Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 17853 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Presidente: COGNOME NOME COGNOME Relatore: COGNOME NOME
In nome del Popolo italiano LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Penale Sent. Sez. 6 Num. 17853 Anno 2025
Data Udienza: 01/04/2025
SESTA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. 412/2025
Martino COGNOME
NOME COGNOME
NOME COGNOME
Relatore –
CC – 01/04/2025
R.G.N. 6548/2025
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Lamezia Terme il 02/11/1980
avverso l ‘ ordinanza del 05/12/2024 del Tribunale di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
uditi gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME difensori di COGNOME NOME, che hanno concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l ‘ordinanza in epigrafe indicata il Tribunale di Catanzaro ha respinto l’istanza di riesame proposta nell’interesse di NOME COGNOME avverso l’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari aveva applicato nei suoi confronti la misura cautelare della custodia in carcere per il delitt o di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/1990 (contestato al capo n. 2) e per i reati fine contestati ai capi n. 46 e n. 50, annullandola limitatamente al capo n. 45.
Avverso la suddetta ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori di NOME COGNOME denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Difetto di motivazione in relazione al reato di cui all’art 73 d.P.R. n. 309/1990 di cui al capo n. 46, in cui viene contestata la detenzione della medesima sostanza stupefacente oggetto del reato di coltivazione di cui al precedente capo n. 45, rispetto al quale l’ordinanza impugnata ha escluso la sussistenza di gravità indiziaria a carico del ricorrente.
Né la riconducibilità a NOME COGNOME di una parte della sostanza sequestrata può, nella prospettazione difensiva, essere dedotta dalla conversazione citata nell’ordinanza impugnata, in cui NOME COGNOME si riferisce ad NOME, perché, in primo luogo, tra gli indagati ci sono ben dodici persone che si chiamano NOME e perché, in secondo luogo, quando NOME COGNOME si riferisce al ricorrente lo chiama ‘ NOME NOME‘ .
2.2. Violazione di legge in relazione all’art. 73 d.P.R. n. 309/1990 contestato al capo n. 50, relativo a una coltivazione di marijuana in località Corazzo di Maida, in quanto la piantagione, nella disponibilità di NOME COGNOME, avrebbe ad oggetto unicamente cannabis sativa , come dimostrato dal controllo eseguito il 17/02/2021, in occasione del quale sono stati eseguiti campionamenti ed è stata fornita agli operanti tutta la documentazione comprovante la liceità dell’attività svolta. Né si può ritenere che piante di cannabis sativa fossero state artificiosamente allocate nella serra tra le piante di cannabis indica, in quanto nessun elemento probatorio consente di ritenere che tale strategia, adottata per altre piantagioni, abbia riguardato anche la coltivazione, del tutto lecita, del ricorrente.
2.3. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla partecipazione del ricorrente all ‘ associazione finalizzata al narcotraffico contestata al capo n. 2, che non può essere dedotta da una intercettazione relativa al capo n. 45, né da un presunto rapporto maturato con NOME COGNOME dato che tra il ricorrente e quest’ultimo non esistono intercettazioni di conversazioni né registrazioni di incontri durante tutto il periodo in cui il secondo è stato monitorato.
Nell’ordinanza, inoltre, non viene riportato quale sarebbe stato il contributo fattivo del ricorrente al sodalizio.
2.4 Violazione di legge in relazione alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416bis .1 cod. pen., in difetto di qualsivoglia elemento a sostegno della sussistenza del dolo di agevolare la presunta cosca capeggiata da NOME COGNOME.
2.5. Violazione di legge in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari. Premesso che, in riferimento alla fattispecie di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/1990, non è applicabile la regola di esperienza elaborata per le associazioni di stampo mafioso della tendenziale stabilità del sodalizio, rileva il difensore che difettano elementi di fatto idonei a dimostrare l’attualità delle esigenze cautelari, tenuto conto che il ricorrente dal 1998 svolge una lecita attività lavorativa, è incensurato, vive e lavora lontano dal territorio calabrese, ossia in Toscana, dove è stato tratto in arresto. Tali elementi, unitamente al minimo disvalore delle condotte illecite contestate, consentono di ritenere insussistenti le esigenze cautelari o, in via subordinata, ne evidenziano la tutelabilità con misure meno afflittive rispetto a quella carceraria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Preliminarmente si osserva che, in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine ai gravi indizi di colpevolezza, la Corte di cassazione è tenuta a verificare, nei limiti consentiti dalla peculiare natura del giudizio di legittimità, se il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni che l’hanno determinato ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’in dagato, verificando il rispetto dei canoni della logica e dei principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Non è, dunque, consentito proporre censure riguardanti la ricostruzione dei fatti o che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito, come invece richiesto dal ricorrente, soprattutto attraverso l’interpretazione del contenuto delle conversazioni intercettate, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità se non quando manifestamente illogico ed irragionevole (tra le tante Sez. 3, n. 44938 del 5/10/2021, Rv. 282337)
Il primo motivo di ricorso, con cui si contesta la provvista indiziaria relativa al capo n. 46, è inammissibile, in quanto postula una diversa valutazione del materiale indiziario, preclusa in sede di legittimità.
In ogni caso esso è infondato, perché i capi n. 45 e n. 46 non hanno il medesimo oggetto materiale; infatti, il capo n. 45 si riferisce alla coltivazione di marijuana in località Vruca, reato rispetto al quale è stata esclusa la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente, mentre il capo n. 46 ha ad oggetto la detenzione di stupefacente (poi sottoposto a sequestro) tra cui ventotto chili di marijuana, prodotti da NOME COGNOME nella diversa serra di Corazzo
di COGNOME come emerge dalle intercettazioni, dal contenuto inequivoco, riportate nell’ordinanza impugnata (pag. 20 -21), di cui la difesa si limita a proporre una diversa, e più conveniente, interpretazione.
3. Anche il secondo motivo di ricorso non supera il vaglio di ammissibilità.
Secondo quanto ricostruito nell’ordinanza impugnata, NOME COGNOME era uno dei gestori, oltre che l’ intestatario formale, della piantagione sita in località INDIRIZZO Maida, in cui veniva prodotta anche cannabis sativa, come emerso dall’ informativa di polizia giudiziaria, richiamata anche dalla difesa. Tuttavia, le risultanze delle intercettazioni telefoniche sono ritenute dal Tribunale univoche nel senso che in tale piantagione veniva prodotta anche cannabis indica (Rit 90/22 prog 198 del 01/03/2022, pag. 21), in quanto in esse NOME COGNOME afferma chiaramente che le forze dell’ordine avevano rinvenuto soltanto una parte dello stupefacente prodotto, cioè la cannabis sativa, mentre la parte illecita non era stata trovata; dalla medesima conversazione emerge che la produzione, con 700 piante, era stata di 30 chili.
4. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
L’ordinanza impugnata, sulla base degli esiti di attività di intercettazione telefonica, delle immagini estrapolate dai sistemi di videosorveglianza installati presso i siti di interesse investigativo, dei sequestri di chili di marijuana e di centinaia di grammi di cocaina, delle annotazioni di polizia giudiziaria, ha ricostruito la struttura e l’attività di una associazione finalizzata allo spaccio e alla coltivazione di sostanze stupefacenti, facente capo alla famiglia COGNOME.
Le indagini hanno fatto emergere che la consorteria, che vendeva anche droghe pesanti, era particolarmente specializzata nella coltivazione di cannabis indica ; sono state individuate cinque piantagioni – in Maida, INDIRIZZO; in Maida, INDIRIZZO; in Mesoraca; in Lamezia Terme, INDIRIZZO; in Lamezia Terme, località Vruca- tutte riconducibili al sodalizio. Le piantagioni venivano gestite, secondo l’ordinanza impugnata, da imprese aventi apparentemente ad oggetto la lecita coltivazione di cannabis sativa , che venivano intestate a prestanome, con la complicità del luogotenente NOME COGNOME grazie al quale veniva attestato l’inizio di attività di coltivazione, mediante la produzione di una denuncia di inizio semina, con fattura di acquisto e certificazione del lotto dei semi. La documentazione veniva controfirmata dal militare e conservata sia agli atti della stazione dei Carabinieri sia dal titolare della ditta individuale, che la esibiva in caso di controlli delle forze dell’ordine.
Le piante di cannabis indica venivano, quindi, piantate tra quelle di cannabis sativa .
Premesso che l’associazione finalizza al narcotraffico è un reato a forma libera la cui condotta costitutiva può realizzarsi in forme diverse purché si traduca in un’apprezzabile contributo alla realizzazione dei suoi scopi e che sia il fornitore che il rivenditore abituale devono considerarsi partecipi dell’associazione, nell’ordinanza impugnata si rileva che il ricorrente, concorrendo nella coltivazione di sostanza stupefacente in favore del gruppo, svolgeva un ruolo concreto nell’attività di produzione, finalizzata alla successiva distribuzione di un quantitativo notevole di stupefacente.
Tale motivazione, immune da vizi, non viene scalfita dalle generiche censure mosse con il ricorso.
Il quarto motivo di ricorso , relativo all’aggravante di cui all’art. 416 -bis.1. cod. pen., è fondato.
Preliminarmente va rilevato che sussiste l’interesse del ricorrente a dedurre tale motivo di ricorso quanto meno per il diverso trattamento penitenziario previsto per i procedimenti di criminalità organizzata ( art. 4bis l. n. 3354/1975).
Ebbene, l’aggravante prevista dall’art. 416bis .1, comma primo, seconda parte, cod. pen., ha natura soggettiva ed è caratterizzata dal dolo intenzionale di agevolare il sodalizio mafioso, non potendo, invece, ritenersi sufficiente la semplice consapevolezza dell’esistenza e dell’operatività di un’organizzazione sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 416-bis cod. pen. e dell’appartenenza ad essa dei concorrenti, anche se rivestono posizioni apicali.
L’ordinanza impugnata desume l’aggravante nella sua declinazione soggettiva dalla circostanza che la coltivazione di marijuana era solo formalmente intestata al ricorrente e che la piantagione era nella disponibilità di NOME COGNOME, soggetto indiziato di essere a capo di una associazione mafiosa. Non vengono, però, evidenziati gli elementi da cui trarre la volontà di agevolare tale cosca, per cui l’ordinanza va sul punto annullata con rinvio per nuovo giudizio.
6. Il quinto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Secondo il condivisibile orientamento giurisprudenziale, in tema di misure cautelari riguardanti il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, la prognosi di pericolosità non si rapporta solo all’operatività della stessa o alla data ultima dei reati-fine, ma ha ad oggetto anche la possibile commissione di reati costituenti espressione della medesima professionalità e del medesimo grado di inserimento nei circuiti criminali che caratterizzano l’associazione di appartenenza e postula, pertanto, una valutazione complessiva, nell’ambito della quale il tempo trascorso è solo uno degli elementi rilevanti (Sez. 3, n. 16357 del 12/01/2021, Rv. 281293 -01).
Il Tribunale ha fatto corretta applicazione di tali principi, ritenendo sussistenti esigenze cautelari tali da imporre l’adozione della massima misura coercitiva e desumendo l’attualità del pericolo di reiterazione del reato dalla piena disponibilità offerta dal ricorrente, dal contributo concreto dato all’associazione , dall’esperienza maturata nel settore della coltivazione di stupefacenti; irrilevante, a fronte di tali elementi, è stato valutato il tempo trascorso dalle investigazioni, peraltro piuttosto breve (poiché le condotte si sono protratte anche nell’anno 2022).
Quanto all’adeguatezza della misura carceraria, il Tribunale, con motivazione immune da vizi, ha fondato la prognosi negativa in ordine alla osservanza degli obblighi connessi a misure meno afflittive sulla personalità del ricorrente e sull’esperienza criminale maturata, che rendono probabile la reiterazione di reati della stessa specie di quello per cui si procede, anche nell’ipotesi di esecuzione di arresti domiciliari fuori Regione.
7 . In conclusione, l’ordinanza impugnata va annullata limitatamente alla aggravante di cui all’art. 416 -bis .1 cod. pen. con rinvio per nuovo giudizio sul punto.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente all’aggravante di cui all’art. 416bis .1 cod. pen. e rinvia al Tribunale di Catanzaro, Sezione riesame, per nuovo giudizio sul punto. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 01/04/2025.
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME