Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8961 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8961 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a FOGGIA il 16/02/2001
avverso la sentenza del 12/07/2024 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che COGNOME NOME – imputato del concorso nel reato di illecito acquisto di sostanze stupefacenti aggravato dalla finalità di agevolazione mafiosa – ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del 12/07/2024, con cui la Corte d’Appello di Bari ha parzialmente riformato (applicando le attenuanti generiche prevalenti, e confermando nel resto) la sentenza di condanna in primo grado emessa con rito abbreviato dal G.i.p. del Tribunale di Bari, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’affermazione di penale responsabilità e alla ritenuta sussistenza dell’aggravante speciale;
ritenuto di dover richiamare il consolidato insegnamento di questa Suprema Corte, secondo cui «in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatori del singolo elemento» (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747 – 01);
ritenuto che, in tale condivisibile prospettiva ermeneutica, le censure difensive non superino lo scrutinio di ammissibilità, risolvendosi nella censura del merito delle valutazioni espresse dalla Corte territoriale (del tutto in linea con quelle de primo giudice), e nella riproposizione di una diversa e più favorevole lettura delle risultanze acquisite, il cui apprezzamento, in questa sede, è del tutto precluso;
ritenuto in particolare che la Corte d’Appello ha ricostruito, in termini immuni da criticità qui deducibili, il ruolo svolto nella vicenda dall’odierno ricorren anzitutto con riferimento alla sussistenza di suo un contributo concorsuale, consistito nell’informare telefonicamente – utilizzando la scheda dedicata all’attività di spaccio – due diversi esponenti della consorteria mafiosa, interessati all’acquisto dello stupefacente insieme al fratello COGNOME NOME, sull’esito negativo dell’operazione, per via dell’arresto della persona incaricata (COGNOME NOME, cugino dei COGNOME). È stato evidenziato, dalla Corte territoriale, che la posizione di pieno, consapevole coinvolgimento del ricorrente nell’attività illecita è stata desunta dalla inequivoca espressione utilizzata con COGNOME NOME a
proposito dell’arresto del COGNOME: “Nemmeno ci hanno fatto iniziare” (cfr. pag. 8 seg. della sentenza impugnata);
ritenuto che ad analoghe conclusioni debba pervenirsi con riguardo alla residua censura, disattesa dalla Corte d’Appello (pag. 12 segg.) con una diffusa motivazione che – prendendo le mosse dalla caratura mafiosa del clan COGNOME e dai plurimi elementi dimostrativi dell’appartenenza a tale sodalizio degli interlocutori del ricorrente – ha poi valorizzato i dialoghi comprovanti l finalità di favorire il sodalizio con l’acquisto della droga, e la disponibilità, pales da COGNOME NOME, ad interfacciarsi telefonicamente, nei termini già evidenziati, con esponenti di rilievo del clan, ristretti in carcere ma in grado di comunicare attraverso cellulari fatti recapitati all’interno della struttura penitenziaria (cfr. 15);
ritenuto che anche tale percorso argomentativo, volto a confermare la sussistenza dell’aggravante agevolativa di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., sia immune da profili di illogicità o contraddittorietà deducibili in questa sede;
ritenuto che debba conseguentemente adottarsi una declaratoria di inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2025
Il Presidente