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Affidamento terapeutico: quando può essere negato?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2636/2024, ha confermato il diniego dell’affidamento terapeutico a un detenuto condannato per un grave reato non collegato alla sua tossicodipendenza. La decisione si fonda sulla valutazione negativa della personalità del soggetto, che non aveva mostrato alcuna revisione critica del crimine commesso, rendendo la prognosi di reinserimento sociale sfavorevole e il programma terapeutico inadeguato a prevenire la recidiva.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento Terapeutico: La Mancata Revisione Critica del Reato Può Impedirne la Concessione?

L’affidamento terapeutico rappresenta una delle più importanti misure alternative alla detenzione, pensata per offrire un percorso di recupero ai condannati con problemi di tossicodipendenza. Tuttavia, la sua concessione non è automatica. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 2636/2024) chiarisce che la valutazione del giudice deve andare oltre la semplice idoneità del programma di recupero, estendendosi a un’analisi completa della personalità del condannato e del rischio di recidiva. Il caso esaminato dimostra come la mancanza di pentimento per un grave reato, anche se non legato alla droga, possa essere decisiva per negare il beneficio.

I Fatti del Caso

Un uomo, detenuto per un grave reato a sfondo sessuale commesso in gruppo, presentava istanza per ottenere l’affidamento in prova a un programma terapeutico, in virtù della sua condizione di tossicodipendente. Il Tribunale di Sorveglianza di Milano rigettava la richiesta, confermando la precedente decisione del Magistrato di sorveglianza. La motivazione del diniego si basava su due elementi principali: primo, il reato per cui era stato condannato non aveva alcun collegamento con la sua problematica di tossicodipendenza; secondo, e più importante, il detenuto non aveva mostrato alcuna forma di revisione critica o pentimento per il grave crimine commesso. Secondo il Tribunale, il programma terapeutico proposto non era sufficiente a contenere il rischio di recidiva, poiché non affrontava le tematiche profonde legate alla commissione del reato principale. Contro questa decisione, il difensore del condannato proponeva ricorso per Cassazione.

La Decisione della Corte e i Limiti dell’Affidamento Terapeutico

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo la decisione del Tribunale di Sorveglianza corretta e immune da vizi. Gli Ermellini hanno ribadito un principio fondamentale in materia di affidamento terapeutico: l’autorità giudiziaria deve compiere una valutazione autonoma e complessa che non si limita a ratificare l’idoneità del programma presentato da una struttura sanitaria. Il giudice deve, invece, formulare un giudizio prognostico completo sulla probabilità che il percorso di recupero raggiunga le sue finalità, tenendo conto della pericolosità del condannato e della sua reale attitudine al reinserimento sociale.

le motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sull’interpretazione dell’art. 94 del d.P.R. 309/1990. Sebbene la norma si concentri sul recupero dalla tossicodipendenza, essa richiama implicitamente i principi generali dell’ordinamento penitenziario. Ciò significa che, per concedere il beneficio, il tribunale deve verificare non solo l’esistenza di uno stato di dipendenza e di un programma idoneo, ma anche la sussistenza di elementi che giustifichino una prognosi favorevole. Tale prognosi deve riguardare la capacità della misura di escludere o rendere improbabile una ricaduta in qualsiasi condotta deviante, non solo quelle legate all’uso di stupefacenti. Nel caso specifico, la totale assenza di ‘resipiscenza’ (pentimento) per il reato sessuale è stata considerata un elemento oggettivo e sintomatico di una personalità ancora pericolosa. La mancata elaborazione critica di un crimine così grave indicava, secondo la Corte, un giudizio prognostico negativo, che rendeva il solo programma terapeutico per la tossicodipendenza insufficiente a garantire un efficace percorso di reinserimento e a prevenire nuovi reati.

le conclusioni

La sentenza n. 2636/2024 rafforza un importante principio: l’affidamento terapeutico non è un automatismo legato alla sola condizione di tossicodipendenza, ma uno strumento che richiede una valutazione a 360 gradi del condannato. La personalità, l’atteggiamento verso i reati commessi (anche se non droga-correlati) e la prognosi di pericolosità sociale sono fattori determinanti. Un programma di recupero, per quanto valido, non può essere considerato sufficiente se non si inserisce in un quadro più ampio di revisione critica e di reale volontà di cambiamento da parte del condannato. Questa decisione sottolinea la discrezionalità del giudice di sorveglianza nel bilanciare le esigenze di recupero con quelle di sicurezza della collettività.

È sufficiente presentare un programma di recupero per ottenere l’affidamento terapeutico?
No, non è sufficiente. La giurisprudenza, come confermato da questa sentenza, stabilisce che il giudice deve compiere una valutazione autonoma e complessa che va oltre l’idoneità del programma, considerando la personalità del condannato e la prognosi di reinserimento sociale.

La valutazione per l’affidamento si concentra solo sul problema della tossicodipendenza?
No. Il giudice deve valutare tutti gli elementi utili a formulare un giudizio prognostico favorevole, che escluda o renda improbabile la ricaduta in qualsiasi tipo di condotta deviante, non solo quelle legate all’uso di droghe.

La mancanza di pentimento per un reato non legato alla droga può impedire la concessione del beneficio?
Sì. Come dimostra questo caso, l’assenza di revisione critica e pentimento (resipiscenza) per un grave reato, anche se non collegato alla tossicodipendenza, è un elemento oggettivo che può portare a un giudizio prognostico negativo e, di conseguenza, al rigetto della richiesta di affidamento terapeutico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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