Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 9992 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 9992 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Catanzaro
nei confronti di NOME COGNOME nato a Vibo Valentia l’01/09/1978
avverso l ‘ordinanza del 28/11/2024 del Tribunale di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento in epigrafe indicato, il Tribunale di Catanzaro- adito in funzione di giudice di appello ex art. 310 cod. proc. pen.confermava l’ordinanza emessa il 15 aprile 2024 dal Tribunale di Vibo Valentia che aveva rigettato l’istanza di aggravamento della misura degli arresti domiciliari con quella della custodia
cautelare in carcere nei confronti di NOME COGNOME condannato in esito al giudizio di primo grado alla pena di anni sedici di reclusione per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa sub a), così diversamente qualificata l’originaria contestazione di partecipazione al reato associativo.
Ha presentato ricorso il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Catanzaro deducendo:
violazione di legge, in relazione agli artt. 274 e 275 cod. proc. pen., e vizio di motivazione per omissione e per manifesta illogicità, per avere il Tribunale assertivamente ritenuto non sussistenti le esigenze cautelari del pericolo di reiterazione nel reato e del pericolo di fuga nonostante la sentenza di condanna alla pena di sedici anni di reclusione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, perché manifestamente infondato e perché generico.
Il Pubblico ministero ricorrente deduce la violazione dell’art. 275, comma 1 bis , cod. proc. pen. che – nel far esplicito riferimento alla sentenza di condanna quale elemento in grado di incidere sulle esigenze cautelari, aggravandole giustifica la sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari in corso con quella della custodia in carcere.
Il devolutum impone, dunque, di affrontare il tema specifico della ‘incidenza’ della sentenza di condanna sulla adeguatezza e proporzionalità della misura cautelare non custodiale: occorre stabilire se un tale ‘ elemento ‘ comporti sempre e comunque un aggravamento delle esigenze cautelari, preservabili solo con la misura cautelare di massimo rigore, o se invece il Giudice procedente sia tenuto a valutarlo unitamente ad altri elementi.
3.1. La risposta la si rinviene, in primo luogo, nella previsione di carattere generale contenuta al comma 4 dell’art. 299 cod. proc. pen.: la norma – nel rimettere al giudice, investito dell’istanza di sostituzione della misura cautelare con altra più afflittiva, la concreta individuazione dei casi cui deve conseguire l’aggravamento dei pericula libertatis consente di ritenere come la sentenza di condanna ad una pena elevata sia senza dubbio un elemento da valutare nell’apprezzamento della concretezza ed attualità del pericolo di fuga e di recidivanza (cfr. Sez. 4, n. 25008 del 15/01/2007, COGNOME, Rv. 237001, nonché Sez. 6, n. 159 del 23/01/1992, COGNOME, Rv. 189461).
3.2. Sulla stessa linea si pone il testo dell’art. 275, comma 1bis , cod. proc. pen.: a seguito di una sentenza di condanna, per stabilire se risulti taluna delle esigenze indicate nell’art. 274, comma 1, lett. b) e c), il Giudice dovrà tenere egli tenere conto ‘anche’ dell’esito del procedimento, delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti.
La precisazione che l’esame delle esigenze cautelari è condotto tenendo conto “anche” dell’esito del procedimento postula che lo stesso sia ‘combinato’ con altri elementi sintomatici del pericolo di fuga e/o di reiterazione delle condotte criminose.
3.3. In breve, secondo l’orientamento maggiorit ario della giurisprudenza di legittimità, che si condivide, la pronuncia di una sentenza di condanna in primo grado a pena elevata può fondare un provvedimento di aggravamento della misura cautelare già in atto, a norma degli artt. 299, comma 4, e 275, comma 1bis , cod. proc. pen., non in modo automatico, ma solo all’esito di una valutazione congiunta ad altri e preesistenti elementi specificamente sintomatici del pericolo di fuga o di reiterazione del reato (così in motivazione cfr Sez. 6 n. 34691 del 7 luglio 2016, Rv. 267796).
4 . L’esegesi fornita dai Giudici di merito è stata rispettosa dei menzionati principi di diritto, là dove nell’affermare che la misura infra moenia , in corso da quasi cinque anni, fosse « … adeguata ad infrenare la pur immanente pericolosità sociale dell’imputato…» – ha stigmatizzato la insufficienza della sentenza di condanna, nonostante la severità della pena inflitta e la gravità dei fatti reato ascritti al COGNOME.
4.1. In relazione al pericolo di reiterazione del reato, logicamente si è rappresentato come nell’arco di tempo successivo alla adozione della misura degli arresti domiciliari non fossero stati segnalati né risultassero dagli atti «atteggiamenti sintomatici di proclività, rispetto alla specifica tipologia delittuosa, nonché collegamenti con il contesto ambientale all’interno del quale sono maturati i fatti…» .
Il fatto poi che la originaria accusa di partecipazione ad associazione di stampo mafioso fosse stata fortemente ridimensionata dal giudice di primo grado con sussunzione della fattispecie nella ipotesi del concorso esterno è stato congruamente valutato nella formulazione del giudizio di adeguatezza della misura cautelare in corso, considerato che « il concorrente esterno è, per definizione, un soggetto che non fa parte del sodalizio … », sicché nei suoi confronti «non è in nessun caso ravvisabile quel vincolo di adesione permanente al gruppo criminale che è in grado di legittimare, sul piano “empiricosociologico”, il ricorso in via
esclusiva alla misura carceraria»(così sentenza della Corte costituzionale n. 48/2015).
4.2. Con riferimento poi al pericolo di fuga, è stata- esaustivamente e in modo plausibilerappresentata l’assenza di elementi concreti, da cui potere presagire l’attualità di tale pericolo dal momento che il COGNOME era agli arresti domiciliari sin dal mese di gennaio del 2020 e non erano state mai state rilevate trasgressioni al presidio domiciliare, nemmeno successivamente alla sentenza di primo grado, risalente ad al 20 novembre 2023, ovvero ad un anno prima rispetto alla richiesta di aggravamento.
Le censure del Pubblico Ministero ricorrente, per un verso, privilegiano una lettura frammentaria del provvedimento, senza tenere conto che la condotta criminis si colloca in un orizzonte temporale risalente e circoscritto, mancando appunto quell’adesione permanente al gruppo e la persistente presunzione di pericolosità che è riconnessa al reato associativo tout court , e, per altro verso, presuppongono in modo assertivo che l’ aggravamento delle esigenze cautelari possa discendere eo ipso dalla pena inflitta senza addurre elementi concreti preesistenti o sopravvenuti che possano ragionevolmente far presumere che l’imputat o possa darsi alla fuga o reiterare condotte criminose.
5.1. Pertanto, al cospetto di addebiti, la cui contestazione è oramai cristallizzata temporalmente, essendo la condotta criminis collocabile in un definito ed anche risalente contesto temporale, corretta e non censurabile appare la decisione del Tribunale.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso
Così deciso lo 04/03/2025