Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 5102 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5   Num. 5102  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a MILANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/06/2022 della CORTE di APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udite le conclusioni del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto di annullare senza rinvio la sentenza impugnata per essersi il reato estinto per prescrizione;
udite le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, per la parte civile, che ha chiesto di dichiarare inammissibile o di rigettare il ricorso;
udite le conclusioni dell’AVV_NOTAIO e dell’AVV_NOTAIO, per l’imputato, che hanno chiesto di accogliere il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La sentenza impugnata è stata pronunziata il 23 giugno 2022 dalla Corte di appello di Roma, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma che aveva condannato COGNOME NOME per il reato di cui all’art. 185 d.lgs. n. 58 del 1998.
Secondo l’ipotesi accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, l’imputato, in concorso con NOME COGNOME, avrebbe posto in essere una serie di artifizi e avrebbe generato e diffuso notizie false, concretamente idonee a provocare una sensibile alterazione dei valori del titolo “RAGIONE_SOCIALE“, quota sui mercati finanziari.
Il COGNOME e il COGNOME, in particolare:
 avrebbero contattato l’ing. COGNOME COGNOME (amministratore delegato di “Deutsche Bank RAGIONE_SOCIALE“) e l’AVV_NOTAIO (dello studio legale “RAGIONE_SOCIALE“), asserendo falsamente che un consorzio capeggiato da “RAGIONE_SOCIALE” – e comprendente “RAGIONE_SOCIALE“, “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE” – era fortemente interessato e disponibile alla sottoscrizione di un’offerta di acquisto del pacchetto azionario d “RAGIONE_SOCIALE“, in mano pubblica;
avrebbero conferito allo studio “RAGIONE_SOCIALE” l’incarico di advisor legale e all’ing. COGNOME l’incarico di advisor per la part economico-finanziaria della suddetta operazione, con il compito di redigere una lettera contenente una manifestazione di interesse all’acquisto del pacchetto azionario di “RAGIONE_SOCIALE“, in tal modo rappresentando una falsa manifestazione di interesse di un inesistente consorzio (asseritamente comprendente tra l’altro l’importante compagnia di trasporto aereo “RAGIONE_SOCIALE“) all’acquisto del pacchetto azionario di “RAGIONE_SOCIALE“, in mano pubblica; lettera di manifestazione di interesse in calce alla quale figurava la sottoscrizione con sigla “RAGIONE_SOCIALE” idonea a rafforzare l’erroneo convincimento in ordine all’effettivo coinvolgimento della “RAGIONE_SOCIALE” nell’operazione;
 avrebbero recapitato direttamente al presidente AVV_NOTAIO dei ministri e al AVV_NOTAIO di RAGIONE_SOCIALE di “RAGIONE_SOCIALE” – riunito il 13 settembre 2007 per l’individuazione della migliore offerta di acquisto – la lettera con la suddet manifestazione di interesse;
avrebbero diffuso, anche con dichiarazioni rese dal COGNOME agli organi di informazione, a margine della suddetta riunione del AVV_NOTAIO di RAGIONE_SOCIALE, la falsa notizia dell’interessamento dell’inesistente consorzio e della compagnia “RAGIONE_SOCIALE” all’acquisto delle azioni di “RAGIONE_SOCIALE“, detenute da Ministero dell’economia.
Avverso la sentenza della Corte di appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 185 d.lgs. n. 58 del 1998.
Sostiene che la motivazione della sentenza impugnata, nella parte relativa all’elemento soggettivo del reato, sarebbe contraddittoria e apparente. La Corte di appello avrebbe travisato gli esiti dell’istruttoria dibattimentale, giungendo ritenere sussistente il dolo in maniera del tutto apodittica.
Con una prima censura, sostiene che la Corte territoriale sarebbe caduta in contraddizione poiché, nell’argomentare in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo in capo al coimputato COGNOME, avrebbe affermato che quest’ultimo sarebbe stato il promotore e l’ideatore della vicenda e l’imputato (il COGNOME) un mero esecutore delle sue precise direttive, quando, poi, nell’analizzare la posizione dell’imputato, in contrasto con quanto precedentemente affermato, avrebbe a lui attribuito un comportamento «autonomo», in modo tale da supportare la tesi della sussistenza del dolo.
Con una seconda censura, sostiene che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe contraddittoria nella parte in cui, nel prendere in considerazione la tesi difensiva secondo la quale il NOME avrebbe ingannato anche l’imputato, ritiene inverosimile tale ipotesi in ragione della particolar esperienza professionale di quest’ultimo. Tale affermazione si porrebbe in contrasto con altra parte della sentenza, in cui la Corte di appello aveva ritenuto che gli altri professionisti coinvolti nella vicenda – peraltro più autorevoli ed esp dell’imputato – erano stati tratti in inganno dal COGNOME.
Con una terza censura, contesta la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui rinviene elementi utili a sostenere la sussistenza dell’elemento psicologico del reato nel fatto che l’imputato si sarebbe «premurato» di diffondere false notizie alla stampa. Tale affermazione, invero, sarebbe erronea, in quanto dall’istruttoria sarebbe emerso che l’imputato, di sua iniziativa, aveva contattato la stampa solo in un numero esiguo di occasioni.
Con una quarta censura, sostiene che la Corte di appello avrebbe travisato le prove dichiarative acquisite nel corso dell’istruttoria, ritenendo, sempre al fine d dimostrare la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, che l’imputato si fosse impegnato in prima persona nel consegnare al RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE la lettera contenente la manifestazione di interesse. Dall’istruttor infatti, sarebbe emerso che l’imputato non aveva consegnato personalmente la lettera, ma si era limitato ad accompagnare presso gli uffici deputati l’AVV_NOTAIO COGNOME, che materialmente la consegnava al RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
Il ricorrente sostiene che, dall’istruttoria, sarebbe emerso che l’imputato non fosse consapevole del mancato coinvolgimento della “RAGIONE_SOCIALE” nell’operazione. La sua buona fede sarebbe desumibile dalle seguenti circostanze: non aveva tratto alcun vantaggio dall’iniziativa posta in essere; se fosse stato consapevole della reale portata della vicenda, si sarebbe sicuramente reso conto delle negative conseguenze che essa avrebbe comportato per la sua reputazione e per la sua attività professionale; la stessa RAGIONE_SOCIALE, all’esito di approfondita istruttoria, aveva rilevato solo un comportamento negligente dell’imputato.
2.2. Con un secondo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 185 d.lgs. n. 58 del 1998.
Sostiene che la Corte di appello avrebbe erroneamente interpretato e applicato l’art. 185 d.lgs. n. 58 del 1998, non facendo buon governo dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di accertamento dell’elemento oggettivo del reato. In particolare, avrebbe applicato i criteri prop dell’accertamento dei reati di pericolo astratto, anziché quelli previsti pe l’accertamento dei reati di pericolo concreto, come quello in questione, e non avrebbe risposto ai motivi di gravame con i quali la difesa aveva sostenuto l’insussistenza dell’elemento oggettivo del reato.
Sostiene che la Corte di appello non avrebbe dato alcuna rilevanza a un dato certo: la pacifica assenza di una rilevante alterazione del prezzo del titolo Alitali quale conseguenza dei fatti contestati. Tale dato, sebbene non richiesto quale elemento costitutivo del reato, nondimeno avrebbe dovuto essere adeguatamente valutato al fine di accertare l’idoneità dei fatti contestati a provocare quel sensibile e concreta alterazione dei prezzi del titolo, necessaria per integrare il reato contestato.
La Corte di appello, inoltre, non avrebbe dato alcun rilievo alla circostanza che le false informazioni date al mercato, come evidenziato dal consulente tecnico della difesa, sarebbero state totalmente inidonee a influire sul prezzo.
Il ricorrente contesta la rilevanza di due elementi posti dai giudici di merito supporto della tesi dell’idoneità degli atti a produrre gli effetti manipolativi mercato, costituiti «dalla scelta di chiamare in causa colossi internazionali, orientata a sortire rilevanza mediatica, nonché dalla scelta delle tempistiche».
Quanto al primo elemento, il ricorrente ribadisce che: il ruolo dell’imputato nella diffusione della notizia a livello mediatico sarebbe stato del tutto marginale essendosi egli limitato a contattare la stampa in sole due occasioni; la diffusione delle notizie, in ogni caso, sarebbe risultata del tutto irrilevante rispetto al va di mercato del titolo.
Quanto al secondo elemento, il ricorrente sostiene che l’affermazione della Corte di appello sarebbe apodittica, priva di motivazione e, in ogni caso, generica
e del tutto irrilevante rispetto all’accertamento concreto richiesto per ritener sussistente la fattispecie in esame.
2.3. Con un terzo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 62 e 132 cod. pen.
Con una prima censura, contesta il trattamento sanzionatorio e la scelta della Corte di appello di discostarsi dal minimo edittale, sostenendo che la motivazione della sentenza impugnata sul punto sarebbe del tutto apparente.
Con una seconda censura, contesta il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6, cod. pen., evidenziando che l’imputato, nell’immediatezza dei fatti, si era attivamente adoperato per contattare il Suvkur, affinché venissero predisposti i comunicati richiesti da RAGIONE_SOCIALE, e che la condotta riparativa era sicuramente intervenuta in un momento antecedente all’avvio del giudizio.
2.4. Con un quarto motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 163 e 165 cod. pen.
Contesta la decisione della Corte di appello di subordinare la sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno in favore della parte civile, ancorando tale decisione al principio del fine rieducativo della pena.
Il ricorrente sostiene che la Corte di appello, in tal modo, avrebbe sovrapposto e confuso piani diversi: quello della pena e quello del risarcimento del danno, attribuendo a quest’ultimo funzioni che non le appartengono.
AVV_NOTAIO, nell’interesse dell’imputato, ha presentato motivi aggiunti.
3.1. Con un primo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 185 d.lgs. n. 58 del 1998.
Ricollegandosi al primo motivo del ricorso originario, contesta la motivazione della sentenza impugnata, nella parte relativa alla prova dell’elemento soggettivo del reato.
Sostiene che la Corte di appello si sarebbe limitata a ricostruire solo le iniziative alle quali aveva partecipato l’imputato, dalle quali, però, in astratto potrebbe solo dedurre che egli avesse fornito un contributo materiale alla commissione del reato, ma non che egli fosse consapevole della falsità dei fatti rappresentati dal NOME e delle finalità da lui perseguite. I giudici di meri avrebbero, invece, dovuto fornire la prova dell’accordo raggiunto tra i due presunti rei al fine di commettere il reato e chiarire come l’imputato fosse venuto a conoscenza della mancata partecipazione della “RAGIONE_SOCIALE” alla cordata imprenditoriale. Senza tale prova, tutte le iniziative adottate dall’imputat andrebbero considerate lecite, perché poste in essere in buona fede e soprattutto
perché sarebbero riconducibili nell’ambito di cui all’art. 1710 cod. civ., costituendo l’espletamento del mandato a lui affidato.
Il ricorrente sostiene, inoltre, che la Corte di appello sarebbe incorsa in errore travisando le risultanze dibattimentali e, in particolare, le dichiarazioni rese d dott. COGNOME all’udienza del 6 dicembre 2012, dalle quali emergerebbe che sarebbe stato direttamente il COGNOME e non il COGNOME a menzionare l’alleanza tra la RAGIONE_SOCIALE e il RAGIONE_SOCIALE, «facendo riferimento addirittura a COGNOME».
3.2. Con un secondo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 185 d.lgs. n. 58 del 1998.
Ricollegandosi al secondo motivo del ricorso originario, contesta la motivazione della sentenza impugnata, nella parte relativa alla prova dell’elemento oggettivo del reato.
Sostiene che la Corte di appello non avrebbe accertato che la notizia diffusa della partecipazione del «colosso RAGIONE_SOCIALE» fosse concretamente idonea a determinare una sensibile alterazione del prezzo delle azioni RAGIONE_SOCIALE.
Avrebbe, invece, accertato un fatto non rilevante, ovvero che la notizia fosse idonea ad attrarre l’attenzione dei giornalisti e dell’opinione pubblica e che avrebbe potuto “condizionare” le decisioni di RAGIONE_SOCIALE.
La notizia in questione, tuttavia, secondo il ricorrente, non sarebbe stata idonea, neanche in astratto, a influire sulle valutazioni degli investitori, posto c era relativa a una manifestazione di interesse molto sommaria e generica.
L’imputato, peraltro, si sarebbe limitato a chiedere alla giornalista di “RAGIONE_SOCIALE” la pubblicazione del solo comunicato-stampa che il NOME gli aveva trasmesso per e-mail; così come si sarebbe limitato a confermare al direttore di “RAGIONE_SOCIALE” l’avvenuta presentazione ad RAGIONE_SOCIALE della manifestazione di interesse.
3.3. Con un terzo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 163 e 165 cod. pen.
Ricollegandosi al quarto motivo del ricorso originario, contesta la motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui subordina la sospensione condizionale della pena all’effettivo risarcimento del danno liquidato.
Sostiene che i giudici di merito avrebbero completamente omesso di specificare le ragioni per le quali la pena veniva subordinata al pagamento integrale del risarcimento del danno. Trattandosi di una disposizione così «penalizzante», i giudici di merito avrebbero dovuto fornire una motivazione puntuale sul punto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, agli effetti civili, deve essere rigettato, ma la sentenza de essere annullata, agli effetti penali, perché il reato è estinto per prescrizione.
1.1. Il primo motivo del ricorso originario e il primo motivo aggiunto – che possono essere trattati congiuntamente, essendo strettamente correlati – sono inammissibili.
Con essi, il ricorrente ha articolato alcune censure che, pur essendo state da lui riferite alle categorie dei vizi di motivazione e di erronea applicazione del legge penale, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., non evidenziano alcuna effettiva violazione di legge né travisamenti di prova o vizi di manifesta logicit emergenti dal testo della sentenza, ma sono, invece, dirette a ottenere una non consentita rivalutazione delle fonti probatorie e un inammissibile sindacato sulla ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito (cfr. Sez. U, n. 6402 d 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano).
Va osservato, in ogni caso, che i giudici di merito, con motivazione adeguata, coerente e priva di vizi logici, hanno ricostruito in maniera rigorosa l’elemento soggettivo del reato (cfr. le pagine 50 e ss. della sentenza di primo grado e la quinta e la sesta pagina della motivazione della sentenza di appello; le due sentenze di merito, ricorrendo una “doppia conforme”, possono essere lette congiuntamente e integrarsi tra loro, costituendo sostanzialmente un unico corpo decisionale).
Hanno correttamente ricostruito l’elemento soggettivo della fattispecie astratta in termini di dolo generico e, coerentemente con tale ricostruzione, hanno ritenuto sufficiente dimostrare la consapevolezza da parte dell’imputato della falsità di quanto da lui riferito circa il presunto interesse del menzionato consorzio capeggiato da “RAGIONE_SOCIALE” e delle concrete conseguenze che potevano determinarsi sul mercato per effetto delle condotte da lui poste in essere, evidenziando, come, a partire dall’interlocuzione che l’imputato aveva avuto con il professor COGNOME, la sua condotta fosse sicuramente caratterizzata da una particolare intensità del dolo. Il COGNOME, infatti, l’aveva «messo in guardia dall’intraprendere qualsiasi mossa ufficiale e di evitare la pubblicazione e la diffusione di notizie inerenti alla trattativa, senza conoscere esattamente le delibere dei consigli di RAGIONE_SOCIALE delle società che volevano realizzare l’operazione.
Quanto alle presunte contraddizioni nelle quali sarebbero incorsi i giudici di merito, va rilevato che esse sono solo asserite e in ogni caso non riguardano elementi decisivi del ragionamento fondante il giudizio di responsabilità.
Alcuna contraddizione, in particolare, è riscontrabile nell’affermazione secondo la quale il coimputato sarebbe stato la “mente” e l’ideatore dell’operazione e il COGNOME l’esecutore. Il fatto che il Suvkur fosse stato l’ideatore dell’operazione infatti, non si pone in termini di incompatibilità con la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato in capo all’imputato e, in particolare, con la consapevolezza da parte dell’imputato della falsità della notizia circa il presunto interesse d menzionato consorzio e delle concrete conseguenze che potevano determinarsi sul mercato per effetto delle condotte da lui poste in essere.
Alcuna contraddizione è riscontrabile nel fatto che i giudici di merito hanno valorizzato l’esperienza e la professionalità dell’imputato. Si tratta di un elemento sicuramente rilevante e del tutto improprio risulta il raffronto con gli «al professionisti», essendosi i giudici di merito ampiamente soffermati sul ben diverso contributo offerto dall’imputato ai fatti oggetto di processo, rispetto ag altri professionisti, alcuni dei quali (il prof. COGNOME) l’avevano anche messo in guardi dall’intraprendere iniziative ufficiali, senza conoscere le delibere delle società. Va peraltro, evidenziato che i giudici di merito erano chiamati a valutare la responsabilità del COGNOME e non quella degli altri professionisti coinvolti nell vicenda. La possibile responsabilità anche di uno degli altri professionisti non escluderebbe, in ogni caso, quella dell’imputato.
Poco significativa appare la circostanza che i contatti con la stampa siano stati presi di iniziativa dell’imputato in sole due occasioni, atteso che anche una sola iniziativa in tal senso poteva essere sufficiente e che quel che più rilevava era i contenuto delle dichiarazioni rese alla stampa. Sotto tale profilo, peraltro, la Corte di appello ha evidenziato che, «anche quando ormai era arrivata la smentita della RAGIONE_SOCIALE circa il suo interesse all’affare, il COGNOME perseverava nella propria versione dei fatti, dichiarando alla giornalista COGNOME che la smentita fosse avvenuta unicamente per mere questioni burocratiche e formali ma che la RAGIONE_SOCIALE fosse ancora coinvolta nell’affare» (cfr. sesta pagina della motivazione della sentenza di appello).
Del tutto generiche risultano le osservazioni relative al fatto che l’imputato non avrebbe tratto vantaggi dalla vicenda e alle conseguenze negative sulla sua attività professionale; così come risulta generico il rilievo inerente alle asseri valutazioni della RAGIONE_SOCIALE, che avrebbe rilevato solo un comportamento negligente dell’imputato. Il ricorrente, infatti, non ha indicato quali sarebbero gli speci elementi e le specifiche argomentazioni utilizzate dalla RAGIONE_SOCIALE che renderebbero viziate sotto il profilo logico le valutazioni effettuate dai giudici di merito attengono al giudizio di responsabilità penale.
Più in generale, va evidenziato che queste deduzioni, al pari delle altre (l’imputato non avrebbe portato personalmente la lettera al AVV_NOTAIO di
RAGIONE_SOCIALE, ma avrebbe accompagnato l’AVV_NOTAIO a consegnarla; il COGNOME avrebbe appreso determinate circostanze direttamente dal COGNOME e non dall’imputato), valorizzano meri frammenti probatori o indiziari, tendendo a sollecitare un’inammissibile rivalutazione dei fatti nella loro interezza. Nessuna delle deduzioni del ricorrente integra un effettivo e decisivo travisamento della prova o un vizio logico determinante che pregiudichi il ragionamento posto a base del giudizio di responsabilità. Il ricorrente non ha minimamente dimostrato che le circostanze da lui evidenziate e le presunte incongruenze fossero decisive, al punto da minare alle fondamenta il ragionamento probatorio dei giudici di merito.
Al riguardo, va ribadito che: il travisamento della prova non può essere confuso con un’alternativa lettura degli esiti delle risultanze istruttorie, come fat dal ricorrente, in quanto esso è configurabile solo quando si introduce nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo, quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia o quando si incorre in un errore percettivo (e non valutativo) della prova stessa; l’errore deve essere tale da minare alle fondamenta il ragionamento del giudice e deve cadere sul significante, ossia sul documento, e non sul significato, ossia sul documentato (Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269787).
Quanto al vizio di logicità della motivazione, per essere sindacabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794). La mancanza e la manifesta illogicità della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicché dedurre tale vizio in sede di legittimità significa dimostrare che il testo del provvedimento è manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non già opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione dei fatti (Sez. U, 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205621; Sez. U, n. 30 del 27/09/1995, COGNOME, Rv. 202903).
1.2. Il secondo motivo del ricorso originario e il secondo motivo aggiunto che possono essere trattati congiuntamente, essendo strettamente correlati sono infondati.
Va premesso che: il reato di cui all’art. 185 d.lgs. n. 58 del 1998 ha natura di reato di mera condotta e che la sua consumazione non richiede che si verifichi l’alterazione del prezzo dello strumento finanziario (cfr. Sez. V, n. 53437 del 19 ottobre 2018, COGNOME; Sez. V, n. 45829 del 10 luglio 2018, COGNOME); il reato «può sussistere anche senza che la variazione del prezzo si sia concretamente
realizzata, in quanto la norma penale tutela anticipatamente l’interesse dell’ordinamento alla corretta formazione del prezzo dello strumento finanziario» (n. 53437 del 19 ottobre 2018; Sez. 5, n. 4619 del 27/09/2013, Compton; Sez. 2, n. 12989 del 28/11/2012, Consorte, Rv. 255525); l’accertamento dell’idoneità ad alterare sensibilmente il prezzo dello strumento finanziario deve essere compiuto ex ante e in concreto, utilizzando il criterio della prognosi postuma (cfr. Sez. V, n. 53437 del 19 ottobre 2018, COGNOME; Cass., Sez. V, n. 45829 del 10 luglio 2018, COGNOME).
Ebbene, i giudici di merito, in linea con principi affermati da questa Corte, hanno correttamente inquadrato la fattispecie astratta nella categoria dei reati di pericolo concreto, sottolineando come essa possa «sussistere anche quando l’alterazione del prezzo non si è verificata».
Passando al caso concreto, i giudici di merito hanno valorizzato in maniera adeguata e logica gli elementi ritenuti poco rilevanti dal ricorrente.
Hanno prima descritto il contesto in cui erano state diffuse le notizie false, rilevando che, all’epoca dei fatti, il titolo RAGIONE_SOCIALE era relativo a una società in perdita, con passività pari a 629 milioni a fine 2006, di proprietà anche pubblica, le cui quote non si riuscivano a vendere e che, pertanto, in tale situazione, il mercato «si alimentava delle notizie giornaliere su chi fossero i colossi interessati all’acquisto e sulle corrispondenti aspettative di implemento della Compagnia» (pag. 44 della sentenza di primo grado).
Si sono ampiamente soffermati sul ruolo centrale avuto dall’imputato nella diffusione delle notizie (anche dopo la smentita della RAGIONE_SOCIALE) e nella preparazione della lettera di manifestazione di interesse.
Hanno, poi, valorizzato «la scelta delle tempistiche» di diffusione della notizia in questione: «da ritenersi sintomatica dell’idoneità della condotta a produrre l’effetto antigiuridico previsto dalla norma incriminatrice», atteso che «si era in u contesto, invero, prossimo alla scadenza del termine per la presentazione delle varie manifestazioni di interesse sicché le eventuali “offerte dell’ultimo minuto”, i un momento in cui l’attenzione in ordine ai futuri partecipanti delle trattativ andava dissipandosi, non poteva che attrarre l’interesse dei giornalisti e dell’opinione pubblica …» (ottava pagina della motivazione della sentenza di appello).
In tale contesto, i giudici di merito hanno ritenuto, senza incorrer in alcun vizio logico, che la scelta di chiamare in causa colossi internazionali del calibro della RAGIONE_SOCIALE era sicuramente orientata a sortire una notevole rilevanza mediatica e, in considerazione della precaria situazione finanziaria di RAGIONE_SOCIALE, era potenzialmente idonea a incidere sul valore del titolo.
Il Tribunale, in particolare, ha evidenziato che: «se ogni nuova notizia, informazione, chiarificazione fornita al mercato, che abbia impatto sulla futura profittabilità dell’impresa, qualora ritenuta affidabile per la sua intrinseca natura per l’attendibilità di chi la fornisce – – ha potenzialmente un impatto sui prezzi di negoziazione dei titoli, tale idoneità è ravvisabile in una situazione fluida e delicat come quella di RAGIONE_SOCIALE, per l’azione di una serie di concomitanze, tra cui l’impatto mediatico delle notizie su RAGIONE_SOCIALE e i fondi americani» (pag. 45 della sentenza di primo grado); il «mercato cambia rotta se interviene una notizia come quella veicolata dal COGNOME, che cioè addirittura un colosso della portata di RAGIONE_SOCIALE è interessato a comprare una quota parte di RAGIONE_SOCIALE o che fondi americani stanno pensando di finanziarla»; «diffondere la notizia dell’interesse all’acquisizione di RAGIONE_SOCIALE da parte del consorzio RAGIONE_SOCIALE artatamente esibito, ma non realmente costruito, equivale a porre in essere un mercato alterato» (pag. 44 della sentenza di primo grado).
Si tratta di argomentazioni congrue, basate, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, su elementi concreti e conoscibili ex ante.
I giudici di merito, infatti, hanno tenuto conto delle note e perduranti difficol patrimoniali e finanziarie di RAGIONE_SOCIALE, evidenziando che la notizia circa la presenza tra i potenziali acquirenti, di fondi esteri asseritamente dotati di consistenti riso economico-finanziarie nonché di un’importante e solida compagnia di trasporto aereo era idonea, in concreto, a indurre il pubblico degli investitori ad acquistare azioni RAGIONE_SOCIALE. La partecipazione alla procedura competitiva per l’acquisizione di RAGIONE_SOCIALE di candidati dotati di adeguate risorse finanziarie e di esperienza nel settore aereo, infatti, se fosse stata vera, avrebbe aumentato notevolmente le probabilità di un esito positivo della procedura e di un passaggio della compagnia a imprenditori in grado di assicurarne il risanamento e il rilancio.
I giudici di merito hanno valutato anche la mancata significativa alterazione del prezzo del titolo, evidenziata dal ricorrente, ma, sulla base delle argomentazioni sopra esposte, hanno ritenuto che la condotta dell’imputato fosse comunque potenzialmente idonea a incidere sul valore del titolo.
Va, più in generale, rilevato che la Corte di appello ha risposto alle censure, mosse con l’atto di impugnazione, relative alla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato (cfr. la terza e la quarta pagina della motivazione della sentenza impugnata), ritenendo evidentemente “assorbite” le questioni poste dalla difesa completamente incompatibili con la ricostruzione dei fatti ritenuta fondata. Al riguardo, va ribadito che, «nella motivazione della sentenza, il giudice del gravame non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in
modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, sicché debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata» (Sez. 6, n. 34532 del 22/06/2021, COGNOME, Rv. 281935).
1.3. Il terzo motivo del ricorso originario è inammissibile.
Con esso, il ricorrente prospetta questioni non consentite nel giudizio di legittimità e, comunque, manifestamente infondate, posto che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che l’esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., con la conseguenza che è inammissibile la doglianza che in cassazione miri a una nuova valutazione della sua congruità, ove – come nel caso in esame (cfr. settima pagina della motivazione della sentenza impugnata) – la relativa determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Rv. 259142; Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, Rv. 238851).
La censura relativa al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6, cod. pen. è priva di specificità, perché meramente reiterativa di identiche doglianze proposte con i motivi di gravame, disattese nella sentenza impugnata con corretta motivazione in diritto e congrua e completa argomentazione in punto di fatto (cfr. settima pagina della motivazione della sentenza impugnata), con le quali il ricorrente non si è effettivamente confrontato. In particolare, la Corte appello ha evidenziato che il presunto ravvedimento, nel caso specifico, non era stato efficace né spontaneo. A tale riguardo, ha posto in rilievo la circostanza che l’imputato si era attivato solo a seguito dell’intervento della RAGIONE_SOCIALE.
1.4. Il quarto motivo del ricorso originario e il terzo motivo aggiunto – che possono essere trattati congiuntamente, essendo strettamente correlati – sono manifestamente infondati.
La Corte di appello, invero, ha adeguatamente motivato in ordine alla subordinazione della pena sospesa al risarcimento del danno (cfr. settima pagina della motivazione della sentenza impugnata).
Del tutto infondata è la censura secondo la quale i giudici di merito, subordinando la sospensione della pena all’integrale risarcimento del danno, avrebbero sovrapposto e confuso il «piano» della pena con quello delle statuizioni civilistiche.
Invero, l’istituto in questione trova la sua «ragionevole giustificazione» proprio su entrambi i “piani”: «la facoltà del giudice di imporre la condizione in esame, risponde ad una apprezzabile esigenza di politica legislativa penale, in quanto costituisce uno strumento diretto, da un lato, a tutelare, con l’interesse
della persona offesa, quello, pubblico, alla eliminazione delle conseguenze dannose degli illeciti penali e, dall’altro lato, a garantire che il comportamento de reo, successivamente alla condanna, si adegui concretamente a quel processo di ravvedimento, la cui realizzazione, come si evince dall’art. 164 cod. pen., costituisce lo scopo precipuo dell’istituto stesso della sospensione condizionale della pena» e che «è indubbiamente testimoniato, fra l’altro, dalla circostanza, di per sé rivelatrice, dell’effettuato risarcimento del danno» (Corte cost., 20 febbraio 1975, n. 49).
2. Deve essere evidenziato che l’unico reato contestato al ricorrente risulta estinto, atteso che il termine massimo di prescrizione (iniziato a decorrere con la consumazione del reato il 13 dicembre 2007), pari a quindici anni, tenuto conto della sospensione per 89 giorni, risulta decorso il 12 marzo 2023, dopo la sentenza di appello, emessa il 23 giugno 2022.
Al riguardo, deve essere ricordato che, secondo il consolidato orientamento delle Sezioni unite, la proposizione di un ricorso inammissibile non consente la costituzione di un valido rapporto processuale e l’avvio della corrispondente fase processuale, determinando la formazione del giudicato sostanziale, con la conseguenza che il giudice dell’impugnazione, in quanto non investito del potere di cognizione e decisione sul merito del processo, non può rilevare eventuali cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (Sez. U, 12602 del 17/12/2015, COGNOME, Rv. 266818; Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, COGNOME, Rv. 231164; Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D. L., Rv. 217266; Sez. U, n. 15 del 30/06/1999, COGNOME, Rv. 213981; Sez. U, n. 21 del 11/11/1994, COGNOME, Rv. 199903).
Nel caso in esame, però, il secondo motivo di ricorso è infondato, ma non inammissibile. L’ammissibilità del ricorso determina la valida istaurazione del rapporto processuale e consente di rilevare la prescrizione del reato.
Pertanto, agli effetti civili, il ricorso deve essere rigettato, ma, agli ef penali, la sentenza deve essere annullata perché il reato è estinto per prescrizione.
L’imputato, non essendo la prescrizione indice di soccombenza, deve essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado di giudizio dalla costituita parte civile RAGIONE_SOCIALE, che vanno liquidate complessivamente in euro 5.000,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, perché il reato è estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanz difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE, che liquida complessivi euro 5.000,00, oltre accessori di legge.
Così deciso, il 20 ottobre 2023.