Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 31761 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 31761 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
De NOMECOGNOME nato il 24/12/1980 a Barcellona Pozzo di Gotto avverso l’ordinanza del 03/02/2025 del Tribunale di Messina
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito l’Avv. NOME COGNOME difensore di fiducia di NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Messina, adito in sede di riesame, confermava l’ordinanza emessa il 15 gennaio 2025 dal Giudice per le indagini preliminari presso il medesimo Tribunale, con cui veniva disposta nei confronti di NOME COGNOME la misura della custodia cautelare in carcere per il reato di peculato aggravato ai sensi dell’art. 416 bis. 1 cod. pen. di cui al capo 3) della provvisoria incolpazione.
Avverso il provvedimento, NOME COGNOME per il tramite del difensore di fiducia, ha presentato ricorso, deducendo:
vizio di motivazione, per avere i Giudici della cautela ravvisato il concorso del ricorrent nel reato di peculato benché l’amministratore giudiziario dell’azienda “Bellinvia”, NOME COGNOME, nulla sapesse circa la esistenza di una ‘cassa contanti” diversa da quella “ufficial della distrazione delle somme (i.e. dei profitti dell’azienda) in favore della famiglia mafiosa degli Ofria;
vizio di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa, non avendo i Giudici della cautela rilevato il dolo intenzionale i capo al COGNOME, storico dipendente dell’azienda Bellinvia;
violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla proporzionalità della misura custodiale, trattandosi di persona incensurata e non intranea al sodalizio criminoso. Peraltro, l’azienda – all’attualità – non è più operativa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va rigettato.
1.1. Con il primo motivo il ricorrente censura il provvedimento de libertate sotto il profilo della gravità del quadro indiziario, deducendo nello specifico la non configurabilità del concorso del ricorrente nel reato di peculato per difetto in capo all’intraneus dell’elemento soggettivo del reato.
La doglianza nei termini proposti è smentita dai Giudici di merito che, nel ricostruire l vicenda per cui è processo fedelmente al dato investigativo, hanno congruamente evidenziato, seppure nei limiti del giudizio cautelare, il consapevole coinvolgimento dell’amministratore giudiziale dell’azienda, NOME COGNOME, nelhttività sottrattive ed appropriative real dagli Ofria.
Si legge nel provvedimento impugnato (cfr pag. 17 e ss) che l’azienda Bellinvia, da sempre di proprietà della famiglia mafiosa degli COGNOME rientrante nella cosca dei “barcellonesi”, era sta definitivamente confiscata in sede penale e di prevenzione; che NOME COGNOME sin dal 2011 aveva rivestito la funzione di amministratore giudiziario consentendo agli COGNOME di continuare a gestire l’azienda e ad incassare parte dei profitti conseguiti. Ciò era stato possibile grazie ad “articolato sistema” – che vedeva coinvolti gli stessi dipendenti dell’azienda, tra cui anc l’attuale ricorrente – per il tramite del quale si provvedeva alla vendita in nero e/o median sottofatturazione delle merci, in modo tale da creare riserve occulte che confluivano in una cassa parallela, distinta rispetto a quella ufficiale gestista dal COGNOME.
Tale surplus veniva poi ripartito tra gli appartenenti alla famiglia degli Ofria e finalizzat supportare il clan di appartenenza.
1.2. Nel descritto contesto operativo, stando alla ricostruzione fattuale dei Giudici del cautela, compariva anche NOME COGNOME, il quale – analogamente agli altri dipendenti della azienda – era addetto alla vendita in nero delle merci e all’accantonamento delle somme nella parallela cassa “non ufficiale”. Alle pagg. 17 e ss.del provvedimento i Giudici della cautela si sono soffermati sulla specifica posizione del COGNOME evidenziando – sulla scorta delle risultanze intercettative e delle immagini videoriprese – l’apprezzabile contribut materiale dallo stesso offerto, posto che provvedeva alla vendita in nero o sottocosto della merce e al successivo deposito delle somme di danaro provento delle transazioni onerose in un borsello nero piuttosto che nella cassa dell’impresa.
Che poi il COGNOME – quanto meno a livello indiziario- fosse a sua volta consapevole del fatto che l’amministratore COGNOME avesse abdicato alle funzioni di controllo e gestione- che ex lege avrebbe dovuto assolvere- così da consentire agli Ofria la gestione dell’azienda confiscata e l’illecito incameramento di profitti appartenenti allo Stato è questione non revocabile i dubbio, evincibile dal complessivo ordito motivazionale: il descritto modus operandi hanno rilevato i Giudici della cautela – non era schermato da particolari accorgimenti /nel senso che veniva realizzato sotto gli occhi del COGNOME che, peraltro, dal canto suo aveva, senza riserv senza tanti accorgimenti, lasciato l’azienda nelle mani degli COGNOME manifestando vicinanza e contiguità alla famiglia mafiosa.
1.3. Il differente thema introdotto dal difensore sulla assenza di consapevolezza in capo al Virgillito delle condotte illecite (Le. appropriative) realizzate dagli Ofria è stato affrontato con rigore dai Giudici della cautela.
E’ stato, in primo luogo, stigmatizzato il perdurante e duraturo comportamento inerte del Virgillito nello svolgimento del munus pubblico di controllo e gestione aziendale e sono stati in secondo luogo congruamente rilevati tutta una serie di “elementi” sintomatici – quanto meno a livello indiziario ex art. 273 cod. proc. pen.- della consapevole finalità di tale inerzia. Nel specifico i Giudici, infatti, hanno segnalato che: a) quando occorreva interloquire con la moglie e/o il figlio di NOME e con il ragioniere, COGNOME adotta gh volutamente “modalità protette”, sì da garantire la segretezza delle conversazioni e da evitare eventuali “captazioni esterne” ; b) quando era stato deciso il passaggio dell’azienda all’Agenzia Nazionale, COGNOME aveva prontamente reso edotto gli Ofria ed aveva garantito comunque la sua presenza, in modo da consentire la “continuità” di gestione degli affari (pag. 18);c) sempre il COGNOME, nel pa con la moglie, aveva lasciato intendere di essere consapevole dell’esistenza di una cassa “occulta”, parallela a quella ufficiale, in cui confluivano i proventi delle vendite.
Ineccepibile è, dunque, sul piano della logica la conclusione – quantomeno in punto di gravità indiziaria – che l’atteggiamento inerte e compiacente del COGNOME fosse stata una scel consapevole e avesse rappresentato lo snodo principale attraverso cui gli COGNOME erano riusciti a gestire l’attività di impresa, incamerando profitti e utili non di loro spettanza.
1.4. La differente prospettazione offerta dal ricorrente è, dunque, smentita dalla congrua e logica valutazione delle risultanze processuali operata dai Giudici di merito rispetto alla quale
ricorrente non si è criticamente confrontato, accedendo peraltro ad una lettura parcellizzata e riduttiva del compendio investigativo. Le censure dedotte nel ricorso, infatti, si risolvono, ne sostanza, in obiezioni meramente fattuali, dirette a prospettare, pur in presenza di una motivazione priva di vizi di manifesta illogicità, spiegazioni alternative attraverso le qua propone una “rilettura” di alcuni elementi di fatto posti a fondamento della decisione. Opzione, questa, che non rientra nel perimetro assegnato al sindacato di legittimità, in quanto, allorché si deduce la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione, occorre dimostrare che il testo del provvedimento sia manifestamente carente di motivazione e/o di logica: conclusione da scartare quando il ricorrente oppone alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudi di merito una diversa ricostruzione, per quanto magari altrettanto logica (così ex multis, Sez. LI, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828).
Quanto al secondo motivo di ricorso ‘ c n cui si censura la configurabilità della circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa, occorre in limine rilevare la carenza delle attualità e concretezza dell’interesse a ricorrere, consentendo il titolo di reato per cui si procede Le. art. 314, comma 1 cod. pen. – l’applicazione delle misure cautelari personali, inclusa quella custodiale.
2.1. Ad ogni buon conto, il motivo è generico per avere i Giudici della cautela rilevato che i COGNOME – da sempre vicino agli Ofria – non potesse ignorare che la condotta in contestazione fosse volta a favorire la famiglia mafiosa.
NOME COGNOME aveva riportato condanna definitiva per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. e nell’ambito del processo gli era stato riconosciuto il ruolo apicale all’interno de famiglia mafiosa dei barcellonesi; l’azienda Bellinvia era da sempre appartenuta agli COGNOME ed era stata confiscata in sede di prevenzione ad onta della natura mafiosa dell’impresa.
Inoltre, il COGNOME conosceva la provenienza degli Ofria ed era stato agli stessi vicino, godendo di fiducia e stima, tanto da essere stato incaricato della custodia di armi e da essere “etichettato” come “uomo di fiducia” (cfr pag. 13 per la conversazione tra COGNOME e la moglie; cf le dichiarazioni del collaboratore COGNOME).
E’, dunque, incensurabile per logica e per congruità rispetto alle premesse, la conclusione cui sono giunti i Giudici di merito ; lì dove – quanto meno a livello indiziario- hanno ritenuto che il COGNOME fosse consapevole del fatto che il descritto sistema di appropriazione degli util aziendali era funzionale a supportare la famiglia mafiosa degli Ofria.
In ordine alla censura avente ad oggetto l’attualità delle esigenze cautelari, il Tribunal ha ravvisato sia il pericolo di inquinamento probatorio che il pericolo di recidiva.
La censura è fondata in relazione al primo profilo / essendo la motivazione in parte qua priva di concreto contenuto giustificativo.
3.1. E’, invece, infondata in relazione al secondo profilo.
Il pericolo di recidiva ex rt. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. deve essere inteso non come imminenza del pericolo di commissione di ulteriori reati, ma come prognosi di commissione di analoghi delitti, fondata su elementi concreti e non meramente ipotetici ed astratti.
Nel caso in esame, tale principio di diritto è stato correttamente applicato / posto che – con argomentazioni esaustive e non illogiche – la concretezza e l’attualità del pericolo di recidiva stata desunta dalla natura e dalle modalità della condotta nonché dalla negativa personalità del COGNOME che- come congruamente spiegato dai Giudici di merito- ha dato prova di callidità criminale e di capacità di “sapersi muovere nel contesto criminale e nei diversi settori d competenza”.
La stringente logicità di un tale percorso argomentativo non è destrutturata dalle allegazioni difensive, ove peraltro si richiamano genericamente elementi – come quello relativo alla inoperatività dell’azienda – già congruamente valutati nel provvedimento censurato e come tali inidonei a elidere il pericolo di reiterazione del reato, vieppiù al cospetto di un sogg dotato di capacità criminale “qualificata e multiforme” (cfr pag. 26 del provvedimento).
3.2. Non coglie nel segno nemmeno l’argomentazione relativa all’assenza di proporzionalità e adeguatezza della misura cautelare in corso.
A tenore dell’art. 275, commi 1 e 2, cod. proc. pen. «… il giudice tiene conto della specifi idoneità di ciascuna in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto … ogni misura deve essere proporzionata all’entità del fatto e alla sanzione che sia stata o che si ritiene possa essere irrogata». Imprescindibile è, pertanto, l’apprezzamento del “tipo” di recidiva che si intende contrastare, ovvero delle specifiche esigenze cautelari ravvisabili nel caso concreto.
Nel caso in esame, il Tribunale si è mosso nel rispetto di tale regola, avendo – con argomentazioni per nulla illogiche – rilevato come la misura custodiale fosse l’unica idonea a fronteggiare il rilevato pericolo di recidiva ad onta della “contiguità” con contesti di crimin organizzata e della callidità criminale del De Pasquale.
Al rigetto del ricorso segue – ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.- la condanna pagamento del ricorrente delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc.
.
.J2 GLYPH perì.
Il Consigliere estensore
.
-,–. GLYPH
zi.,
….. .- ,i.,
GLYPH c -, GLYPH – Così deciso il 09/07/2025.