Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27184 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27184 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli
nel procedimento a carico di
Casoria NOME COGNOME
nato a Mugnano di Napoli il 16/05/1979
avverso la ordinanza del 21/02/2025 del Tribunale di Napoli lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto che la Corte di Cassazione annulli
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME COGNOME l’ordinanza con rinvio ad altro collegio del TDL di Napoli.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con ordinanza del 21 febbraio 2025 il Tribunale di Napoli, in sede di riesame, annullava per mancanza di esigenze cautelari l’ordinanza con la quale il G.i.p. del Tribunale di Napoli aveva applicato la misura della custodia in carcere nei confronti di NOME COGNOME sottoposto a indagini per il reato di corruzione propria (art. 318 cod. pen.) con l’aggravante dell’agevolazione mafiosa, commesso – secondo la imputazione provvisoria – quale consigliere comunale di maggioranza del Comune di Giugliano in Campania, in concorso con NOME COGNOME e NOME COGNOME rispettivamente Sindaco e consigliere di maggioranza dello stesso Comune, nonché con NOME COGNOME e NOME COGNOME reggenti del clan COGNOME, cui sarebbe stata destinata parte della tangente versata ai primi tre da un soggetto non individuato, titolare di poteri decisionali all’intern dell’A.RAGIONE_SOCIALE, aggiudicataria di un appalto indetto dal Comune di Giugliano in Campania avente ad oggetto il servizio di raccolta, trasporto e conferimento dei rifiuti solidi urbani.
Esclusa la sussistenza dell’aggravante, il Tribunale riteneva la incompetenza del G.i.p. distrettuale che aveva emesso la misura e la competenza del Tribunale di Napoli Nord.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, chiedendone l’annullamento per “inosservanza delle norme processuali sulla sussistenza delle condizioni di applicabilità della misura ed in particolare sulla sussistenza dei gravi indizi (art. 273 c.p.p.) e delle esigenze cautelari (artt. 274-275 c.p.p.); illogicità contraddittorietà, difetto di motivazione poiché carente o fondata su erronei presupposti di fatto”.
Ritenendo insussistente l’aggravante dell’agevolazione mafiosa, il Tribunale ha omesso di considerare significativi elementi che provano il coinvolgimento nella vicenda di NOME COGNOME e NOME COGNOME, reggenti del clan COGNOME, che ricevettero una quota della tangente, e di NOME COGNOME che agì quale intermediario nei rapporti con l’organizzazione criminale e i pubblici amministratori corrotti.
Da una serie di conversazioni intercettate, in parte riportate nel ricorso, emerge con chiarezza l’esistenza di un previo accordo fra gli amministratori e gli appartenenti al clan, partecipi anch’essi della vicenda corruttiva.
La motivazione è contraddittoria là dove, dopo avere riconosciuto che COGNOME aveva stretto un accordo con il clan COGNOME per garantirsi l’elezione alle
consultazioni amministrative del 2020, in base al quale alla organizzazione sarebbe stata destinata parte delle tangenti ricevute nella illecita gestione degli appalti, ha poi escluso la sussistenza dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa, valorizzando la mancanza di intercettazioni concernenti i vantaggi economici ottenuti dal sodalizio in forza delle condotte corruttive in contestazione: non si può escludere, infatti, che alcune rilevanti conversazioni siano sfuggite alla registrazione.
Il Tribunale ha poi omesso ogni riferimento all’incontro tenutosi il 17 gennaio 2020 a casa di NOME COGNOME che fungeva da tramite tra il clan e la politica, nel corso del quale si era discusso con i consiglieri comunali COGNOME e COGNOME del mancato rispetto da parte del Sindaco COGNOME degli accordi corruttivi.
Risulta altresì inconferente la circostanza del mancato riconoscimento della gravità indiziaria in relazione al reato di cui al capo 15, relativo al voto scambio nelle elezioni dell’anno 2015.
Quanto alle esigenze cautelari, la stessa ordinanza, a proposito dei legami tra il clan camorristico COGNOME e i pubblici amministratori, ha evocato “il dubbio circa la stabile infiltrazione della malavita organizzata nella gestione dell’ente territoriale”; gli episodi contestati, pertanto, non vanno valutati isolatamente.
Inoltre, il sistema illecito di controllo del Comune di Giugliano in Campania, fondato anche sull’accertata contiguità tra camorra e politica, è talmente radicato e diffuso da non poterlo ritenere cessato solo perché alcuni soggetti si sono dimessi o non ricoprono più cariche pubbliche.
Si è proceduto alla trattazione scritta del procedimento in cassazione, in mancanza di alcuna tempestiva richiesta di discussione proposta ex art. 611 cod. proc. pen.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, indicate in epigrafe.
Il ricorso è inammissibile perché proposto con un motivo non consentito e in parte generico.
La pretesa sussistenza dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa è stata dal ricorrente sostenuta nella sostanza proponendo una rilettura di una serie di conversazioni intercettate, dalle quali – secondo quanto ritenuto dal Tribunale sarebbe escluso che del patto corruttivo contestato al capo 24) dell’imputazione, intervenuto fra NOME COGNOME all’epoca consigliere comunale, e il sindaco NOME COGNOME, entrambi “mossi esclusivamente da personali ed egoistici interessi” (pag. 9), avesse beneficiato il clan COGNOME.
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La deduzione, però, contrasta con il principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo il quale l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, non può essere sindacata dalla Corte di cassazione se non nei limiti della manifesta illogicità e irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite.
In questa sede, dunque, è possibile prospettare una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il contenuto sia stato indicato in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva e incontestabile (cfr. Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 01; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 – 01; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389 – 01; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, COGNOME, Rv. 267650 – 01; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Corso, Rv. 258164 – 01).
Del tutto congetturale, poi, e comunque inidonea a contrastare le valutazioni del Tribunale è la deduzione del ricorrente secondo la quale “non può escludersi che alcune conversazioni di particolare rilevanza siano state tenute lontano dalle fonti di captazione e dunque siano sfuggite alla registrazione”.
Inoltre, il Pubblico ministero sostiene che le conversazioni intercettate proverebbero “il coinvolgimento nella vicenda di NOME NOME e COGNOME NOME“, obliterando che il Tribunale ha evidenziato che anche il G.i.p., accertato che al clan non era pervenuta alcuna somma di denaro, aveva escluso detto coinvolgimento dei due, indicati invece dal ricorrente come i reggenti del clan COGNOME destinati a ricevere parte dei proventi della corruzione (tant’è che “non si comprende chi avrebbe agito nell’interesse dall’associazione e in che modo” – pag. 9).
L’ordinanza ha altresì escluso che fosse dimostrata la vicinanza di Casoria al clan sulla base delle generiche dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME, non aventi ad oggetto, in ogni caso, la corruzione di cui si tratta.
La motivazione, dunque, non è né contraddittoria né illogica.
Anche le argomentazioni spese dal Tribunale per escludere la sussistenza delle esigenze cautelari sono incensurabili.
L’ordinanza ha evidenziato che il fatto contestato risale a quasi sei anni fa, che Casoria non ricopre più alcun ruolo nell’amministrazione comunale di Giugliano né risulta avere tenuto successivamente condotte penalmente rilevanti
e che la società della quale egli è dipendente è stata esclusa dal 2023 dalla gestione dell’appalto sulla raccolta dei rifiuti.
Dette circostanze, poi, rendono chiaro che, anche diversamente opinando, in ogni caso non vi sarebbe stata l’urgenza di emettere la misura cautelare, ai sensi
degli artt. 291, comma 2, e 27 cod. proc. pen., peraltro neppure indicata dal
Pubblico ministero.
Va ricordato, infatti, che con la sentenza Giacobbe (Sez. U, n. 19214 del
23/04/2020, Rv. 279092 – 01) le Sezioni Unite hanno affermato che anche il giudice dell’impugnazione, rilevata su eccezione di parte o di ufficio
l’incompetenza di quello che ha applicato la misura, ha sempre l’onere di verificare, ai sensi dell’art. 291, comma 2, cod. proc. pen., la sussistenza di tutte
le condizioni per l’adozione del provvedimento limitativo della libertà personale, compresa quella della «urgenza di soddisfare taluna delle esigenze cautelari
previste dall’articolo 274» cod. proc. pen., in assenza della quale l’ordinanza genetica va annullata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Così deciso il 06/06/2025.