Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 47280 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 47280 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a BRINDISI il 11/06/1981
avverso la sentenza del 20/03/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
L’avvocato NOME COGNOME espone i motivi di ricorso e insiste nell’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Catanzaro – quale giudice del rinvio a seguito dell’annullamento da parte della Corte di cassazione per ravvisata violazione del diritto di difes – ha confermato la decisione del Tribunale di Cosenza, che, nel rito abbreviato, aveva dichiarato NOME COGNOME colpevole (in concorso con NOME COGNOME, non ricorrente) di lesioni personali ( capo B), condannandolo alla pena ritenuta di giustizia, esclusa la circostanza aggravante teleologica di cui all’art. 61 n. 2 cod. pen. ( per avere assolto gli imputati dal delitto di artt. 110 – 337 cod. pen. in relazione alla quale era stata contestata), e riconosciuta, in fatt circostanza aggravante di cui agli artt. 585 e 576 co. 1 n. 5 -bis cod. pen., radicante la procedibilità di ufficio.
2. Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME per il tramite del difensore di fiducia, che si affida a tre motivi, enunciati nei limiti richiesti per la motivazione ai sensi dell’a disp. att. cod.proc.pen..
2.1. Con il primo, denuncia violazione degli artt. 178 – 189- 420 ter cod. proc. pen. in relazio agli artt. 24 e 111 Cost.. Espone che, in occasione del giudizio di rinvio dinanzi alla Corte appello, era stata tempestivamente richiesta, a mezzo P.E.C. depositata in data 01.12.2023, la trattazione del giudizio in presenza, essendo intenzione del ricorrente, divenuto collaboratore di giustizia, rendere in videoconferenza spontanee dichiarazioni in merito ai fatti. Successivamente, il difensore aveva inoltrato un’altra P.E.C. alla cancelleria della Corte di appello in data 15 ma 2024 con dichiarazione di adesione all’astensione della classe forense proclamata dalle Camere penali per l’udienza del 20 marzo 2024.Ciononostante, di tale comunicazione la Corte di appello non dava atto e, come da verbale dell’udienza, dichiarava assente il difensore dell’imputato nominando un sostituto processuale ai sensi dell’art. 97 co. 4 cod. proc. pen.; pronunciava, quindi, la sentenza qui impugnata, in violazione del diritto di difesa.
2.2. Con il secondo motivo ci si duole della errata qualificazione del titolo di reato e correlati di motivazione. Espone il ricorrente che, in seguito alla assoluzione per la insussistenza del fatt pronunciata già dal Giudice di primo grado, dal delitto di violenza e minaccia a pubblico ufficiale di cui all’art. 336 cod. pen., contestato al capo A) dell’imputazione, erroneamente, la Corte appello ha ravvisato, in relazione al delitto di lesioni personali, la circostanza aggravante de connessione teleologica di cui all’art. 576 co. 1 n. 5-bis, in mancanza di un apprezzabile legame con un atto contrario al dovere di ufficio o con un’omissione di un atto dovuto da compiere a opera del p.u., tanto che l’imputato è stato mandato assolto dal delitto sub A). In mancanza della predetta circostanza aggravante, il delitto è procedibile a querela di parte, nel caso di spe non presente in atti.
2.3. Con un terzo motivo ci si duole della eccessiva severità della pena irrogata, in violazione de criteri legali di cui all’art. 133 cod. pen. In particolare, si imputa alla Corte di appello di no preso in considerazione, a fronte della laconica motivazione del Giudice di primo grado, elementi
segalati dalla Difesa, e, in specie, il comportamento post delictum tenuto dal ricorrente, in cui ha manifestato, in sede di interrogatorio del 13 maggio 2021, il proprio ravvedimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non è fondato.
1.Come premesso, con il primo motivo, è dedotta la nullità della sentenza impugnata per violazione del diritto di difesa, assumendo il ricorrente che la Corte di appello avrebbe ignora la p.e.c. con la quale il difensore costituito aveva comunicato, tempestivamente, la propria adesione alla astensione dalle udienze proclamata dalle camere penali per il giorno 20 marzo 2024.
1.1.11 motivo non ha pregio, dal momento che, dalla consultazione dell’incarto processuale – al quale il Giudice di legittimità accede in ragione del vizio processuale dedotto ( Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001 Cc. (dep. 28/11/2001 ), Policastro , Rv. 220092) – mentre è rinvenibile la copia della richiesta di trattazione in presenza, recante la firma digitale, con riscontro di cancell non si rinviene la comunicazione di adesione all’astensione dalle udienze che sarebbe stata inoltrata alla cancelleria della Corte di appello.
1.2. D’altro canto, se è vero che il ricorrente ha allegato, nella produzione documentale d accompagnamento al ricorso, una dichiarazione di astensione dall’udienza del difensore di fiducia dell’imputato, essa risulta, però, priva di sottoscrizione e mancante della relata di notifi mezzo p.e.c. A tanto deve aggiungersi che, mentre dal verbale della udienza del 20 marzo 2024, si evince che il processo è stato trattato in presenza, ciò che riscontra la prospettazione difensiv con riguardo all’istanza avanzata in tal senso, nulla si dice, invece, in merito alla dichiarazi di astensione, silenzio che – unitamente agli altri elementi già evidenziati – fa propendere per mancato rituale deposito della p.e.c. contenente la dichiarazione di astensione, in assenza di certi elementi di segno contrario.
Anche il secondo motivo è infondato. Il Tribunale, in primo grado, aveva escluso la circostanza aggravante c.d. teleologica, di cui all’art. 61 n. 2 cod. pen., dopo avere assolto l’imputato delitto di cui agli artt. 110 – 336 cod. pen., contestato al capo A), in applicazione del princip diritto a tenore del quale l’esclusione del reato fine in ragione di una pronuncia di assoluzio determina – il — venir — meno – della – circostanza aggravante del nesso teleologico. (Sez. 5 n. 6521 del 30/10/2018 (dep. 2019) Rv. 275618).
2.1. Aveva, invece, riconosciuto come contestata in fatto la circostanza aggravante di cui agli artt. 585 – 576 co. 1 n. 5-bis cod. pen.. Lamenta il difensore ricorrente che la Corte di appello avrebbe erroneamente ravvisato, in relazione al delitto di lesioni personali, tale ulti circostanza in mancanza di un apprezzabile legame con un atto contrario al dovere di ufficio o con un’omissione di un atto dovuto da compiere a opera del p.u.. in ragione del verdetto assolutorio pronunciato in relazione al delitto di minaccia e violenza a p.u.
2.2. Posto che, come detto, la circostanza aggravante teleologica di cui all’art. 61 n. 2 cod. pen. era stata già esclusa dal primo giudice, la deduzione difensiva sembra incentrata -mediante una prospettazione piuttosto criptica -sulla (in)sussistenza della circostanza aggravante di cui all’a
576 co. 1 n. 5bis, cod. pen., sostenendosi che “dall’assoluzione dell’imputato dal reato …di cui agli artt. 336 c.p., discende che…debba essere esclusa la cd aggravante teleologica di aver commesso il fatto al fine di compiere il delitto previsto dall’art. 336 c.p.”
2.3. E, tuttavia, l’aggravante di cui all’art. 576 co. 1 n. 5 -bis cit. non ha una connotazione teleologica, essa introducendo un elemento specializzante, riferito alle condotte poste in essere contro una particolare categoria di pubblici ufficiali, che è configurabile solo quando questi ult rivestono la qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria, proprio perché l’art. 576, c quinto-bis cod. pen. ritaglia, nella più generica categoria dei pubblici ufficiali ed incaric pubblico servizio, una più ristretta categoria di soggetti che svolgono specifiche funzioni di poli giudiziaria o di pubblica sicurezza ( Sez. 6 n. 31231 del 25/09/2020 , in motivazione).
2.4. Come è noto, l’art. 57 del codice di procedura penale elenca esplicitamente, tra gli uffici e agenti di polizia giudiziaria, gli agenti di custodia.
2.5. Dunque, l’aggravante ritenuta dai giudici di merito è quella di avere commesso il fatto ( lesioni) in danno di un agente o ufficiale di polizia giudiziaria nell’esercizio o a causa delle funzioni, per avere gli imputati aggredito l’assistente NOME, “spingendolo all’interno della guardiola, ove non vi erano telecamere, e poi, colpendolo con calci e pugni, giungendo a scaraventarlo contro la sedia in dotazione dell’ufficio, così cagionandogli le lesioni in certificate”( cfr. sentenza di primo grado).
2.6. In effetti, la contestazione dell’aggravante in parola era implicitamente contenut nell’imputazione del reato di cui all’art. 336 cod. pen., espressamente richiamato dall’imputazione sub B). Si legge, infatti, nel capo A), che la minaccia era stata perpetrata “nei confronti dell’ Ass. Capo di Polizia Penitenziaria NOME NOME nell’esercizio delle sue funzioni ed era consistita oltre che nel pronunciare le frasi ivi riportate, anche “nel colpire con calci e pugni l’ass. NOME nonchè nel colpirlo con una sedia”; nel capo B), l’incipit della imputazione contiene il richiamo al capo A) e al”la condotta ivi descritta”.
2.7. Giova ricordare che, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante del fa commesso nei confronti di pubblico ufficiale o di agente di polizia giudiziaria ovvero di pubblic sicurezza “nell’atto dell’adempimento delle funzioni o del servizio”, di cui all’art. 576, comma primo, n. 5-bis, cod. pen. occorre un collegamento logico tra il fatto delittuoso e l’adempiment delle funzioni o del servizio, con conseguente esclusione di tale circostanza in caso di mera connessione temporale tra di essi (Sez. 1 n. 9108 del 14/09/2018 (dep. 2019 ) Rv. 275667). 2.8.Con riguardo alle lesioni, la Corte di appello ha ravvisato, con argomenti affatto illogic giuridicamente validi, che era emersa, nel processo, la sussistenza di un legame diretto tra i
fatto delittuoso e l’esercizio delle funzioni del p.u..
2.9. Non si comprende, dunque, l’insistenza della difesa nel riferirsi alla finalità “di compiere il delitto previsto dall’art. 336 c.p.” come detto, già esclusa dal primo giudice, il quale, giova ricordarlo, ha assolto gli imputati dalle minacce rivolte al pubblico ufficiale, ritenendo che e fossero fosse riferibili a sentimenti ostili e di disprezzo dei due detenuti, e scaturite da un che il pubblico ufficiale aveva già compiuto – dunque, ritenendo che esse non fossero correlate
a un atto doveroso del p.u. – altresì escludendo una riqualificazione ai sensi dell’art. 341 bis cod. pen., in ossequio a una interpretazione convenzionalmente orientata dei principi di equità del processo di cui all’art. 6 Cedu. Ha, invece, ravvisato – con riguardo alle lesioni contestate s B) – come contestata in fatto, la diversa circostanza aggravante dell’avere commesso il fatto in danno di un pubblico ufficiale in servizio. In effetti, per quanto si è detto, la condotta l venne attuata aggredendo il pubblico ufficiale mentre si trovava in servizio.
2.10. Va ricordato, allora, che, in tema di circostanze aggravanti, non è necessaria la specific indicazione della norma che la prevede, essendo sufficiente la precisa enunciazione “in fatto” della stessa, così che l’imputato possa avere cognizione degli elementi di fatto che la integrano. (Sez. 2, n. 14651 del 10/01/2013,— Rv. 255793). E’, cioè, – ammissibile – la c.d. contestazione in fatto quando vengano valorizzati comportamenti individuati nella loro materialità, ovvero riferiti a mezzi o ad oggetti determinati nelle loro caratteristiche, ido riportare nell’imputazione tutti gli elementi costitutivi della fattispecie aggravatrice, rend così possibile — l’adeguato esercizio – del — diritto di d (Sez. 2 n. 15999 del 18/12/2019 (dep. 2020 ) Rv. 279335).
Da qui la infondatezza delle deduzioni difensive, non rivelando, la sentenza impugnata, i vizi denunciati e resistendo, piuttosto, al vaglio di legittimità.
3.Manifestamente infondato il terzo motivo, che omette di confrontarsi con la motivazione rassegnata in punto di trattamento sanzionatorio dalla Corte di appello, che ha negato le circostanze attenuanti sottolineando le modalità violente della condotta, “in assenza di alt elementi oggettivamente valorizzabili”, altresì evidenziando come il trattamento sanzionatorio sia stato determinato partendo da una pena base prossima al minimo edittale.
3.1. In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia cont anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., conside preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269). Pertanto, il giudice di merito può escludere la sussistenza del circostanze attenuanti generiche con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purchè non contraddittoria congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Sez. 6, n. 42688 24.09.2008, Rv. 242419; conf. sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269) essendosi limitato a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod.pen., quello che ritiene prevalent e atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicchè anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato e alle modalità di esecuzione di e può essere sufficiente in tal senso (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Rv. 249163; Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549)
Al rigetto del ricorso segue, ex lege, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2024 Il Consigliere estensore