Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 15924 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 15924 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 28/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dui Catanzaro nel procedimento a carico di: COGNOME NOMECOGNOME nato a Vibo Valentia il 02/04/1966 avverso l’ordinanza del 26/11/2024 del Tribunale di Catanzaro Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per la infondatezza del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere per più fatti di reato tra i quali anche quello previsto dall’art 416 bis cod. pen., NOME COGNOME è stato poi posto agli arresti donniciliari per la avvenuta riqualificazione dell’imputazione associativa in concorso esterno ex artt. 110 e 416 bis cod. pen.
Con sentenza del 20 novembre 2023, COGNOME è stato condannato dal Tribunale di Vibo Valentia a sedici anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.
In considerazione di tale condanna, la Procura competente ha chiesto l’aggravamento della misura in atto e la relativa richiesta è stata rigettata dal citato Tribunale.
Proposto appello ex art.310 cod. proc. pen., il Tribunale di Catanzaro con l’ordinanza descritta in epigrafe ha rigettato il gravame.
Propone ricorso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro e lamenta violazione di legge e vizio di motivazione perché, nel definire il gravame, i giudici dell’appello cautelare non avrebbero considerato:
-l’entità della condanna inflitta, tale da rendere concreto e attuale il rischio di fuga;
-la doppia presunzione di legge imposta dall’art. 275 comma 3 cod. proc. pen. in ragione della intervenuta condanna per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen che imponeva l’adozione della misura di maggior rigore;
-il difetto di motivazione quanto alla sussistenza di eccezionali esigenze cautelari considerata la radicata intraneità del ricorrente, cristallizzata dalla sentenza di condanna e l’assenza di segni di rescissione dal vincolo;
-la gravità della condotta tenuta da COGNOME nel corso del procedimento (si rese protagonista di minacce e danneggiamento arrecati ai danni del sostituto processuale del proprio difensore di fiducia, perchè ne disapprovava il contegno processuale)
-l’inconferente riferimento alla lunga durata dei successivi sviluppi processuali prima della definizione del giudizio e alla possibilità che la posizione dell’indagato possa subire una evoluzione positiva nei successivi gradi di giudizio a sostegno della ritenuta insussistenza di esigenze destinate a giustificare la misura più rigorosa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso merita l’accoglimento per le seguenti ragioni.
Giova premettere che l’art. 299, comma 4, cod. proc. pen., nel disciplinare le ipotesi di aggravamento delle esigenze cautelari non determinato dalla trasgressione delle prescrizioni imposte da una pregressa misura, non tipizza le fonti da cui deve discendere l’ingravescenza dei rischi da neutralizzare, lasciandone l’individuazione al giudice, il quale, dunque, ben può ritenersi legittimato, a tal fine, a fare riferimento all pronuncia, in primo grado, di una sentenza di condanna a pena elevata per il reato che giustifica l’intervenuto cautelare, quando tale circostanza, unitamente ad altri elementi, possa ritenersi in grado di incidere sul complessivo assetto cautelare inerente la specifica posizione dell’imputato sottoposto a misura.
2.1. Del resto, tale lettura interpretativa, trova ulteriore e adeguato supporto nel disposto di cui all’art. 275, comma 1-bis, cod. proc. pen. in forza del quale «contestualmente a una sentenza di condanna, l’esame delle esigenze cautelari è condotto tenendo conto anche dell’esito del procedimento, delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti, dai quali possa emergere che, a seguito della sentenza, risulta taluna delle esigenze indicate nell’art. 274, comma 1, lett. b) e c)».
Se per un verso, infatti, il riferimento all’art. 274, comma 1, lett. b) e c), rende evidente che la disposizione in oggetto fa specifico riferimento sia alle esigenze del pericolo di fuga sia a quelle del pericolo di recidiva, con esclusione dei profili inerenti
all’inquinamento probatorio; per altro verso non può non rimarcarsi che nessuna locuzione letterale della detta previsione consente di ritenerne limitata l’operatività alla sola ipotesi di misura disposta ex novo dopo la condanna, potendosene, dunque, apprezzare il portato anche in caso di incidenza da ascrivere alla intervenuta condanna riguardo al possibile aggravamento di una misura già in atto.
In questa ottica, la precisazione, resa dal citato art. 275 comma 1 – bis secondo cui «l’esame delle esigenze cautelari è condotto tenendo conto anche dell’esito del procedimento, delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti» consente di valorizzare anche uno solo di questi elementi, quale appunto «l’esito del procedimento», combinando lo stesso con altri elementi sintomatici del pericolo di fuga o del rischio di recidiva.
2.2. Ne viene, dunque, che,in linea con quanto già sostenuto dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 6, n.34691 del 07/07/2016, Rv. 267796, recentemente ripresa da Sez. 6, n. 43194 del 10/10/2024, Rv. 287268), anche il fatto costituito dalla pronuncia di una sentenza di condanna in primo grado a pena elevata può fondare un provvedimento di aggravamento della misura cautelare già in atto, a norma degli artt. 299, comma 4, e 275, comma 1-bis, cod. proc. pen., all’esito di una valutazione congiunta ad altri e preesistenti elementi specificamente sintomatici del pericolo di fuga o di recidiva.
3.Ciò premesso, non può non rimarcarsi come il ricorso in esame faccia leva su alcune considerazioni di principio errate in punto di diritto là dove mostra di equiparare, sul versante delle ricadute cautelari, la condanna per associazione mafiosa a quella per concorso esterno, resa nel caso ai danni di NOME COGNOME
È noto, infatti, che relativamente a quest’ultimo reato, la doppia presunzione di cui all’ad 275, comma 3, cod. proc. pen. è solo relativa (Corte Cost. n. 48 del 2015).
Ed è parimenti inconferente il profilo, sempre rivendicato dalla Procura ricorrente, della affermata perduranza del vincolo associativo in assenza di concreti momenti di resipiscenza e dissociazione, proprio perché il reato riferito all’imputato non presuppone la stabilità del rapporto con il gruppo associativo, a differenza della intraneità.
Avuto riguardo al pericolo di fuga, inoltre, il ricorso appare connotato da una marcata genericità.
La necessità di rinvenire altri spunti logico-fattuali da leggere sinergicamente in uno al portato della rilevante condanna irrogata a COGNOME non può di certo ritenersi soddisfatta dal riferimento alla circostanza, evocata dalla Procura ricorrente, per la quale molti dei sodali coinvolti nel procedimento che occupa sono stati latitanti: oltre che priva di riferimenti personali all’imputato interessato dalla richiesta, l’affermazione in questione resta tale, non risultando altrimenti precisata nel portato logico che dovrebbe sostenerne il rilievo.
4. Altro è a dirsi, di contro, guardando al rischio di recidiva, riguardo al quale la decisione gravata non può ritenersi immune da vizi inerenti alla relativa compiutezza e
linearità argomentativa.
4.1. Sotto quest’ultimo versante, colgono nel segno le censure proposte dal ricorso riferite alle considerazioni spese dal Tribunale nel rimarcare la probabile lunga durata dei
futuri sviluppi processuali in attesa della compiuta definizione del giudizio
/nonché la stessa possibilità che la posizione dell’indagato possa subire una evoluzione positiva nei
successivi gradi di giudizio: si tratta infatti di eventualità che, quanto al primo rilievo, tacer d’altro, risultano disciplinate dalla legge tramite la previsione dei termini di durata
massima delle misure da adottare; in ogni caso, proprio in quanto eventuali, lasciano indifferente il giudizio da rendere sull’intervento cautelare da attuare, dominato da profili
di concretezza e attualità non messi in crisi da tali valutazioni logiche, per ciò solo manifestamente incongrue.
4.2. Quanto alla restante, compiuta, adeguatezza degli elementi scrutinati nell’apprezzare l’attuale assetto cautelare che connota la posizione di NOME COGNOME
riguardo al rischio di recidiva, se risulta correttamente dato rilievo al tempo trascorso dalle condotte a giudizio, per altro verso non può non rimarcarsi che tale non indifferente elemento valutativo andava ponderato considerando anche il contegno tenuto dall’imputato nel corso del processo in oggetto, puntualmente rassegnato dal ricorso.
Contegno che ebbe a portare ad un primo aggravamento della misura, poi nuovamente sostituita con gli arresti) che il Tribunale, nel caso, ha integralmente pretermesso; e che di contro, sia per le modalità (Scrugli avrebbe danneggiato l’auto del sostituto del suo difensore di fiducia nel corso di una pausa di una udienza istruttoria), sia per le ragioni (avrebbe disapprovato le scelte difensive privilegiate in quella occasione), costituiva di certo elemento con il quale confrontarsi nel valutare il gravame rigettato e nel considerare, a valle, l’attuale funzionalità della misura in atto, anche alla luce della condanna e della pena irrogata oltre che delle connotazioni del reato in contestazione e delle specifiche emergenze tratte dal giudizio di merito quanto agli agiti illeciti ascritti all’imputato.
Da qui l’annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio al Tribunale competente per colmare e sanare i vizi riscontrati alla luce delle superiori indicazioni di principio.
P.Q.M.
Annulla la ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al tribunale di Catanzaro.
a competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, c.p.p. Così deciso il 28/02/2025. GLYPH