenute da NOME COGNOME, NOME COGNOME aveva narrato che il denaro, che costituiva il corrispettivo della vendita dei farmaci provento dei delitti di truffa, veniva materialmente ritirato dai titolari delle carte PostePay e successivamente consegnato in contanti nelle mani di NOME COGNOME.
Il COGNOME denuncia che la Corte d’appello di Napoli avrebbe del tutto omesso di motivare su tale evidente divergenza tra le dichiarazioni dei due collaboratori.
Il ricorrente deduce ancora che la sua disponibilità a farsi intestare la carta Postepay non avrebbe potuto «ad ogni modo assurgere al rango di elemento dimostrativo della sussistenza della affectio tipica del fenomeno associativo» e che tale conclusione sarebbe corroborata dalla circostanza che la richiesta di intestarsi la suddetta carta proveniva da suo fratello NOME COGNOME.
La Corte d’appello di Napoli non avrebbe motivato neppure sulla doglianza con la quale egli aveva rappresentato «l’episodicità della condotta ascritta L.] avuto riguardo alla circostanza che sulla carta Poste Pay intestata al COGNOME NOME erano state effettuate solo sei transazioni in un arco temporale di nove mesi e che, come evidenziato in precedenza, la carta RAGIONE_SOCIALE era nella
esclusiva disponibilità di COGNOME NOME il quale poteva prelevare in autonomia le somme accreditate».
NOME COGNOME afferma che egli avrebbe «assecondato la richiesta del fratello COGNOME, relativa all’intestazione di una carta Poste Pay, ignorando del tutto l’esistenza di un’associazione per delinquere finalizzata ai traffici oggetto del procedimento , ed inconsapevole delle intenzioni criminali del fratello, non essendo neppure a conoscenza di altri soggetti coinvolti nella medesima vicenda». Egli non avrebbe potuto neppure ipotizzare le intenzioni illecite del fratello, atteso che questi era alla sua prima esperienza criminale.
Sarebbe pertanto mancata l’affectio societatis, attesa l’insussistenza di dati dimostrativi della sua coscienza e volontà di partecipare attivamente, mediante il proprio contributo, alla realizzazione del programma delinquenziale in modo stabile e permanente.
6.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 192, commi 1 e 3, dello stesso codice, e dell’art. 648-bis cod. pen., nonché la carenza, contraddittorietà e illogicità della motivazione con riguardo alla conferma della sua responsabilità per il reato di riciclaggio di cui al capo 20) dell’imputazione.
Dopo avere trascritto il terzo, il quarto e il quinto capoverso della pag. 37 e il primo paragrafo della pag. 38 della sentenza impugnata, NOME COGNOME denuncia che la Corte d’appello di Napoli avrebbe motivato «in maniera contraddittoria allorché valorizza il ruolo svolto in seno al sodalizio di cui al cap 2) non limitando lo stesso alla sola intestazione della carta Poste Pay evolution, ma anzi individuando, attraverso la disamina delle dichiarazioni del COGNOME NOME, un contributo concreto del COGNOME all’attività di fraudolenta acquisizione dei farmaci poi rivenduti dal Perrone».
Dopo avere trascritto un ampio stralcio delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME nel corso del suo interrogatorio del 11/05/2018, il ricorrente deduce che la Corte d’appello di Napoli, là dove, ritenendo credibili e riscontrate le stesse dichiarazioni, gli attribuisce un ruolo operativo nell’attività di acquisizio fraudolenta dei farmaci nelle farmacie del Lazio («l’interessato ha preso parte al fenomeno associativo, attraverso il ritiro dei farmaci, attraverso la spendita delle ricette false »; terzo capoverso della pag. 37), cioè un coinvolgimento nel presupposto reato di truffa ai danni del servizio sanitario regionale – mediante, appunto, «la spendita delle ricette false» – finirebbe col confermare l’affermazione della sua responsabilità per il delitto di riciclaggio in spregio alla clausola di riser con la quale si apre la norma di cui all’art. 648-bis cod. pen.; la quale clausola
avrebbe invece imposto, alla luce della ricostruzione operata dalla stessa Corte d’appello, l’esclusione della suddetta responsabilità.
NOME COGNOME denuncia ancora l’inadeguatezza della motivazione («non motiva in maniera adeguata») «poiché nel caso di specie non si ritiene configurabile il reato di riciclaggio trattandosi di condotte – consistit accrediti di somme su una carta di debito direttamente riferibile all’imputato alla quale seguivano dei prelievi di denaro contante – inidonee ad integrare il delitto» suddetto, atteso che, per la configurabilità dello stesso, sarebbe «necessaria una particolare intensità dissimulatoria, che manca nel caso di versamento di bonifico di una somma su un conto corrente intestato allo stesso imputato ed alla successiva attività di prelievo».
Ad avviso del ricorrente, la Corte d’appello di Napoli non avrebbe offerto una congrua e logica motivazione neppure della sussistenza del dolo generico del reato, segnatamente, «della consapevolezza circa la provenienza delittuosa del denaro o del bene, unita a una volontà di ostacolare ogni accertamento circa la provenienza delittuosa di detti beni».
NOME COGNOME ribadisce al riguardo che quanto dichiarato da NOME COGNOME in ordine ai «compiti logistici» che egli avrebbe svolto «nell’attività di reperimento dei farmaci e di prelievo delle somme accreditate non trova conferma nelle affermazioni del Di COGNOME il quale specifica che le carte Poste Pay intestate ai terzi erano materialmente nel possesso di COGNOME NOME».
Ciò sarebbe «sufficiente ad escludere la consapevolezza e la volontà di ostacolare l’accertamento della provenienza delittuosa dei beni difettando la prova che il Di NOME NOME fosse al corrente della movimentazione di denaro e dei relativi traffici illeciti».
6.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza e l’erronea applicazione degli artt. 62 -bis, 81 e 133 cod. pen., nonché la carenza, contraddittorietà e illogicità della motivazione con riguardo «al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche al contenimento della pena nel minimo edittale ed alla riduzione dell’aumento per la continuazione».
NOME COGNOME lamenta che la Corte d’appello di Napoli non avrebbe fornito una congrua e logica motivazione con riguardo ai rilievi difensivi con i quali era stato evidenziato che la sua condotta di vita antecedente al reato avrebbe consentito di riconoscergli le invocate circostanze attenuanti generiche, atteso che si sarebbe limitata a stigmatizzare «la gravità del contegno tenuto dall’imputato, il quale ha fornito all’associazione un contributo importantissimo per la realizzazione del piano criminoso» (primo capoverso della pag. 38 della sentenza impugnata). Il ricorrente ribadisce in proposito che «sulla scorta dei dati
dichiarativi acquisiti e delle indagini espletate poteva considerarsi dimostrata a carico del COGNOME Vincenzo esclusivamente l’intestazione della carta di debito Poste Pay evolution ma non le ulteriori attività riferite dal Moschino».
La Corte d’appello di Napoli avrebbe omesso di motivare anche in ordine al fatto che egli è un soggetto incensurato e senza carichi pendenti e che ha sempre svolto una stabile e lecita attività lavorativa, circostanza, questa, che avrebbe dovuto essere valutata dalla Corte d’appello ai sensi dell’art. 133, secondo comma, n. 2), cod. pen.
La Corte d’appello avrebbe anche trascurato di considerare la circostanza «dell’evidente coinvolgimento del COGNOME NOME nei fatti di cui all’imputazione in virtù del legame familiare con il fratello COGNOME NOME inserito nel gruppo capeggiato dal COGNOME NOME».
Pertanto, una corretta valutazione dei parametri stabiliti dall’art. 133 cod. pen. avrebbe dovuto indurre la Corte d’appello a riconoscere le circostanze attenuanti generiche.
Sotto un ulteriore profilo, la Corte d’appello di Napoli, nel confermare la pena base e gli aumenti per la continuazione, sarebbe incorsa nel medesimo errore nel quale era caduto il G.i.p. del Tribunale di Napoli, «poiché non ha motivato in ordine alle ragioni che portano ad operare tale aumento in virtù della ritenuta continuazione tra le violazioni quantificato nella misura di mesi sei di reclusione per il capo 2)».
Il ricorso di NOME COGNOME a firma dell’avv. NOME COGNOME è affidato a due motivi.
7.1. Il primo motivo è proposto in relazione all’art. 606, comma 1, lett. a), b), c), d) ed e), cod. proc. pen., con riferimento all’art. 125, comma 3, dello stesso codice, e attiene al rigetto, da parte della Corte d’appello di Napoli, del primo motivo di appello con il quale il COGNOME «evidenziava che l’associazione semplice aggravata dall’art. 416 bis n. 1 c.p. relativamente ai farmaci illecitamente commercializzati doveva ritenersi assorbita in quella di 416 bis c.p., associazione camorristica del clan nuova gerarchia dei Casalesi di COGNOME Massimo, per la quale era già intervenuta sentenza di condanna definitiva» (così il titolo del motivo di ricorso).
Il COGNOME espone che, nel proprio atto di appello, aveva evidenziato che le due associazioni (quella di cui al capo 2 dell’imputazione e quella camorristica “Nuova gerarchia del clan dei Casalesi”, per la partecipazione alla quale il ricorrente era già stato condannato) erano contestuali, in quanto «operanti nel medesimo tempo» – sicché «l periodo di consumazione dei reati coincide» – erano «organizzate secondo criteri identici», erano entrambe capeggiate da NOME COGNOME, e anche che, come sarebbe stato affermato anche dal G.i.p. del Tribunale
di Napoli, «tutti coloro che facevano parte della associazione clan dei casalesi facevano parte anche dell’associazione aggravata dall’art. 416 bis c.p. contestata a parte per la commercializzazione dei farmaci acquisiti attraverso prescrizioni mediche false».
Né sarebbe stato «fuori luogo che la nuova gerarchia del clan dei Casalesi si occupi del traffico illecito di farmaci, peraltro consegnando una parte dei profitti al COGNOME NOME che aveva concesso al COGNOME NOME di creare l’associazione Nuova Gerarchia del clan dei Casalesi», con la conseguenza che «l traffico illegale di farmaci, pertanto, può rientrare nello scopo sociale dell’associazione di matrice camorristica».
Ciò posto, il COGNOME lamenta che l’affermazione della Corte d’appello di Napoli dell’esistenza di due distinte associazioni sarebbe «priva di fondamento oltreché di logica», atteso che «in atti non vi sono elementi che confortino questa conclusione anzi tutt’altro».
A tale proposito, il ricorrente rappresenta che, nel proprio atto di appello, aveva sottoposto alla valutazione della Corte d’appello di Napoli degli specifici elementi di prova dai quali si sarebbe potuta evincere l’esistenza di un’unica associazione criminosa camorristica.
In particolare, oltre agli elementi che sono stati indicati sopra, egli aveva evidenziato la portata delle dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME, là dove essi avevano riferito: 1) il primo (NOME COGNOME, che era entrato nel gruppo camorristico denominato “Nuova gerarchia del clan dei Casalesi” nel 2016 e che NOME COGNOME gli «spiegò subito che uno dei settori dai quali traeva un forte guadagno era proprio quello dei farmaci ricettati e mi ordinò di entrare a farne parte» (così l’interrogatorio del 11/05/2018, come riportato a pag. 21 della sentenza di primo grado), sicché tale settore «dei farmaci» si doveva ritenere «una delle attività dell’associazione camorristica (così il ricorso); 2) il secondo (NOME COGNOME), che NOME COGNOME «gestiva questo traffico di farmaci salva vita con metodi tipicamente camorristici perché [… era solito applicare metodi violenti tipicamente camorristici nei confronti di coloro i quali intendevano discostarsi da lui o contraddirlo nelle decisioni e racconta episodi di violenza subita da affiliati e concorrenti nel traffico di farmaci ricettat (così il ricorso).
Tutto ciò esposto, il COGNOME lamenta che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe contraddittoria, illogica e frutto del travisamento della prova, in quanto la Corte d’appello di Napoli avrebbe valutato in modo arbitrario e, appunto, illogico, «le risultanze processuali», in particolare, le indicate dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e le doglianze che, a proposito del contenuto delle stesse dichiarazioni, erano state avanzate nel suo atto di appello.
Sulla premessa che, secondo la Corte d’appello di Napoli, «la prova dell’esistenza delle due associazioni troverebbe la sua essenza nella diversa data di costituzione di esse» (così il ricorso), il COGNOME contesta che la stessa Corte d’appello «ritiene che tale elemento temporale venga riferito dai collaboratori di Giustizia e che però entravano a far parte dell’associazione della Nuova Gerarchia del Clan dei Casalesi Di Donato nel 2015 e Moschino nel luglio del 2016 e nell’occasione della fidelizzazione venivano coinvolti anche nel traffico illecito dei medicinali. Seppure fosse corretto asserire che il COGNOME già nel 2011 svolgesse il traffico di farmaci ricettati non è dato conoscere le modalità i soggetti coinvolt l’esistenza di una associazione a delinquere strutturata o svolta occasionalmente con il concorso nel reato di personaggi sempre diversi».
7.2. Il secondo motivo è proposto in relazione all’art. 606, comma 1, lett. a), b), c), d) ed e), cod. proc. pen., con riferimento all’art. 125, comma 3, dello stesso codice, e attiene al rigetto del motivo di appello con il quale «si chiedeva la concessione delle attenuanti generiche da ritenersi nella massima estensione» (così il titolo del motivo di ricorso).
Nel lamentare che la Corte d’appello di Napoli «sembra utilizzare delle congetture per spiegare il proprio convincimento evitando di svolgere le opportune valutazioni sugli elementi di prova raccolti», il COGNOME deduce ancora: a) che egli «entrava a far parte dell’associazione RAGIONE_SOCIALE del clan dei Casalesi nel luglio 2016 e tra le varie attività illecite si occupava anche del traffico di farmac ricettati e gli unici due reati fine contestati venivano commessi in data 7/03/17 e 24/04/2017 in piena operatività dell’associazione camorristica»; b) quanto all’aggravante dell’associazione “semplice” dell’avere agito al fine di agevolare l’attività del clan dei Casalesi, che «parte dei proventi dell’attività dei farmac veniva consegnata al NOME COGNOME, così come accadeva per tutti gli altri proventi dell’attività dell’associazione camorristica»; c) che non è stata valutata l’indicata dichiarazione del collaboratore di giustizia NOME COGNOME secondo cui NOME COGNOME «aveva metodi violenti camorristici nel gestire l’associazione anche quella dei farmaci ricettati, analoga gestione e metodo per entrambe le associazioni, unicità di esse, i farmaci un’attività illecita dell’associazion camorristica». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Dopo avere esposto che la Corte d’appello di Napoli avrebbe basato la conferma del diniego delle circostanze attenuanti generiche «sulla intrinseca gravità della condotta tenuta dai ricorrenti e della gravità dei fatti» (così il ricorso il COGNOME deduce che «non può dimenticarsi come la concessione del beneficio in parola sia del tutto indipendente dalla valutazione della sola condotta tenuta dagli imputati che non può perciò solo essere ostativa» e che la Corte d’appello
«avrebbe dovuto svolgere una valutazione globale degli elementi caratterizzanti il fatto».
La stessa Corte non avrebbe «offerto un adeguato percorso logico e giuridico ossequioso dei principi di cui all’art. 133 c.p.». Il COGNOME evidenzia proposito come egli sia incensurato e non annoveri altri carichi pendenti e lamenta che la Corte d’appello «sul punto in motivazione non riteneva di spendere alcuna considerazione».
Il ricorso di NOME COGNOME a firma dell’avv. NOME COGNOME è affidato a due motivi.
8.1. Il primo motivo è proposto in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., con riferimento all’art. 125, comma 3, dello stesso codice, e all’art. 81, secondo comma, cod. pen., e ha a oggetto il disconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati sub iudice e quelli giudicati con la sentenza n. 1800/20 del 21/07/2020 della Corte d’appello di Napoli, vincolo che era stato invocato con i motivi di appello.
Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Napoli, nel rigettare tali motivi, «non si confronta con l’analisi degli elementi di prova che, in riferimento al COGNOME, dimostrano l’esistenza di una “continuità temporale ed operativa” tra le condotte di partecipazione ai due reati associativi».
Rappresenta in proposito che: 1) «eppure le indagini hanno accertato che l’associazione finalizzata al traffico dei farmaci era già operativa dal lontano anno 2011 e che la stessa ha operato sino all’arresto dei sodali, risalente al 5/6/2017, la concreta ed effettiva partecipazione del COGNOME NOME all’interno di ta sodalizio è legata alle operazioni di accredito e prelievo delle somme ricavate dalla vendita dei farmaci che, rubricate al capo 21) della contestazione, risultano consumate dal 16/12/2016 al 12/4/2017»; 2) dalla sentenza n. 1800/20 del 21/07/2020 della Corte d’appello di Napoli, «risulta che l’associazione ex art. 416 bis cp (denominata “nuova gerarchia dei RAGIONE_SOCIALE“) si è costituita nel mese di febbraio/marzo 2016 ed ha operato sino al 5/6/2017 (data di esecuzione dell’occ per l’art. 416 bis cp)».
Pertanto, facendo applicazione dei principi che sono stati richiamati dalla Corte d’appello di Napoli, e compiuta «una specifica indagine sulla natura dei vari sodalizi, sulla loro concreta operatività e sulla loro continuità nel tempo» (così a pag. 43 della sentenza impugnata), ne discenderebbe che «l’associazione finalizzata alla vendita dei farmaci vede il ricorrente come partecipe, con specifico ruolo operativo, dal 16/12/2016 al 12/4/2017, quindi, lungo un arco cronologico più ristretto che coincide, sovrapponendosi, alla sua partecipazione all’associazione mafiosa (che si estende dal febbraio/marzo 2016 al 5/6/2017)».
Sarebbe, pertanto, evidente, l’«illegittimità» della motivazione là dove la Corte d’appello di Napoli, «senza un concreto e ragionato confronto con gli elementi di prova», ha escluso l’invocata continuazione argomentando che «il traffico illecito dei farmaci è preesistente alla nascita del nuovo grupp criminale» (pag. 44 della sentenza impugnata).
La denunciata «illegittimità» della motivazione risulterebbe ancor più evidente alla luce dell’attribuzione della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., per avere «agevolato» l’attività dell’associazione camorristica. Secondo il ricorrente, «a contestazione di tale aggravante (caratterizzata dal dolo specifico) e la contestuale partecipazione all’associazione mafiosa qualificano le condotte di partecipazione alle due associazioni, come manifestazione di un “unico programma criminoso”», atteso che «una parte dei proventi realizzati con la vendita dei farmaci salvavita era destinato alla famiglia COGNOME, a titolo di “ricompensa” del benestare rilasciato dal suo capo clan» (così a pag. 40 della sentenza impugnata).
In conclusione, «operando nell’associazione finalizzata al commercio illecito dei farmaci e con le condotte accertate dal 16/12/2016 al 12/4/2017, il ricorrente COGNOME NOME ha, come risulta dalla lettura del capo di imputazione sub 21), agito al fine specifico di “versare nelle casse del sodalizio (mafioso) parte dei proventi dell’illecita attività e così contribuendo a creare una provvista per i pagamento degli stipendi agli affiliati e/o ai propri familiari ed assicurando la sopravvivenza dell’associazione”; di tale condotta ne risultava beneficiario il ricorrente, sia in quanto partecipe dell’associazione mafiosa, sia in quanto partecipe dell’associazione finalizzata al commercio illecito dei farmaci».
8.2. Il secondo motivo è proposto in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., con riferimento all’art. 129 dello stesso codice.
Con tale motivo, il COGNOME deduce che, poiché «a consumazione delle condotte di riciclaggio oggetto del capo di imputazione sub 21) , accertate dal 16/12/16 al 12/4/17, si colloca nel medesimo periodo in cui il ricorrente ha partecipato al delitto associativo ex art. 416 bis cp, con condotta accertata dal febbraio/marzo 2016 al 5/6/2017», ne discenderebbe, secondo il principio che è stato affermato dalle Sezioni unite della Corte di cassazione con la già ricordata sentenza COGNOME, che «on è configurabile il concorso fra i delitti di cui agli artt. 648-bis o 648-ter cod. pen. e quello di associazione mafiosa, quando la contestazione di riciclaggio o reimpiego nei confronti dell’associato abbia ad oggetto denaro, beni o utilità provenienti proprio dal delitto di associazione mafiosa».
NOME COGNOME ha proposto due ricorsi, uno a firma dell’avv. NOME COGNOME e uno a firma dell’avv. NOME COGNOME
9.1. Il ricorso a firma dell’avv. NOME COGNOME è affidato a tre motivi.
9.1.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce: «iolazione di legge e difetto di motivazione, ex art. 606 co I lett. b) ed e) c.p.p., in relazione all’art. 192 co. 3 c.p.p., difetto assoluto, contraddittorietà ed illogicità della motivazione e art. 606 co I lett. e) c.p.p. in relazione all’art. 416 c.p. contestato al capo 2) della rubrica. Violazione dell’art. 533 co I c.p.p. sussistendo elementi probatori tesi ad accreditare un ragionevole dubbio. Violazione di legge ex art. 606 co. I lett. e) c.p.p. per difetto assoluto di motivazione in ordine al periodo di partecipazione al sodalizio ex art. 416 c.p. contestato dal 2011 al giugno 2017».
Tutto con riguardo all’affermazione di responsabilità per il reato di partecipazione all’associazione per delinquere di cui al capo 2) dell’imputazione.
Il ricorrente denuncia la mancanza della motivazione in ordine alle doglianze, che aveva prospettato nel proprio atto di appello, relative alla mancanza di prova dell’elemento soggettivo del reato e al fatto che il RAGIONE_SOCIALE Express da lui gestito era stato aperto solo nel 2014, mentre la contestazione di cui al capo 2) dell’imputazione faceva riferimento alla partecipazione all’associazione per delinquere «dall’anno 2011».
Il Natale contesta la valorizzazione, operata dai giudici del merito, delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME
In particolare, quanto all’affermazione del COGNOME secondo cui «NOME è partecipe del traffico di farmaci illeciti», il ricorrente deduce che, poich si tratterebbe di una chiamata in correità de relato «di cui è ignota la fonte, non avendo mai riferito di aver parlato o avuto rapporti diretti con ricorrente, non avendo indicato la fonte di conoscenza», la stessa chiamata avrebbe dovuto essere oggetto di un più rigoroso e approfondito controllo.
Quanto all’affermazione di NOME COGNOME secondo cui «NOME era perfettamente consapevole del meccanismo illecito, tanto che ne ha parlato più volte personalmente con me», il COGNOME deduce che essa «doveva formare oggetto di espressa valutazione in termini di credibilità intrinseca della dichiarazione, risultando necessario indagare, alla luce del contenuto delle conversazioni ambientali di seguito riportate, sulle circostanze concrete di tempo e luogo in cui poteva essere avvenuto il colloquio tra il loquens ed il ricorrente, nonché sulla effettiva natura e sussistenza di rapporti (di frequentazione di familiarità) tra i due, in ragione dell’assenza di elementi probatori attestant l’esistenza di pregressi rapporti con il Natale che lui stesso definiva come soggetto che non serviva a niente perché era “caca sotto, insallanuto e scemo”».
Tanto dedotto, il ricorrente rappresenta che, nel proprio atto di appello, aveva segnalato l’esistenza di intercettate conversazioni tra presenti il cui contenuto si
sarebbe poste in evidente contrasto con le affermazioni dei collaboratori di giustizia.
Dopo avere riportato uno stralcio delle conversazioni n. 289 e n. 731 del 02/05/2017 (pag. 4 del ricorso), il Natale argomenta che tale elemento probatorio, la cui rilevanza era stata da lui rappresentata alla Corte d’appello di Napoli, «appariva decisivo ed in palese contrasto con l’affermazione del Moschino Luigi, che palesava poca considerazione del Natale, soggetto al quale lui non si sarebbe mai rivolto “non ci stava la ragazza tua altrimenti io chiamavo a te io!” che si limitava a fare le spedizioni “questo che fa, non fa niente? … niente proprio …?”». Il ricorrente lamenta che, «ispetto a tale informazione probatoria – che, lo si ribadisce, restituisce una fotografia del ricorrente quale soggetto che non voleva aver niente a che vedere con la famiglia COGNOME e con la stessa famiglia della fidanzata, tant’è che nella conversazione immediatamente successiva (n. 752 del 02/05/2017) il COGNOME Luigi ed il COGNOME continuano a commentare la inutilità del ricorrente – ovvero impossibilità di un suo coinvolgimento nelle vicende illecite di cui si occupano – si afferma “questo non sa nemmeno dove sta di casa. NOME dice che il suocero glielo diceva che questo non serve proprio” – la sentenza impugnata non appare dirsi integrare o rafforzare il difetto di analisi operato della sentenza di primo grado».
Il ricorrente lamenta che la doglianza, da lui avanzata alla Corte d’appello di Napoli, dell’assenza di un riscontro alle dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia in ordine alla sua partecipazione al sodalizio criminoso «che andasse oltre lo svolgimento dell’attività di spedizioniere svolta in qualità di gestore del RAGIONE_SOCIALE», non sarebbe stata affrontata e superata dalla Corte d’appello, atteso che questa si sarebbe «limita ad analizzare la sovrapponibilità delle dichiarazioni dei collaboratori ritenute riscontrate dal semplice dato notorio, costituito dalla circostanza che effettivamente il Natale gestisse il box Express e che avesse effettuato la spedizione di pacchi per conto del Perrone RAGIONE_SOCIALE».
La Corte d’appello di Napoli non avrebbe però «effettua alcuna analisi in ordine all’assenza di elementi probatori da cui ricavare la consapevolezza del NOME in relazione al contenuto dei pacchi che venivano ricevuti e spediti dai soggetti di cui si avvaleva il COGNOME NOME e che non lo inserivano come soggetto facente parte del gruppo». La stessa Corte d’appello avrebbe «completamente pretermesso l’analisi di una sovrapponibilità del narrato nella parte in cui si ricostruiva una consapevolezza del ricorrente del contenuto dei pacchi e delle attività poste in essere dal COGNOME NOME e da coloro che lo collaboravano, rispetto alla quale, come evidenziato nelle conversazioni ambientali su indicate, e non valutate, manca una condivisione/adesione al programma criminoso dell’associazione».
I giudici partenopei avrebbero anche omesso di considerare l’elemento, che era stato pure esso evidenziato nell’atto di appello, «sintomatico della non necessarietà dell’attività del Natale rispetto ai traffici illeciti» di NOME COGNOME costituito dal fatto che questi li «aveva in essere già da epoca precedente l’apertura del box express della suocera del Natale».
Il Natale lamenta al riguardo che sarebbe «stato completamente pretermesso il momento ingresso nell’associazione in questione», tenuto conto del fatto che, come era stato segnalato nell’atto di appello, «il RAGIONE_SOCIALE Express gestito dal ricorrente veniva aperto solo nel 2014, cosicché appare impossibile che abbia posto in essere l’attività cristallizzata nell’imputazione a far data dal 2011 . talché, il COGNOME NOME era in grado di raggiungere i propri obiettivi a prescindere da un coinvolgimento del ricorrente». Sarebbe stato pertanto necessario, «come sollecitato con l’atto di gravame, che il giudice del gravame non solo delimitasse il perimetro temporale di partecipazione del ricorrente all’associazione, già in essere per come contestato dal 2011, ma al contempo risultava necessario individuare gli elementi probatori che evidenziassero per quale ragione ed in quale momento il contributo del NOME NOME fosse divenuto essenziale al programma criminoso, già attuato negli anni precedenti il 2014 ed attuabile a prescindere dal ricorrente medesimo. Ben, invero, poteva alla luce degli elementi probatori segnalati dalla difesa inserirsi come occasionale, nella ragionevole tesi alternativa prospettata dalla difesa sulla quale, pure si segnala, una completa assenza di analisi e di motivazione».
La sua «mancata partecipazione ai reati fine» e «l’assenza di elementi probatori tesi a documentare la volontà di partecipare al sodalizio capeggiato dal COGNOME» avrebbero «dovuto formare oggetto di specifica analisi, anche e soprattutto in ragione delle emergenze probatorie attestanti una tesi alternativa, ovvero un coinvolgimento occasionale e temporaneamente funzionale in quel momento storico ad un programma criminoso a cui non aveva mai manifestato adesione il Natale».
Quanto alla valorizzazione, da parte dei giudici del merito, dell’affermazione del collaboratore di giustizia NOME COGNOME secondo cui il Natale sarebbe stato coinvolto nell’organizzazione di un incontro, presso un campo sportivo, tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, il ricorrente deduce che «non viene indicato quale sia l’elemento esterno di riscontro individualizzante». Di conseguenza, non sarebbe «logico far derivare la consapevolezza del NOME in ragione dei rapporti personali tra il predetto con esponenti del gruppo COGNOME “ragion per cui appariva poco verosimile che egli fosse ignaro del contenuto dei pacchi” omettendo di analizzare il contenuto di segno contrario delle conversazioni intercettate e segnalate».
La Corte d’appello di Napoli avrebbe omesso anche di considerare il contenuto delle intercettate conversazioni che erano intercorse nel 2017 tra NOME COGNOME e NOME COGNOME soggetto che si recava presso il Box Express a consegnare i pacchi al Natale, «dalla cui lettura poteva ricavarsi tutt’altro che una “partecipazione o condivisione” del Natale NOME rispetto alle attività del gruppo». Il ricorrente invoca in particolare: la conversazione n. 330 del 05/04/2017 che è riportata alle pagg. 130-131 della sentenza di primo grado, là dove il COGNOME diceva al COGNOME «eh a posto NOME, ora metti tutto nei pacchi, non farli rompere … hai capito? E chiudili”; la successiva conversazione n. 331 del 05/04/2017, nella quale «il COGNOME chiedeva al COGNOME di avvisare il soggetto a cui deve consegnare i pacchi per la spedizione che stava andando a consegnarli, strano che il COGNOME non avesse familiarità, confidenza con il ricorrente proprio in ragione del ruolo che costui svolgeva nell’ambito del sodalizio».
Il ricorrente ribadisce che, a fronte di un motivo di appello con il quale era stata argomentata la sua mancanza di consapevolezza di partecipare all’associazione per delinquere – chiedendo che fosse verificato «il forte contrasto tra le affermazioni dei due loquentes con il contenuto delle conversazioni telefoniche ed ambientali fin qui evidenziate» -, la Corte d’appello di Napoli avrebbe «omesso qualsivoglia motivazione, anche in punto di incompatibilità, ovvero di insussistenza di un ragionevole dubbio, rispetto ad una ricostruzione alternativa, derivante dalla lettura degli atti e prospettata dalla difesa».
Entrambi i giudici del merito avrebbero inoltre travisato la prova.
9.1.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce: «iolazione di legge ex art. 606 co I lett. b) ed e) c.p.p., in relazione agli artt. 125 co 3 c.p.p. ed art. 416 bis I c.p. difetto assoluto, contraddittorietà ed illogicità della motivazione», con riguardo alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di avere agito al fine di agevolare l’associazione camorristica “Clan dei Casalesi”, riconducibile alla famiglia “COGNOME“.
Dopo avere trascritto la motivazione che, a tale riguardo, è contenuta nel primo capoverso della pag. 46 della sentenza impugnata, il COGNOME lamenta che «non si comprende come possa la Corte in assenza della indicazione di elementi esterni individualizzanti di riscontro al narrato del collaboratore di giustizia NOME COGNOME quindi in palese violazione dell’art. 192 co. 3 c.p.p., ritenere dimostrata la sussistenza in capo al ricorrente della finalità specifica di agevolare il clan, ponendo in essere la condotta contestata al capo 2) della rubrica, ed in relazione ad un’attività che il COGNOME Massimo poneva in essere già prima del 2016 ovvero, come contestato, dal 2011. Del resto, lo stesso COGNOME, affermava che “COGNOME Massimo ha sempre detto a me e COGNOME che questa era una sua
attività privata e che quindi i proventi che ne derivavano erano solo i suoi (cfr pag. 91 della sentenza di primo grado)».
Mancherebbe, pertanto, nella sentenza impugnata, «un’analisi della valutazione probatoria del narrato del loquens sulla posizione del ricorrente, che doveva aver fatto proprio il motivo a delinquere del correo (occorreva dimostrare il momento e l’effettiva conoscenza di tale ulteriore finalità che il COGNOME aveva in animo di raggiungere con l’attività di traffico illecito di farmaci) che non trovava conferma in nessun elemento esterno individualizzante, trattandosi, per vero, di chiamata in correità de relato, senza l’indicazione della fonte da cui aveva appreso l’informazione».
Nella motivazione della sentenza impugnata mancherebbe anche «la indicazione dell’elemento probatorio attestante la conoscenza del Natale del contenuto dell’incontro in questione e cioè che nel corso di quell’incontro del 2016 l’attività del COGNOME Massimo, avendo ad oggetto il traffico illecito di farmaci L.] fosse stata destinata anche ad agevolare il clan dei Casalesi fazione COGNOME, attraverso il versamento di somme di denaro».
Il ricorrente deduce ancora chb «nemmeno la semplice conoscenza che il COGNOME Massimo avesse rapporti con esponenti del gruppo di COGNOME NOME poteva bastare a dimostrare la consapevolezza che l’attività “privata” del COGNOME Massimo posta in essere dal 2011 fosse destinata ad agevolare il clan dei casalesi».
Il Natale lamenta altresì che la Corte d’appello di Napoli, a fronte delle censure che egli aveva mosso al percorso argomentativo della sentenza di primo grado, si sarebbe limitata a «riproporre immotivatamente ed illogicamente le stesse argomentazioni».
In particolare, l’argomentazione che fondava la sua consapevolezza dell’agevolazione del “RAGIONE_SOCIALE” sull’essere stato il promotore dell’incontro del 2016 tra NOME COGNOME e NOME COGNOME «veniva ribadita dalla Corte d’Appello senza che venisse effettuata una indicazione dell’elemento probatorio di riscontro esterno che potesse individualizzare il ruolo effettivamente svolto dal Natale nell’incontro in questione (incontro al quale non partecipava il ricorrente e rispetto al quale non viene indicato nemmeno per quali ragioni dovesse conoscerne il contenuto), omettendo di considerare quanto segnalato in ordine al contenuto delle conversazioni ambientali registrate il 02/05/2017 nel corso delle quali si evidenziava la assoluta riluttanza del ricorrente ad avere rapporti con la famiglia COGNOME, manifestando apertamente la volontà di non voler essere coinvolto».
Sotto altro profilo, il «rapporto di affinità del ricorrente con il figl COGNOME NOME fidanzato con la sorella della fidanzata del NOME» non
potrebbe, «di per sé, risultare indicativo nemmeno di una frequentazione» e sarebbe «inconferente rispetto alla necessità di dimostrare la consapevolezza della finalizzazione della condotta del COGNOME Massimo».
Il Natale conclude che la Corte d’appello di Napoli si sarebbe «limita all’affermazione apodittica della sussistenza dell’aggravante in questione, non preoccupandosi di evidenziare quali siano gli elementi probatori che la giustifichino, e dai quali possa inferirsi in capo al ricorrente la specifi finalizzazione della condotta contestata al capo 2 della rubrica, ovvero la consapevolezza che i correi avessero tale finalità, di talché la motivazione sul punto risulta essere solo apparente».
9.1.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce: «ifetto assoluto, contraddittorietà e illogicità della motivazione ex art. 606 co. I lett. e) c.p.p. in relazione al trattamento sanzionatorio e alla concessione delle attenuanti generiche».
Il ricorrente deduce come «nel caso di specie appaia immotivata la condanna che non tenga conto del dato dirimente della condotta collaborativa tenuta dall’imputato».
Secondo il Natale, nella sentenza impugnata «le censure mosse dalla difesa vengono solo apparentemente superate: se da un lato, si prende atto dell’atteggiamento collaborativo dell’imputato; dall’altro si esclude che questo possa giustificare la concessione delle attenuanti generiche in ossequio a quanto era stato ritenuto dal Giudice di prime cure».
Il Natale ribadisce di avere «serbato un comportamento assolutamente corretto e rispettoso nell’intero corso del processo, anche in epoca non sospetta, in sede di perquisizione il Natale ha fornito una piena e fattiva collaborazione indicando le spedizioni gestite dal COGNOME».
Pertanto, dalla sentenza impugnata non emergerebbero «quegli elementi che consentirebbero di carpire le motivazioni sottese alla mancata concessione delle circostanze attenuanti», con la conseguenza che la stessa sentenza dovrebbe essere annullata «ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p.».
9.2. Il ricorso a firma dell’avv. NOME COGNOME è anch’esso affidato a tre motivi.
9.2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce: «iolazione dell’art. 606, I comma, lett. c) ed e) in relazione agli artt. 190, 192 III e IV comma, 533, 546, I comma, lett. e) c.p.p., 416 commi 1, 2, 3 e 5 c.p. e 416 bis c.p., per avere la Corte di Appello di Napoli, nel valorizzare – ricorrendo ad una motivazione “generica” e “cumulativa” – gli elementi di prova dichiarativa, posti a sostegno dell’affermazione di responsabilità del ricorrente NOME COGNOME rappresentati,
ad avviso della Corte, dalla “chiamata in correità” proveniente dai collaboratori di giustizia COGNOME e COGNOME NOME, omesso di dare adeguata risposta alle dettagliate argomentazioni difensive – pur richiamate “genericamente” in sentenza – aventi ad oggetto “l’incoerenza, la contraddittorietà, la divergenza e l’assoluta inconciliabilità ed assenza di sovrapponibilità” dei singoli apporti dichiarativi – con specifico riferimento alle fasi ideativa, deliberativa e organizzativa, oltre che esecutiva – idonei ad incidere sul nucleo centrale del racconto ed a minare l’attendibilità intrinseca ed estrinseca dei singoli dichiaranti e del loro dichiarato – valutazione parziale e travisante delle fonti di prova dichiarativa – omessa valutazione di elementi decisivi idonei ad incidere sul giudizio di responsabilità del ricorrente – omessa e travisante motivazione, con riferimento alle dettagliate doglianze difensive, per avere la Corte erroneamente ritenuto di avere adempiuto ai propri doveri motivazionali limitandosi ad elencare le doglianze difensive, piuttosto che valutarle separatamente e partitamente violazione del diritto alla prova – violazione di legge».
Nel prendere le mosse dall’affermazione che gli elementi su cui si fonda il riconoscimento della sua responsabilità per il reato di partecipazione all’associazione per delinquere aggravata di cui al capo 2) dell’imputazione sono costituiti dalle dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME il ricorrente denuncia «l’assoluta mancanza di qualsivoglia riscontro oggettivo tale a supportarne il contenuto e la veridicità».
Quanto, in particolare, alle affermazioni del Di COGNOME secondo cui NOME COGNOME sarebbe stato «una parte attiva di tale meccanismo perché cognato di COGNOME NOME, figlio di COGNOME NOME» e, in virtù di tale relazione, avrebbe organizzato l’incontro tra NOME COGNOME e NOME COGNOME a seguito del quale quest’ultimo avrebbe autorizzato il COGNOME a operare nel territorio casertano controllato dal clan che faceva capo allo stesso NOME COGNOME, il ricorrente deduce che: a) «il ruolo di “parte attiva” in seno all’organizzazione criminale dovuto al legame matrimoniale con la sig.na NOME COGNOME sorella della moglie di NOME COGNOME, figlio di NOME COGNOME, è frutto di una pura e semplice congettura in considerazione dello stato di assoluta incensuratezza del NOME NOME da sempre onesto lavoratore»; b) la circostanza di avere organizzato il menzionato incontro tra NOME COGNOME e NOME COGNOME non avrebbe «trovato alcun riscontro oggettivo nel corso dell’attività di indagine, ma anzi le intercettazioni ambientali hanno fornito un quadro totalmente diverso», e la stessa circostanza «appare tanto più carente, laddove non sono mai emersi legami di natura illecita tra la famiglia COGNOME e la famiglia COGNOME»; c) nel corso del suo interrogatorio del 03/07/2017, il COGNOME aveva dichiarato che «COGNOME NOME ha sempre detto a me e a COGNOME
NOME che questa era una sua attività privata e che quindi i proventi che ne derivavano erano solo suoi».
Secondo il Natale, la circostanza di avere agevolato il clan camorristico sarebbe «destituita di fondamento atteso che il COGNOME gestiva tale segmento criminale sin dall’anno 2011, ovvero i epoca ben lontana e non correlata alla “presunta autorizzazione del COGNOME” avvenuta nell’anno 2016».
Quanto alle dichiarazioni di NOME COGNOME il ricorrente deduce che «non vi sono riscontri oggettivamente comprovanti la consapevolezza del Natale sul contenuto dei pacchi già imballati che provvedeva a spedire; circostanza, questa, agevolmente evincibile nel corso dell’intercettazione tra il COGNOME ed il COGNOME dove si fa riferimento solo alle confezioni di farmaci prelevati dal Natale senza alcun riferimento della conoscenza da parte di quest’ultimo del contenuto».
Il Natale asserisce che la sua «totale estraneità ai fatti contestati» e la sua «assoluta buona fede» emergerebbero dal «comportamento tenuto nel corso dell’attività di perquisizione del 02/05/2018, laddove venne fornita da subito un’ampia collaborazione indicando tutte le spedizioni gestite dal COGNOME. Appare evidente che, allorquando il Natale fosse stato a conoscenza della natura illecita delle spedizioni, non avrebbe messo a disposizione della A.G. documentazione difficilmente rintracciabile».
La Corte d’appello di Napoli, invece di confutare adeguatamente le indicate specifiche doglianze che erano state prospettate dall’imputato nel proprio atto di appello, si sarebbe «limita a “riassumerle”, svilendole nel loro significato pregnante e decisivo ai fini dell’affermazione di responsabilità, incorrendo in un’eclatante violazione del diritto di difesa dell’imputato e del diritto alla prov allorquando, come evidenziato, alcun riscontro ab externo delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia è stato individuato».
E ciò nonostante la propria difesa, «nell’evidenziare le numerose ed insuperabili discrasie emergenti dal raffronto tra le dichiarazioni rese dai singoli propalanti», avesse inteso rappresentare «l’insussistenza della prova certa della sua partecipazione alle fasi ideativa, deliberativa ed organizzativa, trattandosi di uno spedizioniere che non ha esitato a fornire fin dalla genetica fase delle indagini ogni collaborazione possibile, nella inconsapevolezza assoluta del contenuto dei pacchi che provvedeva a spedire».
La propria difesa aveva in particolare evidenziato «le insuperabili divergenze emergenti dal confronto tra i narrati delle fonti dichiarative, soprattutto, co specifico riferimento alla “generica”, ed in quanto tale “indimostrata ed indimostrabile” consapevolezza del Natale del contenuto dei pacchi su citati».
Il ricorrente asserisce che «le discrasie e discrepanze relative alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia» risulterebbero evidenti mettendo le stesse dichiarazioni a confronto col compendio probatorio che era stato posto sostegno dell’ordinanza cautelare n. 104/18 nei confronti di NOME COGNOME, in particolare, con il contenuto di «intercettazioni sia telefoniche che ambientali che cozzano clamorosamente con la imputazione odierna».
Il Natale argomenta in proposito che, «se il collaboratore COGNOME fa risalire la conoscenza del COGNOME NOME e del COGNOME NOME avvenuta per il tramite del sig. NOME al dicembre del 2016 salvo poi “rettificare” e ricondurla ad una data in cui il COGNOME era libero e segnatamente febbraio 2016, non si comprende la correlazione del percorso logico argomentativo della Corte di Appello rispetto a tale dichiarazione con l’altra dichiarazione del COGNOME incentrata sulla circostanza che l’attività riferita ai farmaci era di esclusiva pertinenza del Perrone».
Ad avviso del ricorrente, la riprova che la Corte d’appello di Napoli sarebbe incorsa in una motivazione «travisante ed incomprensibile» sarebbe rinvenibile in quanto affermato dalla stessa Corte nel secondo, terzo, quarto e quinto capoverso della pag. 40 e nel primo capoverso della pag. 41 della sentenza impugnata, passaggi motivazionali che il ricorrente trascrive alle pagine settima e ottava del proprio ricorso.
Secondo il difensore del Natale, la trascritta motivazione sarebbe «apparente allorquando la Corte di Appello di Napoli motiva sia sulla colpevolezza nonché sulla correttezza della contestazione dell’aggravante ex art. 416 bis 1 c.p. facendo riferimento ad una sentenza, la n° 1800/2020 della Corte di Appello di Napoli ove non compare nella maniera più assoluta il mio assistito, soggetto assolutamente incensurato e mai neanche indagato nel processo di cui alla sentenza su riportata».
Il ricorrente sottolinea ancora che «quanto intercettato a carico di affiliati de COGNOME e segnatamente Moschino e COGNOME in data 02/05/2017, mal si concilia con la prospettazione accusatoria, allorquando gli stessi nel corso della loro conversazione, nel commentare le qualità del sig. NOME come spedizioniere, lo descrivevano come persona non avvezza al malaffare e certamente non inserita in contesti criminali».
Un’altra «circostanza dirimente» sarebbe quella che «attiene all’epoca in cui la condotta criminosa sarebbe iniziata», atteso che sarebbe «irreale la contestazione formulata a carico del sig. COGNOME allorquando nel capo di imputazione si cristallizza l’epoca di commissione dei fatti a far data dall’anno 2011 ovvero ben 4 anni prima dell’avvio da parte del prevenuto dell’attività di spedizioniere».
Tutte le indicate argomentazioni non sarebbero state vagliate dalla Corte d’appello di Napoli, pur a fronte della prospettazione, da parte della difesa dell’imputato, di una tesi alternativa, basata sulle stesse argomentazioni, le quali sarebbero state «idonee a dimostrare l’assoluta estraneità, ai fatti contestati».
9.2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce: ««iolazione dell’art. 606, I comma, lett. c) ed e) in relazione agli artt. 125, III comma, 190, 192, 533 e 546, I comma, lett. e) c.p.p. per avere i Giudici della Corte di Appello di Napoli: a) omesso di dare conto delle specifiche doglianze difensive con particolare riferimento al giudizio di attendibilità dei dichiaranti e della autonomia delle singol chiamate – omessa motivazione circa il vaglio di attendibilità intrinseca ed estrinseca dei dichiaranti e dell’autonomia del dichiarato – violazione del diritto alla prova».
Il Natale lamenta che la Corte d’appello di Napoli avrebbe omesso di valutare le argomentazioni difensive con le quali «era stata evidenziata l’assenza di autonomia tra le fonti dichiarative», così violando sia il diritto di dife dell’imputato sia i principi affermati dalla Corte di cassazione in tema di autonomia delle chiamate in correità.
Inoltre, la Corte d’appello di Napoli, con l’affermare che le dichiarazioni di NOME COGNOME e di NOME COGNOME sarebbero state «logiche e coerenti in quanto a conoscenza dei fatti per il ruolo rivestito nell’associazione ed a conoscenza dei legami familiari che legavano il sig. COGNOME ai massimi esponenti del medesimo clan» (così il ricorso), sarebbe incorsa «in due macroscopiche violazioni», in quanto avrebbe: a) «omesso di compiere qualsiasi valutazione dell’attendibilità intrinseca delle chiamate»; b) «del tutto illogicamente ed immotivatamente, valorizzato l’apporto dichiarativo proveniente dai collaboratori di giustizia COGNOME e del COGNOME Luigi omettendo, viceversa, inspiegabilmente, di dare conto, attraverso una valutazione parziale e malevola del dichiarato del propalante, il valore liberatorio rappresentato da quelle stesse dichiarazioni nella parte nella quale il collaboratore chiariva che l’attività di contrabbando di farmaci era di assoluta pertinenza del COGNOME sin dall’anno 2011».
Pertanto, la Corte d’appello di Napoli, «ricorrendo ad una motivazione “cumulativa” e “generica”, sia delle emergenze processuali che delle specifiche doglianze difensive», sarebbe pervenuta ad una decisione viziata in quanto adottata in violazione del principio, affermato dalla Corte di Cassazione, secondo cui il giudice di appello deve dare compiutamente conto degli specifici motivi di impugnazione e deve argomentare in ordine a tali motivi in quanto dotati del requisito della decisività.
9.2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce: ««iolazione dell’art. 606, I comma, lett. d) ed e), c.p.p. in relazione agli artt. 62 bis, 416 bis 1 e 133 c.p. per
essere incorsa la Corte di Appello di Napoli, adottando una motivazione “cumulativa”, in una evidente omessa motivazione sulle richieste subordinate avanzate dalla difesa del ricorrente».
Il ricorrente lamenta che le argomentazioni sulla base delle quali la Corte d’appello di Napoli ha confermato il diniego delle circostanze attenuanti generiche e ha ritenuto la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. sarebbero «illogiche ed incomprensibili».
9.2.3.1. Quanto alla conferma del diniego delle circostanze attenuanti generiche, il ricorrente deduce che egli, contrariamente a quanto avrebbe affermato la Corte d’appello di Napoli, «ha sempre serbato un comportamento corretto e rispettoso sia durante il periodo di sottoposizione alla misura custodiale sia nel corso dell’intero processo, ma ancor di più durante la fase delle indagini preliminari fornendo in sede di interrogatorio elementi utili a chiarire la propr posizione».
Inoltre, «nel corso della perquisizione sin da subito ha fornito una piena e fattiva collaborazione agli organi di polizia indicando le spedizioni gestite dal COGNOME».
Tale sua condotta, unitamente all’assenza di precedenti penali, avrebbe dovuto portare al riconoscimento le circostanze attenuanti generiche.
9.2.3.2. Quanto alla ritenuta sussistenza dell’aggravante dell’agevolazione dell’associazione camorristica “Clan dei Casalesi”, il ricorrente deduce che la motivazione, in quanto «sembra trovare fondamento esclusivamente sul vincolo familiare che lega il sig. NOME con la famiglia COGNOME», sarebbe «incomprensibile».
Il ricorrente rappresenta al riguardo che: a) «sono proprio le dichiarazioni e le intercettazioni dei collaboratori di giustizia a far ritenere il Natale del t estraneo a contesti criminali ed associativi», atteso che, «se è vero, come riferito dal collaboratore COGNOME, che il COGNOME gestiva militarmente la propria organizzazione avrebbe avuto un ben altro comportamento verso un “presunto affiliato”»; b) rileverebbe anche «la valutazione personale del Natale che si evince dalle intercettazioni riguardanti il COGNOME ed il COGNOME i quali non hanno mai esitato a definirlo con aggettivi poco lusinghieri, circostanza che mal si concilia di nuovo con la asserita gestione militare dell’associazione da parte del COGNOME», atteso che, «se il NOME avesse rivestito la qualità di associato, peraltro con quelle “parentele” indicate, non avrebbe potuto essere trattato in quel modo da costoro, ma ancor di più non avrebbe potuto sottrarsi ad alcunché di richiesto quale appoggio alla associazione»; c) egli fornì «totale collaborazione» alla polizia giudiziaria in occasione della perquisizione subita e se «non fosse stato assolutamente inconsapevole dell’oggetto delle spedizioni non si sarebbe
adoperato con le FF.00. ad indicare tutte le spedizioni riconducibili al COGNOME fornendo peraltro adeguata documentazione. Circostanze che mal si conciliano con il presunto benestare al COGNOME addirittura del COGNOME NOME che avrebbe visto un proprio affiliato addirittura collaborare con la A.G.»; d) «il vincolo familia descritto con la famiglia COGNOME ha finito per rappresentare un pregiudizio che ha fortemente gravato sulla posizione»; e) qualora «effettivamente avesse ricoperto un ruolo nell’associazione a delinquere di cui all’odierno processo, né il COGNOME né chiunque altro avrebbe potuto tenere tali comportamenti nei suoi confronti, ma proprio la inesistenza di tali vincoli illeciti ha fatto sì che si pote arrivare addirittura alla minaccia fisica dello stesso»; f) «se tale legame è alla base del riconoscimento dell’aggravante contestata, davvero non si comprende il ragionamento logico argomentativo che ha portato la Corte di appello a ritenere lo stretto vincolo familiare che lega COGNOME NOME a COGNOME NOME e COGNOME NOME a COGNOME NOME, di per sé non sufficiente ad integrarla», con una «disparità appare non solo illogica ma assolutamente incomprensibile».
Il ricorso di NOME COGNOME a firma dell’avv. NOME COGNOME, è affidato a un unico motivo, con il quale il ricorrente deduce, in relazione all’art 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., e con riferimento all’art. 133 cod. pen., la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.
Il ricorrente denuncia la «omessa, apparente od apodittica motivazione in ordine all’entità della pena ed alla errata valutazione della gravità del reato nella commisurazione della pena».
La motivazione sarebbe «caratterizzata da uno schema riepilogativo e acritico del capo di imputazione».
Essa sarebbe solo apparente, atteso che «on pare , contrariamente a quanto si legge in sentenza, che l’Impugnato Giudice abbia prestato il dovuto ossequio imposto dalla legge nell’applicazione della dosimetria sanzionatoria ai criteri ed i parametri di cui all’art. 133 del codice penale né tanto meno sembra diafano il percorso logico argomentativo che sottende a tale risultato. Tale laconica motivazione realizza un evidente vizio motivazionale che determina, ovvero concorre a determinare la nullità della sentenza» per non avere la Corte d’appello di Napoli rispettato il principio, affermato dalla Corte di cassazione, secondo cui il giudice deve motivare in modo congruo e logico il rigetto delle richieste di parte.
Il ricorso di NOME COGNOME a firma dell’avv. NOME COGNOME, è affidato a cinque motivi.
10.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla conferma della sua responsabilità per
il reato di promozione e direzione dell’associazione per delinquere di cui al capo 2) dell’imputazione.
Il COGNOME espone che, con il proprio atto di appello, «rappresentava come le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia su cui si fonda la sentenza di condanna fossero tutt’altro che lineari, convergenti e riscontrate atteso che le intercettazioni telefoniche per il loro tenore devono considerarsi del tutto neutre».
Tanto esposto, il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Napoli non si sarebbe confrontata con tali «richieste difensive circa la valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia i quali rend propalazioni discordanti tra di loro e circa l’assenza di riscontri esterni al dichiarazioni dei suindicati», in quanto si sarebbe limitata a «riporta quanto asserito dal Giudice di prime cure», rendendo una motivazione basata su argomentazioni di puro stile e, perciò, meramente apparente.
10.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) , cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’art. 649 dello stesso codice per avere la Corte d’appello di Napoli ritenuto «le condotte imputate al COGNOME non assorbite dalla sentenza n. 1800/2020 emessa dalla Corte di appello di Napoli».
Il ricorrente premette che, con tale sentenza, passata in giudicato, egli è stato condannato per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. «per aver fatto parte dell’associazione di stampo camorristico di COGNOME NOME» e che, nella stessa sentenza, «veniva dato atto della nascita del nuovo gruppo criminale denominato “nuova gerarchia dei casalesi” al cui vertice vi era COGNOME NOME il quale operava con il benestare di COGNOME NOME».
NOME COGNOME espone quindi che il presente procedimento penale trarrebbe origine da un’attività di polizia giudiziaria diretta a contrastare il fenomeno de traffico illecito di farmaci riconducibile a un gruppo di soggetti affiliati al “Clan Casalesi” e, in particolare, al nuovo gruppo denominato “Nuova Gerarchia del Clan dei Casalesi”, da lui stesso promosso.
Ciò premesso ed esposto, il ricorrente riporta le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia NOME COGNOME secondo cui: NOME COGNOME «richiese ed ottenne da COGNOME NOME l’autorizzazione ad agire sui territori casertani a nome della famiglia COGNOME»; «il COGNOME NOME gestiva questo traffico di farmaci salvavita con metodi tipicamente camorristici, non solo, infatti, egli era molto temuto da tutti noi partecipi per via della sua stretta parentela con il fratello COGNOME NOME, ma anche perché era solito applicare metodi violenti, tipicamente camorristici, nei confronti di coloro i quali intendevano discostarsi da lui o contraddirlo nelle sue decisioni».
Secondo il ricorrente, da tali dichiarazioni del collaboratore di giustizia s comprenderebbe «come l’attività posta in essere dal COGNOME facesse parte insieme alle estorsioni, al traffico di armi ecc., del fine unico dell’associazione denominata “nuova gerarchia del clan dei Casalesi” in quanto, innanzitutto il COGNOME ha operato tramite il benestare del COGNOME ed in secondo luogo in quanto i proventi dell’attività illecita confluivano anche nelle casse della famiglia COGNOME».
Il COGNOME contesta quindi la ritenuta sussistenza di due associazioni autonome, una di stampo camorristico e una finalizzata al traffico illecito di farmaci, e, in particolare, il rilievo «dirimente» che sarebbe stato in tal prospettiva attribuito dalla Corte d’appello di Napoli al «dato temporale ritenendo che il COGNOME già dal 2011 si occupasse di farmaci e quindi in un momento storico antecedente la nascita del gruppo “nuova gerarchia dei Casalesi” che si colloca temporalmente nel 2016 oltre che per la circostanza che i componenti delle associazioni risultavano essere solo parzialmente gli stessi».
Secondo il ricorrente, se fossero state considerate e adeguatamente valutate le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, si sarebbe pervenuti ad una diversa decisione.
Il Perrone riporta quindi: 1) la dichiarazione di NOME COGNOME, secondo cui «nel 2016 COGNOME NOME richiese ed ottenne da COGNOME NOME l’autorizzazione ad agire sui territori casertani a nome della famiglia COGNOME. Quando COGNOME NOME gli chiese questa autorizzazione, illustrò anche il traffico dei farmaci salvavita e ne ottenne in tal senso specifica autorizzazione»; 2) la dichiarazione di NOME COGNOME secondo cui, «una volta effettuato il pagamento sulle postepay a noi intestate, noi stessi prevedevamo a prelevare per contanti il corrispettivo e lo portavamo per contanti a COGNOME NOME il quale ci corrispondeva una percentuale su questo importo pari a 1,50/2,00 euro per ricetta spesa. di questo ricavato COGNOME tratteneva una quota per sé ; una ulteriore quantità veniva utilizzata per pagare noi ed una terza quota veniva da lui versata alla famiglia COGNOME, per come mi consta personalmente avendo io stesso portato somme alla famiglia di COGNOME NOME e in genere alla famiglia COGNOME».
Alla luce di tali dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, risultereb «evidente che a seguito del benestare del COGNOME ad agire nel nome della famiglia in relazione anche ai farmaci e alla circostanza che i proventi della vendita illecita dei farmaci confluivano nelle casse dello stesso Clan COGNOME, che tra le attività dell’associazione camorristica capeggiata dal COGNOME vi è anche questa dei farmaci illeciti. Pertanto tale associazione ritenuta parallela dai Giudici di merito deve ritenersi assorbita dall’associazione già giudicata di cui all’art 416 bis c.p. e dunque ritenersi sussistente la violazione del principio del ne bis in idem».
Dopo un’ampia esposizione illustrativa del principio di specialità, il ricorrente ribadisce che le condotte a lui attribuite «risultano assorbite dalla sentenza n. 1800/2020 emessa dalla Corte di Appello di Napoli e che ci troviamo dunque in presenza della violazione del principio del ne bis in idem in quanto il Perrone per quei fatti e per quell’arco temporale risulta aver riportato già sentenza di condanna passata in giudicato, atteso che benché la condotta di cui al capo 2) viene astrattamente contestata dal 2011 al 5.6.2017 ma in concreto tutti i reati fine vengono contestati all’anno 2017».
10.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’art. 416 bis cod. pen., con riguardo alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante cosiddetta dell’agevolazione mafiosa di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.
Dopo avere svolto alcune considerazioni generali sulle condizioni per la configurabilità di tale circostanza aggravante, il COGNOME espone che, nel caso di specie, essa sarebbe stata ritenuta sussistente «sulla circostanza che i proventi ricavati dalla vendita dei farmaci era destinata alla famiglia COGNOME oltre che dal fatto che all’interno della compagine associativa era presente COGNOME NOME legato da rapporti di parentela con i COGNOME».
Dopo avere trascritto il primo e il secondo capoverso della pag. 40 della sentenza impugnata, nei quali la Corte d’appello di Napoli ha argomentato l’insussistenza della violazione del principio del ne bis in idem, il ricorrente deduce che la stessa Corte d’appello, là dove ha motivato la sussistenza della circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa, «ribalta completamente quanto asserito in precedenza ritenendo che parte dei proventi della vendita dei farmaci erano destinati alla famiglia COGNOME in forza di un patto intercorso tra COGNOME NOME e COGNOME NOME».
Ne risulterebbe, «dunque, anche a seguito della contraddizione della stessa Corte, che viene mal contestata l’aggravante in quanto la stessa dovrebbe attenere al metodo mafioso piuttosto che all’agevolazione anche e soprattutto in forza delle propalazioni dei collaboratori di giustizia».
10.4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’art. 81, secondo comma, cod. pen., con riguardo al disconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati sub iudice e quelli giudicati con la sentenza n. 1800/20 del 21/07/2020 della Corte d’appello di Napoli, vincolo che era stato invocato con i motivi di appello.
Il COGNOME deduce che sarebbe «evidente che i fatti per cui si procede sono frutto di uno stesso iter criminis, il quale consiste in una iniziale programmazione di compiere una pluralità di reati, dall’inizio preordinati alla realizzazione di u
unico fine», considerato che, dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, è emerso «che il COGNOME richiese ed ottenne da COGNOME NOME l’autorizzazione ad agire sui territori casertani a nome della famiglia COGNOME anche in relazione al traffico illecito di farmaci. Dunque i reati di cui alla impugnata sentenza devono ritenersi quali reati fine dell’associazione ex art. 416 bis c.p. già oggetto di giudicato».
Dopo avere esposto le condizioni in presenza delle quali è possibile ravvisare il vincolo della continuazione tra reati associativi, il COGNOME contesta l motivazione della Corte d’appello di Napoli (pag. 44 della sentenza impugnata) fondata sul «dato temporale» (in quanto «il traffico illecito dei farmaci è [… preesistente alla nascita del nuovo gruppo criminale, sicché non può essere considerato come uno dei settori di mercato dell’associazione di stampo mafioso») e sulla diversità dei reati (in quanto «il capo di imputazione attesta che l’associazione di cui all’art. 416 bis c.p. non contempla, tra i reati fine, il traffico di farmaci»).
Quanto, in particolare, all’argomento fondato sul «dato temporale», il COGNOME rappresenta come Sez. 1, n. 39398 del 29/03/2023, COGNOME (non massimata), abbia affermato che l’elevato arco temporale all’interno del quale sono stati commessi più reati non è ostativo al riconoscimento della continuazione.
Dopo avere esposto alcune considerazioni di carattere generale sulle condizioni per ritenere la sussistenza della continuazione, il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Napoli non avrebbe «considera che dal momento in cui il COGNOME ha ricevuto il benestare del COGNOME, i reati commessi sono stati concepiti ed eseguiti nell’ambito di un programma criminoso che, almeno nelle sue linee fondamentali, risulta unitario e impone l’applicazione della disciplina del reato continuato, disciplina che può essere applicata, indifferentemente, sia per i reati presupposti sia per una parte limitata di essi».
La Corte d’appello di Napoli non avrebbe «verificato la possibilità di concedere il beneficio invocato, se non per tutti i reati almeno per una parte di essi, atteso che il pur elevato arco di tempo all’interno del quale sono stati commessi più reati non esime il giudice dall’onere di verificare se la continuazione possa essere riconosciuta con riferimento a singoli gruppi di reati commessi, all’interno di tale arco, in epoca contigua, tenuto conto degli ulteriori indici rappresentati dalla similare tipologia, delle singole causali e dalla contiguità temporale».
10.5. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’art. 62-bis cod. pen., con riguardo al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Il COGNOME deduce che la Corte d’appello di Napoli avrebbe dovuto valutare la natura e l’entità dei fatti da lui commessi nonché la sua personalità e «alla luce di un criterio di proporzionalità tra il fatto e la posizione giuridica dello stesso avrebb dovuto concedere le invocate attenuanti generiche al fine di giungere alla commisurazione di una pena che potesse essere in linea con l’entità dei fatti e con la personalità dello stesso».
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile perché è stato proposto per un unico motivo del tutto aspecifico e, perciò, non consentito.
Si deve preliminarmente precisare che, diversamente da quanto è stato indicato dal COGNOME nel suo ricorso: 1) egli è stato ritenuto responsabile non del «reato associativo di cui al capo 1» dell’imputazione ma del reato associativo di cui al capo 2) dell’imputazione; 2) la recidiva non gli era stata contestata (si veda anche, a tale proposito, la pag. 196, secondo capoverso, della sentenza di primo grado).
Fatte queste precisazioni, si deve rilevare che l’unico motivo di ricorso – che, nella parte in fatto, si è riportato in modo pressoché integrale – risulta, in tut evidenza, aspecifíco, atteso che, con esso, il ricorrente si è limitato a contestare, in modo del tutto generico, la sua ritenuta partecipazione all’associazione invocando, appunto, del tutto genericamente, gli esiti dell’istruttoria dibattimentale, senza in alcun modo precisare quali essi fossero stati – e ha omesso completamente di confrontarsi con le argomentazioni con le quali i giudici del merito hanno motivato la suddetta partecipazione (si vedano, in particolare, le pagg. 28-30 della sentenza impugnata, la cui motivazione si salda, peraltro, con quella di cui alle pagg. 153-164 della conforme sentenza di primo grado).
L’unico motivo, così formulato, si deve pertanto reputare non consentito, in quanto fuoriesce completamente dai necessari canoni di una ragionata censura del percorso motivazionale della sentenza impugnata.
2. Il ricorso di NOME COGNOME.
2.1. Il primo motivo è fondato.
Con lo specifico terzo motivo dell’atto di appello a firma dell’avv. NOME COGNOME (nona e decima pagina), NOME COGNOME aveva chiesto l’esclusione della circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa, di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., come contestatale in relazione ai reati di cui ai capi 2), 14) e 15) dell’imputazione.
Tale motivo di appello non è stato esaminato dalla Corte d’appello di Napoli, la quale, come risulta dall’ultimo capoverso della pag. 19 e dal primo capoverso della pag. 34 della sentenza impugnata, ha erroneamente ritenuto che il terzo
motivo di appello dell’imputata fosse relativo alla richiesta di derubricare il reat di cui al capo 2) dell’imputazione nel reato di favoreggiamento personale (laddove il motivo di appello concernente tale aspetto era invece il quarto).
Ciò dà luogo a un vizio della motivazione che è rilevante a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., atteso che, nemmeno sulla base della motivazione complessivamente considerata della sentenza impugnata, è possibile ritenere che la prospettazione difensiva sia stata implicitamente rigettata.
2.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Si deve in proposito osservare che: a) nei capi 14) e 15) dell’imputazione, quali reati presupposto dei due reati di riciclaggio in essi contestati, erano indicati reati di truffa ai danni dei servizi sanitari regionali, alla cui commissione la COGNOME non aveva concorso; b) in correlazione con tali imputazioni, i giudici del merito hanno individuato quali reati presupposto dei due reati di riciclaggio, appunto, reati di truffa ai danni dei servizi sanitari regionali, alla cui commissione la COGNOME non aveva concorso.
Ciò è sufficiente a escludere l’operatività dell’invocata clausola di esclusione della responsabilità che figura nell’incipit dell’art. 648-bis cod. pen., atteso che, a prescindere dalla questione se il reato di associazione per delinquere cosiddetta semplice possa (o no) essere di per sé produttivo di proventi illeciti, autonomamente dai reati-fine, risulta dirimente il fatto che, nella fattispecie che viene qui in rilievo, il denaro che fu trasferito dall’imputata è stato accertato essere in concreto proveniente non dal reato di associazione per delinquere ma, specificamente, dai reati-fine di truffa ai danni dei servizi sanitari regionali, alla commissione la stessa imputata non aveva concorso, con la conseguente non operatività della menzionata clausola di riserva.
Tale conclusione trova conforto anche nella sentenza delle Sezioni unite COGNOME (Sez. U, n. 25191 del 27/02/2014, COGNOME, cit.), pur invocata dalla ricorrente, atteso che, nella motivazione di tale sentenza, le Sezioni unite hanno precisato che, «ei confronti del membro dell’associazione mafiosa che “ripulisca” o reimpieghi il denaro, i beni, o le altre utilità riconducibili ai soli scopo, alla cui realizzazione egli non abbia fornito alcun apporto, non opera la clausola di esclusione della responsabilità prevista dall’art. 648-bis cod. pen., in quanto l’oggetto dell’attività tipica del delitto di riciclaggio non è direttamen ricollegabile al reato cui egli concorre» (pag. 23, ultimo capoverso). Anche nella massima della sentenza COGNOME è stato del resto indicato che: «n motivazione la Corte ha precisato che può configurarsi il concorso tra i reati sopra menzionati nel caso dell’associato che ricicli o reimpieghi proventi dei
soli delitti scopo alla cui realizzazione egli non abbia fornito alcun contributo causale»).
Pertanto, a prescindere dalla questione della capacità o no del reato di associazione cosiddetta semplice di produrre di per sé proventi illeciti, autonomamente dai reati-fine – aspetto sul quale, nella giurisprudenza della Corte di cassazione, non vi è unanimità di vedute (in senso negativo: Sez. 2, n. 5730 del 20/09/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278244-01; in senso affermativo: Sez. 2, n. 30255 del 03/03/2017, COGNOME, Rv. 270705-01) -, ciò che rileva è che, nel caso di specie, l’imputata non risulta avere concorso nei reati di truffa ai danni dei servizi sanitari regionali che hanno specificamente “generato” le somme di denaro dei cui riciclaggi si sta discorrendo, atteso che ciò vale senz’altro a escludere l’operatività della clausola di esclusione della responsabilità che figura nell’incipit dell’art. 648-bis cod. pen., conformemente a quanto è previsto dalla stessa clausola.
2.3. Il terzo motivo non è consentito ed è, comunque, manifestamente infondato.
Nelle loro conformi sentenze, i giudici del merito hanno ritenuto la consapevole partecipazione della COGNOME all’associazione per delinquere di cui al capo 2) dell’imputazione sulla scorta delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME – che aveva tra l’altro affermato di avere «visto personalmente più volte la stessa coadiuvare il marito oppure in sua assenza occuparsi personalmente della tenuta del materiale ricettato, che custodivano all’interno della camera da letto, in un armadio» (pag. 147 della sentenza di primo grado; pag. 33 dell’impugnata sentenza di secondo grado) -, le quali dichiarazioni avevano trovato riscontro individualizzante nella documentazione che era stata sequestrata, dalla quale risultavano le movimentazioni sulle carte e sul conto intestati alla COGNOME, specificamente, gli accrediti da parte di società farmaceutiche estere e le fuoriuscite in favore di NOME COGNOME che era il referente dell’associazione per delinquere in Lombardia.
Da tali elementi di prova, con i quali la ricorrente non risulta essersi compiutamente confrontata – dal che il carattere aspecifico del motivo, che, per tale ragione, si deve reputare anzitutto non consentito -, la Corte d’appello di Napoli ha del tutto logicamente desunto lo stabile e consapevole inserimento dell’imputata nell’associazione per delinquere, con i ruoli, perciò, sia di occuparsi, anche personalmente, della tenuta del materiale ricettato, sia di apparire quale formale destinataria dei pagamenti da parte degli acquirenti esteri dei farmaci, di prelevare tali corrispettivi e di consegnarli a NOME COGNOME, capo dell’associazione (secondo il meccanismo che era stato descritto dall’altro collaboratore di giustizia NOME COGNOME).
Tale motivazione della partecipazione della COGNOME all’associazione per delinquere risulta, come si è detto, pienamente logica, oltre che del tutto conforme alla legge penale, sicché essa si sottrae alle censure della ricorrente, le quali si devono pertanto ritenere, in ogni caso, manifestamente infondate.
2.4. L’esame del quarto motivo è assorbito dall’accoglimento del primo motivo.
3. Il ricorso di NOME COGNOME.
3.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Ciò alla luce del principio, costantemente affermato dalla Corte di cassazione, secondo cui, in tema di nullità della sentenza, la mancanza o l’evidente erroneità della data non è causa di nullità allorché questa si possa ricavare con esattezza dagli atti (Sez. 3, n. 19156 del 13/12/2017, G., Rv. 273196-01; Sez. 4, n. 26387 del 07/05/2009, Giunta, Rv. 244402-01; Sez. 5, n. 31404 del 26/05/2004, Madonna, Rv. 229975-01; Sez. 1, n. 2817 del 09/06/1994, COGNOME, Rv. 19890801).
Nel caso in esame, la data di emissione della sentenza impugnata era stata indicata a pag. 1 della stessa sentenza ma era erronea (11/01/2024 anziché 21/03/2024).
Tuttavia, è lo stesso ricorrente a indicare che dagli atti, specificamente, dai verbali di udienza, si poteva ricavare con esattezza che la sentenza era stata emessa, mediante la lettura del dispositivo, il 21/03/2024.
L’errore indicato è stato peraltro in ogni caso corretto con l’ordinanza di correzione di errore materiale del 25/06/2024 della Corte d’appello di Napoli.
3.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Dalla lettura dei verbali delle udienze che si sono tenute davanti alla Corte d’appello di Napoli risulta che l’imputato NOME COGNOME: a) era presente alla prima udienza del 11/06/2021, avendo partecipato alla stessa mediante collegamento in videoconferenza; b) era assente per rinuncia alla successiva udienza del 13/10/2021; c) era assente alle successive udienze (del 24/11/2021, 19/01/2022, 04/03/2022, 27/04/2022, 10/06/2022, 28/09/2022, 18/01/2023, 26/04/2023, 24/05/2023, 21/09/2023, 14/12/2023, 11/01/2024, 01/02/2024 e 21/03/2024).
Da tali risultanze emerge, in modo evidente, come il COGNOME abbia sicuramente avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo di appello a suo carico, al quale aveva inizialmente partecipato per poi rinunciare alla stessa partecipazione, con la conseguente sanatoria di eventuali nullità della notificazione del decreto di citazione per il giudizio di appello, essendo stato conseguito lo scopo sostanziale della stessa notificazione, cioè la conoscenza, da parte dell’imputato, del procedimento di appello a suo carico.
3.3. Il terzo motivo è fondato limitatamente all’entità della riduzione di pena per la circostanza attenuante della collaborazione, di cui al terzo comma dell’art. 416-bis.1 cod. pen., mentre è manifestamente infondato nella parte relativa al diniego delle circostanze attenuanti generiche e alla determinazione della misura della pena base.
Nel suo atto di appello, il COGNOME si era doluto: 1) della determinazione della pena base detentiva in misura (cinque anni di reclusione) superiore al minimo edittale previsto per il delitto di riciclaggio (quattro anni di reclusione); 2) d mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche; 3) della mancata concessione dell’attenuante della collaborazione «nella sua massima estensione».
3.3.1. Il motivo è manifestamente infondato nella parte relativa al diniego delle circostanze attenuanti generiche e alla determinazione della misura della pena base.
A proposito delle doglianze relative al primo di tali punti (diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche), si deve rammentare che, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferime a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244-01) e che, al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o no il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso può risultare allo scopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549-01; Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163-01).
A proposito delle doglianze relative al punto della determinazione della misura della pena base, si deve rammentare che la giurisprudenza della Corte di cassazione è costante nell’affermare che la determinazione della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso in cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di all’art. 133 cod. pen. (tra le tante, Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283-01) e che, anche successivamente, è stato ribadito che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto
dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: “pen congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243-01).
Considerati tali principi, affermati dalla Corte di cassazione, e rilevato che, nel caso di specie, la pena base irrogata di cinque anni di reclusione ed € 9.000,00 di multa è di gran lunga al di sotto della media edittale della pena per il delitto di cu all’art. 648-bis cod. pen. (che è pari a otto anni di reclusione ed € 15.000,00 di multa), l’obbligo di motivazione in ordine alla determinazione della suddetta pena base e alla conferma del diniego delle circostanze attenuanti generiche ben può ritenersi sufficientemente assolto dalla Corte d’appello di Napoli mediante la valorizzazione della gravità del reato (così dovendosi intendere l’espressione, utilizzata dalla stessa Corte d’appello nell’ultimo capoverso della pag. 35 della sentenza impugnata: «gravità del contegno tenuto dall’imputato») e il riferimento alla conseguente congruità della pena; motivazione che, in quanto espressiva di un giudizio di fatto, non è sindacabile in questa sede di legittimità.
3.3.2. Il motivo è invece fondato limitatamente all’entità della riduzione di pena per la circostanza attenuante della collaborazione, di cui al terzo comma dell’art. 416-bis.1 cod. pen.
In ordine a tale punto, la motivazione della Corte d’appello di Napoli che fa leva sulla congruità della pena inflitta «avuto riguardo alla gravità del contegno tenuto dall’imputato» (il riferimento è, si deve ritenere, come si è detto, al “contegno” extraprocessuale e non a quello processuale) risulta viziata alla luce del principio, costantemente affermato dalla Corte di cassazione, secondo cui la circostanza attenuante speciale per la dissociazione di cui all’art. 8, comma 1, del d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv. con modif. dalla legge 12 luglio 1991, n. 203 (ora art. 416-bis.1, terzo comma, cod. pen.) si fonda sul mero presupposto dell’utilità obiettiva della collaborazione prestata dal partecipe all’associazione d tipo mafioso e non può pertanto essere disconosciuta, o, se riconosciuta, la sua incidenza nel calcolo della pena non può essere ridimensionata, in ragione di valutazioni inerenti alla gravità del reato o alla capacità a delinquere dell’imputato o, ancora, alle ragioni che hanno determinato l’imputato alla collaborazione (Sez. 2, n. 18875 del 30/04/2021, COGNOME Rv. 281287-01; Sez. 1, n. 31413 del 19/06/2015, Ponticelli, 264756-01; Sez. 2, n. 34148 del 05/05/2015, COGNOME, Rv. 264529-01; Sez. 6, n. 10740 del 16/12/2010, dep. 2011, Rv. 249373-01).
4. Il ricorso di NOME COGNOME.
4.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
La Corte d’appello di Napoli ha non illogicamente ritenuto la consapevole partecipazione di NOME COGNOME all’associazione per delinquere di cui al capo 2) dell’imputazione.
A sostenere logicamente tale conclusione, si deve considerare del tutto sufficiente, sul piano, appunto, della non contraddittorietà e della non manifesta illogicità della motivazione: a) la convergenza delle dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME secondo cui NOME COGNOME si era intestato la carta Postepay nella consapevolezza che, su di essa, sarebbero state accreditate le somme provento delle vendite di farmaci procurati truffando i servizi sanitari regionali, dovendosi reputare parimenti non contraddittoria né manifestamente illogica la ritenuta (dalla Corte d’appello di Napoli) irrilevanza del fatto che l’imputato avesse consegnato la suddetta carta Postepay a NOME COGNOME, come aveva affermato NOME COGNOME in un passaggio delle suo interrogatorio del 03/07/2017 (pag. 167 della sentenza di primo grado), o avesse invece conservato il possesso della stessa carta, dalla quale prelevava il denaro su di essa accreditato per consegnarlo a NOME Perrone, come aveva affermato NOME COGNOME nel suo interrogatorio del 05/05/2018 (pag. 165 della sentenza di primo grado) e, in realtà, anche lo stesso NOME COGNOME in un altro passaggio dello stesso suo interrogatorio del 03/07/2017 (sempre pag. 167 della sentenza di primo grado: «noi titolari delle carte provvedevamo a svuotare il conto ed a consegnare il contante a Perrone Massimo presso la sua abitazione»); b) il riscontro documentale individualizzante di tali convergenti dichiarazioni costituito dalla documentazione che era stata sequestrata, dalla quale risultavano gli accrediti sulla menzionata carta Postepay intestata a NOME COGNOME da parte di società farmaceutiche estere. A fronte di ciò, si deve ritenere del tutto ultronea l’ulteriore argomentazione della Corte d’appello di Napoli in ordine all’ulteriore ruolo che, secondo quanto riferito dal collaboratore di giustizia NOME COGNOME, NOME COGNOME avrebbe avuto nel procacciamento dei farmaci. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La motivazione della partecipazione di NOME COGNOME all’associazione per delinquere risulta, perciò, priva di contraddizioni e di illogicità manifeste, oltre ch del tutto conforme alla legge penale, sicché essa si sottrae alle censure del ricorrente, le quali si devono pertanto ritenere, per quanto si è detto, manifestamente infondate e, in assenza, come visto, di contraddizioni e di illogicità manifeste, sostanzialmente dirette a ottenere una diversa valutazione del materiale probatorio, il che non è possibile fare in questa sede.
4.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
La manifesta infondatezza di tale motivo discende, anzitutto, dal già evidenziato (al punto 4.1) carattere ultroneo dell’argomentazione della Corte
d’appello di Napoli in ordine all’ulteriore ruolo che NOME COGNOME avrebbe avuto nel procacciamento dei farmaci. Ruolo rispetto al quale l’unico elemento di prova sarebbe stato costituito dalle dichiarazioni rese dal solo collaboratore di giustizia NOME COGNOME
Per tale ragione, si deve ritenere l’inoperatività dell’invocata clausola di esclusione della responsabilità di cui all’incipit dell’art. 648-bis cod. pen., relativa a chi abbia concorso nel reato presupposto.
Si deve peraltro rilevare anche il difetto di interesse del ricorrente in ordine a presente motivo di ricorso, atteso che l’accoglimento di esso comporterebbe l’attribuzione al COGNOME, anziché del solo reato di riciclaggio, di due reati, quell di truffa aggravata ai danni dei servizi sanitari regionali e quello di autoriciclaggio
Il motivo è manifestamente infondato anche nella parte in cui, con esso, è stata sostenuta l’inadeguatezza della motivazione («non motiva in maniera adeguata») in ordine alla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato di riciclagg io.
Alla luce del dato testuale dell’art. 648-bis cod. pen. e della giurisprudenza della Corte di cassazione (si vedano: Sez. 2, n. 19125 del 26/04/2023, COGNOME, Rv. 284653-01; Sez. 2, n. 18965 del 21/04/2016, COGNOME, Rv. 266947-01), si deve infatti ritenere che integri il reato di riciclaggio la condotta di chi, senza av concorso nel reato presupposto, metta a disposizione la carta a sé intestata (o il proprio conto corrente) in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa di somme da altri ricavate mediante lo stesso reato presupposto, consentendone il versamento sulla stessa carta (o conto corrente) e provvedendo, o consentendo, in seguito, l’incasso delle medesime somme, senza che possa assumere rilievo, in senso contrario, la tracciabilità di tali operazioni (Sez. 2, n 10939 del 12/01/2024, COGNOME, Rv. 286140-01).
Il motivo è, infine, manifestamente infondato anche nella parte in cui, con esso, è stato sostenuto il vizio della motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di riciclaggio.
Posto che tale elemento (del dolo) consiste nella volontà di compiere le attività volte a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro, beni, o altre utilità nella consapevolezza di tale loro origine (Sez. 5, n. 25924 del 02/02/2017, COGNOME, Rv. 270199-01; Sez. 2, n. 546 del 07/01/2011, COGNOME, Rv. 249445-01; Sez. 4, n. 6350 del 30/01/2007, COGNOME, Rv. 236111-01), si è già visto, nell’esaminare il primo motivo, come i collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME NOME avessero concordemente rappresentato che NOME COGNOME si era intestato la carta Postepay nella consapevolezza che, su di essa, sarebbero state accreditate le somme provento delle vendite di farmaci procurati truffando i servizi sanitari regionali, con la conseguenza che si doveva
ritenere logicamente comprovata la volontà dell’imputato di compiere le attività di intestazione a sé della stessa carta e di incasso (direttamente effettuato o, comunque, consentito) delle somme su di essa accreditate nella consapevolezza della provenienza delittuosa di tali somme e dell’idoneità delle medesime attività a ostacolare l’identificazione di tale provenienza.
4.3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Si deve anzitutto rilevare che la pena base di quattro anni di reclusione ed C 5.000,00 di multa che è stata irrogata per il più grave reato di riciclaggio (di cui al capo 20 dell’imputazione) è pari al minimo edittale che è previsto per tale reato.
Ciò rilevato, richiamati i principi, affermati dalla Corte di cassazione, che si sono rammentati al punto 3.3.1, e rilevato altresì che l’aumento di pena di sei mesi di reclusione ed C 1.000,00 di multa per la continuazione con il meno grave reato di partecipazione all’associazione per delinquere di cui al capo 2) dell’imputazione risulta di entità contenuta, si deve ritenere che l’obbligo di motivazione in ordine alla determinazione di tale aumento di pena e alla conferma del diniego delle circostanze attenuanti generiche ben possa ritenersi sufficientemente assolto dalla Corte d’appello di Napoli mediante la valorizzazione della gravità dei reati (così dovendosi intendere l’espressione, utilizzata dalla stessa Corte d’appello nel primo capoverso della pag. 38 della sentenza impugnata: «gravità del contegno tenuto dall’imputato») e dell’importanza del contributo che era stato fornito dall’imputato per la realizzazione degli scopi dell’associazione per delinquere; motivazione che, in quanto espressiva di un giudizio di fatto, non è sindacabile in questa sede di legittimità.
5. Il ricorso di NOME COGNOME.
5.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Si deve premettere che, secondo il consolidato orientamento della Corte di cassazione, che è condiviso dal Collegio, non vi sono ostacoli pregiudiziali alla configurabilità del concorso tra un’associazione di tipo mafioso e un’associazione per delinquere che sia dotata di un’autonoma struttura organizzativa e che, avvalendosi del contributo di sodali anche diversi dai soggetti affiliati al sodalizi mafioso, persegua un proprio programma delittuoso, dalla cui attuazione possa discendere il concomitante conseguimento dell’interesse del clan di tipo mafioso (Sez. 2, n. 8790 del 06/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286005-01, con la quale la Corte ha confermato la contemporanea esistenza di un’associazione per delinquere di tipo mafioso e di un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di specifici reati e ha escluso la violazione del principio del ne bis in idem sul rilievo dell’insussistenza, nel rapporto tra le fattispecie associative, d piena coincidenza degli elementi costitutivi, difettando nell’associazione per delinquere “ordinaria” il profilo programmatico del metodo mafioso; Sez. 2, n.
41736 del 09/04/2018, M., Rv. 274077-02; Sez. 6, n. 11356 del 08/11/2027, dep. 2018, Ardente, Rv. 272524-01).
Con tali pronunce, la Corte di cassazione ha precisato che l’elemento che caratterizza l’una associazione rispetto all’altra è costituito dal profi programmatico e condiviso dell’utilizzo del metodo mafioso, il quale, nell’associazione di cui all’art. 416-bis cod. pen., si estrinseca nell’imposizione di una sfera di dominio sul territorio, con un’operatività non limitata alle attivi criminali della diversa associazione ma estesa a svariati settori, in cui si inseriscono l’acquisizione della gestione o del controllo di attività economiche, concessioni, appalti e servizi pubblici, l’impedimento al libero esercizio del voto, il procacciamento di voti in occasione delle consultazioni elettorali (Sez. 6, n. 31908 del 14/05/2019, COGNOME, Rv. 276469-01, relativa alla distinzione tra associazione di tipo mafioso e associazione dedita al narcotraffico).
Diversamente si deve invece ritenere allorché non ricorra il profilo dell’utilizzo programmatico e condiviso del metodo mafioso che, eventualmente, solo ab extrinseco accompagni occasionalmente la realizzazione di taluni episodi delittuosi (Sez. 6, n. 11356 del 08/11/2027, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272524-01; Sez. 6, n. 40548 del 13/06/2017, COGNOME, Rv. 271390-01).
Richiamati tali condivisi principi, affermati dalla Corte di cassazione, si deve osservare che la Corte d’appello di Napoli ha messo in rilievo, richiamando anche il materiale probatorio che era stato valorizzato dal G.i.p. del Tribunale di Napoli e le argomentazioni che erano state sviluppate dallo stesso G.i.p., gli elementi che riscontravano l’esistenza di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di farmaci concorrente con l’associazione camorristica per la partecipazione alla quale il Gatto era già stato condannato.
La Corte d’appello di Napoli ha in proposito in particolare evidenziato che era emerso come l’associazione per delinquere di cui al capo 2) dell’imputazione: fosse dotata di un’autonoma struttura organizzativa; si fosse avvalsa del contributo di soggetti anche diversi dagli affiliati al sodalizio camorristico; avesse perseguito un proprio specifico programma criminoso, costituito, appunto, dal traffico illecito di farmaci, che, nella sentenza n. 1800 del 21/07/2020 della Corte d’appello di Napoli, non era indicato tra gli scopi dell’associazione camorristica (e la cui attuazione si estendeva anche in Lombardia e nel Lazio); fosse dotata di autonomia patrimoniale, atteso che solo una parte dei proventi che venivano realizzati con la vendita dei farmaci era destinata alla famiglia “COGNOME” mentre tutta la restante parte «entrava a far parte del patrimonio sociale», il che non sarebbe avvenuto se si fosse stati in presenza di un unico organismo associativo; era stata costituita, da NOME COGNOME, sin dal 2011, laddove la nascita dell’associazione camorristica si collocava nel 2016.
Tale motivazione del concorso delle due associazioni (camorristica e semplice) e, quindi, dell’insussistenza di una violazione del divieto di bis in idem, risulta del tutto priva di contraddizioni e di illogicità, tanto meno manifeste, sicché essa si sottrae alle censure del ricorrente, le quali, oltre a non confrontarsi compiutamente con la stessa motivazione, non appaiono comunque prospettare argomenti idonei a superare quelli che hanno indotto la Corte d’appello di Napoli a ritenere l’autonomia, strutturale e di scopo, dell’associazione che gestiva il traffico illecit dei farmaci rispetto all’associazione camorristica che operava sul territorio perseguendo i propri diversi obiettivi.
Idonei argomenti non sono in particolare ravvisabili nelle invocate dichiarazioni dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME. Con riguardo a quelle di quest’ultimo, si deve in particolare ritenere, anche alla luce dei principi che si sono esposti sopra, che da esse, diversamente da quanto è sostenuto dal ricorrente, non emerga che l’associazione di cui al capo 2) dell’imputazione operasse, come tale, secondo il paradigma di cui all’art. 416-bis cod. pen., dovendosi in proposito altresì rilevare come l’utilizzo del metodo mafioso non fosse stato neppure contestato nel suddetto capo 2).
5.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Richiamati i principi, affermati dalla Corte di cassazione, che si sono rammentati al punto 3.3.1, si deve ritenere che l’obbligo di motivazione in ordine alla conferma del diniego delle circostanze attenuanti generiche ben possa ritenersi sufficientemente assolto dalla Corte d’appello di Napoli mediante la valorizzazione della gravità dei reati (così dovendosi intendere l’espressione, utilizzata dalla stessa Corte d’appello nel primo capoverso della pag. 42 della sentenza impugnata: «gravità del contegno tenuto dall’imputato»); motivazione che, in quanto espressiva di un giudizio di fatto, non è sindacabile in questa sede di legittimità.
6. Il ricorso di NOME COGNOME.
6.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
La Corte di cassazione ha chiarito che l’unicità del disegno criminoso richiesto per la configurabilità del reato continuato non si identifica con una scelta di vita che implica la reiterazione di determinate condotte criminose, essendo invece necessario che le singole violazioni, concepite almeno nelle loro caratteristiche essenziali, costituiscano parte integrante di un unico programma deliberato per conseguire un determinato fine (Sez. 5, n. 5599 del 03/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258862-01, relativa a una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione impugnata che aveva escluso la continuazione fra reati dello stesso tipo – furti in abitazione – commessi a distanza di un breve lasso temporale, 21 giorni in un caso e 10 in un altro).
Successivamente, con la sentenza COGNOME, le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno precisato che il riconoscimento della continuazione necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di un’approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati s successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074-01).
L’unicità del disegno criminoso presuppone quindi l’anticipata e unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già presenti nella mente del reo nella loro specificità (Sez. 1, n. 35797 del 12/05/2006, COGNOME, Rv. 234980-01).
Da quanto si è detto, discende anche che il problema della sussistenza o no della medesimezza del disegno criminoso si risolve in una quaestio facti, la cui soluzione è rimessa, di volta in volta, all’apprezzamento del giudice di merito (Sez. 5, n. 44606 del 18/10/2005, Traina, Rv. 232797-01).
Con riguardo alla specifica situazione in cui sia stata riconosciuta l’appartenenza di un soggetto a diversi sodalizi criminosi, la Corte di cassazione ha chiarito che è possibile ravvisare il vincolo della continuazione tra i reati associativi solo a seguito di una specifica indagine sulla natura dei vari sodalizi, sulla loro concreta operatività e sulla loro continuità nel tempo, avuto riguardo ai profili della contiguità temporale, dei programmi operativi perseguiti e del tipo di compagine che concorre alla loro formazione, non essendo a tal fine sufficiente la valutazione della natura permanente del reato associativo e dell’omogeneità del titolo di reato e delle condotte criminose (Sez. 4, n. 3337 del 22/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268786-01; Sez. 6, n. 6851 del 09/02/2016, COGNOME, Rv. 266106-01. Si vedano anche, con riguardo alla configurabilità del vincolo della continuazione tra reati di associazione di tipo mafioso: Sez. 5, n. 20900 del 26/04/2021, COGNOME, Rv. 281375-01; Sez. 6, n. 51906 del 15/09/2017, RAGIONE_SOCIALE Rv. 271569-01).
È stato altresì precisato che l’istituto della continuazione è inapplicabile a una pluralità di associazioni per delinquere formatesi in relazione a situazioni nuove e impreviste, essendo queste incompatibili con l’identità del disegno criminoso che caratterizza l’istituto (Sez. 1, n. 2167 del 10/12/1993, dep. 1994, COGNOME, Rv. 197565-01).
Si è quindi correlativamente affermato che può essere legittimamente affermata l’appartenenza nel tempo di un soggetto ad associazioni diverse del
medesimo stampo e negato il vincolo di continuazione tra le successive adesioni, pur ritenendosi attribuibile al soggetto, senza soluzione di continuità, la qualifica propria degli appartenenti a quel genere di associazioni criminose, atteso che non è sufficiente a radicare il vincolo della continuazione un generico piano di attività delinquenziale che si manifesta nel proposito di adesione a sodalizi di futura costituzione (Sez. 5, n. 10930 del 21/10/1996, COGNOME, Rv. 206539-01).
Nel caso in esame, la Corte d’appello di Napoli ha valorizzato, nel senso dell’esclusione del vincolo della continuazione tra i reati sub iudice e quelli giudicati con la più volte citata sentenza n. 1800 del 21/07/2020 della stessa Corte d’appello di Napoli, oltre al dato temporale della preesistenza del traffico illecito di farmac rispetto alla nascita dell’associazione camorristica “Nuova gerarchia dei Casalesi”, la diversità dei reati-fine delle due associazioni (quella camorristica appena menzionata e quella semplice di cui al capo 2 dell’imputazione), atteso che, tra i reati-fine della “Nuova gerarchia dei Casalesi”, non figurava il traffico illecito farmaci.
Quest’ultimo elemento, che il ricorrente ha trascurato di considerare, rende non illogica la conclusione della Corte d’appello di Napoli dell’assenza «di attuazione di un progetto criminoso unitario», cioè di quell’anticipata unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già presenti nella mente del reo, che è richiesta per la sussistenza del vincolo della continuazione.
Più precisamente, se tra i reati-fine dell’associazione camorristica “Nuova gerarchia dei Casalesi” non figurava il traffico illecito di farmaci, si deve reputar non illogico negare, come ha fatto la Corte d’appello di Napoli, che la partecipazione dell’imputato all’altra associazione finalizzata al suddetto traffico e il riciclaggio del denaro da esso proveniente – condotte che il COGNOME afferma essere successive all’inizio della sua partecipazione all’associazione camorristica potessero essere state il frutto di un’ideazione già presente nella mente dello stesso COGNOME quando egli decise di partecipare alla “Nuova gerarchia dei Casalesi”.
La Corte d’appello di Napoli si deve pertanto ritenere essersi conformata ai sopra rammentati principi che sono stati affermati dalla Corte di cassazione, dovendosi precisare, con riguardo alle doglianze del ricorrente, che perché si abbi k reato continuato non è sufficiente un generico piano di attività delinquenziale, né la concomitanza dei reati, ma occorre che tutte le azioni (o omissioni) siano comprese, fin dal primo momento e nei loro elementi essenziali e individualizzanti, nell’originario disegno criminoso, al fine di evitare che il meccanismo sanzionatorio previsto dall’art. 81, secondo comma, cod. pen., si traduca in un automatico beneficio premiale conseguente alla mera reiterazione di reati.
La logicità della conclusione della Corte d’appello di Napoli non è infine inficiata dall’attribuzione dell’aggravante dell’agevolazione della “Nuova gerarchia del clan dei Casalesi”, atteso che la riconosciuta esistenza, in capo al COGNOME, di una tale finalità, non implica logicamente l’unicità del momento deliberativo dei reati così aggravati e del reato di cui all’art. 416-bis cod. pen.
6.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Si deve in proposito osservare che: a) nel capo 21 dell’imputazione, quale reato presupposto del reato di riciclaggio in esso contestato, era indicato il reato di truffa ai danni dei servizi sanitari regionali, alla cui commissione il COGNOME no aveva concorso; b) in correlazione con tale imputazione, i giudici del merito hanno individuato quale reato presupposto del reato di riciclaggio, appunto, il reato di truffa ai danni dei servizi sanitari regionali, alla cui commissione il COGNOME non aveva concorso.
Alla luce di quanto si è argomentato esaminando il secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME (punto 2.2) – argomentazione alla quale, per brevità, si fa rinvio – ciò è sufficiente a escludere l’operatività dell’implicitamente invocata clausola di esclusione della responsabilità che figura nell’incipit dell’art. 648-bis cod. pen., atteso che, come si è visto, appunto, al punto 2.2, il fatto che, nel caso di specie, l’imputato non risulta avere concorso nel reato di truffa ai danni dei servizi sanitari regionali che ha specificamente “generato” le somme di denaro del cui riciclaggio si sta discorrendo vale senz’altro a escludere l’operatività della suddetta clausola di esclusione della responsabilità, a prescindere dal fatto che lo stesso imputato possa avere partecipato a una (peraltro imprecisata) associazione di tipo mafioso (o, anche, all’associazione semplice di cui al capo 2 dell’imputazione).
7. I ricorsi di NOME COGNOME.
7.1. Il primo motivo del ricorso a firma dell’avv. NOME COGNOME e il primo e il secondo motivo del ricorso a firma dell’avv. NOME COGNOME i quali motivi, concernendo tutti l’affermazione di responsabilità del ricorrente per il reato di partecipazione all’associazione per delinquere di cui al capo 2) dell’imputazione, possono essere trattati congiuntamente – sono manifestamente infondati.
Ciò con la sola eccezione della parte del primo motivo del ricorso a firma dell’avv. NOME COGNOME in cui viene trattato il punto della sussistenza della circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa. Tale parte verrà esaminata unitamente al secondo motivo del ricorso a firma dell’avv. NOME COGNOME e alla parte del terzo motivo del ricorso a firma dell’avv. NOME COGNOME relativa al punto della sussistenza della suddetta medesima circostanza aggravante (punto 9.2.3.2 della parte in fatto).
La Corte d’appello di Napoli ha non illogicamente ritenuto la consapevole partecipazione del Natale all’associazione per delinquere di cui al capo 2) dell’imputazione.
A sostenere logicamente tale conclusione, si deve considerare del tutto sufficiente la valorizzata convergenza delle dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME le cui dichiarazioni sono state, dai giudici del merito, nelle loro conformi sentenze, motivatamente reputate attendibili e correttamente ritenute riscontrarsi reciprocamente. Collaboratori i quali avevano riferito del ruolo che il Natale, in quanto gestore del Box Express sito in Parete, aveva rivestito nell’ambito dell’associazione per delinquere di ricevere le ricette rubate e di spedire all’estero i farmaci ottenuti truffando i servi sanitari regionali, nella piena consapevolezza del contenuto dei pacchi che riceveva e spediva e, quindi, della sua partecipazione, con il ruolo indicato, all’associazione criminosa (NOME COGNOME: «NOME è partecipe del traffico di farmaci illeciti», pag. 139 della sentenza di primo grado, «NOME era pagato molto bene da NOME NOME per il servizio che svolgeva (ossia lo smercio delle ricette false alle farmacie e la distribuzione dei farmaci ricettati)», pag. 144 della sentenza di primo grado; NOME COGNOME: «NOME era perfettamente consapevole del meccanismo illecito, tanto che ne ha parlato più volte personalmente con me», pag. 145 della sentenza di primo grado).
Tali convergenti chiamate in correità, con le quali i due menzionati collaboratori di giustizia appaiono riferire fatti da loro direttamente conosciuti i quanto membri dell’associazione criminosa – e non, contrariamente a quanto è sostenuto nel ricorso a firma dell’avv. NOME COGNOME con riguardo alle dichiarazioni di NOME COGNOME de relato -, avevano trovato altresì riscontro documentale individualizzante, come è stato adeguatamente rappresentato dalla Corte d’appello di Napoli, nella documentazione che era stata sequestrata: sia presso l’abitazione della cittadina ucraina NOME COGNOME luogo ritenuto una delle basi operative dell’associazione nel territorio del Lazio, costituita da una ricevuta di spedizione di un pacco con consegna al Natale; sia presso il Box Express gestito dallo stesso Natale, costituita da 24 moduli di ordini di spedizione riconducibili all’attività illecita che faceva capo a NOME COGNOME.
Tale motivazione della consapevole partecipazione del Natale all’associazione per delinquere risulta, perciò, priva di contraddizioni e di illogicità manifeste, olt che conforme alla legge penale, sicché essa si sottrae alle censure del ricorrente.
In particolare: a) diversamente da quanto è sostenuto dal Natale, l’invocato contenuto di conversazioni intercettate (in specie, tra NOME COGNOME ed NOME COGNOME e tra NOME COGNOME e NOME COGNOME) non appare affatto logicamente incompatibile con la consapevolezza, da parte del Natale, del contenuto dei pacchi
che riceveva e spediva e, quindi, della sua partecipazione all’associazione per delinquere, come era stato riferito dai collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME; b) nell’imputazione, era stato contestato al Natale di essere lo spedizioniere dei farmaci che venivano ottenuti truffando i servizi sanitari regionali, con la conseguenza che l’affermazione della sua responsabilità si deve ritenere relativa alla partecipazione all’associazione per delinquere per il periodo in cui egli, in quanto gestore del RAGIONE_SOCIALE sito in Parete, ha svolto il suddetto ruolo di spedizioniere; c) diversamente da quanto è sostenuto dal ricorrente, il fatto che NOME COGNOME avesse cominciato il proprio traffico illecito di farmaci già prima che il Natale avesse iniziato a gestire il Box Express non implica logicamente che lo stesso Natale non abbia rivestito, una volta assunta tale gestione, il ruolo di consapevole spedizioniere dell’associazione per delinquere; d) sempre diversamente da quanto è sostenuto dal ricorrente, il fatto che il Natale, nel corso della perquisizione che fu effettuata presso il Box Express che era da lui gestito, potesse avere avuto un atteggiamento “collaborativo” con gli agenti operanti non esclude logicamente che egli avesse rivestito l’indicato ruolo di consapevole spedizioniere dell’associazione per delinquere, come era stato riferito dai collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME; e) ancora diversamente da quanto è sostenuto dal ricorrente, i collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno riferito fatti la cui conoscenza appare autonoma, essendo stati, gli stessi fatti, direttamente e indipendentemente appresi da ciascuno dei due collaboratori in quanto entrambi membri dell’associazione criminosa.
A fronte dell’assenza, nella sentenza impugnata, per le ragioni che si sono dette, di contraddizioni e di illogicità manifeste, così come di violazioni di legge, l doglianze del ricorrente, lungi dall’evidenziare effettive contraddizioni o illogicit finiscono con l’essere sostanzialmente dirette a ottenere un diverso giudizio in ordine alla credibilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e alla valen probatoria delle conversazioni intercettate e, più in generale, del materiale probatorio, per giungere a una ricostruzione alternativa della vicenda, il che non è possibile fare in questa sede.
7.2. La parte del primo motivo del ricorso a firma dell’avv. NOME COGNOME in cui viene trattato il punto della sussistenza della circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa, il secondo motivo del ricorso a firma dell’avv. NOME COGNOME e la parte del terzo motivo del ricorso a firma dell’avv. NOME COGNOME relativa al punto della sussistenza della suddetta medesima circostanza aggravante (punto 9.2.3.2 della parte in fatto) sono fondati, nei termini che seguono.
La Corte d’appello di Napoli ha così motivato la consapevolezza, in capo al Natale, della finalità agevolatrice del clan dei Casalesi, riconducibile alla famiglia “COGNOME“, e, quindi, la sussistenza, in capo allo stesso Natale, dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., nella sua variante cosiddetta teleologica: «on vi è dubbio, poi, come correttamente evidenziato dal Tribunale, che l’istante fosse consapevole della finalità di agevolare la vita del clan COGNOME. In proposito, non può sottacersi che NOME fu il promotore dell’incontro avvenuto nel 2016 tra COGNOME NOME e COGNOME NOME, dal che consegue che egli fosse perfettamente a conoscenza dell’accordo raggiunto tra i due in quell’occasione» (primo capoverso della pag. 46 della sentenza impugnata).
Come risulta da tale motivazione, la Corte d’appello di Napoli ha perciò fondato l’attribuzione all’imputato della circostanza aggravante in questione sulla chiamata in correità del collaboratore di giustizia NOME COGNOME, il quale aveva riferito che «NOME è stato uno dei promotori dell’incontro tra COGNOME NOME e COGNOME di cui ho parlato sopra» (pag. 139 della sentenza di primo grado), cioè dell’incontro nel quale il COGNOME avrebbe chiesto al COGNOME l’autorizzazione” a operare nei territori “controllati” dal clan COGNOME (pag. 13 della sentenza di primo grado).
A tale proposito, si deve osservare che, nel proprio atto di appello, il Natale aveva lamentato come tale chiamata in correità di NOME COGNOME non fosse sul punto corroborata da riscontri esterni (pag. 12 dell’atto di appello del Natale).
La Corte d’appello di Napoli ha però del tutto omesso di esaminare tale doglianza del Natale. Il che sarebbe stato invece necessario fare, atteso che i riscontri esterni che sono richiesti dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., devono riguardare il contenuto della chiamata in correità in relazione ai diversi profili dell responsabilità penale e, quindi, in relazione non solo al fatto-reato e al suo legame con l’imputato, ma anche alle circostanze aggravanti, le quali possono avere effetti significativi sulla pena.
Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti del Natale limitatamente alla circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa, con rinvio a un’altra sezione della Corte d’appello di Napoli per un nuovo giudizio su tale punto.
7.3. L’esame del terzo motivo del ricorso a firma dell’avv. NOME COGNOME e del terzo motivo del ricorso a firma dell’avv. NOME COGNOME nella parte di questo motivo che concerne il punto relativo al diniego delle circostanze attenuanti generiche (punto 9.2.3.1 della parte in fatto) è assorbito dall’accoglimento del ricorso sul punto della sussistenza della circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa (punto 7.2).
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile perché è stato proposto per un unico motivo del tutto aspecifico e, perciò, non consentito.
Tale unico motivo di ricorso – che, nella parte in fatto, si è riportato in modo pressoché integrale – risulta aspecifico.
Con esso, il ricorrente ha contestato la «motivazione in ordine all’entità della pena», la «valutazione della gravità del reato nella commisurazione della pena», ancora, la motivazione in quanto «caratterizzata da uno schema riepilogativo e acritico del capo d’imputazione» e in quanto «l’Impugnato Giudice» non avrebbe «prestato il dovuto ossequio imposto dalla legge nell’applicazione della dosimetria sanzionatoria ai criteri ed i parametri di cui all’art. 133 del codice penale né tanto meno risulta diafano il percorso logico argomentativo che sottende a tale risultato» e non avrebbe «rispettato il principio secondo cui il giudice deve motivare in modo congruo e logico il rigetto delle richieste di parte».
Tali censure risultano, all’evidenza, del tutto generiche, atteso che, con esse, il COGNOME ha in realtà del tutto omesso di confrontarsi concretamente con la motivazione della sentenza impugnata – alla quale egli ha operato dei riferimenti che sono, appunto, del tutto generici -, come pure di specificare perché la stessa motivazione si dovrebbe ritenere viziata con riguardo alla «valutazione della gravità del reato nella commisurazione della pena», perché sarebbe «caratterizzata da uno schema riepilogativo e acritico del capo d’imputazione», perché la Corte d’appello di Napoli non avrebbe «prestato il dovuto ossequio imposto dalla legge nell’applicazione della dosimetria sanzionatoria ai criteri ed i parametri di cui all’art. 133 del codice penale», perché non risulterebbe «diafano il percorso logico argomentativo che sottende a tale risultato», e, infine, quali sarebbero state le «richieste di parte» in ordine alle quali la stessa Corte d’appello non avrebbe «motiva in modo logico e congruo».
L’unico motivo, così formulato, si deve pertanto reputare non consentito, in quanto fuoriesce completamente dai necessari canoni di una ragionata censura del percorso motivazionale della sentenza impugnata.
9. Il ricorso di NOME COGNOME.
9.1. Il primo motivo non è consentito ed è, in ogni caso, manifestamente infondato.
La Corte d’appello di Napoli ha infatti non illogicamente ritenuto la responsabilità del COGNOME per il reato di promozione e direzione dell’associazione per delinquere di cui al capo 2) dell’imputazione.
A sostenere logicamente tale conclusione, si deve considerare del tutto sufficiente, sul piano, appunto, della non contraddittorietà e della non manifesta illogicità della motivazione: a) la convergenza delle dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME – le cui dichiarazioni
sono state, dai giudici del merito, motivatamente reputate attendibili e correttamente ritenute riscontrarsi reciprocamente -, collaboratori i quali avevano concordemente riferito circa il ruolo di primazia che il COGNOME rivestiva nell’associazione per delinquere di cui al capo 2) dell’imputazione, alla quale gli stessi collaboratori partecipavano, e che era, appunto, capeggiata dal COGNOME (NOME COGNOME: «COGNOME NOME, infatti, dapprima agli arresti domiciliari e successivamente, mi pare da aprile 2016, in stato di libertà, cominciò ad essere il vero artefice di tutto il traffico», pag. 98 della sentenza di primo grado; NOME COGNOME: «ebbi rapporti soprattutto con COGNOME NOME in ordine a questo affare in quanto COGNOME mi spiegò subito che uno dei settori dai quali traeva un forte guadagno era proprio quello dei farmaci ricettati e mi ordinò di entrare a farne parte», pagg. 99-100 della sentenza di primo grado); b) l’ulteriore riscontro individualizzante a tali convergenti dichiarazioni dei due menzionati collaboratori di giustizia costituito dal contenuto di conversazioni intercettate, il quale risulta anch’esso confermativo del suddetto ruolo di primazia che il COGNOME rivestiva nell’associazione per delinquere (la Corte d’appello di Napoli ha citato, in particolare, il contenuto della conversazione – che la stessa Corte ha logicamente ritenuto «emblematica» del «ruolo indiscusso di coordinatore tenuto da COGNOME NOME» – del 26/04/2017 tra il COGNOME e NOME COGNOME, nel corso della quale NOME COGNOME aveva detto al COGNOME: «io sono quello che deve pensare, io sono quello che deve dare, voi dovete solo eseguire, tu non devi pensare niente, hai capito perché se voi pensate fate solo guai»; pag. 52 della sentenza impugnata).
Tale motivazione della responsabilità del COGNOME per il reato di promozione e direzione dell’associazione per delinquere di cui al capo 2) dell’imputazione risulta, perciò, del tutto priva di contraddizioni e di illogicità manifeste, sicché si sottr alle censure del ricorrente.
Tali censure risultano, peraltro, anche aspecifiche, atteso che il COGNOME, nell’argomentare il motivo in esame, e in particolare nel lamentare che, nel proprio atto di appello, aveva contestato che le dichiarazioni del COGNOME e del COGNOME sarebbero state «tutt’altro che lineari, convergenti e riscontrate, atteso che le intercettazioni telefoniche per il loro tenore devono considerarsi del tutto neutre», e che la Corte d’appello di Napoli avrebbe omesso di confrontarsi con tali «richieste difensive circa la valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni dei collaborato di giustizia L.] e circa l’assenza di riscontri esterni alle dichiarazioni dei suindicat ha del tutto omesso, egli sì, di confrontarsi compiutamente con le conformi motivazioni dei giudici del merito e di specificare quali sarebbero state le «richieste difensive» che non sarebbero state esaminate dalla Corte d’appello di Napoli, nonché le ragioni per le quali le citate dichiarazioni dei collaboratori di giustizia
sarebbero dovute ritenere «tutt’altro che lineari, convergenti» e le citate conversazioni intercettate «del tutto neutre».
9.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato per le ragioni che si sono esposte nel rigettare l’analogo primo motivo del ricorso di NOME COGNOME (punto 5.1).
Nel richiamare i principi affermati dalla Corte di cassazione in tema di concorso tra associazione di tipo mafioso e associazione per delinquere cosiddetta semplice, si è nel suddetto punto osservato come la Corte d’appello di Napoli, richiamando anche il materiale probatorio che era stato valorizzato dal G.i.p. del Tribunale di Napoli e le argomentazioni che erano state sviluppate dallo stesso G.i.p., abbia messo in rilievo come fosse emerso che l’associazione per delinquere di cui al capo 2) dell’imputazione: fosse dotata di un’autonoma struttura organizzativa; si fosse avvalsa del contributo di soggetti anche diversi dagli affiliati al sodaliz camorristico; avesse perseguito un proprio specifico programma criminoso, costituito, appunto, dal traffico illecito di farmaci, che, nella sentenza n. 1800 de 21/07/2020 della Corte d’appello di Napoli, non era indicato tra gli scopi dell’associazione camorristica (e la cui attuazione si estendeva anche in Lombardia e nel Lazio); fosse dotata di autonomia patrimoniale, atteso che solo una parte dei proventi che venivano realizzati con la vendita dei farmaci era destinata alla famiglia “COGNOME” mentre tutta la restante parte «entrava a far parte del patrimonio sociale», il che non sarebbe avvenuto se si fosse stati in presenza di un unico organismo associativo; era stata costituita, da NOME COGNOME, sin dal 2011, laddove la nascita dell’associazione camorristica si collocava nel 2016.
Sempre al punto 5.1, si è rappresentato come tale motivazione del concorso delle due associazioni (camorristica e semplice) e, quindi, dell’insussistenza di una violazione del divieto di bis in idem, risulti del tutto priva di contraddizioni e di illogicità, tanto meno manifeste.
Tale motivazione si sottrae alle censure anche del COGNOME, le quali, oltre a non confrontarsi compiutamente con la stessa motivazione, non appaiono comunque prospettare argomenti idonei a superare quelli che hanno indotto la Corte d’appello di Napoli a ritenere l’autonomia, strutturale e di scopo, dell’associazione che gestiva il traffico illecito dei farmaci rispetto all’associazion camorristica che operava sul territorio perseguendo i propri diversi obiettivi.
Idonei argomenti non sono in particolare ravvisabili nelle invocate dichiarazioni dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME. Con riguardo a quelle di quest’ultimo, come si è già detto al punto 5.1, si deve in particolare ritenere, anche alla luce dei principi che si sono richiamati sopra, che da esse, diversamente da quanto mostra di ritenere il ricorrente, non emerga che l’associazione di cui al capo 2) dell’imputazione operasse, come tale, secondo il
paradigma di cui all’art. 416-bis cod. pen., dovendosi in proposito altresì rilevare come l’utilizzo del metodo mafioso non fosse stato neppure contestato nel suddetto capo 2).
Infine: a) il fatto che solo una parte dei proventi che venivano realizzati con la vendita dei farmaci era destinata alla famiglia “COGNOME” mentre tutta la restante parte «entrava a far parte del patrimonio sociale» dell’associazione di cui al capo 2) dell’imputazione, costituisce, come si è visto, un argomento che milita nel senso del concorso e non dell’identità delle due associazioni (camorristica e semplice); b) diversamente da quanto mostra di ritenere il ricorrente, il fatto che il traffico dei farmaci potesse essere stato “autorizzato” da NOME COGNOME non implica logicamente la coincidenza dell’associazione semplice sub iudice con l’associazione camorristica per la partecipazione alla quale il COGNOME era già stato condannato.
9.3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
La Corte d’appello di Napoli ha non illogicamente confermato l’attribuzione al COGNOME della circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa (segnatamente, dell’agevolazione del clan “COGNOME“).
A sostenere logicamente, e anche giuridicamente, tale conclusione, si deve reputare del tutto sufficiente la valorizzata convergenza delle dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME – le quali si riscontravano reciprocamente -, secondo cui, come è stato congruamente sottolineato dalla Corte d’appello di Napoli, una parte dei proventi che erano ricavati dalla vendita dei farmaci ottenuti truffando i servizi sanitari regiona veniva destinato dal COGNOME alla famiglia “COGNOME“, con la conseguente evidente sussistenza, in capo allo stesso COGNOME, della finalità di agevolare l’attività del clan “COGNOME“.
È, poi, del tutto insussistente la denunciata contraddizione nella quale sarebbe asseritamente incorsa la Corte d’appello di Napoli, atteso che, nell’argomentare sia l’insussistenza della violazione del principio del ne bis in idem sia la sussistenza dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa, la Corte d’appello ha sempre identicamente e coerentemente ritenuto che una parte dei proventi del traffico illeciti dei farmaci era destinata dal COGNOME alla famiglia “COGNOME” (pag. 40: « collaboratori di giustizia hanno riferito che solo una parte dei proventi realizza con la vendita dei farmaci era destinata alla famiglia COGNOME, a titolo di “ricompensa” del benestare rilasciato dal suo capo clan»; pag. 52: «entrambi i propalanti hanno fatto riferimento ai proventi della vendita dei farmaci, una cui parte veniva destinata alla famiglia COGNOME in forza di un patto intercorso proprio tra COGNOME NOME e COGNOME NOME»).
Più in generale, non sono riscontrabili contraddizioni tra la parte della motivazione della sentenza impugnata relativa all’insussistenza della violazione del principio del ne bis in idem e la parte della stessa sentenza relativa alla sussistenza dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa.
9.4. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
Come si è visto esaminando il primo motivo del ricorso di NOME COGNOME (punto 6.1, al quale si fa rinvio per l’esposizione dei principi, affermati dalla Cort di cassazione, in tema di unicità del disegno criminoso, anche con specifico riferimento alla continuazione tra reati associativi), la Corte d’appello di Napoli ha valorizzato, nel senso dell’esclusione del vincolo della continuazione tra i reati sub iudice e quelli giudicati con la sentenza n. 1800 del 21/07/2020 della stessa Corte d’appello di Napoli, sia il dato temporale della preesistenza del traffico illecito d farmaci rispetto alla nascita dell’associazione camorristica “Nuova gerarchia dei Casalesi”, con la conseguenza che lo stesso traffico non si poteva considerare come uno dei “settori” gestiti dall’associazione camorristica, sia la diversità dei reati-fine delle due associazioni (quella camorristica, appena menzionata, e quella semplice di cui al capo 2 dell’imputazione), atteso che, tra i reati-fine della “Nuova gerarchia dei COGNOME“, non figurava il traffico illecito di farmaci.
La valorizzazione di tali elementi rende non illogica la conclusione della Corte d’appello di Napoli dell’assenza dei presupposti per il riconoscimento del vincolo della continuazione, nel senso di quell’anticipata unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già presenti nella mente del reo, che, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, è richiesta per la sussistenza del medesimo vincolo.
Più precisamente, se l’associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di farmaci era stata contestata al COGNOME «dall’anno 2011», mentre l’associazione camorristica “Nuova gerarchia dei casalesi” risulta essere stata costituita solo diversi anni dopo (nel 2016, pag. 182 della sentenza di primo grado), e se tra i reati-fine di tale associazione camorristica non figurava il traffico illecito di farmac si deve reputare non illogico negare, come ha fatto la Corte d’appello di Napoli, che la partecipazione dell’imputato alla stessa associazione camorristica potesse essere stato il frutto di un’ideazione già presente nella mente del COGNOME quando egli, nel 2011, decise di costituire l’associazione per delinquere finalizzata al traffico dei farmaci.
La logicità e la correttezza in diritto della conclusione della Corte d’appello di Napoli non sono infine inficiate dall’elemento che il COGNOME, da un certo momento in poi, avrebbe ottenuto da NOME COGNOME l’autorizzazione” a operare nel “settore” del traffico illecito dei farmaci, atteso che l’esistenza di una ta “autorizzazione” non implica, né logicamente né giuridicamente, né che i reati di traffico illecito dei farmaci costituissero dei reati-fine dell’associazio
camorristica, come è sostenuto dal ricorrente, né l’unicità del momento deliberativo degli stessi reati e di quello di cui all’art. 416-bis cod. pen.
9.5. Il quinto motivo è manifestamente infondato.
Richiamati i principi, affermati dalla Corte di cassazione, che si sono rammentati al punto 3.3.1, si deve ritenere che l’obbligo di motivazione in ordine alla conferma del diniego delle circostanze attenuanti generiche ben possa ritenersi sufficientemente assolto dalla Corte d’appello di Napoli mediante la valorizzazione della gravità dei reati (così dovendosi intendere l’espressione, utilizzata dalla stessa Corte d’appello nel primo capoverso della pag. 53 della sentenza impugnata: «gravità del contegno tenuto dall’imputato»), nell’evidenziata assenza di elementi positivi che potessero indurre a concedere le richieste circostanze attenuanti; motivazione che, in quanto espressiva di un giudizio di fatto, non è sindacabile in questa sede di legittimità.
10. In conclusione: a) la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di NOME COGNOME limitatamente alla circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa, nei confronti di NOME COGNOME limitatamente all’entità della riduzione di pena per la circostanza attenuante della collaborazione e nei confronti di NOME COGNOME limitatamente alla circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa, con rinvio a un’altra sezione della Corte di appello di Napoli per un nuovo giudizio sui predetti punti; b) i ricorsi degli stessi NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME devono essere dichiarati inammissibili nel resto, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 624, comma 2, cod. proc. pen., occorre dichiarare nel dispositivo l’irrevocabilità delle rispettiv affermazioni di responsabilità di tali imputati; c) i ricorsi di NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME devono essere dichiarati inammissibili, con la conseguente condanna di tali imputati, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di C 3.000,00 ciascuno in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata: – nei confronti di COGNOME NOME limitatamente alla circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa; – nei confronti di COGNOME NOME limitatamente all’entità della riduzione di pena per la circostanza attenuante della collaborazione; – nei confronti di NOME limitatamente alla circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio sui predetti punti. Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi dei predetti imputati ed irrevocabili
rispettive affermazioni di responsabilità. Dichiara inammissibili i ricorsi di
COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME,
COGNOME NOME, COGNOME NOME, che condanna al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di euro tremila in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 06/06/2025.