Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1733 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1733 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Napoli il 11/03/1974
avverso l’ordinanza del 29/07/2024 del TRIBUNALE di ROMA
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del
Esaminati gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; ricorso.
FATTO E DIRITTO
Con ordinanza del 29/07/2024 il Tribunale di Roma, in parziale accoglimento della richiesta di riesame proposta nell’interesse di NOME COGNOME avverso l’ordinanza del Gip del Tribunale di Roma del 20/06/2024, applicativa nei suoi confronti della misura cautelare della custodia in carcere, annullava il provvedimento impugnato in relazione al reato di cui al capo 15, confermando la misura custodiale in relazione ai capi 2, 3, 7 e 14 (plurime condotte, in concorso con altri, di riciclaggio, aggravate ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen. per finalità di agevolare il clan camorristico COGNOME – COGNOME).
Propone ricorso per cassazione il difensore di fiducia del COGNOME sulla base di tre motivi.
2.1. Con il primo eccepisce il vizio di motivazione, ritenuta apparente e incongrua nonché affetta da vistosi vizi logici, avendo il Tribunale delineato la condotta delittuosa sulla base del materiale probatorio che riguardava la posizione di NOME COGNOME, fratello del ricorrente, in assenza di elementi attestanti l’adesione al sodalizio criminale o l’esistenza di un accordo per la gestione degli affari illeciti sul territorio romano (le dichiarazioni del collaboratore di giustiz NOME COGNOME non erano state valutate correttamente, in mancanza, in ogni caso, di elementi di riscontro; le intercettazioni utilizzate riguardavano NOME COGNOME; dalle indagini espletate non erano emersi contatti tra NOME COGNOME ed i correi; era stato sottovalutato il ruolo di vittima del ricorrente rispett all’aggressione posta in essere in suo danno dal COGNOME e dai correi).
2.2. Con il secondo motivo la difesa eccepisce la violazione di legge ed il vizio di motivazione con riferimento all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., contestata in relazione ai capi 2, 3 e 7, lamentando la carenza di prova in ordine al dolo specifico di agevolare l’associazione mafiosa e la mancanza di motivazione a riguardo, specie in considerazione delle risultanze delle intercettazioni e del contenuto delle dichiarazioni del COGNOME‘COGNOME.
2.3. Con il terzo ed ultimo motivo, si eccepisce la violazione di legge (art. 274 cod. proc. pen.) e il vizio di motivazione in relazione alle esigenze cautelari, essendosi omesso di valutare il periodo di detenzione che aveva preceduto l’emissione dell’ordinanza cautelare, circostanza che escludeva l’attualità del pericolo di recidiva.
Il ricorso è inammissibile perché presentato per motivi non consentiti e comunque privi della specificità necessaria ex artt. 581, comma 1, e 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
Per quanto riguarda i gravi indizi di colpevolezza (primo motivo di ricorso) è appena il caso di ribadire che le Sezioni Unite hanno da tempo chiarito che, in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (in motivazione, si è specificato – premesso che la richiesta
di riesame ha la funzione, come mezzo di impugnazione, sia pure atipico, di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali enumerati nell’art. 192 cod. proc. pen. e ai presupposti ai quali è subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo – che la motivazione della decisione del tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve essere conformata al modello delineato dal citato articolo, ispirato al modulo di cui all’art. 546 cod. proc. pen., con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza: cfr. Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828).
4.1. Ciò premesso, nel caso in esame si rileva che il Tribunale ha esaminato con rigore di analisi la posizione del ricorrente (pagine 7 e seguenti), con riferimento ai capi 2, 3, 7 e 14, sottolineando, in primo luogo, che la stessa difesa non aveva formulato rilievi “né quanto alla ricostruzione della vicenda né in relazione al coinvolgimento del COGNOME“, circostanza che non risulta oggetto di specifica contestazione difensiva; lo stesso ricorso, d’altra parte, contiene una generica confutazione del provvedimento impugnato, sostenendosi – senza effettivo confronto con il testo dell’ordinanza del riesame – che non vi sarebbero evidenze del coinvolgimento di NOME COGNOME e della consapevolezza da parte di costui di agevolare il clan camorristico COGNOME – COGNOME.
Il ruolo del COGNOME risulta ben delineato attraverso dati investigativi che il ricorrente non considera: estratti dal suo telefono cellulare, attestanti i numerosissimi bonifici che, in uscita, costituivano una fase del riciclaggio; la gestione di società che monetizzavano somme di danaro proveniente dal clan e trasferite all’imprenditore NOME COGNOME che, a sua volta, le sostituiva con operazioni tracciate (informative della DIA, indicate a pagina 2); il contenuto della intercettazione ambientale del 24 novembre 2018 tra i fratelli COGNOME, NOME e NOME, che prova la forte preoccupazione del primo circa la restituzione del danaro al clan (conversazione intercorsa alla presenza del COGNOME); il meccanismo del “giro dell’IVA” per il riciclaggio del danaro, attraverso società facenti capo ai fratelli COGNOME; i dialoghi captati circa l’acquisizione di ingent somme in contanti da consegnare poi al COGNOME, nell’ambito di una complessiva ricostruzione delle vicende tese ad acquisire danaro provento di illeciti e ad immetterlo nel circuito finanziario, attraverso operazioni fittizie.
Va altresì evidenziato che le generiche contestazioni del ricorrente in fase di riesame hanno consentito al Tribunale di riportare i dati più salienti del quadro indiziante, rinviando per il resto alle più ampie argomentazioni dell’ordinanza genetica, con puntuali riferimenti circa il coinvolgimento nelle singole operazioni di riciclaggio, pur nella accertata non partecipazione al clan.
4.2. Per i capi d’imputazione 2, 3 e 7 l’ordinanza impugnata ha sottolineato la finalità di agevolazione mafiosa (secondo motivo di ricorso), atteso il sistematico rapporto con appartenenti al sodalizio (il COGNOME e il commercialista NOME) per l’attuazione delle strategie imprenditoriali da attuare nelle attività di riciclaggio aventi ad oggetto la provvista del clan COGNOME COGNOME, incluse quelle gestite dal ricorrente (in tal senso le captazioni ambientali e gli altri elementi di prova riportati alle pagine da 8 a 10); in particolare, è risultato che il ricorrente unitamente al fratello NOME, avvalendosi della collaborazione del COGNOME, gestiva un reticolo di società per riciclare i proventi illeciti del clan, nella pien consapevolezza di agevolare in tal modo i traffici della consorteria mafiosa.
4.3. Anche le esigenze cautelari risultano attentamente valutate (terzo motivo di ricorso), con argomentazioni che si sottraggono a censure di legittimità (pagine da 15 a 17) e che, anche in questo caso, non sono oggetto di specifica contestazione.
La ricorrenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. determina la presunzione relativa ex art. 275, comma 3, cod. proc. pen. di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della misura di custodia cautelare in carcere, in mancanza di elementi idonei a superare la presunzione stessa; in ogni caso, è stata sottolineata la gravità e l’allarme sociale delle condotte delittuose, specie per la contiguità all’associazione mafiosa di cui il fratello, correo del ricorrente, è partecipe.
Il concreto ed attuale pericolo di recidiva è stato, infine, motivato con specifici richiami ai numerosi precedenti penali, alle attività illecite effettuate sino ad epoca recente, alla spregiudicatezza dei comportamenti penalmente rilevanti, al contesto criminale di riferimento (pagine 15 e 16).
Alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di euro tremila a titolo di sanzione pecuniaria.
Poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1-ter, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perc provveda a quanto stabilito dal comma 1-bis del citato articolo 94.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma il 28/11/2024
Il Consigliere estensore
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Il Presidente