Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2546 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2546 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CATANZARO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 26/07/2023 del TRIB. LIBERTA di CATANZARO
sentita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 26/07/2023 il Tribunale del riesame di Catanzaro, decidendo in sede di rinvio a seguito dell’annullamento di precedente ordinanza da parte della Prima Sezione penale di questa Corte, in parziale accoglimento della richiesta di riesame presentata da NOME COGNOME nei confronti dell’ordinanza con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro gli aveva applicato la massima misura cautelare, ha sostituito quest’ultima con gli arresti domiciliari, dopo aver escluso il giudizio di gravità indiziaria con riferimen al reato di associazione per delinquere di stampo mafioso contestatagli nel capo 1.
Nei confronti dell’indagato è stata ritenuta sussistente, invece, la gravità indiziaria con riferimento al capo 7.
Tale capo di imputazione provvisoria ipotizzava a carico di diverse persone, tra le quali il padre del ricorrente, considerato un “capo ‘ndrina” nell’ambito dell’associazione ‘ndranghetistica denominata “RAGIONE_SOCIALE“, il delitto di cui agli artt. 81, comma secondo, 110, 112, commi primo e secondo, 452quaterdecies, 416-bis.1. cod. pen.
Gli indagati, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attività continuative organizzate, secondo l’accusa gestivano, ricevevano, trasportavano e smaltivano materiale legnoso misto a scarti di segheria e altro materiale di risulta proveniente da tagli, sfalci e potature abusivi dagli stess perpetrati e organizzati, intensivi, e per questo pericolosi per l’ambiente; gestendo il predetto materiale, “cippandolo” in piazzali dagli stessi allestiti, mischian illecitamente con materiale di risulta, e conferendo il predetto materiale presso centrali a biomassa ubicate in territorio calabrese (Cutro, Strongoli, Crotone, Laino Borgo ed Ecosesto-Cosenza), anche per mezzo della redazione e predisposizione di falsa documentazione e false perizie di agronomi che attestavano diversa origine del materiale poi conferito in centrale biomassa (così facendo assumere al materiale la qualità di rifiuto, non rientrando in tal modo, nella esclusione normativa di cui all’art. 185, comma 1, lett. f), d.lgs. n.152/2016); smaltivano quindi, i dirigenti e i responsabili delle centrali biomasse, l’ingente materiale come chips di legno vergine, bruciandolo per la produzione di energia elettrica incentivata per la quale le centrali sono destinatarie di fondi pubblici, con ci guadagnandone l’ingiusto profitto costituito da un agevole smaltimento dei rifiuti e da un indebito incremento del volume di affari per i fornitori, determinato dal mischiare materiale legnoso vergine a scarti di segheria, lavori autostradali e/o sfalci e potature abusivi.
Il ricorrente, in particolare, avrebbe agito nella qualità di formale titolare del RAGIONE_SOCIALE, sostanzialmente rispondendo alle direttive del padre.
La sentenza n. 30540 del 11/04/2023, pronunciata dalla Prima Sezione di questa Corte, ritenendo fondato il precedente ricorso, con specifico riferimento alla decisione sul capo 7 aveva stigmatizzato la mancata considerazione, da parte del Tribunale del riesame, di una memoria difensiva, corredata da una ricerca effettuata dall’RAGIONE_SOCIALE sul tema della biomassa, tema di interesse con riferimento alle indicate imputazioni provvisorie.
Ha proposto ricorso per cassazione il COGNOME, a mezzo dei difensori, articolando quattro motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
3.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione e violazione di legge, sostenendo che il Tribunale del riesame non si sarebbe attenuto al vincolo del rinvio ed avrebbe, ancora una volta, motivato il rigetto della richiesta di riesame senza prendere in considerazione i rilievi difensivi, se non con una formula di stile contenuta a pagina 7 dell’ordinanza, nella quale si è escluso che l’oggetto della lavorazione fosse costituito da “cippato” derivante dal mero taglio del legno di segheria.
3.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione e violazione della norma incriminatrice contestata e dell’art. 273 cod. proc. pen.
Il Tribunale del riesame avrebbe affermato la gravità indiziaria in capo al COGNOME sulla base del richiamo generico a dichiarazioni di collaboratori di giustizia e ad intercettazioni, significative tutt’al più di profili di responsabilità in ca padre dell’odierno ricorrente e di singole generiche direttive da questi impartite. In ogni caso il Tribunale non avrebbe evidenziato in maniera sufficiente l’esistenza di una struttura organizzata nel traffico ed avrebbe genericamente riferito a tutti gli indagati le medesime condotte, anche non formalmente contestate (come per esempio la falsificazione di documenti di trasporto per ostacolare la scoperta della reale provenienza del prodotto conferito alle centrali), senza alcun riferimento individualizzante alla ditta del ricorrente.
Sarebbe stato violato l’art. 183 d. Igs. n. 152/2006 laddove il materiale oggetto di conferimento è stato definito “rifiuto”, senza considerare che a tal fine non va valorizzata la mera composizione chimica della sostanza smaltita, ma occorre verificare che si tratti di un “residuo di produzione” ovvero di “un prodotto che non è stato ricercato in quanto tale” ed ancora che il suo riutilizzo senza operazioni di trasformazione preliminare presenti un ridotto grado di probabilità, in quanto economicamente non vantaggioso. Nel caso di specie, si sarebbe invece
trattato di conferimento di scarti di segheria, funzionale al conseguimento di un vantaggio economico.
Nemmeno il Tribunale avrebbe chiarito alcunché con riguardo alla quantità di rifiuto smaltito e al profitto ingiusto conseguitone.
3.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 416 -bis.1 cod. pen., in relazione all’art. 273 cod. proc. pen., e vizio di motivazione.
Apoditticamente l’ordinanza impugnata avrebbe affermato la sussistenza della gravità indiziaria dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa sulla base di una mera appartenenza familiare, dal momento che i collaboratori di giustizia si sarebbero riferiti indistintamente alla famiglia.
Il Tribunale si sarebbe sottratto all’onere di motivare circa la finalità agevolare direttamente l’attività dell’associazione mafiosa, che doveva sussistere in capo al ricorrente, data la natura soggettiva dell’aggravante contestata.
3.4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alle esigenze cautelari, che sarebbero state ritenute sussistenti sulla base della mera presunzione relativa connessa all’aggravante dell’agevolazione mafiosa, senza alcuna motivazione in termini di concretezza ed attualità del pericolo di reiterazione, a distanza di sei anni dalla cessazione delle condotte delittuose secondo quanto ipotizzato dallo stesso pubblico ministero, ed a fronte del sequestro di tutte le ditte riconducibili agli indagati.
Il Procuratore generale ha concluso per iscritto chiedendo l’annullamento con rinvio limitatamente al terzo motivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
I primi due motivi, inammissibili, possono essere trattati congiuntamente.
Come è noto, il ricorso per cassazione che deduca l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza o l’assenza delle esigenze cautelari è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito (v., per tutte, Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628).
Palesemente insussistente è la dedotta carenza assoluta di motivazione con riferimento al profilo interessato dalla precedente sentenza di annullamento.
Premesso che «in tema di gestione di rifiuti, il regime derogatorio della parte quarta del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, previsto dall’art. 185 del medesimo decreto … opera solo per gli “sfalci e potature” riutilizzati in agricoltura, in silvicol per la produzione di energia da biomassa, anche al di fuori del luogo di produzione o a mezzo cessione a terzi, sempre che siano seguite delle procedure che non danneggino l’ambiente o non mettano in pericolo la salute umana, mentre, ove non ricorrano tali presupposti, i predetti scarti vegetali sono classificabili come rifiuti» (Sez. 3, n. 9348 del 02/10/2019, dep. 2020, Pitanti, Rv. 278638), del tutto esente da rilievi di manifesta illogicità è la motivazione resa dal Tribunale del riesame che ha evidenziato come gli elementi indiziari raccolti siano tali da ritenere che il materiale trasportato fosse appunto qualificabile quale rifiuto.
Il Tribunale del riesame non si è sottratto al confronto con il materiale probatorio sottopostogli dalla difesa ed ha chiarito: «pur a fronte di quanto documentato dalla difesa in ordine al predetto materiale specificamente conferito e alla possibilità di conferire in biomassa prodotti diversi dal legno vergine, osserva il collegio che il materiale trasportato non può sfuggire alla categoria di rifiu essendo emerso con evidenza che il sistema organizzato si fondava sulla falsificazione della documentazione da presentare per giustificare il conferimento del cippato o meglio celarne la reale provenienza» (pag. 6). La forza logica della considerazione secondo la quale non occorre preoccuparsi di predisporre documenti di trasporto falsi se il materiale conferito è perfettamente regolare è evidente, ma il Tribunale non si è limitato ad essa. Ha infatti richiamato gli elementi di prova raccolti circa il taglio abusivo dei boschi praticato proprio dal ricorrente (sicché non corrisponde al vero che la motivazione sia scarsamente individualizzante rispetto alla gravità indiziaria a carico suo) e quanto emerso da intercettazioni e servizi di osservazione: lo scarico nel piazzale della FKE di materiale di scarto, plastica, bottiglie; le operazioni di separazione a mano di buste di plastica e del materiale di scarto percepibile ad occhio nudo, da parte dello stesso ricorrente; la commistione di legno sminuzzato insieme ad altri rifiuti, quali materiali di risulta derivanti dalla lavorazione del manto stradale e, in un caso, di pezzi di cemento (pag. 6), oltre che di materiale legnoso non tracciabile. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Le osservazioni critiche mosse dal ricorrente nel secondo motivo sono generiche e propongono una diversa valutazione degli elementi indiziari raccolti (dalle intercettazioni alla consulenza tecnica).
Il Tribunale, come si è già detto, ha motivato in modo non illogico circa la responsabilità del ricorrente, non certo in termini di responsabilità da posizione.
La circostanza che non gli siano contestati delitti di falso non toglie rilievo all considerazione logica secondo la quale le diffuse falsificazioni dei documenti,
ancorché ad opera di altri, abbiano indubbio valore indiziario circa la natura dei rifiuti conferiti.
Nemmeno è necessario, come sembra richiedere il ricorrente, un’indicazione precisa dei rifiuti conferiti o del lucro conseguito, essendo certo sufficienti, ai f del giudizio di gravità indiziaria, le considerazioni svolte dal Tribunale del riesame circa il fatto che il sistema fosse organizzato ed esteso e i materiali conferit “ingenti” (pag. 7).
Essa infatti ha messo in evidenza come il ricorrente, nonostante la formale posizione di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, si relazionasse con il padre, capo-cosca, e con il fratello in un’attività illecita di traffico di rifiuti che era tempo, attività di famiglia e funzionale agli interessi ‘ndranghetistic dell’associazione alla quale padre e fratello partecipavano (cfr. pag. 8 dell’ordinanza impugnata). E’ dunque non manifestamente illogica la lettura che il Tribunale opera, anche a questi fini, delle intercettazioni nelle quali il ricorrente preoccupa dei tagli non autorizzati.
2. Secondo gli approdi più condivisibili della giurisprudenza di legittimità, la circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa, prevista dall’art. 416-bis.1 cod. pen., postulando che il reato sia commesso al fine specifico di agevolare l’attività di un’associazione mafiosa, implica necessariamente, anzitutto, la prova dell’esistenza reale e non semplicemente supposta di essa (Sez. 6, n. 11352 del 31/01/2023, Solimando, Rv. 284471, ex plurimis). Inoltre, la predetta circostanza «ha natura soggettiva inerendo ai motivi a delinquere, e si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe» (Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, Chioccini, Rv. 278734); detta circostanza «richiede la sussistenza del dolo specifico di agevolare l’organizzazione criminale di riferimento, finalità che non presuppone necessariamente l’intento del consolidamento o rafforzamento del sodalizio criminoso, essendo sufficiente l’agevolazione di qualsiasi attività esterna dell’associazione, anche se non coinvolgente la conservazione ed il perseguimento delle finalità ultime tipizzate dall’art. 416-bis cod. pen.» (Sez. 6, n. 53691 del 17/10/2018, COGNOME, Rv. 274615, ex plurimis). Nella motivazione dell’ordinanza impugnata non si ravvisano, sul punto, profili di manifesta illogicità. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Pertanto, il terzo motivo è manifestamente infondato.
Il ricorrente richiama il principio secondo il quale la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, indicata nell’art. 275, comma 3, cod. proc.
pen. per reati come quelli per cui si procede, può essere vinta dal decorso di un rilevante arco temporale privo di condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità.
A prescindere dal fatto che i precedenti giurisprudenziali che hanno affermato il principio si riferivano a tempi silenti di notevole rilevanza (oltre dieci anni, caso scrutinato da Sez. 1, n. 28991 del 25/09/2020, Felice, Rv. 279728), occorre riaffermare che «la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., è prevalente, in quanto speciale, rispetto alla norma generale stabilita dall’art. 274 cod. proc. pen.; ne consegue che se il titolo cautelare riguarda i reati previsti dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. detta presunzione fa ritenere sussistente, salvo prova contraria, non desumibile dalla sola circostanza relativa al mero decorso del tempo, i caratteri di attualità e concretezza del pericolo» (Sez. 2, n. 6592 del 25/01/2022, Ferri, Rv. 282766).
L’ordinanza impugnata per un verso ricorda la circostanza che il ricorrente si sia messo a disposizione degli interessi della criminalità organizzata, e in particolare della cosca di riferimento della famiglia (sicché è correttamente invocata la presunzione, non vinta da elementi di segno contrario) e per altro verso comunque valorizza la gravità della condotta, ben descritta nella parte della motivazione relativa alla valutazione della gravità indiziaria.
Nella valutazione dell’attualità delle esigenze cautelari, come è noto, non può darsi rilievo, per espressa previsione legislativa, alla gravità astratta del titolo reato per cui si procede, mentre può certamente essere valorizzata la gravità della fattispecie concreta, in rapporto al contenuto ed alle circostanze fattuali che la connotano (si veda in particolare Sez. 5, n. 12618 del 18/01/2017, Cavaliere, Rv. 269533, per la ricostruzione dei lavori preparatori della riforma, dai quali si desume l’abbandono dell’originaria proposta che prevedeva l’impossibilità di desumere il periculum «esclusivamente dalla modalità del fatto» e la scelta in favore del testo poi entrato in vigore, che significativamente fa riferimento alla «gravità del titolo di reato»).
Con riferimento all’esigenza cautelare di cui all’art. 274, comma 1, lett. c), ravvisata nel caso in esame, l’oggetto della prognosi di reiterazione non deve avere ad oggetto il concreto fatto-reato in contestazione, ma reati dello stesso genere (si veda Sez. 5, n 70 del 24/09/2018, dep. 2019, Pedato, Rv. 274403).
Il Tribunale non si è sottratto a tale valutazione, richiamando il ruolo del ricorrente e il suo essersi messo a disposizione della criminalità organizzata compiendo condotte gravi e reiterate, e la motivazione sul punto è esente da vizi: «In tema di misure coercitive, l’attualità e la concretezza delle esigenze cautelari non deve essere concettualmente confusa con l’attualità e la concretezza delle
condotte criminose, sicché il pericolo di reiterazione di cui all’art. 274, co lett. c) cod. proc. pen. può essere legittimamente desunto dalle modalità condotte contestate, anche se risalenti nel tempo» (Sez. 2, n. 38299 13/06/2023, Mati, Rv. 285217).
Alla Corte di cassazione è preclusa la rivalutazione degli elementi di f considerati dal giudice del merito, come pure la valutazione di elementi ulte asseritamente pretermessi, per farne derivare una ricostruzione ed un giud diversi. Non spetta alla Corte di cassazione, in altri termini, verific Tribunale del riesame abbia correttamente interpretato il dato relativo al t trascorso o quello, invocato dal ricorrente, relativo alla chiusura delle azie protagonisti delle vicende illecite tratteggiate nell’ordinanza. La Corte deve valutare se, alla luce delle premesse esposte, la motivazione resa dal Trib del riesame evidenzi profili di illogicità manifesta.
Non è questo il caso, per le ragioni appena esposte.
Anche il quarto motivo, dunque, è manifestamente infondato.
4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi de 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle sp processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di euro tremila cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento de spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa d Ammende.
Così deciso il 04/12/2023