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Agente infiltrato: quando la prova è legittima?

La Corte di Cassazione conferma la condanna per spaccio di lieve entità, basata su un acquisto effettuato da un agente infiltrato. La sentenza chiarisce che l’operazione è legittima se l’agente non induce al reato, ma si limita a far emergere un’intenzione criminale già esistente. Viene inoltre ribadito che un semplice narcotest è sufficiente per provare la natura stupefacente della sostanza.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Agente Infiltrato e Spaccio: Quando la Prova è Legittima?

L’utilizzo di un agente infiltrato è uno strumento investigativo cruciale, ma solleva importanti questioni sulla linea di demarcazione tra indagine legittima e provocazione al reato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato proprio questo tema, confermando una condanna per spaccio di lieve entità basata sull’acquisto di droga da parte di un agente sotto copertura. Analizziamo la decisione per capire i principi che rendono valida una prova di questo tipo.

I Fatti del Caso: Cessione di Stupefacenti a un Agente Sotto Copertura

Il caso riguarda un individuo condannato in primo e secondo grado per aver venduto a un agente di polizia sotto copertura piccole quantità di cocaina (0,34 grammi) e marijuana (1,05 grammi). La difesa aveva impugnato la sentenza d’appello, sostenendo l’inutilizzabilità delle prove raccolte, poiché a suo dire l’agente avrebbe agito come “provocatore”, inducendo l’imputato a commettere il reato.

I Motivi del Ricorso: L’Accusa di “Agente Provocatore”

La difesa ha basato il proprio ricorso in Cassazione su tre punti principali:

1. Violazione delle norme sull’agente infiltrato: Si sosteneva che l’operazione fosse illegittima perché l’agente avrebbe istigato la cessione, in assenza di un reato preesistente.
2. Mancanza di prova del concorso: Si contestava il coinvolgimento dell’imputato, poiché la consegna materiale della droga era stata effettuata da un’altra persona.
3. Assenza di prova dell’efficacia drogante: Si lamentava che non fosse stata dimostrata la concreta offensività della condotta, in quanto non era stata accertata la quantità di principio attivo nelle sostanze.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto tutti i motivi del ricorso, fornendo chiarimenti fondamentali su ciascun punto.

La Legittimità dell’Operato dell’Agente Infiltrato

La Corte ha ribadito la distinzione fondamentale tra agente infiltrato e agente provocatore. Il primo si inserisce in un contesto criminale già esistente per raccogliere prove; il secondo, invece, crea artificialmente l’occasione del reato, istigando un soggetto che non aveva quella determinazione criminosa. L’azione dell’agente infiltrato è legittima quando si limita a “disvelare un’intenzione criminale esistente, ma allo stato latente, fornendo solo l’occasione per concretizzare la stessa”. Nel caso di specie, i giudici hanno ritenuto che l’agente non avesse indotto l’imputato a spacciare, ma si fosse semplicemente presentato come un acquirente, permettendo a un’attività di spaccio già in essere di manifestarsi. Di conseguenza, le prove raccolte sono state considerate pienamente utilizzabili.

La Responsabilità del Coimputato: Oltre la Semplice Presenza

Sul secondo motivo, la Corte ha specificato che il concorso nel reato non richiede necessariamente l’esecuzione materiale dell’azione. Nel caso esaminato, l’imputato aveva dato istruzioni precise all’agente su come completare l’acquisto dal complice (dicendogli “seguilo…vai dietro lui”) e si era successivamente informato sull’esito della transazione. Questi comportamenti, secondo la Corte, dimostravano un “diretto interesse” e una piena consapevolezza e partecipazione all’attività illecita, integrando così gli estremi del concorso di persone nel reato.

L’Efficacia del Narcotest per la Prova del Reato

Infine, per quanto riguarda l’offensività della condotta, la Cassazione ha confermato un orientamento consolidato: il narcotest è sufficiente a provare la natura stupefacente di una sostanza ai fini della sussistenza del reato. Sebbene questo test non quantifichi il principio attivo, la sua positività dimostra che la sostanza è illegale. In assenza di una prova sulla quantità esatta di principio attivo, e in applicazione del principio del favor rei (la regola più favorevole all’imputato), il giudice può correttamente qualificare il fatto come di “lieve entità”, come avvenuto in questo caso, senza che ciò escluda la rilevanza penale della condotta.

Le Conclusioni

Questa sentenza riafferma principi giuridici solidi in materia di indagini sotto copertura e reati di droga. In primo luogo, l’operato di un agente infiltrato è legittimo e le prove sono valide se non si trasforma in un’induzione a commettere il reato. In secondo luogo, il concorso in un reato di spaccio può essere provato anche da condotte che, pur non consistendo nella consegna materiale, dimostrano un ruolo attivo e consapevole nell’operazione. Infine, il narcotest rappresenta uno strumento probatorio sufficiente a integrare il reato, lasciando al giudice il compito di valutarne la gravità complessiva, anche ai fini del riconoscimento della lieve entità.

Quando l’attività di un agente infiltrato è considerata legittima?
L’attività di un agente infiltrato è legittima quando non determina l’indagato a commettere un reato, ma si limita a svelare una risoluzione delittuosa già esistente, fornendo solo l’occasione per la sua manifestazione. Non deve quindi agire come un agente provocatore che istiga al crimine.

È sufficiente un narcotest per dimostrare che una sostanza è stupefacente ai fini del reato?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, l’accertamento svolto mediante il solo narcotest è sufficiente per provare la natura stupefacente di una sostanza e dimostrare il perfezionamento del reato. La mancata quantificazione del principio attivo non esclude la punibilità della condotta.

Come si dimostra il concorso di una persona in un reato di spaccio se non è lei a consegnare materialmente la droga?
Il concorso può essere dimostrato attraverso altri elementi. Nel caso esaminato, il fatto che l’imputato avesse dato istruzioni all’acquirente su come interagire con il complice e si fosse poi informato sull’esito dello scambio è stato ritenuto un indice sufficiente di compartecipazione e di un interesse diretto nella vendita.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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