Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 17359 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 17359 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a SALERNO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 26/01/2024 del TRIBUNALE di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME, la quale ha concluso per il rigetto del ricorso
udito il difensore
AVV_NOTAIO in difesa di COGNOME NOME insiste per l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. COGNOME NOME, a mezzo del difensore di fiducia, ricorre avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli del 26/01/2024 che, in sede cli appello cautelare, ha confermato il provvedimento con cui il Tribunale di Avellino ha disposto nei confronti dell’imputato la sostituzione della quella degli arresti domiciliar applicata con ordinanza del Gip del Tribunale di Napoli del 26/1.0/2020, per i reati di cui agli artt. 110-416-bis cod. pen., 110-353, 416-bis.1 cod. pen. e 629, comma 2, 56, 629 e 416-bis.1 cod. pen.
Espone la difesa che l’aggravamento della misura da parte del Tribunale di Avellino – dinanzi al quale il ricorrente è imputato dei reati in premessa indicati si fonda sul contenuto della documentazione prodotta in udienza dal pubblico ministero (in particolare, un’intercettazione di cui al progressivo n. 34868 Rit. 4590/2023 e le chat intercorse tra l’imputato e la COGNOME negli anni 2020 al 2022), dalla quale il collegio ha ricavato elementi concreti per ritenere che il ricorrente si sia attivato per influenzare e condizionare le dichiarazioni di due testimoni (COGNOME NOME e COGNOME NOME) affinché ritrattassero quanto in precedenza riferito ai carabinieri nel corso delle indagini preliminari, nonché abbia reiteratamente violato le prescrizioni imposte con l’ordinanza applicativa degli arresti domiciliari, emergendo contatti con persone differenti dalle conviventi e da quelle dedicate all’assistenza del detenuto.
La difesa, dopo avere ricostruito e stigmatizzato l’evolversi delle vicende di carattere processuale che vedono il ricorrente imputato dinanzi al Tribunale di Avellino e che hanno portato alla disposta cautela ed alla successiva sostituzione della misura (v. pagg. 1-4 del ricorso ove si sottolinea che la ritenuta falsità del dichiarato dei testi è stata ritenuta nell’ottica di salvaguardare i Carabinieri che quelle dichiarazioni avevano in precedenza assunto e che erano stati accusati di averle estorte), articolando due motivi, deduce:
1.1. «Mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza di una violazione delle prescrizioni riguardanti gli arresti domiciliari, caratterizzata per entità, moti e circostanze da una tale rilevanza che imponesse l’aggravamento disposto, così facendosi applicazione del primo comma 1-ter dell’art. 276 cod. proc. pen.».
Posto che uno dei motivi dell’aggravamento della misura era stato ravvisato nell’attività – che la difesa decisamente contesta – di supposto condizionamento che l’imputato avrebbe operato affinché la teste COGNOME deponesse il falso e, dunque, in una violazione delle prescrizioni inerenti agli arresti domiciliari diversa da quella concernente il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione che, a norma del comma 1-ter impone l’aggravamento (salvo che il fatto risulti di lieve entità), il Tribunale avrebbe dovuto, in ossequio alla previsione di cui al primo
comma che riguarda la trasgressione alle altre prescrizioni, motivare in ordine all’entità, ai motivi e alle circostanze della violazione.
1.2. «Mancanza di motivazione relativamente all’esistenza di entità, motivi e circostanze della violazione di prescrizioni tale da poter indurre aggravamento della misura cautelare e mancanza di motivazione sulla ragione per la quale tra i provvedimenti di aggravamento si sia disposta la custodia in carcere, ben potendosi disporre prescrizioni ulteriori e meno gravi che comunque aggravassero la cautela, così violando il primo comma dell’art. 278 cod. proc. pen. in punto di determinazione ed individuazione del livello di gravità della prescrizione violata e del tipo di aggravamento».
La censura attiene al rispetto dell’obbligo di motivazione in punto di extrema ratio che deve contraddistinguere l’applicazione della misura carceraria. Una volta escluso che le conversazioni fossero volte a minacciare, offrire o promettere denaro o altre utilità affinché la donna deponesse il falso, si era al cospetto di conversazioni il cui contenuto andava pressoché interamente ricondotto alla relazione sentimentale intercorrente tra i due: pertanto, pur concretizzandosi una violazione del divieto di comunicare con l’esterno imposto con la custodia domiciliare, il Tribunale avrebbe dovuto spiegare perché quelle chat presentassero elementi di gravità tali da doversi tradurre in aggravamenti richiedenti la custodia in carcere. Se si aveva riguardo, poi, all’arco temporale delle conversazioni, protrattosi per ben due anni, se ne ricavava che i contatti erano unicamente volti a stare insieme con la persona amata, il cui incontro era precluso dalle prescrizioni inerenti alla misura degli arresti domiciliari.
Incorreva, poi, in travisamento il Tribunale allorché sostiene che il ricorrente non avrebbe solo parlato e comunicato con la De COGNOME, ma la avrebbe anche incontrata il 30 giugno 2021, stante il contenuto di una chat delle ore 12,56 (“te eri stupenda ieri, avevo difficoltà a guardarti”), non avvedendosi che i riferimenti alla donna erano stati effettuati dal ricorrente dalla finestra e da una stanza adiacente della sua abitazione nel mentre il difensore ivi raccoglieva le dichiarazioni di questa ex art. 391-bis cod. proc. pen.
Sfornite di rilievo, stante il contenuto privo di illiceità erano, infine violazioni delle prescrizioni tradottesi in comunicazioni con le altre persone indicate nell’ordinanza gravata di ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è inammissibile.
Dalla lettura dell’ordinanza impugnata risulta che il Tribunale del riesame ha richiamato, al fine di confermare l’aggravamento della cautela disposta ai sensi
dell’art. 276 cod. proc. pen. dal Tribunale di Avellino, due elementi di particolare significato di seguito indicati.
Il primo è costituito dall’opera di condizionamento dei testimoni che il ricorrente avrebbe operato in costanza degli arresti domiciliari e che risulta ricavata da un’intercettazione ambientale, la cui lettura non è logicamente incompatibile con l’assunto accusatorio, in ragione dei termini utilizzati, idonei ad esprimere l’esistenza di un pactum sceleris a fondamento dell’ipotizzata ritrattazione, dei soggetti tra cui interviene (i due COGNOME che erano stati sentiti dapprima a sommarie informazioni dai Carabinieri e poi avevano mutato versione al processo) e del contesto della conversazione, precisandosi da parte del Tribunale che i due COGNOME stanno discorrendo delle testimonianze rese dinanzi ai Carabinieri (vedi pag. 4). Con conseguente preclusione in questa sede a rivalutarne il contenuto, il cui apprezzamento e valutazione è rimesso all’esclusiva competenza del giudice di merito, dinanzi al quale pende anche l’esame della relativa questione di fatto (ex multis Sez. 6, n. 5501 del 12/12/1995, dep. 1996, COGNOME, Rv. 205651 – 01).
Il secondo, invece, dalle ripetute trasgressioni al divieto di comunicare con l’esterno salvo stretti familiari o persone deputate all’assistenza.
In particolare, si sono anzitutto richiamate le reiterate comunicazioni con la compagna, nonché alcune chat dalle quali si è ricavato che il ricorrente l’avesse incontrata in luogo diverso. Si è fatto riferimento al contenuto di una chat del 10 luglio 2021, che il Tribunale del riesame ha letto congiuntamente con altra del giorno precedente che l’imputato aveva inviato alla donna (vedi pag. 5 che richiama sul punto l’annotazione della G.d.F.), il cui tenore, in relazione alla stretta successione temporale e al significato delle parole, si presta alla lettura sposata dall’ordinanza impugnata, così riconducendosi ad un’alternativa di merito l’alternativa prospettata dalla difesa (che fa leva soprattutto sul diverso significat da attribuire ad una delle due chat) in questa sede non scrutinabile.
Inoltre, si è aggiunto che l’imputato si è incontrato nel corso del tempo con soggetti differenti dalla donna, soltanto alcuni dei quali sarebbero stati identificat dalla p.g. (COGNOME, COGNOME ed NOME) e le cui ragioni – che la difesa riconduce all’esigenza di contatti per l’esecuzione di lavori in corso nell’abitazione ovvero di vicinato – investono profili di merito che, comunque, nulla tolgono all’esistenza della violazione delle prescrizioni e alle censure, in punto di reiterazione, mosse alla condotta dell’imputato in punto di osservanza delle prescrizioni imposte sia dal giudice della cautela che dal Tribunale nell’ordinanza impugnata.
Infine, si è precisato che la sorella del ricorrente ha riferito che questi utilizz a sua insaputa, il suo telefono cellulare per comunicare con l’esterno.
Si sono quindi enucleati un complesso di elementi dimostrativi di un maggior disvalore rispetto al quadro cautelare precedente:
in punto di capacità del ricorrente di rispettare il regime degli arrest domiciliari e, in particolare, le prescrizioni relative al divieto di comunicare co l’esterno e, precisamente, con soggetti diversi dai conviventi ovvero da quelli tenuti, in ipotesi, all’assistenza. Tra le condotte che rilevano a detti fini, l’ordinan impugnata richiama anche l’opera di condizionamento dei testimoni: si tratta, infatti, di una condotta che, per il suo materiale esplicarsi, ha logicamente richiesto la violazione del divieto di comunicazione, realizzata direttamente o indirettamente dall’imputato che con costoro ha comunicato. Inoltre, viene indicata anche la violazione del divieto di allontanamento, posto che si contesta anche un incontro con la compagna presso un luogo differente da quello ove insistevano gli arresti domiciliari.
Nessuna illogicità sconta, pertanto, l’ordinanza impugnai:a per avere tratto dall’elevato e variegato numero delle violazioni accertate un’indole trasgressiva ed insofferente dell’imputato al rispetto delle regole imposte, a nulla valendo che alcune delle ragioni sottese alle violazioni abbiano contenuto affettivo o lecito, in quanto resta il fatto che le stesse, per come precisato dai giudici dell’appello cautelare richiamando anche gli episodi della ipotizzata subornazione dei testimoni e dell’allontanamento dall’abitazione, finiscono per svuotare di contenuto precettivo la custodia domiciliare.
La censura è dunque manifestamente infondata, posto che in tema di aggravamento delle misure cautelari per la violazione alle prescrizioni imposte: a) il giudizio sulla gravità della condotta trasgressiva è riservato al giudice del merito e, ove fornito di adeguata, corretta e logica motivazione, non è sindacabile in sede di legittimità (Sez. 2, n. 3629 del 18/8/1994, COGNOME, Rv. 201400 – 01; Sez. 5, n. 36060 del 09/10/2020, COGNOME, Rv. 280036 – 01); b) rientra tra i poteri discrezionali del giudice la sostituzione della misura in atto con una più grave, quale che sia la prescrizione violata, previa verifica di una condotta di trasgressione che presenti caratteri rivelatori della sopravvenuta inadeguatezza della misura in corso a fronteggiare le inalterate esigenze cautelari. (Nella specie, la ricorrente, agli arresti domiciliari, aveva violato sistematicamente il divieto ricevere e di comunicare con terzi anche al fine di interferire nell’attivit processuale e di concordare scelte difensive).(Sez. 6, n. 58435 del 04/12/2018, COGNOME, Rv. 275040 – 01);
in ordine alle esigenze cautelari, essendosi espresso anche «un giudizio prognostico molto negativo, che legittima una fondata previsione di reiterazione del reato e che fa ritenere del tutto inadeguato il richiesto ripristino degli arres domiciliari … apparendo la misura applicata l’unica idonea e adeguata a
salvaguardare le esigenze di tutela della collettività». La circostanza che, a sostegno dell’aggravamento della misura, si siano richiamati anche profili attinenti alle esigenze cautelari non costituisce affatto un fuor d’opera da parte del Tribunale, dovendo sempre valutare – a prescindere dalla norma in forza della quale il pubblico ministero chiede la sostituzione della misura, se la violazione degli arresti domiciliari, unitamente agli altri elementi eventualmente dedotti, abbia effettivamente comportato anche l’aggravamento delle esigenze cautelari, con conseguenze anche rispetto al principio di adeguatezza della misura previsto dall’art. 274 cod. proc. pen., dovendo, nel caso positivo, aggravare detta misura (Sez. 3, n. 1577 del 28/04/1999, Delia, Rv. 213993 – 01; Sez. 6, n. 31074 del 14/06/2004, COGNOME, Rv. 229501 – 01).
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, in ragione dei profili di colpa ravvisati nella determinazione della causa di inammissibilità rilevati (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186).
Non conseguendo dall’adozione del presente provvedimento la rimessione in libertà dell’imputato, deve provvedersi ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso, il 28/03/2024