Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 22654 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 22654 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il 13/01/1979 a CASERTA avverso la sentenza in data 02/07/2024 della CORTE DI APPELLO DI CATANZARO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
letta la nota pervenuta il 30/05/2025 dell’Avvocato NOME COGNOME che, nell’interesse della parte civile COMUNE DI COGNOME, ha concluso per l’inammissibilità o il rigetto del ricorso e per la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio;
letta la nota pervenuta il 04/06/2025, a firma dell’Avvocata NOME COGNOME che, nell’interesse della parte civile PROVINCIA DI VIBO VALENTIA, ha concluso per l’inammissibilità o il rigetto del ricorso e per la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME per il tramite del proprio procuratore speciale, impugna la sentenza in data 02/07/2024 della Corte di appello di Catanzaro, che per quello che qui interessa- ha riformato la sentenza in data 05/10/2022 del G.u.p. del Tribunale di Catanzaro, escludendo l’aggravante di cui all’art. 416 -bis .1 cod. pen. contestata ai capi C2) e C16) della rubrica e rideterminando la pena inflitta per i reati contestati in materia di contrabbando di gasolio agricolo e di associazione per delinquere finalizzata all’evasione Iva e della Accise dovute sugli scambi di prodotti petroliferi destinati al consumo.
Deduce:
Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 416 cod. pen. contestato al capo C1 della rubrica.
Il ricorrente denuncia l’illogicità della motivazione nella parte in cui i giudici gli attribuiscono il ruolo di stretto collaboratore del capo dell’associazione.
Osserva che la Corte di appello «argomenta la sussistenza di responsabilità a carico di COGNOME sulla sola scorta del rapporto dialettico instauratosi con i fratelli COGNOME e all’organizzazione dell’attività di frode IVA sui carburanti», così cadendo in contraddizione rispetto alla parte in cui esclude che COGNOME rivesta un ruolo apicale nell’associazione, per come -invece- ritenuto dal primo giudice.
Si assume che «nell’incontro del 23/01/2019, il COGNOME, quale collaboratore di COGNOME, si era limitato a spiegare quelle che erano le modalità -lecite o meno- di vendita (fittizia o reale) del prodotto petrolifero (agricolo o di autotrazione)».
A sostegno dell’assunto vengono riportati i contenuti della conversazione intercettata il 23/01/2019, in forza della quale si sostiene che COGNOME era già a conoscenza delle modalità descritte e che «il COGNOME interviene al più solo a conferma di quanto già stabilito».
Si evidenzia come si tratti di un unico episodio, integrante al più un’ipotesi di concorso di persone nel reato, in continuazione ai sensi dell’art. 81, comma secondo, cod. pen, così mancando elementi per ritenere COGNOME partecipe dell’associazione con testata al capo C1).
Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al capo C2 della rubrica, nel quale viene contestato il reato di cui all’art. 49 del decreto legislativo n. 504 del 1995, in relazione all’art. 40, comma 1, lettere b) e c) e comma 4, del medesimo decreto legislativo.
A tale riguardo si osserva che, con i motivi di appello, era stato evidenziato che lo schema delittuoso aveva trovato attuazione già nel 2018, con la società RAGIONE_SOCIALE, che svolgeva funzioni analoghe alla RAGIONE_SOCIALE, ossia in relazione a società che non erano riconducibili a Mercadante.
Si aggiunge che COGNOME, in sede di interrogatorio davanti al pubblico ministero, nello spiegare il meccanismo fraudolento, riferisce il ruolo avuto da ogni soggetto coinvolto, così come chiarisce che l’attività del COGNOME con il COGNOME‘COGNOME andava avanti dal 2017, senza mai citare COGNOME.
Si osserva che, dopo l’episodio del 23/01/2019 , il COGNOME non compare più nell’attività investigativa.
«Non è il COGNOME -scrive la difesacolui che ha ideato l’impresa delittuosa, perché ne ha avuto l’iniziativa, riuscendo a persuadere altri dell’opportunità di attuarla. Non è COGNOME colui che propone il piano criminoso, scegliendo e coordinando i mezzi e le persone per attuarlo. Anche perché della falsificazione dei DAS i fratelli COGNOME già si occupavano in relazione all’associazione contestata al capo B».
Si rimarca come dalla conversazione intercettata nulla emerga a suo carico, essendo erronea l’interpretazione data dalla Corte di appello.
Si deduce la mancanza di elementi utili a far ritenere il concorso di COGNOME nell’attività delittuosa.
Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al reato di cui all’art. 512bis cod. pen., contestato al capo C16 della rubrica.
Anche in questo caso si nega la sussistenza di elementi utili a far ritenere il concorso di COGNOME, perché -nonostante il ricorrente sia indicato tra i correinon ne viene specificato il ruolo né alcuna condotta morale o materiale.
Si denuncia l’apparenza della motivazione, perché si attribuisce la responsabilità nell’intestazione fittizia della società RAGIONE_SOCIALE in relazione alla quale non aveva alcun grado di compartecipazione, a qualsiasi titolo.
Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 416 -bis .1 cod. pen., in relazione all’associazione di cui al capo C1, declinata nel senso dell’agevolazione.
A tale proposito si premette che la Corte di appello ha confermato la sussistenza dell’aggravante sulla base delle captazioni rilevate nel concomitante procedimento pendente a Roma, che vengono ampiamente richiamate.
Osserva che tali elementi, però, non sono stati ritenuti sufficienti dalla Corte di appello di Roma, che -con la sentenza n. 14243 del 29/12/2024- ha escluso la sussistenza dell’aggravante in questione.
Si denuncia, quindi, il travisamento della prova, perché la Corte di appello di Catanzaro pone a fondamento dell’aggravante ‘dell’agevolazione del clan dei C asalesi’ elementi di prova raccolti nel procedimento pendente a Roma , concernenti un’associazione diversa da quella contestata al capo C1) e che, tuttavia, nel procedimento romano, non vengono reputati sufficienti per affermare la responsabilità in relazione all’aggravante dell’agevolazione mafiosa.
Si rimarca come non siano emerse condotte o conversazioni idonee a far ritenere che la finalità dell’azione di COGNOME fosse quella di agevolare il clan dei Casalesi, né che il rafforzamento del clan fosse l’obiettivo avuto di mira dal medesimo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato in relazione all’aggravante dell’agevolazione mafiosa, inammissibile nel resto.
I primi tre motivi di ricorso, relativi alla responsabilità per i reati contestati ai capi C1, C2 e C16, trattabili congiuntamente per le reciproche interazioni, sono inammissibili perché si risolvono in una rivalutazione delle emergenze processuali alternativa a quella dei giudici di merito, senza che siano dedotte censure riconducibili ad alcuno dei parametri indicati dall’art. 606 cod. proc. pen.
2.1. Con riguardo al capo C1), la Corte di appello, in uno con il G.u.p., ha ricostruito le finalità, la struttura e il funzionamento dell’associazione ivi contestata, finalizzata alla immissione in commercio di gasolio per autotrazione, fittiziamente acquistato e rivenduto come gasolio agricolo, con conseguente sottoposizione del prodotto a un regime fiscale (I.VA. e Accise) più favorevole di quello normativamente previsto e dovuto.
Secondo l’ipotesi accusatoria , così come ritenuta fondata dai giudici di merito, tale finalità veniva realizzata attraverso l’azione coordinata di tre distinti gruppi di soggetti:
un gruppo calabrese (COGNOME NOME, COGNOME NOME, LIPARI e TERRANOVA) il cui compito era quello di interporsi negli acquisti simulati, figurando come acquirenti di gasolio agricolo;
un gruppo campano (COGNOME, COGNOMERAGIONE_SOCIALE e COGNOME), reale acquirente del prodotto simulatamente compravenduto come gasolio agricolo, ma in realtà integrante gasolio da autotrazione;
un gruppo siciliano (COGNOME, FOTI e COGNOME), che figurava come simulato acquirente nella fase di scarico del prodotto (mai ricevuto) della RAGIONE_SOCIALE
Sull’esistenza e sul funzionamento dell’associazione non sono state mosse censure, così che la sua sussistenza, il suo funzionamento e le sue finalità possono ritenersi pacificamente acquisite.
Quanto alla partecipazione di COGNOME al sodalizio, la Corte di appello, tra altro, osserva che «i ripetuti viaggi in Calabria e, soprattutto, la dimostrata
conoscenza dei meccanismi di perfezionamento della frode – riportati ai COGNOME risultano inequivocamente sintomatici di condivisione del progetto criminoso più ampio e, soprattutto, delineano il COGNOME quale figura depositaria di un complesso know how la cui condivisione presupponeva non solo un rapporto di assoluta fiducia con i dirigenti dell’associazione ma anche un’inveterata esperienza, a riprova della stabilita del legame. La estrema complessità dell’operazione illecita e la piena consapevolezza da parte del giudicabile dell’esistenza e della predisposizione all’uopo di un apparato di plurimi stratagemmi operativi, connessi al coinvolgimento di molteplici società di settore, valgono infine a provare l’affectio societatis ». Tale affectio societatis e la conseguente partecipazione vengono ricavate dalle molteplici conversazioni registrate, dalla confessione resa da COGNOME (che indicava espressamente COGNOME come collaboratore di COGNOME) e, in particolare, dalla conversazione intercettata il 15/01/2019 progr. 4674, dalla quale emergeva già l ‘ individuazione delle basi dell’accordo economico fraudolento.
La difesa si limita -in sostanza- a negare che da tale conversazione emergano elementi da cui trarre la partecipazione di COGNOME al sodalizio; nel fare ciò, non nega (sia in pure in forma eventuale) il contenuto illecito di tale conversazione, ma assume che essa sarebbe al più significativa di un concorso di persone nel reato in forma continuata.
L’assunto -oltre a trascurare i plurimi e ulteriori elementi valorizzati dai giudici di merito- si presenta, all’evidenza , come una valutazione delle emergenze processuali alternativa a quella dei giudici di merito, che le hanno esaminate con motivazione adeguata, logica, non contraddittoria e aderente al dato processuale e, in quanto tale, non scrutinabile in questa sede.
2.2. Analoghe considerazioni valgono per le censure relative al reato di cui al capo C2.
2.2.1. NOME viene indicato dalla doppia sentenza conforme quale ideatore del sistema truffaldino volto alla sottrazione dell’accisa sui prodotti energetici (reato di cui all’art. 49 del decreto legislativo n. 504 del 1995, in relazione all’art. 40, comma 1, lettere b) e c) e comma 4, del medesimo decreto legislativo), attivo anche nella predisposizione degli accordi operativi con il terminale fittizio dell’acquisto, all’interno di un’azione collettiva, che implicava necessariamente il trasporto del gasolio e la sua falsa intestazione per fattura alla DR Service.
La partecipazione dell’odierno ricorrente alla commissione del reato viene tratta dalla conversazione in data 23/01/2019, nel corso della quale, secondo i giudici, COGNOME istruisce COGNOME sulla condotta da tenere, così fornendo il contributo agevolatore in cui si concretizza il suo concorso nel fatto in esame.
Il ricorrente assume che tale conversazione è stata letta in maniera erronea e parziale dalla Corte di appello, mentre dalla sua lettura integrale si comprende
che COGNOME era già consapevole delle modalità della condotta illecita. Si aggiunge che non si evince nessun contributo materiale nella falsificazione dei Documenti di Accompagnamento Semplificato (DAS).
Anche in questo caso, il motivo si risolve in una valutazione delle emergenze processuali alternativa a quella dei giudici di merito, per di più fondata sulla rilettura dei contenuti di una conversazione intercettata.
Da ciò discende l’inammissibilità della prospettazione difensiva, anche perché «in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite» (così, Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 – 01; nello stesso senso, Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, Rv. 257784 – 01), con l’ulteriore precisazione che «in tema di ricorso per cassazione, quando la sentenza impugnata abbia interpretato fatti comunicativi, l’individuazione del contesto in cui si è svolto il colloquio e dei riferimenti personali in esso contenuti, onde ricostruire il significato di un’affermazione e identificare le persone alle quali abbiano fatto riferimento i colloquianti, costituisce attività propria del giudizio di merito, censurabile in sede di legittimità solo quando si sia fondata su criteri inaccettabili o abbia applicato tali criteri in modo scorretto» (Sez. 1, n. 25939 del 29/04/2024, L., Rv. 286599 – 01).
Tali patologie non si rinvengono nella sentenza impugnata e neanche vengono prospettate dal ricorrente che, in realtà -a dispetto delle intitolazioni- non denuncia vizi della motivazione censurabili in sede di legittimità, ma sollecita una lettura dei contenuti delle intercettazioni alternativa e antagonista a quella dei giudici della doppia sentenza conforme.
2.2.2. Al capo C16 si contesta il reato di interposizione fittizia, di cui all’art. 512bis cod. pen., che viene individuato nella fittizia attribuzione alla società RAGIONE_SOCIALE della proprietà di carburante agricolo, in realtà di proprietà della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE
Con riguardo a tale ipotesi di reato, va preliminarmente osservato che «il delitto previsto dall’art. 512bis cod. pen. richiede che tutti i concorrenti nel reato abbiano agito con il dolo specifico di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale, per la cui prova in giudizio non è sufficiente dar conto della fittizia attribuzione della titolarità o disponibilità di denaro, beni o altre utilità, sicché è imprescindibile, ai fini della sua punibilità, che l’intestatario fittizio sia a conoscenza del fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione con il dolo specifico di aggirarle» (Sez. 2, n. 45080 del 14/10/2021, COGNOME, Rv. 282437 – 01).
Con la precisazione che, nel caso in esame, il dolo specifico deve essere rivolto a eludere le norme sul contrabbando, ossia allo svolgimento di un’attività finalizzata al trasporto, distribuzione e vendita di carburante senza il pagamento delle accise o dell’IVA.
Risulta manifestamente infondata, anzitutto, la doglianza secondo cui il capo d’imputazione non attribuisce alcun ruolo a Mercadante.
In realtà, il capo d’imputazione C16 rinvia alle condotte contestate al capo C2, così ricevendo nella sua formulazione la condotta colà contestata a Mercadante.
La Corte di appello, in coerenza al capo d’imputazione così congegnato, ha evidenziato che il coinvolgimento di COGNOME a tale attività elusiva emerge dalla sua condotta partecipativa al reato contestato al capo C2, rivolto appunto all’elusione delle norme sull’accise.
Il suo pieno coinvolgimento, peraltro, emerge con il ruolo di ideatore del sistema d’interposizione, dovendosi a tal fine ricordare che il concorso nel reato si configura anche con la sua ideazione, anche quando esso sia stato materialmente realizzato da altri.
Da quanto fin qui esposto discende, quindi, l’inammissibilità dei primi tre motivi di ricorso.
2.3. A diversa conclusione si perviene, invece, in relazione al quarto motivo d’impugnazione, con il quale il ricorrente sostiene che in relazione all’associazione è stata erroneamente ritenuta l’aggravante mafiosa, declinata nel senso dell’agevolazione.
A tale riguardo, si osserva che la Corte di appello ha ritenuto che l’associazione fosse finalizzata ad agevolare il clan dei Casalesi e, a tal fine, ha richiamato le intercettazioni relative a un procedimento penale pendente presso la Corte di appello di Roma.
Viene, quindi, denunciata la contraddittorietà della motivazione, poiché nella sentenza pronunciata presso la Corte di appello di Roma l’aggravante in questione è stata esclusa.
2.3.1. Va, dunque, premesso che «ai fini della configurabilità dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa di cui all’art. 416bis .1 cod. pen., la finalità perseguita dall’autore del delitto, onde evitare il rischio della diluizione della circostanza nella semplice contestualità ambientale, dev’essere oggetto di una rigorosa verifica in sede di formazione della prova, sotto il duplice profilo della dimostrazione che il reato è stato commesso al fine specifico di favorire l’attività dell’associazione mafiosa e della consapevolezza dell’ausilio prestato al sodalizio» (Sez. 3, n. 45536 del 15/09/2022, COGNOME, Rv. 284199 – 02).
2.3.2. Da ciò discende che, quando l’aggravante in dell’agevolazione mafiosa è contestata in relazione al reato di associazione per delinquere, occorre verificare
e dimostrare che la finalità di agevolare un sodalizio mafioso integri l’accordo associativo, nel senso che la commissione dei suoi reati scopo sia preordinata al fine ultimo di agevolare un’associazione di tipo mafioso esattamente individuata, con la precisazione che detta circostanza si applica ai singoli partecipi che abbiano agito in base a tale finalità o che comunque l’abbiano condivisa.
La motivazione della sentenza impugnata è carente sotto tale prospettiva, non trattando nessuno dei temi evidenziati.
Il tema della sussistenza dell’aggravante viene trattato dalla Corte di appello alle pagine 185 e 186, nelle quali vengono riassunti i rapporti di COGNOME con il clan dei Casalesi e si fa cenno all’interessamento di questi al contrabbando di carburanti.
Nulla si espone, tuttavia, circa la specifica finalità agevolatrice dell’associazione contestata al capo C1, nella complessità descritta alle pagine 168 e ss., individuata in tre gruppi separati, operanti in diversi ambiti territoriali e costituita da numerosi componenti.
Al fine di ritenere la sussistenza di una finalità agevolatrice insita nel funzionamento dell’associazione, infatti, non può considerarsi sufficiente descrivere gli eventuali rapporti personali intercorrenti tra COGNOME e il clan dei Casalesi, essendo necessario dimostrare che lo scopo sociale era l’agevolazione del clan dei Casalesi e che i singoli compartecipi abbiano agito in attuazione di tale scopo o che l’abbiano condiviso e fatto proprio.
2.3.3. Peraltro, va ulteriormente rilevato come nella motivazione non viene specificato in cosa sia consistita in concreto l’agevolazione in favore del clan dei Casalesi, né di nessun altro sodalizio mafioso. Precisazione tanto più necessaria ove si consideri che l’aggravante è stata esclusa per i reati di cui ai capi C2 e C16, che si presentano quali reati-fine del sodalizio e che, nella normale dinamica criminale, sono l’esteriorizzazione della finalità propria dell’associazione.
La sentenza impugnata va, dunque, annullata sul punto, con rinvio per la rinnovazione del giudizio in relazione alla sussistenza dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa, alla luce dei rilievi fin qui esposti.
Infine, va rilevata l’inammissibilità delle richieste di condanna alla rifusione delle spese sostenute nel grado, così come avanzate dalle parti civili Comune di Limbadi e Provincia di Vibo Valentia, in quanto tardivamente avanzate.
In relazione alla trattazione cartolare del ricorso, l’art. 611, comma 1, secondo inciso, cod. proc. pen. stabilisce che le parti private hanno facoltà di presentare motivi nuovi e memorie fino a quindici giorni prima dell’udienza; la stessa norma fissa un successivo termine, fino a cinque giorni prima dell’udienza, per presentare memoria di replica.
Ciò premesso, va rilevato come la Provincia di Vivo Valentia non abbia rispettato né il termine previsto per la presentazione di memorie, né quello previsto per la presentazione di memorie di repliche, visto che le sue conclusioni sono pervenute il 04/06/2025, ossia il giorno prima dell’udienza, fissata per il 05/06/2025.
Da ciò discende l’evidente inammissibilità per tardività delle conclusioni e delle richieste così avanzate.
Ad eguale conclusione di inammissibilità per tardività si perviene anche per le memorie presentate dal Comune di Limbadi, pervenute il 30/05/2025, ossia cinque giorni prima dell’udienza.
Quello di cinque giorni prima dell’udienza, però, è il termine fissato per le memorie di replica e non per la presentazione delle richieste principali, che vanno avanzate nel termine di quindici giorni prima dell’udienza, al fine di stabilire un contraddittorio pieno sul punto, consentendo alla controparte di replicare alla richiesta. Replica che viene, invece, impedita ove la richiesta principale -come nel caso in esame- sia avanzata nel termine stabilito -proprio- per le memorie di replica.
Segue la declaratoria di inammissibilità delle richieste avanzate dalle sunnominate parti civili.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla circostanza aggravante di cui all’art. 416 -bis .1 cod. pen. in relazione al capo C1), con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso. Dichiara inammissibili le richieste di liquidazione delle spese processuali sostenute nel grado dalle parti civili Comune di Limbadi e Provincia di Vibo Valentia.
Così deciso il 05/06/2025