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Affidamento terapeutico: quando viene negato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34329/2025, ha confermato il diniego dell’affidamento terapeutico a un condannato tossicodipendente. La decisione si basa su un giudizio prognostico sfavorevole, fondato sui numerosi precedenti penali e sulla scarsa adesione a precedenti percorsi di recupero, che indicavano un elevato pericolo di recidiva. Tuttavia, la Corte ha annullato parzialmente l’ordinanza perché il Tribunale di Sorveglianza aveva omesso di pronunciarsi sulla richiesta subordinata di detenzione domiciliare per gravi motivi di salute, rinviando il caso per una nuova valutazione su questo specifico punto.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento Terapeutico Negato: La Cassazione Sottolinea l’Importanza del Giudizio Prognostico

L’affidamento terapeutico rappresenta uno strumento cruciale nel sistema penitenziario italiano, offrendo un’alternativa al carcere per i condannati con problemi di tossicodipendenza. Tuttavia, la sua concessione non è automatica. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 34329/2025) ha ribadito i rigorosi criteri che i giudici devono seguire, sottolineando come un giudizio prognostico negativo sulla pericolosità sociale del soggetto possa portare al rigetto dell’istanza, anche in presenza di un programma di recupero.

I Fatti del Caso

Un uomo, condannato a scontare una pena detentiva con scadenza nel 2027, presentava un’istanza al Tribunale di Sorveglianza di Roma per ottenere l’affidamento in prova terapeutico, ai sensi dell’art. 94 del Testo Unico sugli stupefacenti. Il Tribunale rigettava la richiesta, motivando la decisione sulla base dei numerosi pregiudizi penali del richiedente, delle informazioni negative acquisite e delle incerte prospettive di recupero. Secondo i giudici, non era possibile formulare un giudizio prognostico favorevole che giustificasse la concessione del beneficio.

Contro questa decisione, il condannato ricorreva in Cassazione, lamentando una valutazione incongrua della sua condizione di tossicodipendenza e del programma terapeutico presentato. Inoltre, evidenziava un vizio procedurale: il Tribunale aveva completamente omesso di pronunciarsi su una richiesta subordinata di detenzione domiciliare per gravi motivi di salute.

I Criteri per la Concessione dell’Affidamento Terapeutico

La Corte di Cassazione, nell’esaminare i primi tre motivi di ricorso, ha colto l’occasione per riaffermare i principi consolidati in materia. L’affidamento terapeutico presuppone una duplice verifica da parte del giudice:

1. La condizione di tossicodipendenza: È necessario accertare lo stato di dipendenza del condannato.
2. L’idoneità del programma: Il programma terapeutico presentato deve essere concreto e idoneo a favorire il recupero clinico del soggetto.

Accanto a questi presupposti, il giudice deve condurre un’attenta valutazione prognostica. La misura alternativa deve essere in grado di prevenire la ricaduta in condotte devianti. Non può essere concessa a un soggetto ritenuto ancora socialmente pericoloso, poiché il percorso di recupero richiede la piena collaborazione dell’interessato, cosa impossibile se la sua condizione di pericolosità persiste.

L’Analisi della Cassazione sul Diniego dell’Affidamento Terapeutico

La Suprema Corte ha ritenuto corretta la valutazione del Tribunale di Sorveglianza. Nonostante l’imputato avesse avviato un percorso di revisione critica del proprio passato, la sua storia personale e giudiziaria deponeva a sfavore. Le ripetute ricadute nel crimine, incluse condanne per spaccio di stupefacenti all’interno di consorterie criminali, dimostravano un inserimento stabile in ambienti delinquenziali e un’adesione solo apparente ai programmi di recupero.

Il Tribunale aveva correttamente evidenziato che le «reiterate condotte trasgressive», protratte per un lungo arco temporale, e «l’assenza di motivazione al cambiamento» rendevano dubbia la capacità del soggetto di autocontrollarsi. Pertanto, il giudizio prognostico negativo era pienamente giustificato.

L’Omessa Pronuncia sulla Detenzione Domiciliare

Se i motivi relativi all’affidamento sono stati respinti, la Corte ha invece accolto il quarto motivo di ricorso. La difesa aveva presentato, in via subordinata, una richiesta di detenzione domiciliare per gravi motivi di salute, ai sensi dell’art. 47-ter della legge sull’ordinamento penitenziario. Dagli atti processuali risultava che il Tribunale di Sorveglianza non aveva fornito alcuna risposta, né diretta né indiretta, a tale istanza. Questa omissione ha comportato un’obliterazione totale di una parte delle richieste difensive, configurando una violazione di legge.

Le motivazioni

La decisione della Cassazione si fonda su due pilastri fondamentali. Da un lato, ribadisce che le misure alternative alla detenzione, e in particolare l’affidamento terapeutico, non sono un diritto automatico del condannato. La loro concessione è subordinata a un giudizio complessivo e rigoroso che tenga conto della personalità del soggetto, della sua storia criminale e della reale possibilità di reinserimento sociale. L’obiettivo primario di prevenzione dei reati non può essere sacrificato se il percorso terapeutico non è supportato da una genuina volontà di cambiamento e da elementi concreti che facciano sperare in un esito positivo. L’elevato rischio di recidiva, come nel caso di specie, costituisce un ostacolo insormontabile.

Dall’altro lato, la Corte ha sanzionato un vizio procedurale grave: l’omessa pronuncia. Il giudice ha il dovere di esaminare e decidere su tutte le domande ritualmente proposte dalle parti. Ignorare una richiesta, come quella della detenzione domiciliare, equivale a una denegata giustizia e rende l’ordinanza illegittima in quella parte, imponendone l’annullamento con rinvio.

Le conclusioni

La sentenza offre due importanti lezioni. In primo luogo, conferma che la valutazione per la concessione dell’affidamento terapeutico deve essere multifattoriale e non può limitarsi alla sola esistenza di un programma di recupero. La pericolosità sociale del condannato e la prognosi sulla sua futura condotta rimangono elementi centrali e decisivi. In secondo luogo, riafferma il principio fondamentale del diritto processuale secondo cui il giudice deve rispondere a tutte le istanze delle parti. L’annullamento parziale dell’ordinanza dimostra che, anche quando la richiesta principale viene respinta, le istanze subordinate meritano un’attenta e motivata valutazione.

Quando può essere negato l’affidamento in prova terapeutico a un tossicodipendente?
L’affidamento terapeutico può essere negato quando il giudice, sulla base dei precedenti penali, della condotta passata e della scarsa motivazione al cambiamento, formula un giudizio prognostico sfavorevole, ritenendo che il soggetto sia socialmente pericoloso e che vi sia un elevato rischio di commissione di nuovi reati.

Cosa valuta il Tribunale di Sorveglianza per concedere l’affidamento terapeutico?
Il Tribunale valuta la condizione di tossicodipendenza del condannato, l’idoneità del programma terapeutico proposto e, soprattutto, la personalità del soggetto e la sua condotta passata per formulare un giudizio prognostico. L’obiettivo è accertare che la misura alternativa sia idonea a prevenire la recidiva e a favorire il reinserimento sociale.

Cosa succede se il giudice non risponde a una delle richieste presentate dalla difesa?
Se il giudice omette di pronunciarsi su una specifica istanza (in questo caso, la richiesta di detenzione domiciliare per motivi di salute), il provvedimento è viziato per violazione di legge. La Corte di Cassazione può annullare la decisione limitatamente al punto omesso e rinviare il caso al giudice precedente per una nuova valutazione su quella specifica richiesta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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