Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 29661 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 29661 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/04/2025
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COGNOME
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NOME
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nata a Catanzaro, il 31/08/1991 avverso l’ordinanza del 03/12/2024 del Tribunale della Libertà di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dalla consigliera NOME COGNOME udite le conclusioni rassegnate dal Procuratore generale che, riportandosi a quelle già rassegnate ex art. 23, comma 8, del decreto legge n. 137 del 2020, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; dato atto che benché autorizzata la trattazione orale dell’udienza’ su istanza del difensore della ricorrente, avv. NOME COGNOME nessuno è comparso per COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 3 dicembre 2024 il Tribunale della libertà di Catanzaro, pronunciando sul riesame proposto da COGNOME NOME avverso l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Catanzaro il 14 ottobre 2024, applicativa della misura cautelare della custodia in carcere in relazione al delitto di cui agli artt. 110, 372 e 416-bis.1 cod.pen. (capo 6 di provvisoria imputazione) impugnata limitatamente alla ritenuta aggravante, ha confermato l’ordinanza impugnata.
COGNOME ha proposto, a mezzo del difensore di fiducia, tempestivo ricorso, per l’annullamento dell’ordinanza di che trattasi, affidata a due motivi.
2.1. Col primo motivo lamenta, ex art. 606, comma 1, lett e), cod.proc.,pen., vizio di motivazione, asseritamente mancante, apparente, comunque manifestamente illogica e contraddittoria, in relazione all’art. 273 cod.proc.pen, ed all’art. 41 blis.1 cod. pen..
Il Tribunale ha ritenuto di poter superare la censura di omessa motivazione sul punto da parte del Giudice per le indagini preliminari dell’ordinanza genetica dichiarando di integrarla, ma, in realtà, autonomamente motivandone la sussistenza.
In ogni caso la motivazione resa sarebbe frutto di ‘abuso di presunzioni’; dalla partecipazione del marito, NOME COGNOME, agli affari, e non alla consorteria, dei COGNOME, in forza del rapporto di coniugio, è stata ritenuta la conoscenza dell’esistenza della consorteria e, di poi, dei ruoli all’interno della stessa ricope dai COGNOME; così dalla presenza della ricorrente ad una conversazione telefonica tra marito e COGNOME -vertente in merito al sequestro di droga del giorno precedente- è stata ritenuta la conoscenza della caratura criminale di quest’ultimo. Sarebbe stato con ciò eluso l’onere di motivare sia il fine specifico di favorire l’attività dell’associazione mafiosa, sia la consapevolezza dell’ausilio prestato al sodalizio, ciò a fronte della prova di un unico contatto tra la donna e il COGNOME, volto a richiedere e concordare la testimonianza, sicché non v’è prova che le condotte fossero volte ad agevolare la cosca invece che il singolo presunto appartenente alla stessa.
2.2. Col secondo motivo lamenta, ex art. 606, comma 1, lett e), cod.proc.,pen., vizio di motivazione, asseritamente mancante, apparente, comunque manifestamente illogica e contraddittoria, in relazione all’art. 275 cpd.proc.pen. . Ha ritenuto il Tribunale della libertà la sussistenza della esigenza di cui alla letter c) della norma indicata.
Anche a quest’ultimo proposito a fronte delle ragioni giustificative della misura, genericamente svolte per tutti gli indagati nell’ordinanza genetica, e della censura svolta al proposito da parte della difesa della ricorrente, il Tribunale ha ritenuto d integrare la motivazione facendo appello, innanzi tutto, alla presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod.proc.pen., svilendo il dato della assenza di contestazione, a carico della ricorrente, di delitti associativi, e del considerevol lasso di tempo intercorso tra la data del commesso reato e il momento di adozione del provvedimento genetico.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Giova premettere che, secondo il costante orientamento di questa Corte, allorquando si impugnano provvedimenti relativi a misure cautelari personali, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 4 n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884; conformi, Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, COGNOME, Rv. 252178).
Questo perché il controllo di legittimità che la Corte è chiamata ad effettuare consiste nella verifica della sussistenza delle ragioni giustificative della scelt cautelare nonché dell’assenza nella motivazione di evidenti illogicità ed incongruenze, secondo un consolidato orientamento espresso dalle Sezioni unite (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828), e successivamente ribadito dalle Sezioni semplici (Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400; Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, COGNOME, Rv. 248698).
Il vizio di motivazione di un’ordinanza, per poter essere rilevato, deve quindi assumere i connotati indicati nell’art. 606 lett. e), e cioè riferirsi alla mancan della motivazione o alla sua manifesta illogicità, risultante dal testo de provvedimento impugnato, così dovendosi delimitare l’ambito di applicazione dell’art. 606, lett. c, cod. proc. pen. ai soli vizi diversi (Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, COGNOME, Rv. 199391).
Di conseguenza, quando la motivazione è adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici, il controllo di legittimità non può spingersi oltre, coinvolgend
giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito sull’attendibilità e la capacità dimostrativa delle fonti di prova.
Il controllo della Corte, quindi, non può estendersi a quelle censure che pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976).
Nello scrutinio dei motivi di ricorso non si può prescindere, inoltre, dalla distinzione tra l’accertamento della responsabilità e quello, rilevante in questa sede, della gravità indiziaria.
Invero, la valutazione affidata al giudice in tema di misure cautelari personali, vincolata al rispetto dei requisiti di gravità indiziaria di cui all’art. 273 cod. p pen., non coincide con quella finalizzata all’accertamento della responsabilità sulla base delle emergenze probatorie in sede dibattimentale, essendo la prima caratterizzata da esigenze interinali (cautelari, appunto) che postulano la seria probabilità, ma non necessariamente la certezza della commissione del reato da parte della persona sottoposta ad indagini; e la seconda, invece, legata alla necessità che la colpevolezza dell’imputato venga affermata “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
Con un consolidato orientamento giurisprudenziale, cui questo collegio, intende dare continuità, si è da tempo sostenuto come il termine “indizi”, adoperato dall’art. 273, comma 1, cod. proc. ten., abbia una valenza completamente diversa da quella che il medesimo termine assume nell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen.. Infatti, mentre in tale ultima norma la scelta lessicale operata dal legislatore trova la sua evidente ragion d’essere nell’esigenza di distinguere tra prove ed indizi (e soprattutto onde stabilire le condizioni in cui questi ultimi possono, considerati nel loro complesso, assurgere a dignità di “prove” e giustificare, quindi, le affermazioni di colpevolezza), l’uso del termine indizi, nell’art. 273, comma 1, cod. proc. pen. non è in alcun modo riconducibile ad un’analoga distinzione, ma unicamente alla diversa natura del giudizio (di probabilità e non di certezza) che è richiesto ai fin dell’applicazione di una misura cautelare e rispetto al quale deve, quindi, parlarsi non di “prove”, ma sempre comunque di “indizi”, non essendovi altrimenti congruenza fra detta natura probabilistica del giudizio stesso ed i fondamenti ai quali quest’ultimo deve essere ancorato (Sez. 6, n. 4825 del 12/12/1995, dep. 1996, COGNOME, Rv. 203600; in senso conforme, ex multis Sez. 3, n. 742 del 23/02/1998, Dersziova, Rv. 210514, e Sez. 6, n. 2547 del 05/07/1999, COGNOME, Rv. 214930).
Va quindi ribadito che la pronuncia cautelare è fondata su indizi di reità, e tende all’accertamento di una qualificata probabilità di colpevolezza, non della responsabilità (Sez. U., n. 11 del 21/04/1995, Costantino, Rv. 202002).
Ciò premesso tutti i motivi risultano infondati, come premesso.
2.1. Il Tribunale, nonostante la contestazione investisse la sola aggravante, ha ripercorso la piattaforma indiziaria per ricostruire nella sua interezza l’addebito mosso alla ricorrente, e significato come, grazie alla testimonianza sua e di COGNOME NOME, COGNOME NOME abbia ‘lucrato’ l’assoluzione per non aver commesso il fatto (entrambi dichiaravano in sede di processo di aver prestato assistenza al COGNOME, nella primavera-estate dell’anno 2022, in quanto a seguito di un incidente occorsogli il 5 aprile 2022 lo stesso sarebbe stato incapace di attendere alle sue primarie esigenze di vita, rappresentandone, così, l’impossibilità di partecipare alla attività di coltivazione di narcotici in quanto temporaneamente invalido).
Ha richiamato le conversazioni -agli atti del procedimento- tra COGNOME NOME e il difensore che suggeriva di reperire testimoni disponibili a far emergere la precarietà dello stato di salute dell’imputato, quelle che attestano il ‘reclutamento’ anche della COGNOME da parte del COGNOME, e la minuziosa preparazione del contenuto della testimonianza da rendere, acconsentendo la donna a tanto senza nulla pretendere in cambio, forte della ‘fiducia’ nutrita nei confront dell’interlocutore; l’ordinanza riporta, anche, le considerazioni svolte dal Giudice per le indagini preliminari come di seguito: «Nel corso del colloqui, infatti, si Mimrno (COGNOME, n.d.r.) che il legale letteralmente dettavano ai due testi il copione da seguire, preparandoli anche alle risposta da dare ad eventuali domande che il PM o i Giudici avrebbero potuto fare loro in caso di incongruenze nelle risposte»; o in relazione alla retribuzione del falso servizio svolto, concordando che la prestazione era stata erogata a mero titolo di “amicizia” (per la esatta descrizione della condotta si rinvia all’ordinanza impugnata, pagg. 2 e segg.).
E attesta la perfetta sovrapponibilità delle dichiarazioni rese in udienza rispetto a quanto concordato.
2.2. Quanto all’aggravante il Tribunale l’ha ritenuta sotto il profi dell’agevolazione mafiosa.
Ha rilevato come la ricorrente si sia determinata a commettere il reato assecondando la richiesta per il sol fatto che provenisse dal clan Cracolici nella condivisione del «medesimo disprezzo verso l’autorità tipico della mentalità mafiosa»; nella consapevolezza -maturata attraverso quella del marito cointeressato agli affari criminali dei Cracolici del che aveva diretta contezza come provato dalla telefonata cui è certo avesse assistito- dell’intraneità così del richiedente come del soggetto favorito con la testimonianza falsa alla criminalità organizzata cui quest’ultimo avrebbe continuato a prestare il proprio apporto.
2.3. In punto di diritto si richiama la pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. sentenza n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, Rv. 278734), che,
nell’affermare la natura soggettiva, in quanto inerente ai motivi a delinquere, dell’aggravante di cui all’art. 7 del decreto legge n. 152 del 1991, convertito con modificazioni dalla legge n. 203 del 1991, il cui contenuto è oggi trasfuso nell’art. 416-bis.1 cod. pen., ha evidenziato che tale circostanza, anche nella diversa forma, di natura oggettiva, del cd. metodo mafioso, rappresenta garanzia di una maggiore efficacia della funzione preventivo-repressiva del fenomeno mafioso, tendendo a evitare effetti emulativi connessi all’esistenza del gruppo illecito, con le finalità pervasive previste quale elemento caratterizzante dall’art. 416-bis, comma 3, cod. pen., e crea una sorta di cordone di contenimento, con il proposito di colpire tutte le aree che, attraverso le modalità della condotta, o attraverso la consapevole agevolazione, producano l’effetto del rafforzamento, se non concretamente della compagine, del pericolo della sua espansione, con la forza che le è tipica e la tacitazione di tutte le forze sociali che dovrebbero ad essa resistere; proprio per la sua connotazione in termini soggettivi, si è precisato che la forma aggravata in esame esige che l’agente deliberi l’attività illecita nell convinzione di apportare un vantaggio alla compagine associativa: è necessario però, affinché il reato non sia privo di offensività, che tale rappresentazione si fondi su elementi concreti, inerenti, in via principale, all’esistenza di un gruppo associativo avente le caratteristiche di cui all’art. 416 bis cod. pen. e all’effett possibilità che l’azione illecita si inscriva nelle possibili utilità, anche non essenzi al fine del raggiungimento dello scopo di tale compagine, secondo la valutazione del soggetto agente, non necessariamente coordinata con i componenti dell’associazione, non dovendo peraltro tale finalità essere esclusiva, nel senso che ben può accompagnarsi ad esigenze egoistiche quali, ad esempio, la volontà di proporsi come elemento affidabile al fine dell’ammissione al gruppo o qualsiasi altra finalità di vantaggio, assolutamente personale, che si coniughi con l’esigenza di agevolazione. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Costituisce peraltro affermazione condivisa di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 9142 del 13/01/2016, Rv. 266464), quella secondo cui, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa, la finalità agevolatrice perseguita dall’autore del delitto deve essere oggetto, onde evitare il rischio della diluizione della aggravante nella semplice contestualità ambientale, di una rigorosa verifica in sede di formazione della prova sotto il duplice profilo della dimostrazione che il reato è stato commesso al fine specifico di favorire l’attività dell’associazione mafiosa e della consapevolezza dell’ausilio prestato al sodalizio (cfr. Sez. 3, n. 45536 del 15/09/2022 Ud. (dep. 01/12/2022) Rv. 284199 – 02). 2.4. Ora, in applicazione di tali premesse ermeneutiche, deve osservarsi che il ragionamento seguito dai giudici di merito assolve al prescritto onere motivazionale laddove, impregiudicate e incontestate, da un lato l’affermata
esistenza della associazione di stampo mafioso, dall’altro la sussistenza del reato specificamente attribuito alla odierna ricorrente, ha sottolineato come il reclutamento dei falsi testimoni sia avvenuto -su invito del legale- a cura del vertice del clan Cracolici, NOME, alla cui richiesta la ricorrente, in difetto qualsivoglia allegato particolare legame personale (anche la sussistenza della allegazione del rapporto di “amicizia” a giustificazione dell’assistenza prestata faceva parte dell’indottrinamento da parte di COGNOME Domenico e del legale; cfr. pag 3 dell’ordinanza impugnata), acconsentiva, semplicemente «affermando di fidarsi di lui e di non volere alcun regalo in cambio» (così differenziando in termini maggiormente pregiudizievoli la propria posizione rispetto all’altro falso testimone, COGNOME, che a tanto si prestava invece «dietro pagamento di una somma di denaro»), per, poi, incontrarsi ripetutamente con lo stesso per concordare, durante tale incontro, i termini della testimonianza, recarsi presso l’abitazione dell’imputato al fine di prendere visione dei luoghi onde poter fronteggiare le eventuali domande insidiose in sede di processo, recarsi anche, sempre in presenza del COGNOME, il giorno prima dell’udienza, presso lo studio del difensore COGNOME dove veniva alfine messo a punto il contenuto delle dichiarazioni da rendere (indicazioni, sorrette, tutte dalla puntuale indicazione delle font probatorie in tal senso rilevanti).
Il Tribunale ha, altresì, correttamente evidenziato il pedissequo assecondamento da parte della ricorrente delle richieste veicolatele, in quanto promananti dal vertice dell’associazione mafiosa -clan COGNOME-, sulla scorta di un comprovato condiviso spregio verso l’autorità (nella specie quella giudiziaria : proprio la ricorrente, nel corso dell’incontro finalizzato a pianificare il contenuto del deposizione da rendere, affermava nel discorrere direttamente col COGNOME, «vediamo che dice … però io prima, io già l’avevo pensata questa cosa … che sicuramente loro faranno domande a trabocchetto che ne sai, questo sono vigliacchi», riferendosi evidentemente a pubblico ministero e giudice, possibili interlocutori nel corso della deposizione).
Ha, infine, correttamente desunto la consapevolezza della donna circa la intraneità dell’interlocutore COGNOME NOME -col ruolo unanimemente riconosciutogli- e del fratello NOME -in favore del quale la falsa testimonianza doveva essere resaalla associazione criminale localmente imperante, dalla oggettiva risultanza -in atti- della partecipazione del marito della COGNOME agli affari criminali nell’ambit degli stupefacenti oggetto di attività della consorteria, e ciò non – o non soloastrattamente, in ragione del rapporto di coniugio, ma, concretamente, per essere attestata la presenza della donna a conversazioni tra il congiunto ed il COGNOME, e a quella, in particolare, inerente all’esecuzione, il giorno precedente, di un sequestro di una piantagione di nnarjuana, fatto in ragione del quale COGNOME NOME
era stato arrestato in flagranza di reato ed era stato tratto a giudizio nel procedimento in cui la donna era stata indicata quale (falso) testimone.
Nessuna praesumptio de praesumpto, dunque, alla base del ragionamento inferenziale del Tribunale che, invece, in ragione di allegazioni probatorie concrete e disponibili in atti, ha logicamente attestato, a monte della volontà agevolatrice della associazione perseguibile attraverso l’assicurazione dell’operatività di uno dei suoi adepti, la conoscenza in capo alla testimone della intraneità e della natura dell’apporto che ciascuno dei Cracolici alla vita della stessa apportava, ciò indipendentemente da motivazione e utilità concrete che da tale sua condotta sarebbe potuta a lei derivare.
2.5. Il motivo, infondato, deve essere rigettato.
Richiamate le argomentazioni sopra svolte in ordine alla proponibilità in questa sede e nel discusso contesto procedimentale della lagnanze difensive in tema di vizio di motivazione, rileva il collegio che anche il motivo, il secondo, svolto con riferimento alle esigenze di cautela, è infondato.
3.1. La doglianza omette di adeguatamente confrontarsi con la circostanza che il delitto in parola, in quanto aggravato a mente dell’art. 416-bis.1, cod.pen., è incluso nel catalogo di cui all’articolo 275 cod. proc. pen…, relativo ai «criter scelta delle misure», il cui comma 3 stabilisce che «quando sussistono gravi indizi di colpevolezza è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure».
La giurisprudenza della Corte ha chiarito che la norma in questione introduce un «giudizio semplificato» quanto alle esigenze cautelari in relazione a tali reati, determinando un’inversione dell’onere dalla prova: si presumono la sussistenza, l’idoneità e la proporzionalità della misura custodiale «a meno che», in concreto, non si rinvengano elementi, da indicare in modo chiaro e preciso, che facciano ritenere sufficienti misure di minor rigore (Sez. 3, n. 14248 del 14/01/2021, Dalla Santa, n.m.; Sez. 3″, n. 30629 del 22/09/2020, COGNOME, n.m.; Sez. 6, n. 12669 del 2/03/2016, COGNOME, RV. 266784: «la presunzione di esistenza di ragioni cautelari viene vanificata solo qualora sia dimostrata l’inattualità di situazioni d pericolo cautelare)». Elementi che non possono consistere nella mera incensuratezza o in una generica prognosi favorevole di astensione dal compimento di delitti della stessa specie, disancorata da precisi elementi di fatto (Sez. 1, n. 2860 del 10/05/1995, COGNOME, Rv. 201746 – 01); ed infatti, la prova contraria della insussistenza delle esigenze cautelari non può essere dedotta da quegli stessi elementi cui, ove non operi la predetta presunzione di pericolosità, fa
riferimento il legislatore ai sensi dell’art. 275 comma primo e secondo cod. proc.
pen. ai fini della adeguatezza e proporzionalità della misura, essendo stata tale
valutazione già operata dal legislatore con esito negativo (Sez. 1, n. 5015 del
14/10/1998, COGNOME Rv. 212381 – 01). Si è, anche, precisato che in tema di custodia cautelare in carcere disposta per i delitti aggravati ex art. 416-bis.1 cod.
pen., sebbene l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. operi una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, in difetto di contestazione di intraneità al
contesto associativo di tipo mafioso, la presunzione di perdurante pericolosità ha carattere marcatamente relativo e il giudice è chiamato a valutare gli elementi
astrattamente idonei a escludere tale presunzione, desunti dal tipo di reato per il quale si procede, dalle concrete modalità del fatto e dalla risalenza dei precedenti
(cfr. Sez. 5, n. 1525 del 06/12/2023 Cc. (dep. 12/01/2024 ) Rv. 285808 – 01)
3.2. Rileva il Collegio che il Tribunale ha non solo rammentato la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod.proc.pen., ma di poi attestato l’assenza di elementi
atti a superarla, non risultando efficiente, allo scopo, l’incensuratezza e l’asserita estraneità a contesti criminali del tipo investigato, in ragione delle modalità con
cui la condotta contestata è stata posta in essere, con assoluta aderenza al mandato ricevuto ed in un contesto organizzato, sì da legittimare la previsione di ricaduta in condotte analoghe in favore del medesimo ambiente criminale, ciò anche in considerazione della modestia del lasso di tempo intercorso tra i fatti e l’adozione della ordinanza dispositiva della misura.
3.3. Il motivo svolto dunque, comunque generico, meramente contestativo della logica motivazione resa dal tribunale, e già perciò inammissibile, è comunque infondato, avendo il Tribunale sufficientemente motivato -in un caso di ricorrenza della doppia presunzione relativa di cui all’art. 275 cod.proc.pen.- la concreta sussistenza di esigenze di cautela di cui alla lettera c) dell’art. 274 cod.proc.pen. in considerazione delle specifiche modalità del fatto e della personalità della prevenuta per come emerge dagli atti (si considerino gli stralci delle conversazioni intercettate che dicono dell’atteggiamento e della mal sopportazione nei confronti dei precetti del vivere civile).
Ne consegue il rigetto del ricorso con onere per la ricorrente, ai sensi dell’art 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
P.Q. M .
Il Presidente Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma , 8 aprile 2025 La Consigliera est.