Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 23970 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 23970 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOMECOGNOME nato a Lamezia Terme il 19/03/1997
avverso l’ordinanza del 03/12/2024 della Tribunale di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
letta la memoria difensiva dell’avvocato NOME COGNOME difensore di COGNOME NOMECOGNOME che ha insistito per raccoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe indicata il Tribunale per il riesame di Catanzaro ha annullato l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari, con cui era stata applicata a NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere, limitatamente ai capi 239, 242, 243, confermandola nel resto.
Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di NOME COGNOME denunciando i motivi di annullamento di seguito sintetizzati, conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alle esigenze cautelari, in quanto il Tribunale si sarebbe limitato a richiamare la presunzione di pericolosità di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., omettendo di valutare sia l’incidenza del tempo trascorso dai fatti contestati -che risalgono al periodo 2021/2022- sull’attualità delle esigenze cautelari, sia, infine, la circostanza che il pericolo di reiterazione del reato sarebbe, di fatto, eliso dall’attuale stato di detenzione del ricorrente per altra causa.
2.2. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art. 416-bis.1. cod. pen., in quanto l’ordinanza impugnata non si confronterebbe con il contenuto di due sentenze, del 2022 e del 2019, che hanno assolto il ricorrente dal reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., limitandosi a richiamare alcune intercettazioni ambientali che non dimostrerebbero la finalità di agevolazione mafiosa. Nella prospettazione difensiva mancano elementi a sostegno della consapevolezza della appartenenza mafiosa degli interlocutori e della stessa esistenza di un legame oggettivo tra le presunte cessioni di sostanza stupefacente e gli interessi dell’associazione mafiosa.
2.3. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’interpretazione delle intercettazioni telefoniche che, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, avrebbero contenuto ambiguo e sarebbero prive di riscontri oggettivi esterni.
2.4. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alle esigenze cautelari, essendo stato violato il principio di proporzionalità per l’omessa valutazione dello stato di detenzione per altra causa, dell’assenza di condanne per reati associativi e della idoneità di misure meno afflittive.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Va esaminato, per priorità logica, il terzo motivo di ricorso, che attiene alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza.
Il motivo è inammissibile sia perché formulato in modo del tutto generico i sia perché richiede una diversa lettura del materiale probatorio e, in particolare, delle intercettazioni telefoniche.
Sul punto va rilevato che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle
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massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (così Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715-01).
L’ordinanza impugnata, sulla base degli esiti di attività di intercettazione telefonica, delle immagini estrapolate dai sistemi di videosorveglianza installati presso i siti di interesse investigativo, dei sequestri di chili di marijuana e d centinaia di grammi di cocaina e delle annotazioni di polizia giudiziaria, ha ricostruito la struttura e l’attività di una associazione finalizzata allo spaccio e all coltivazione di sostanze stupefacenti, facente capo alla famiglia COGNOME, di cui il ricorrente era partecipe, con il ruolo di stabile acquirente (capo 2).
Ha, altresì, ricostruito l’operatività di altra associazione finalizzata al narcotraffico, distinta dalla prima, della quale il ricorrente era al vertice (capo n. 129), e che provvedeva allo smercio della sostanza stupefacente, acquistata, tra gli altri, da NOME COGNOME.
Ha, infine, ritenuto sussistenti a suo carico gravi indizi di numerosissimi reati fine in materia di traffico di sostanze stupefacenti, la cui sussistenza non è stata contestata dal ricorrente innanzi al Tribunale per il riesame.
A fronte del solido quadro indiziario tratteggiato nell’ordinanza impugnata, che riporta analiticamente gli elementi di prova, il ricorrente si limita a dolersi in modo generico dell’interpretazione delle intercettazioni telefoniche, senza indicare in modo specifico a quali conversazioni la censura si riferisca, e a rilevare, sempre genericamente, l’assenza di riscontri esterni.
Il motivo di ricorso, pertanto, è inammissibile.
Va solo sottolineato, sotto tale ultimo profilo, che il contenuto di intercettazioni telefoniche captate fra terzi, da cui emergano elementi di accusa nei confronti dell’indagato, può costituire fonte probatoria diretta della sua colpevolezza, senza necessità di riscontro ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., fatto salvo l’obbligo del giudice di valutare il significato dell conversazioni intercettate secondo criteri di linearità logica (Sez. 3, n. 10683 del 07/11/2023, COGNOME, Rv. 286150 – 04), come accaduto nel caso di specie.
Il primo e il quarto motivo di ricorso, attinenti alle esigenze cautelari, possono essere esaminati congiuntamente e sono infondati.
Secondo il condivisibile orientamento giurisprudenziale, in tema di misure cautelari riguardanti il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, la prognosi di pericolosità non si rapporta solo all’operatività della stessa o alla data ultima dei reati-fine, ma ha ad oggetto anche la possibile commissione di reati costituenti espressione della medesima professionalità e del medesimo grado di inserimento nei circuiti criminali che caratterizzano l’associazione di appartenenza e postula, pertanto, una valutazione complessiva, nell’ambito della
quale il tempo trascorso è solo uno degli elementi rilevanti (Sez. 3, n. 16357 del 12/01/2021, PTM/COGNOME, Rv. 281293).
Il Tribunale ha fatto corretta applicazione di tali criteri, rilevando che entrambe le strutture associative cui prende parteicorrente sono particolarmente allarmanti nella loro capacità di approvvigionarsi di notevoli quantitativi di droga, avendo una stabile base economica e una estesa ramificazione nel territorio, che consente ai partecipi di distribuire sia droghe pesanti che droghe leggere in un vasto mercato.
In questo contesto, il decorso di un modesto periodo di tempo tra i fatti contestati e l’emissione della misura cautelare non costituisce elemento distonico rispetto alla presunzione di perdurante pericolosità dell’indagato prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., tale da vincerla, in quanto in tale arco temporale il ricorrente, seppur arrestato per altra causa, ha posto in essere ulteriori condotte sintomatiche di perdurante pericolosità; in particolare, egli non ha interrotto i contatti con i propri sodali e, anzi, ha investito uno di essi del ruolo di continuatore della propria attività, fornendogli i contatti di alcuni clienti e istruzioni su svolgimento dell’attività stessa.
Né sono state ritenute adeguate misure cautelari diverse da quella custodiale, unica idonea a impedire che il ricorrente possa riprendere i contatti con l’associazione o riorganizzare la stessa.
3. Il secondo motivo di ricorso è anch’esso infondato.
L’aggravante prevista dall’art. 416-bis.1, comma primo, seconda parte, cod. pen., ha natura soggettiva ed è caratterizzata dal dolo intenzionale di agevolare il sodalizio mafioso, non potendo, invece, ritenersi sufficiente la semplice consapevolezza dell’esistenza e dell’operatività di un’organizzazione sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 416-bis cod. pen. e dell’appartenenza ad essa dei concorrenti, anche se rivestono posizioni apicali.
Il Tribunale ha fatto corretta applicazione di tali principi, in quanto, con motivazione logica e immune da vizi, ha dedotto dal materiale indiziario relativo alla partecipazione all’associazione di cui al capo 2 e dai reati fine commessi in qualità di stabile acquirente di NOME COGNOME la volontà di agevolare il sodalizio mafioso di cui COGNOME era al vertice, sodalizio che aveva, tra le proprie attività più redditizie, proprio lo smercio di sostanza stupefacente. Univoche in tal senso sono ritenute le conversazioni riportate nell’ordinanza impugnata / in cui esplicitamente NOME COGNOME richiama la provenienza mafiosa dello stupefacente («odora di mafia compa’» RIT 2296/21 prog. 719 del 19/12/2021). ror
4. In conclusione, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma
disp. att. cod. proc. pen.
1-ter,
Così deciso il 14/05/2025