Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 12302 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 12302 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Calabrese NOME nato a Foggia il 10/06/1999
avverso la sentenza emessa il 30 aprile 2024 dalla Corte d’appello di Bari
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
RILEVATO IN FATTO
Con la sentenza impugnata !a Corte di appello di Bari ha confermato la condanna alla pena di anni tre di reclusione di NOME COGNOME per il reato di favoreggiamento personale aggravato dalla finalità agevolatrice mafiosa e dalla recidiva reiterata infraquinquennale.
NOME COGNOME ricorre per cassazione deducendo, con un unico motivo di ricorso, il vizio di violazione di legge in relazione alla circostanza aggravante di cui all’art 416-bis.1 cod. pen. in quanto allo stesso ascritta in mancanza del coefficiente di
imputazione soggettiva. A sostegno di tale deduzione, pur non negando di avere tenuto la condotta di favoreggiamento in contestazione, rileva che: a) detta condotta è stata tenuta in favore di COGNOME come persona e non come componente del sodalizio; b) il ricorrente è incensurato, privo di carichi pendenti e vive in un contesto geografico differente rispetto a quello di Troiano e del coimputato COGNOME; c) non sono emerse prove che il ricorrente intendesse agevolare il clan di appartenenza di Troiano né che avesse conoscenza dell’intento del correo.
3. Il Procuratore Generale, nel concludere per l’accoglimento del ricorso, ha evidenziato che: 1) COGNOME era indagato per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, aggravato dal metodo mafioso; 2) la sentenza impugnata ha descritto l’attività favoreggiatrice di Calabrese consistita nella collaborazione prestata al fine di evitare di fermare la macchina dello spaccio; 3) COGNOME era consapevole dell’attività illecita di COGNOME nel settore della droga, ma è un salto logico quello compiuto dalla sentenza impugnata, allorché ha riferito detto contributo GLYPH al COGNOME, quale partecipe dell’associazione mafiosa, non essendo stato indicato alcun elemento probatorio che riveli sia l’incidenza del contributo sull’attività dell’associazione mafiosa sia la consapevolezza di tale agevolazione da parte del ricorrente; 4) la sentenza impugnata afferma apoditticamente che tale consapevolezza comunque esisteva in capo al concorrente COGNOME, senza considerare che, affinché l’aggravante si comunichi al concorrente, è necessaria la consapevolezza della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito esposte.
2. Va, innanzitutto, premesso che la ratio della disposizione di cui all’art.7 del d.l. n. 152 del 1991 (oggi art. 416-bis.1 cod. pen.) non è soltanto quella di punire con pena più grave coloro che commettono reati utilizzando “metodi mafiosi” o con il fine di agevolare le associazioni mafiose, ma essenzialmente quella di contrastare in maniera più decisa, stante la loro maggiore pericolosità e determinazione criminosa, l’atteggiamento di coloro che, siano essi partecipi o meno in reati associativi, si comportino “da mafiosi”, oppure ostentino in maniera evidente e provocatoria una condotta idonea ad esercitare sui soggetti passivi, quella particolare coartazione o quella conseguente intimidazione, propria delle organizzazioni della specie considerata (Sez. 5, n. 22554 del 09/03/2018, COGNOME, in motivazione; Sez. 6, n. 582 del 19/02/1998, Primasso, Rv. 210405).
La norma prevede una circostanza aggravante a due fattispecie, di cui una, l’utilizzo del metodo mafioso, è stata ritenuta pacificamente di natura oggettiva.
La natura della seconda fattispecie, la c.d. agevolazione mafiosa, è stata, invece, oggetto di un contrasto ermeneutico, risolto dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278734, in cui si è affermato che la circostanza aggravante dell’aver agito al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso ha natura soggettiva, inerendo ai motivi a delinquere, e si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe. Ad avviso del Supremo Consesso, infatti, «qualora si rinvengano elementi di fatto suscettibili di dimostrare che l’intento dell’agente sia stato riconosciuto dal concorrente, e tale consapevolezza non lo abbia dissuaso dalla collaborazione, non vi è ragione per escludere l’estensione della sua applicazione, posto che lo specifico motivo a delinquere viene in tal modo reso oggettivo».
La finalità tipizzante dell’aggravante in questione è costituita dallo scopo di agevolare non il singolo esponente dell’associazione di tipo mafioso, bensì l’attività dell’associazione quale gruppo sopraindividuale, come si desume dal dato testuale della previsione normativa. Inoltre, onde evitare il rischio della diluizione della circostanza nella semplice contestualità ambientale, la finalità perseguita dall’autore del delitto dev’essere oggetto di una rigorosa verifica in sede di formazione della prova, sotto il duplice profilo della dimostrazione che il reato è stato commesso al fine specifico di favorire l’attività dell’associazione mafiosa e della consapevolezza dell’ausilio prestato al sodalizio (Sez. 3, n. 45536 del 15/09/2022, COGNOME, Rv. 284199 – 02), sodalizio del quale deve essere dimostrata, e non meramente supposta, la reale esistenza (cfr. Sez U., n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, in motivazione, par. 10; Sez. 6, n. 11352 del 31/01/2023, COGNOME, Rv. 284471).
La sentenza impugnata non si è conformata a tale consolidata esegesi della fattispecie aggravatrice speciale e ne ha ravvisato l’esistenza sulla base di un ragionamento di carattere meramente congetturale.
Come rilevato anche dal Procuratore Generale, la Corte territoriale, sulla base di un ragionamento puramente congetturale, ha individuato la ragione dell’evasione di COGNOME dalla misura degli arresti domiciliari – applicata a seguito della condanna per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 – non nella finalità di sottrarsi all’esecuzione della condanna, ma nelle esigenze di assicurare la capacità operativa del sodalizio mafioso facente capo a COGNOME e COGNOME, del quale si ipotizza faccia parte anche COGNOME in quanto molti componenti di tale gruppo criminale erano stati attinti, in altro procedimento, da misure cautelari.
Sulla base di tali argomenti, si ribadisce di contenuto meramente congetturale, con un salto logico privo di alcun elemento fattuale di riscontro, si giunge ad affermare che la condotta dell’imputato era volta a preservare la latitanza di COGNOME nella qualità di
membro del sodalizio mafioso e, dunque, ad agevolare l’organizzazione mafiosa di appartenenza.
Tale conclusione, oltre che meramente assertiva, omette di considerare la concreta condotta tenuta dal ricorrente, come descritta dai Giudici di merito, che, correlandosi al titolo cautelare violato da COGNOME, appare funzionale alla sola prosecuzione dell’attività di narcotraffico, attività che non risulta rientrare nella sfera d operatività del sodalizio mafioso.
L’equivocità del dato relativo alla condotte tenuta dal ricorrente non appare, peraltro, superabile dagli ulteriori elementi valorizzati dalla sentenza, relativi all personalità del ricorrente (in quanto attinto, in altro procedimento, da una misura cautelare unitamente ad altri ad altri componenti della mafia foggiana) ed alla sua parentela con COGNOME (appartenente ad una delle batterie della Società Foggiana), trattandosi di elementi che, anche valutati congiuntamente, appaiono privi di valenza dimostrativa degli elementi tipizzanti dell’aggravante in esame, normativamente incentrati sulla esistenza dell’associazione illecita e sulla realizzazione di un’attività che, sebbene del tutto estemporanea e fungibile, è funzionale alle finalità perseguite dal sodalizio.
Va, infine, considerato che, sebbene la sentenza impugnata non sia chiara sul punto, anche l’elemento relativo al rapporto tra il ricorrente e COGNOME appare privo di decisività, non emergendo con chiarezza dalla sentenza impugnata: i) se COGNOME, nel favorire la latitanza di COGNOME, sia stato con certezza animato dalla finalità agevolatrice mafiosa rilevante ai fini dell’aggravante in esame; ii) se il ricorrente fosse consapevole di tale finalità perseguita dal concorrente.
Alla luce delle considerazioni sopra esposte, va disposto l’annullamento della sentenza impugnata, limitatamente al punto concernente la circostanza aggravante della finalità agevolatrice mafiosa, con rinvio per nuovo giudizio su detto punto ad altra Sezione della Corte di appello di Bari.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Bari.
Così deciso il 29 gennaio 2025
Il Consigliere estensore
GLYPH
Il Presidente