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Agente Polizia Municipale: quando è pubblico ufficiale?

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per resistenza a pubblico ufficiale nei confronti di un individuo che si era opposto a un agente polizia municipale. L’agente, sebbene in abiti civili e fuori dall’orario di servizio, era intervenuto per sventare una truffa. La Corte ha stabilito che la qualifica di pubblico ufficiale dipende dalla funzione esercitata e non dall’orario di lavoro, se l’intervento avviene nel territorio di competenza per reprimere un reato.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Agente Polizia Municipale: Pubblico Ufficiale anche Fuori Servizio?

La qualifica di pubblico ufficiale per un agente polizia municipale non cessa al termine del turno di lavoro. Se interviene per sventare un reato nel proprio territorio di competenza, agisce a tutti gli effetti come pubblico ufficiale, e chi gli si oppone con violenza o minaccia commette reato. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 13264 del 2025, chiarendo i confini funzionali del ruolo.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da un episodio di cronaca piuttosto comune: una tentata truffa ai danni di un automobilista. Un individuo era stato condannato in primo e secondo grado per il reato di resistenza a pubblico ufficiale. La persona offesa era un Sovraintendente capo della polizia municipale che, pur essendo in abiti civili e fuori dal proprio orario di servizio, era intervenuto per fermare la truffa.
L’agente si trovava presso il Comando quando era giunta la segnalazione di un’auto sospetta, utilizzata per mettere in scena la cosiddetta “truffa dello specchietto”. In questa truffa, i malviventi fanno credere alla vittima di aver subito un danno allo specchietto retrovisore per ottenere un risarcimento immediato e indebito. L’agente era quindi intervenuto, ma l’imputato gli aveva opposto resistenza.

Il Ricorso e la tesi difensiva sull’agente polizia municipale

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, basandosi su un unico motivo: la presunta violazione di legge nel riconoscere la qualifica di pubblico ufficiale all’agente. Secondo il ricorrente, un agente polizia municipale è un pubblico ufficiale con funzioni di polizia giudiziaria solo quando è in servizio e nell’ambito territoriale di competenza. Poiché l’agente era intervenuto in borghese e al di fuori del suo turno, non poteva, a suo dire, essere considerato tale. A sostegno di questa tesi, la difesa richiamava la normativa sull’uso delle armi fuori servizio (art. 5, L. n. 65/1986), che distingue gli agenti municipali dalle altre forze dell’ordine, per le quali tale facoltà è sempre consentita.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, giudicandolo infondato e fornendo un’interpretazione chiara e funzionale della normativa. Il fulcro della decisione risiede nell’interpretazione dell’espressione “quando sono in servizio”, contenuta nell’art. 57 del codice di procedura penale.
I giudici hanno chiarito che questa locuzione non va intesa in senso meramente temporale (legato all’orario di lavoro), ma in chiave funzionale. Ciò significa che la qualifica di agente di polizia giudiziaria si attiva ogni volta che l’agente compie un atto riconducibile alle sue funzioni istituzionali.
Nel caso specifico, l’intervento dell’agente era una diretta conseguenza di una segnalazione di reato pervenuta al Comando. L’agente, trovandosi all’interno del proprio ufficio, ha agito per accertare un delitto in flagranza, rientrante nelle sue attribuzioni e nel territorio di competenza del suo ente. L’azione, dunque, è stata qualificata come un vero e proprio “atto di ufficio o di servizio”.
La Corte ha sottolineato che, di fronte a situazioni di potenziale pericolo per la sicurezza pubblica o alla necessità di perseguire reati di cui si viene a conoscenza diretta, il dovere di intervento prevale sul mero dato formalistico del superamento del turno di servizio. La condotta dell’agente era volta a tutelare la collettività, e in quel momento egli stava esercitando pienamente le sue funzioni pubbliche.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha stabilito che un agente polizia municipale che interviene per reprimere un reato nel proprio territorio di competenza agisce come pubblico ufficiale, anche se si trova formalmente fuori servizio e in abiti civili. La sua azione è un atto del proprio ufficio, e la resistenza opposta nei suoi confronti integra il reato previsto dall’art. 337 del codice penale. Questa sentenza ribadisce un principio di prevalenza della funzione sulla forma, valorizzando il ruolo di tutela della sicurezza pubblica affidato alla polizia municipale.

Un agente della polizia municipale in borghese e fuori dall’orario di lavoro è considerato un pubblico ufficiale?
Sì, è considerato un pubblico ufficiale se interviene all’interno del proprio territorio di competenza per esercitare le sue funzioni istituzionali, come l’accertamento o la repressione di un reato. La qualifica dipende dalla funzione svolta e non dall’orario di lavoro.

Cosa significa l’espressione “quando sono in servizio” per la polizia municipale secondo la Cassazione?
Secondo la Corte, questa espressione deve essere interpretata in chiave funzionale e non meramente temporale. Si riferisce al momento in cui l’agente compie un atto del proprio ufficio, legato al rapporto di impiego, indipendentemente dal fatto che si trovi o meno all’interno del suo specifico orario di lavoro.

La resistenza contro un agente di polizia municipale fuori servizio può costituire reato?
Sì. Se l’agente sta compiendo un atto del suo ufficio (ad esempio, intervenendo per sventare una truffa), opporgli resistenza con violenza o minaccia costituisce il reato di resistenza a pubblico ufficiale, previsto dall’articolo 337 del codice penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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