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Aggravamento misura cautelare: nuovi elementi

Un indagato, già sottoposto a divieto di avvicinamento per tentata estorsione, si vede applicare la custodia in carcere. Il ricorso contesta la decisione, invocando il principio del giudicato cautelare. La Cassazione dichiara il ricorso inammissibile, stabilendo che l’aggravamento della misura cautelare è legittimo se basato su elementi nuovi, come intercettazioni successive che rivelano una maggiore pericolosità sociale, anche se le minacce sono rivolte a soggetti diversi dalla vittima originaria.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Aggravamento Misura Cautelare: Quando Nuovi Fatti Giustificano il Carcere

L’aggravamento di una misura cautelare rappresenta uno strumento cruciale nel sistema processuale penale, consentendo al giudice di adeguare le restrizioni alla libertà dell’indagato al mutare delle circostanze. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. n. 9002/2024) offre un chiaro esempio di come nuovi elementi probatori, come le intercettazioni, possano legittimare il passaggio da una misura più lieve, come il divieto di avvicinamento, a quella più afflittiva della custodia in carcere.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un individuo indagato per il reato di tentata estorsione. L’uomo era accusato di aver minacciato ripetutamente una persona, anche con l’uso di un’arma, per costringerla a risarcirlo di una cospicua perdita economica derivante da un investimento fallito. Inizialmente, all’indagato era stata applicata la misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa.

Successivamente, il Pubblico Ministero ha richiesto un aggravamento della misura cautelare, chiedendo la custodia in carcere. La richiesta si basava su nuovi elementi emersi nel corso delle indagini. Il Tribunale di Roma, in sede di appello, accoglieva la richiesta, modificando la misura originaria.

Il Ricorso in Cassazione e le Doglianze dell’Indagato

Contro l’ordinanza del Tribunale, l’indagato ha proposto ricorso per cassazione, articolando la sua difesa su tre punti principali:

1. Violazione del cosiddetto “giudicato cautelare”: Il ricorrente sosteneva che la richiesta di aggravamento fosse inammissibile perché basata sugli stessi elementi (il rinvenimento di armi) di una precedente richiesta già respinta dal GIP.
2. Preesistenza degli elementi: Si affermava che il rinvenimento delle armi fosse un fatto già noto al momento della decisione originaria e quindi non potesse costituire una novità tale da giustificare un inasprimento.
3. Irrilevanza delle nuove minacce: Le minacce emerse da intercettazioni in carcere, secondo la difesa, non rappresentavano un elemento di novità, ma solo la persistenza di un’intenzione già nota, e per di più erano rivolte a soggetti diversi dalla persona offesa.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le argomentazioni della difesa con una motivazione chiara e dirimente.

In primo luogo, la Corte ha smontato la tesi della violazione del giudicato cautelare. Ha chiarito che la seconda istanza di aggravamento della misura cautelare non si fondava solo sul rinvenimento delle armi, ma su elementi nuovi e ulteriori: i risultati delle intercettazioni ambientali eseguite in carcere. Da queste conversazioni era emersa la chiara intenzione dell’indagato di compiere azioni violente contro appartenenti alla Guardia di Finanza una volta scarcerato.

Questi nuovi elementi, non esistenti al tempo della prima richiesta, costituivano un “novum” significativo, capace di giustificare una nuova e diversa valutazione della pericolosità sociale dell’individuo. La Corte ha sottolineato come le censure del ricorrente fossero generiche, poiché si concentravano solo sulla prima parte della motivazione del Tribunale, ignorando quella decisiva basata sulle nuove prove.

Infine, riguardo alla terza censura, la Cassazione ha ribadito che le minacce formulate in carcere, sebbene rivolte a soggetti diversi dalla vittima originaria, erano palesemente sintomatiche di uno spiccato e attuale profilo di pericolosità sociale e di un elevato rischio di recidiva. Tale valutazione, congrua e ragionevole da parte del Tribunale, giustificava pienamente l’applicazione della custodia in carcere.

Le Conclusioni

La sentenza in esame riafferma un principio fondamentale in materia di misure cautelari: il giudicato cautelare non è assoluto. È sempre possibile rivalutare la posizione di un indagato e procedere a un aggravamento della misura cautelare qualora emergano elementi di fatto nuovi, successivi alla precedente decisione, che dimostrino un aumento delle esigenze cautelari. Le intercettazioni che rivelano nuove e concrete intenzioni criminose rappresentano un classico esempio di “novum” in grado di legittimare il passaggio a una misura più restrittiva, a tutela della collettività.

È possibile richiedere un aggravamento della misura cautelare basandosi sugli stessi fatti di una richiesta precedente già respinta?
No, in linea di principio non è possibile a causa del cosiddetto “giudicato cautelare”. Tuttavia, la sentenza chiarisce che una nuova richiesta è ammissibile se si fonda su elementi di fatto nuovi e ulteriori, emersi dopo la decisione precedente, che modificano il quadro probatorio.

Cosa costituisce un “elemento nuovo” capace di giustificare un aggravamento della misura cautelare?
Secondo la decisione, un elemento nuovo è un fatto significativo che non era noto o non era emerso al momento della valutazione precedente. Nel caso specifico, i risultati di intercettazioni ambientali in carcere, che hanno rivelato nuove intenzioni violente dell’indagato, sono stati considerati un elemento nuovo e decisivo.

Le minacce rivolte a persone diverse dalla vittima del reato possono giustificare un aggravamento della misura cautelare?
Sì. La Corte ha stabilito che tali minacce, pur non essendo dirette alla persona offesa originaria, sono comunque sintomatiche di un elevato profilo di pericolosità sociale e di un concreto rischio di recidiva, elementi che giustificano l’applicazione di una misura più severa come la custodia in carcere.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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