Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 33832 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 33832 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/07/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME, nato a Villaricca (NA) il DATA_NASCITA
COGNOME NOMENOME nata a Napoli il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/11/2024 della Corte di appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi; lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, in difesa della parte civile Comune di Sant’Antimo, che ha chiesto la conferma della sentenza impugnata e la rifusione delle spese e del grado, coma da nota depositata.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Napoli ha confermato la condanna di NOME COGNOME per i delitti di rivelazione di segreti d’ufficio e di favoreggiamento personale, aggravati dalla finalità di agevolare i RAGIONE_SOCIALE di “camorra” di cui facevano parte i destinatari delle rivelazioni (capi 48, 49, 69 e 70 dell’imputazione), nonché la condanna di NOME COGNOME per il delitto di
compravendita di voti nelle consultazioni elettorali, previsto e punito dall’art. 86, d.P.R. n. 570 del 1960.
1.1. Secondo le concordi decisioni dei giudici di merito, COGNOME, maresciallo dei Carabinieri allora in servizio quale comandante della RAGIONE_SOCIALE di Sant’Antimo, in più occasioni ha rivelato a NOME COGNOME e NOME COGNOME notizie da lui apprese per ragione del suo ufficio e coperte da segreto, in quanto relative ad indagini penali in corso, a denunce presentate, all’avvio di collaborazioni con la giustizia, ad imminenti controlli di polizia, e ciò ha fatto nella consapevolezza dell’inserimento di costoro nei RAGIONE_SOCIALE camorristici “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“, operanti in quel territorio, e con l’intenzione di agevolare, loro tramite, tali formazioni criminali.
1.2. La COGNOME, invece, su incarico e sollecitazione del predetto COGNOME, candidato nelle elezioni del consiglio comunale tenutesi a Sant’Antimo nel 2017, ha procurato allo stesso numerosi voti dietro corrispettivo in denaro, con lo scopo di favorire il “RAGIONE_SOCIALE“, gruppo camorristico di riferimento di costui.
1.3. Entrambi gli imputati, per il tramite dei rispettivi difensori, ricorrono per cassazione avverso tale decisione.
Il ricorso proposto nell’interesse dell’imputato COGNOME consta di due motivi.
2.1. Con il primo si denunciano violazione della legge penale e vizi di motivazione della sentenza d’appello, nella parte relativa al riconoscimento della circostanza aggravante della finalità agevolativa mafiosa (art. 416-bis.1, cod. pen.).
Richiamati i princìpi elabol’Ai nella materia dalla giurisprudenza di questa Corte, e passando in rassegna partitamente le singole rivelazioni, il ricorso lamenta l’assenza o comunque l’insufficienza della motivazione sull’idoneità oggettiva delle stesse all’agevolazione delle consorterie criminali e, comunque, sulla finalità del ricorrente di favorire queste ultime e non, al limite, i singoli destinatari delle sue informazioni, ovvero i predetti COGNOME e COGNOME: ai quali – secondo quanto da lui riferito sin dal suo interrogatorio “di garanzia” – lo legava un rapporto di amicizia, senza alcuna consapevolezza, da parte sua, del coinvolgimento di costoro nelle locali cosche mafiose.
Del resto, aggiunge il ricorso: COGNOME era persona incensurata, rivestiva una carica pubblica (presidente del consiglio comunale) e non vi è alcun elemento di prova della possibile conoscenza, da parte del COGNOME, delle condotte dalle quali è stata dedotta la partecipazione di costui alla consorteria criminale; nessuno dei collaboratori di giustizia escussi nel corso del processo, pur avendo parlato di collusioni tra i carabinieri della RAGIONE_SOCIALE di Sant’Antimo ed esponenti dei RAGIONE_SOCIALE del luogo, ha operato uno specifico riferimento al maresciallo COGNOME; quanto, poi,
a COGNOME, si trattava di soggetto sì condannato per partecipazione al “RAGIONE_SOCIALE“, ma molti anni addietro, e la sentenza impugnata omette completamente di motivare sull’attualità della sua militanza mafiosa; le indagini su costoro erano svolte da altro comando dei Carabinieri e la circostanza per cui il ricorrente ne fosse all’oscuro trova conferma logica nel fatto che questi si esprimesse senza alcuna cautela nelle conversazioni intercettate con COGNOME.
La Corte d’appello, dunque, avrebbe finito per valorizzare solamente il ruolo istituzionale dell’imputato ed il suo rapporto di frequentazione con COGNOME, elementi tuttavia già ritenuti insufficienti in fase cautelare sia dal Giudice per le indagini preliminari che da questa Corte, con la sentenza che aveva respinto l’appello proposto dal Pubblico ministero contro la decisione di quel giudice (Sez. 6, n. 22116 del 15/04/2021).
In particolare, con riferimento a ciascuna delle rivelazioni contestate, la difesa rassegna le seguenti osservazioni:
notizia della collaborazione con la giustizia intrapresa da tale COGNOME, esponente del “RAGIONE_SOCIALE“: la sentenza incorre in un travisamento, perché afferma che l’imputato l’avrebbe riferita a COGNOME, che indica come altro esponente di quel RAGIONE_SOCIALE, quando invece, secondo la stessa contestazione, quegli apparterrebbe al “RAGIONE_SOCIALE“; ciò premesso, e considerato che comunque COGNOME non aveva rivelato il contenuto delle dichiarazioni del collaborante, non sarebbe possibile apprezzare alcuna obiettiva utilità di tale notizia, tanto per l’uno quanto per l’altro RAGIONE_SOCIALE, tanto più che era già noto che i familiari dell’COGNOME avessero avviato un rapporto collaborativo ed anch’egli era già sottoposto a programma di protezione; infine, la sentenza non spiega da dove possa desumersi che l’imputato fosse consapevole del fatto che la notizia da lui rivelata a COGNOME sarebbe stata poi da questi veicolata a COGNOME;
rivelazione dell’imminente sottoposizione ad intercettazione di tali COGNOME e COGNOME: si sarebbe trattato di una notizia falsa, e perciò inutile per i RAGIONE_SOCIALE, dal momento che i successivi accertamenti hanno permesso di appurare che altri erano i soggetti destinatari di quell’attività d’investigazione;
rivelazione a COGNOME dell’avvenuta presentazione di una denuncia per tentata estorsione nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME, affiliati al “RAGIONE_SOCIALE“: l’imputato avrebbe agito senza il necessario dolo specifico, non immaginando che COGNOME potesse riferire ad altri la notizia, avendogli peraltro raccomandato di tenerla per sé; inoltre, COGNOME ne avrebbe informato COGNOME all’esclusivo scopo di favorire lo stesso, sapendo dei suoi dissidi con COGNOME; infatti, se avesse voluto favorire il RAGIONE_SOCIALE, ne avrebbe informato direttamente lo stesso COGNOME, che ne era il capo;
d) informazione circa l’esistenza di indagini sulla spedizione di una falsa lettera minatoria a tale NOME COGNOME, al fine di far apparire quest’ultimo estraneo ai contesti criminali del luogo: l’imputato avrebbe agito soltanto nell’interesse del suo amico COGNOME, coinvolto nella vicenda, essendo ignaro di una possibile coincidenza di interessi tra quest’ultimo e COGNOME (tanto da avergli raccomandato di non far vedere nemmeno al suo avvocato i documenti consegnatigli); del resto, COGNOME è stato definitivamente assolto già in primo grado dall’imputazione di favoreggiamento del NOME, risultando perciò intrinsecamente contraddittoria la decisione;
rivelazione di imminenti controlli di polizia presso l’officina meccanica di tale COGNOME: la sentenza non spiega perché questa condotta sarebbe stata oggettivamente idonea a favorire il “RAGIONE_SOCIALE COGNOME“, non evidenziando alcun collegamento tra il predetto COGNOME od il suo esercizio commerciale con l’attività o gli interessi del sodalizio criminale;
notizia di imminenti controlli di polizia presso i capannoni di Antimo RAGIONE_SOCIALE: non vi sarebbe traccia, in sentenza, di collegamenti tra quegli immobili e gli interessi del RAGIONE_SOCIALE, tanto da non essere stati mai gli stessi neppure sequestrati; in realtà, sarebbe emerso solo un interesse personale del COGNOME, in ragione dell’irregolarità del relativo contratto di locazione a terzi.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente si duole del diniego delle attenuanti generiche.
La decisione sarebbe contraddittoria, avendo positivamente valutato la condotta confessoria e collaborativa dell’imputato ai fini della non considerazione della recidiva nella determinazione della pena. Il giudizio sul punto, allora, finirebbe per fondarsi esclusivamente sulla gravità del fatto di reato, la quale, tuttavia, non può di per sé ritenersi ostativa al riconoscimento di tali attenuanti.
3. NOME COGNOME fonda il proprio ricorso su tre motivi.
3.1. Il primo consiste nella violazione di legge e nel vizio della motivazione della sentenza, nella parte in cui è stata ravvisata l’aggravante della finalità agevolativa mafiosa.
Ella deduce che mancherebbe qualsiasi dimostrazione della sua apparRAGIONE_SOCIALE ad un sodalizio di tal specie e della sua partecipazione ad incontri con esponenti di esso. La sentenza farebbe ricorso a congetture ed espressioni di stile, mancando qualsiasi fatto specifico da cui poter desumere che ella abbia agito per tutelare un gruppo camorristico. La Corte d’appello valorizza, a tal fine, le sue conversazioni intercettate con il proprio compagno, nelle quali quest’ultimo si dice preoccupato per lei e le raccomanda di non mettersi in pericolo, ma dalle quali emerge il disinteresse di costei per la remunerazione economica promessale e l’aspettativa,
piuttosto, di differenti vantaggi. Tuttavia – obietta la difesa – il semplice coinvolgimento del singolo in una qualsiasi attività illecita riferibile al gruppo non può esaurire la prova del dolo specifico richiesto dall’art. 416-bis.1, cod. pen..
3.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia i medesimi vizi della sentenza, nella parte in cui ha revocato la sospensione condizionale della pena, concessa con la sentenza di primo grado.
Vero è – si deduce – che il giudice d’appello può disporre in tal senso anche d’ufficio, ma può farlo solamente se le cause ostative al riconoscimento del beneficio non siano già note a quello di primo grado: ciò che, nel caso specifico, non risulta essere stato appurato.
3.3. Da ultimo, si lamentano il diniego delle attenuanti generiche e l’elevata commisurazione della pena, che sarebbero stati giustificati in sentenza con formule di stile ed argomentazioni generiche, senza tener conto del modesto grado di partecipazione dell’imputata al reato e della scarsa intensità del dolo.
Ha depositato requisitoria scritta la Procura AVV_NOTAIO, chiedendo di rigettare i ricorsi.
La difesa della parte civile Comune di Sant’Antimo ha depositato conclusioni scritte e nota spese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Ricorso Di COGNOME.
1.1. Il primo motivo d’impugnazione non è fondato e dev’essere respinto.
La motivazione della sentenza impugnata è obiettivamente parsimoniosa (pagg. 35 s.), tuttavia integrandosi con quella, ivi richiamata, della decisione appellata, ben più consistente e congrua.
Ciò premesso, e considerato che neppure la difesa ricorrente pone in discussione l’esistenza delle rivelazioni ed il carattere segreto delle notizie comunicate, giacché si duole esclusivamente della ritenuta aggravante della finalità agevolativa mafiosa, il tema in discussione è solamente quello della direzione della condotta illecita dell’imputato: se, cioè, egli abbia inteso favorire esclusivamente i propri amici COGNOME e COGNOME, oppure, loro tramite, la loro consorteria mafiosa di riferimento, anche in via soltanto concorrente.
La disciplina giuridica che regola la fattispecie, infatti, è chiara ed indiscussa e può sintetizzarsi, per quanto qui rileva, in due princìpi: quello per cui la finalità di agevolazione dell’attività di un’associazione di tipo mafioso deve costituire l’obiettivo diretto della condotta dell’agente, non rilevando possibili vantaggi
indiretti, né il semplice scopo di favorire un esponente di vertice della cosca, salvo che si accerti l’effettiva ed immediata coincidenza degli interessi di costui con quelli dell’organizzazione; e, per altro verso, quello secondo il quale tale finalità non deve necessariamente essere esclusiva, ben potendo accompagnarsi a scopi egoistici di vantaggio personale, di qualsiasi natura, che si coniughino con l’esigenza di agevolazione della cosca (per tutte, ampiamente, Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278734, in motivazione).
Ebbene, pur nella sua stringatezza, la sentenza impugnata ha dato rilievo ad un elemento – indiscusso – che si presenta dirimente ai fini della complessiva tenuta logica del suo ragionamento: la circostanza, vale a dire, che nessuna delle notizie rivelate dall’imputato ai presunti amici COGNOME e COGNOME interessasse direttamente e personalmente costoro.
In effetti, se tale dato viene letto – come fa la Corte d’appello – unitamente al qualificato ruolo istituzionale dell’imputato, alla sua lunga permanenza in quel territorio, alla pluralità ed alla delicatezza delle rivelazioni da lui compiute, all compromissione con i locali RAGIONE_SOCIALE camorristici di entrambi i destinatari di esse ed all’utilità delle notizie rivelate – maggiore o minore, ma comunque obiettiva – per gli equilibri criminali del luogo (tanto che i destinatari le diffondono rapidamente ad altri aderenti alle cosche e, di più o di meno a seconda dei casi, comunque si preoccupano di come comportarsi di conseguenza: si vedano le conversazioni intercettate e riportate diffusamente nella sentenza di primo grado), la motivazione della sentenza impugnata risulta tutt’altro che ellittica od assertiva, ma anzi logicamente lineare.
D’altronde, le censure difensive non ne attingono la coerenza interna né lamentano l’incompleta considerazione del compendio probatorio od il manifesto fraintendimento di risultanze istruttorie palesemente decisive, ma piuttosto spigolano tra le acquisizioni probatorie, per lo più offrendone una differente lettura e, quindi, chiamando questa Corte ad un giudizio sulla prova, che però non le compete.
1.2. Il secondo motivo di ricorso, in tema di attenuanti generiche, è anch’esso infondato.
Non v’è, infatti, alcuna contraddittorietà intrinseca tra la valorizzazione di un aspetto favorevole all’imputato (nello specifico, la sua condotta processuale collaborativa) per escludere l’aumento di pena a titolo di recidiva e, ad un tempo, il diniego delle attenuanti generiche. La relativa valutazione rientra ne discrezionalità del giudice di merito e non è sindacabile in questa sede, se non limiti dell’arbitrarietà, della manifesta irragionevolezza o dell’assenz motivazione, nessuna delle quali, tuttavia, ravvisabili nel caso specifico: sentenza impugnata, infatti, per negare tali attenuanti, ha ritenuto di assegn
prevalenza qualificante all’intensità del dolo dell’imputato, alla protrazione delle sue condotte infedeli, alla particolare delicatezza del suo ruolo istituzionale ed al carattere altamente fiduciario delle sue funzioni, con una valutazione complessiva ampiamente ragionevole.
1.3. Al rigetto del ricorso segue obbligatoriamente per legge la condanna del proponente a farsi carico delle relative spese (art. 616, cod. proc. pen.).
2. Ricorso COGNOME.
2.1. Il primo motivo di ricorso, con cui pure questa imputata si duole del riconoscimento a suo carico dell’aggravante della finalità agevolativa di un’associazione mafiosa, merita di essere accolto.
Anche riguardo alla sua posizione, invero, la sentenza impugnata si presenta particolarmente sintetica (pagg. 32 s.), individuando le ragioni di tale riconoscimento nella strumentalità della vittoria dei candidati del RAGIONE_SOCIALE nelle elezioni, affinché esso potesse continuare a mantenere il controllo sull’ufficio tecnico comunale e sugli appalti. Inoltre, sotto l’aspetto psicologico, deduce la consapevolezza dell’imputata di aver agito per favorire quella consorteria mafiosa dalle conversazioni in cui il proprio compagno si riferisce ai pericoli da lei corsi, nonché dall’essersi ella recata in più occasioni presso il mobilificio del Di COGNOME, luogo d’incontro degli esponenti del RAGIONE_SOCIALE, ed altresì dall’essersi ella mostrata consapevole di poter ottenere da costui anche altri tipi di favori, al punto di affermare che avrebbe anche potuto fare a meno del compenso promessole per il procacciamento dei voti.
Nessuno di tali argomenti, tuttavia, presenta la concludenza logica necessaria per poter univocamente ravvisarvi la prova logica di tale peculiare finalità dell’azione posta in essere dall’imputata.
La Corte d’appello non afferma, infatti, che ella avesse uno specifico interesse all’influenza del RAGIONE_SOCIALE sugli esponenti dell’ufficio tecnico comunale e sugli appalti. Non spiega, inoltre, se, nelle occasioni in cui si è recata presso il mobilificio del COGNOME, ella abbia incontrato soggetti appartenenti alla consorteria mafiosa o si siano altrimenti verificate situazioni univocamente indicative dell’inserimento del COGNOME in contesti di criminalità organizzata. Ancora: non viene illustrato alcun dato di fatto da cui poter ragionevolmente dedurre che i vantaggi da costei realmente avuti di mira, diversi dal compenso promessole in cambio del voto, fossero collegati all’inserimento del COGNOME nei locali contesti mafiosi e non, piuttosto, al ruolo che quegli avrebbe potuto assumere, se eletto, nell’amministrazione comunale. Infine, neppure decisivi appaiono i timori del suo compagno e le raccomandazioni da lui rivoltegli, giacché, dagli stralci dei relativi dialoghi riportati in sentenza (pagg. 30 s.), non v’è modo di capire con chiarezza/
se quelle preoccupazioni derivassero dalla consapevolezza della compromissione con le locali cosche mafiose dei soggetti con i quali la sua compagna aveva a che fare oppure, semplicemente, dall’illiceità in sé dell’attività di compravendita dei voti, che costei si era impegnata a compiere.
Si rende necessaria, pertanto, una motivazione supplementare, che permetta, se possibile, di superare tali obiettive incertezze. La sentenza impugnata dev’essere quindi annullata sul punto, con rinvio al giudice di merito affinché vi provveda.
2.2. La sentenza dev’essere annullata, inoltre, nel punto relativo alla revoca della sospensione condizionale della pena, oggetto del secondo motivo di ricorso.
Le ragioni della decisione non sono chiare. Il giudice di primo grado non ha spiegato perché abbia concesso il beneficio (pag. 229, sent.), mentre quello d’appello si limita a disporne la revoca «in presenza di cause ostative ai sensi dell’art. 164 n. 1 c.p.» (pag. 33).
Ma, a prescindere dall’incertezza su quali siano tali cause, deve trovare applicazione, nel caso di specie, il principio incidentalmente affermato da Sez. U, n. 36460 del 30/05/2024, COGNOME, Rv. 287004, secondo cui, in presenza di una causa ostativa ignota al giudice di primo grado – e tale non può che ritenersi quella sulla quale quel giudice abbia omesso di pronunciarsi pur avendo nei suoi atti quanto necessario per farlo – e nota, invece, a quello d’appello, tuttavia non investito dell’impugnazione sul punto, a quest’ultimo giudice è precluso il potere di revoca d’ufficio, in ossequio al principio devolutivo (potendovi semmai provvedere il giudice dell’esecuzione).
2.3. Inammissibile, invece, è l’ultimo motivo del ricorso di questa imputata, in tema di attenuanti generiche.
Esso, infatti, è semplicemente assertivo, e perciò aspecifico; inoltre, si limita a segnalare dati di fatto ipoteticamente rilevanti a quel fine, e quindi a chiedere al giudice di legittimità una non consentita valutazione di merito.
Sul punto, la motivazione del giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità, purché dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133, cod. pen., da esso considerati preponderanti, e non si presenti quale frutto di mero arbitrio o di ragionamento del tutto illogico, contraddittorio od immotivato.
Nello specifico, il ragionamento compiuto dalla Corte territoriale si presenta decisamente plausibile, avendo quei giudici valorizzato l’elevato rango dei beni lesi, la propensione a delinquere dell’imputata e la reiterazione della condotta illecita.
2.4. Quanto, invece, alla commisurazione della pena, la stessa può in astratto risentire del riconoscimento o meno della circostanza aggravante di cui all’art. 416-
bis.1, cod. pen., in quanto elemento incisivamente caratterizzante la gravità obiettiva della condotta.
Ragione per cui, anche su questo punto, si rende necessario annullare con rinvio la sentenza impugnata, per una nuova valutazione all’esito di quella su tale fattispecie circostanziale.
Non può essere accolta la richiesta di liquidazione delle spese del presente grado di giudizio avanzata dalla parte civile Comune di Sant’Antimo.
Essa, infatti, non soltanto risulta presentata nei confronti di persone diverse dagli odierni ricorrenti (vale a dire i soggetti con essi originariamente imputati nel procedimento), ma comunque è tardiva, poiché depositata in cancelleria per via telematica soltanto in data odierna, senza quindi il rispetto del termine dilatorio di cinque giorni prima dell’udienza, previsto dall’art. 611, comma 1, cod. proc. pen., per il deposito delle conclusioni nel caso – come questo – di procedimento a trattazione scritta.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME con riferimento alla ritenuta circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1, cod. pen., nonché alla intervenuta revoca della sospensione condizionale della pena e rinvia per la sola rideterminazione della pena ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.
Dichiara il ricorso inammissibile nel resto.
Rigetta il ricorso di NOME NOME, che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 10 luglio 2025.